Capitolo 18
Chissà perché Norton le affibbiava sempre le ore notturne.
Con questo pensiero, Mira faceva il suo giro di ronda per quella che era considerata una delle zone più pericolose di Nuova Folk. Una strada di periferia, poco distante dai bassifondi.
Era una zona residenziale, perlopiù. I portoni dall'aria antica e la vernice scrostata tappezzavano i muri con la loro aura lugubre. I lampioni emanavano fasci di luce circoscritti, formavano dei cerchi perfetti di giallo sul pavimento; tutto il resto giaceva nell'oscurità, in attesa che uno dei fulmini fuori dalla cupola lo rischiarasse per una frazione di secondo.
Da qualche finestra aperta, una televisione ronzava le parole di un qualche documentario sulle formiche. Mira superò quel punto in fretta. Il suono le dava fastidio.
Sotto i muscoli, le saette le mandavano scariche continue. Gli spasmi le scuotevano di braccia di tanto in tanto, e lei portava la mano alla fondina, vittima di un istinto che non comprendeva appieno. Il sapore di succhi gastrici le bagnava il fondo della gola, le pareti della trachea ne erano rimaste bruciate.
Reflusso gastrico, le diceva sempre suo fratello quando era adolescente. Mira ne soffriva, all'epoca, durante il suo periodo di scoperta dei fulmini. Le si accumulavano sulla bocca dello stomaco e sprizzavano scintille fino a scombussolarle la digestione.
Credeva di essersene liberata, invece eccolo lì, il problema: tornato in tutta la sua fastidiosa intensità.
Pestò qualcosa di soffice, che si sgretolò sotto la suola. Mira si bloccò di colpo, gli occhi chiusi e la Tempesta dentro di lei scalpitante. Nella sua testa, bestemmiò. Abbassò lo sguardo, piano. Sotto la scarpa sostava un sacchetto nero. Un sacchetto, non una merda. Era già qualcosa.
Si chinò a raccoglierlo. Lo soppesò, ma era leggerissimo. Dentro celava una bustina di plastica vuota. I resti bianchi di una polverina si vedevano a malapena, al buio.
Mira sbuffò. I drogati non si preoccupavano nemmeno di buttare i loro scarti. Creature inutili. Lo gettò lei nel primo cestino che trovò.
Quella serata cominciava a ripugnarla. Dopo le insinuazioni di Drake e le domande di Norton, i nervi le scoppiavano. Avrebbe preferito di gran lunga passare la notte a casa, a godersi la sensazione dei fulmini scorrerle lungo il corpo. Da quando era stata in ospedale, i momenti per lasciarsi cullare dalla loro energia erano stati pochi.
Come ti sfoghi di solito?
Il quesito di Altair risuonò assieme al tuono che si abbatteva sulla cupola, proprio sopra la sua testa.
Lei non la conosceva, la risposta. Arruolarsi nella squadra speciale era stata la sua speranza di avere una possibilità di sfogarsi. Affrontare altri ibridi, si diceva, le avrebbe dato quella scarica di adrenalina che le serviva.
Nascose le mani nelle tasche, in un sospiro. Reclinò il capo, ad ammirare il cielo scuro al di là della cupola, la pioggia che picchiava con forza ma non poteva raggiungerla. Si era rinchiusa da sola, pensò. Si era rinchiusa proprio come la città si era segregata sotto la cupola, credendo di fare la scelta più giusta.
Le volte in cui poteva usare la forza della Tempesta si contavano sulle punte delle dita. E non bastavano. La verità era che non bastavano. Non più.
I fulmini le pizzicavano i polpastrelli. Ululavano.
Un movimento, sul ciglio del marciapiede opposto, colse la sua attenzione. Tre uomini, infagottati in giacche enormi e cappelli consunti, confabulavano qualcosa fra loro. Se ne stavano al di sotto di uno dei fasci di luce dei lampioni, delle creature della notte che si erano scordate come si stava al buio. Le lanciarono delle occhiate veloci, poi si mormorarono ancora. Ridacchiarono.
Mira tese i muscoli delle braccia. Eccoli che graffiavano e gridavano sempre più forte, i fulmini.
Uno dei tre uomini alzò una mano verso di lei in segno di saluto. Mira aggrottò la fronte; quanto cazzo erano stupidi, gli uomini?
Portò la mano alla fondina e andò da loro. Si aspettava di vederli scappare. Si preparò a rincorrerli per i vicoli sporchi. Invece quelli incontrarono il suo sguardo, come se non aspettassero altro.
Come ti sfoghi di solito?, le ripeteva Altair.
«Salve, agente,» disse uno. Quello che l'aveva salutata; il più alto, magro, privo della terza dimensione.
«Oggi Jin non c'è?» chiese il più basso dei tre, un tipo dalla voce graffiante.
«Jin?» Mira abbassò le sopracciglia. Impiegò più tempo del necessario a ricordarsi che Jin fosse il nome del collega che stava rimpiazzando. «No. Oggi non è in servizio.»
«Strano. Ci aveva dato appuntamento qui.» L'uomo alto subì una gomitata allo stomaco dal compagno più basso. Si lamentò appena, massaggiandosi il fianco.
«Non ci faccia caso, agente,» si affrettò a dire il terzo uomo, quello che fino ad allora se n'era stato zitto. A differenza degli altri, qualcosa del suo viso sporgeva da sotto il cappello: un naso, lungo e a becco.
Mira attese che aggiungesse qualcosa. Niente. I tre tornarono a confabulare fra di loro, come se lei non ci fosse nemmeno. Aprì e chiuse i pugni, preda di un'energia travolgente. La tratteneva a stento.
Come ti sfoghi di solito?
Non mi sfogo, pensò in risposta. Non mi sfogo. E questa verità le crollò addosso, la schiacciò contro il terreno.
«Che ci fate qui a quest'ora?» Indicò i loro cappotti. «Non avete proprio un'aria rispettabile.»
«Ah,» scattò il più alto. Un giocattolo a molla, ecco cosa sembrava. L'intelligenza era quella. «Stavamo, ecco, solo facendo un giro. Sa com'è, in una bella giornata come questa è un peccato restare a casa.» Ridacchiò.
Mira osservò la pioggia oltre la cupola. Le nuvole rendevano il cielo una matassa nera. Il sole, a Nuova Folk, equivaleva a una leggenda. Le belle giornate non esistevano, lì. Si chiese quanto potesse essere stupido quel tipo, per utilizzare un modo di dire risalente a tempi troppo lontani perché ne comprendessero davvero il senso, e sperare che ci cascasse.
Si rese conto soltanto dopo, quando il tizio più basso sferrò un colpo di palmo in testa al compagno, che era solo una brutta battuta.
«Lo scusi, agente. È rincoglionito da quando è nato, non lo fa con cattiveria.» L'uomo tutto naso chinò la testa.
Questo era il prezzo da pagare per godersi la robaccia che si fumavano. Piccoli momenti di felicità in cambio di cellule cerebrali. Una scelta, la loro. Magari quello era l'unico modo che avevano trovato per sfogarsi.
Una giustificazione non li rendeva certo meno stupidi, però. Gli spacciatori che usufruivano della loro stessa merce erano facili da incastrare.
«Vendete il Rejecto?» Mira imitò un tono interessato, per quanto le riuscisse. Non era brava a suonare interessata in generale.
Il tizio alto e magro scosse la testa. «Il Rejecto è una droga per ricchi. Noi abbiamo l'Offusco.» E annuì. Le ricordò uno di quei cani con la testa più grande del corpo che si mettevano sul cruscotto della macchina. «Ma le assicuro che ha un effetto anche migliore.»
Migliore, certo. Nel senso che il cervello crepava ancora prima.
Gli altri due bestemmiarono contro il compagno. Mira tirò un sospiro.
Come voleva sfogarsi?
«Vorrei provarla,» disse, e i tre interruppero i loro bisticci, le bocche spalancate.
Si ripresero subito. Mostrarono dei ghigni sghembi, fatti di buchi e denti ingialliti. Troppo abituati. Quel deficiente di Jin doveva essere un cliente abituale. Chissà se fosse l'unico fra i suoi colleghi? A questo punto, Mira non si stupiva più di nulla.
«Con piacere, agente. Ma non qui.» Il più basso si guardò attorno. Il quartiere era immerso nel silenzio più totale. Il ronzio dei lampioni accompagnava il picchiettio attutito e lontano della pioggia. Non c'era nessuno, e l'unica persona di ronda ce l'avevano proprio davanti, eppure lui si ricordò adesso del bisogno della discrezione.
Alla fine le fece un cenno. «Ci segua.» Assieme ai compagni, si infilò in un vicolo.
Mira li osservò uscire dal fascio di luce e tuffarsi nell'ombra, dove sarebbero dovuti essere fin da subito. Le loro risatine però le affollavano ancora la testa. La vena sulla tempia prese a pulsarle.
Andò loro dietro, senza farsi troppe domande. I fulmini spingevano sempre di più. Le risalirono lungo la gola, assieme alla bile. Rimandò tutto giù a fatica.
La visibilità era limitata. Il vicolo procedeva stretto. I tre camminavano in fila, perché i bidoni rubavano quel poco di spazio in più che c'era.
«L'ha già provata, qualche volta?» chiese il tizio alto, il più stupido. Non si girò nella sua direzione. Non vide le scariche elettriche che le avvolgevano i muscoli, e nemmeno la sua smorfia mentre cercava di ricacciarle indietro.
«No. Solo il Rejecto, una volta,» mentì. Parlare le costò fatica. La Tempesta sembrava voler prendere il possesso perfino delle sue corde vocali. Voleva gridare al posto suo.
Come ti sfoghi?
Spaccandoti la faccia, stronza, pensò. La versione di Altair nella sua testa, quella ancora mascherata, si zittì.
Che fosse la risposta giusta?
«Vedrà, l'Offusco costerà anche di meno, ma le assicuro che vale.»
Uno di loro si fermò. Le saette di Mira scoppiettavano alle loro spalle. Creavano un riverbero di luce che illuminava il pavimento sotto le suole.
«Qui va bene, no?» disse lei.
Due di loro borbottarono qualcosa. Il terzo, quello tutto naso, si girò lentamente. «Ecco, vede, stiamo solo andando al rifu...» Si bloccò di colpo.
Mira non si preoccupò più di nascondersi. Accolse il piacere dei fulmini che le balzavano sulle braccia, sulle gambe. Accolse i brividi che le percorrevano il collo, salivano lungo la nuca e le elettrizzavano i capelli.
Le facce pallide e sconvolte dei tre le suscitarono una risata. Fredda, genuina. Aspra. Una risata che le bruciò la gola.
Il tizio alto inciampò sui suoi stessi passi, indietreggiando. Il labbro di quello basso tremava. Il terzo, tutto naso, era paralizzato.
«No, a-a-aspetta...» biascicò lo stupido.
«Senti, facciamo una cosa,» intervenne il basso, «noi non diciamo a nessuno che tu sei una figlia della Tempesta, e in cambio tu non ci arresti. Possiamo venirci incontro, no?»
«Cos'è adesso, voi minacciate me?» Le si offuscò la vista. Le loro figure divennero delle sagome tremolanti e indistinte. Non ce la faceva più. La Tempesta non avrebbe atteso ancora a lungo.
«N-n-no, è che...» L'uomo si schiarì la gola. «Siamo tutti criminali qui, no? Perciò pensavo potessimo collaborare.»
«Se ci catturi adesso, ti denunceremo. Gli ibridi fanno molto più scalpore di un gruppo di spacciatori,» s'intromise quello tutto naso.
«Ma davvero?» Mira fece schioccare la mascella. «Scommetto che non fregherà a nessuno se tre spacciatori come voi muoiono, allora.»
Com'è che ti sfoghi?, le chiese Altair, per un'ultima volta.
Lasciandomi andare, ecco come.
E si lasciò andare per davvero.
Una ginocchiata ben assestata spaccò i denti del più basso. Mira scartò di lato per evitare lo sputo di sangue. Poi caricò contro il tizio tutto naso: lo compresse contro il muro con tutto il proprio peso. Gli coprì le labbra con la mano; gli uscirono dei rantoli attutiti. Lei lo picchiò ancora, e sentì le ossa della gabbia toracica di lui incrinarsi contro le nocche. Lo colpì fino a che la voce non smise di uscire, finché il respiro smise di solleticarle le dita.
E allora i fulmini esplosero. Lo inglobarono in uno scoppio di scintille. Il corpo di lui si agitò, preda delle convulsioni; Mira chiuse gli occhi, i muscoli tremanti. Scariche di piacere la attraversavano da dentro.
Lasciò ricadere l'uomo a terra, a peso morto. Una macchia scura gli inzaccherava i pantaloni; quel deficiente se l'era pure fatta sotto. La cosa le suscitò un breve sorriso.
Il tizio con i denti rotti piangeva poco più in là, il sangue gli colava sui palmi. Il cappello gli era volato via, scoprendo pochi ciuffi che gli coprivano una nuca altrimenti nuda. Mira lo prese per i capelli, lo tirò su.
Le scosse elettriche lo scossero e lo uccisero sul colpo.
Ne mancava uno.
Lo scemo ne aveva approfittato per filarsela. Ma barcollava, e lei lo vide voltare l'angolo con fare goffo, inciampando su una busta della spazzatura lasciata a terra.
Non si avvicinava nemmeno lontanamente ai livelli di adrenalina provati nell'incontro con Altair. Per quanto la facesse uscire, la Tempesta continuava a urlarle che ne voleva di più.
Di più.
Gridava il nome di Altair. Immaginava la faccia della platinata. Ricordava il dolore delle percosse dell'ibrido di colore.
E così si mosse da sola. Le gambe volavano sulla strada. I piedi a malapena sfioravano il terreno. Raccattò lo scemo per il colletto. Lo sollevò con una sola mano. Con l'altra gli schiacciò il naso. Il rumore delle ossa rotte le provocò un brivido.
«A-aspetta... ti prego...» borbottò lui.
Ma lei non poteva. Non rispondeva delle proprie azioni. Non era lei a decidere. Era la Tempesta.
Finì anche l'ultimo.
L'energia si ritirò da sola nel momento in cui i suoi occhi si posarono sui resti bruciati dello spacciatore. Si nascosero, appagati, sebbene non contenti. Era un contentino, quello, niente di più. Eppure, per il momento, doveva farselo bastare.
Infilò le mani, ancora tremanti, nelle tasche. Uscì dal vicolo, un passo alla volta, lenta. La vista del sangue schizzato sui muri le diede la nausea, così tenne lo sguardo sollevato verso il richiamo della Tempesta sopra la testa.
Forse aveva esagerato. Adesso aveva tre cadaveri da spiegare. Tre cadaveri carbonizzati, a cui sembrava essere caduto un tuono addosso.
Portò le dita all'auricolare. Lo accese. Un rumore statico precedette la voce di Norton.
«Mira, è successo qualcosa?»
Non era una buona idea. Cos'avrebbe fatto, se lui avesse compreso che mentiva? Eppure, ormai non le restavano molte altre possibilità.
«Ho intercettato una degli ibridi,» rispose. Della furia dei fulmini dentro di lei non rimaneva nulla, se non l'acido nello stomaco che ne era conseguito. Mandò giù il sapore acre che le impastava la bocca. «O ci ho provato. L'ho incrociata in un vicolo, se la prendeva con degli spacciatori. Erano già morti quando sono arrivata, ma quella se l'è filata e l'ho persa.»
Una paura infinita. Le sentiva quasi, le rotelle nella testa di Norton. Giravano veloci, alla ricerca di indizi, di contraddizioni. «Tu stai bene?» chiese solo alla fine.
«Sì.» Non era mai stata così bene, in realtà.
«Dov'è andata?» continuò Norton. «Credi di poterla rintracciare?»
Mira si guardò attorno. Finse di riflettere. «No. Si è volatilizzata come l'altra volta.»
«Qual era delle due?»
Qual era più probabile che se la prendesse con degli spacciatori senza un apparente motivo? Quale avrebbe ucciso a sangue freddo senza pensarci due volte?
«La platinata,» rispose. Dopotutto, era lei ad aver tolto la vita a qualcuno davanti ai suoi occhi. E poi Altair se l'era già presa con uno spacciatore: rischiava di aiutarli a identificarla, così. Il collegamento fra la rossa e il suo nome sarebbe stato più facile.
No. Andava bene così.
Mira e gli ibridi ribelli potevano usarsi a vicenda. Depistare, spostare i sospetti, far perdere il senso delle loro mosse.
«Capisco. Resta lì, mando subito soccorsi a recuperare i corpi.»
E Mira attese. Con il suono della pioggia a cullarla, attese.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top