Capitolo 17
La nostalgia le attanagliava la gola. Affilata quanto un coltello e ricoperta di spine, le sostava nella trachea, mentre la mano sfiorava il campanello – appiccicaticcio a causa della polvere accumulatasi negli anni e mai pulita. Tutto, di quel condominio piccolo e sgangherato, le ricordava tempi andati, un anno che sembrava sia lontanissimo che troppo vicino.
Elettra attese, con il dito sospeso, indecisa se suonare oppure bussare sulla porta. L'odore di amarena si espandeva attorno a lei, il profumo di un detersivo per i pavimenti che copriva il sentore di muffa, lasciandone solo un vago ricordo.
Sorrise al pensiero di quanto a lungo avesse atteso, prima di trovare il coraggio di rimettere piede lì dentro. Una cosa ridicola, che non si era neppure resa conto di fare: evitare l'appartamento dove le memorie affioravano come uno sciame d'api impazzite.
Alla fine bussò. Tre colpi decisi. Dall'altro lato arrivò un tonfo, poi una bestemmia.
Altair aprì poco dopo. Teneva i fulmini a bada, per una volta, ed Elettra si ritrovò soltanto ad annusare la birra nel suo alito quando l'altra disse: «Che è successo? Hai capito che non ce la fai più a resistermi?»
Spostando il peso sul bastone, ben ancorato a terra, Elettra scacciò l'aria con la mano libera. «Non ti stanchi mai, a fare sempre le stesse battute?»
Altair sbuffò. «Che cazzo vuoi?»
«Fammi entrare, dobbiamo metterci d'accordo per domani, ricordi?»
«Per domani?» Confusione, che la circondava con la sua aura scura.
Elettra allungò un braccio fino a trovare la porta – prima le sfiorò il gomito per errore – e la spinse in avanti. Si fece largo guidandosi con il bastone. Calciò qualcosa, che rotolò all'altro capo della stanza. «Cos'era?»
«Il telecomando.» Altair richiuse la porta. Sparse il suo profumo ambrato nel superarla. Le molle del letto cigolarono. «Quindi? Che cazzo dobbiamo fare domani?»
«A casa di Evelyn,» le ricordò Elettra. «Io, te e Mira, si spera. Forse qualche altro agente che sarebbe meglio mettere al tappeto. E dire che hai aiutato tu a organizzare tutto.»
«Ah, già.» Ecco che le molle cigolavano di nuovo. Altair le sfiorò una spalla, poi una sedia grattò il pavimento. «Che c'è da organizzare? Andiamo lì e aspettiamo che quella pazza si presenti.»
Certe volte Elettra si chiedeva come fosse, vivere come lei, senza preoccuparsi mai di nulla, con la convinzione assoluta di uscirne sempre in qualche modo. La invidiava. Era un'abilità, la sua, che lei non avrebbe mai avuto.
Avanzò agitando il bastone davanti a sé fino a incappare nei piedi del letto. Allora si aggiustò la gonna e si accomodò. Si sedette su qualcosa di bitorzoluto; infilò una mano sotto le coperte per ricacciarne un qualche indumento – una maglia, sospettava. Altair non cambiava davvero mai. La gettò a terra.
«La situazione non è delle più rosee,» disse poi. Ottenne un grugnito di sdegno, ma non si lasciò intimidire. «Hanno troppe informazioni, e casa di Evelyn non è il luogo ideale per farci trovare. Dobbiamo capire come sbarazzarci di altri agenti, nel caso Mira non si presenti da sola.»
«Un pugno sul naso e vanno a nanna. Non è mica difficile.»
«Senza farci vedere,» aggiunse Elettra. Azzardò un sorriso. Non sarebbe stato male, se il mondo fosse stato davvero così semplice.
Una scintilla nel buio. Altair apparve nel nulla per una frazione di secondo, intenta a sventolare una mano in aria per scacciare l'argomento. Poi, tornò a essere una semplice voce nel nulla. «Allora dimmi che cazzo vuoi che faccia e basta. Non ho voglia di rompermi le palle a sentire i perché e i per come.»
Elettra premette le labbra l'una contro l'altra. Nel petto, le nacque un sospiro. Lo tenne rinchiuso lì. «Potresti aiutarmi a pensare una soluzione, visto che il casino è successo per colpa tua.» Il secondo casino, pensò, ma lo tenne per sé.
Ed eccola che esplodeva. La Tempesta dentro Altair. La rabbia dei suoi fulmini le crepitava sottopelle, la illuminava dall'interno. La sua figura tremolava appena, ancora seduta al tavolo, con il mento poggiato sul dorso della mano. Eppure, appariva tranquilla – per quanto Altair potesse rispecchiare la parola tranquilla. «Sei messa parecchio di merda, se ti serve il mio aiuto per fare piani.»
Su questo aveva ragione.
«E comunque,» continuò Altair, alzandosi di nuovo, «non ci credo che non hai già trecento piani alternativi. Dimmeli e basta, così posso andare a farmi una buona dose di cazzi miei.»
La dita si serrarono sul manico del bastone. Elettra chiuse le palpebre, si giovò della forza delle saette nel suo stomaco. Si dimenavano come canarini chiusi in gabbia, e ogni loro battito d'ali le regalava una scarica di adrenalina. Assaporò l'idea di scatenarle. Ma alla fine le quietò, mentre la stretta sul bastone si allentava a poco a poco.
«Puoi prendere la cosa seriamente, per una volta?» chiese. Non si preoccupò nemmeno di nascondere l'irritazione, dopotutto con Altair che senso aveva? «Devo ricordarti che la polizia ha il tuo nome completo, nonché il tuo identikit, probabilmente, insieme a quello di Vega?» E un indizio fin troppo grande sulla sua identità, tuttavia questo non lo aggiunse.
Altair divenne più luminosa. Un fascio di nervi e fulmini che alzava le spalle. «Non ricominciare con la cazzo di predica.»
«Non voglio farti la predica.» Elettra nascose le mani nelle maniche. Davvero non voleva? Strano, perché le sembrava davvero di morire dalla voglia di sfogarsi. «Solo che la situazione è grave, e la tua sparata e quella di Eve hanno peggiorato le cose. Non siamo nemmeno sicuri che Mira si presenterà. Siamo ancora meno sicuri che accetterà l'accordo. E Keira...»
«Lo so, cazzo.» Arrivò un pugno, dritto contro il muro. Non abbastanza forte da romperlo, per fortuna. «Cosa dovrei fare, secondo te? Starmene rinchiusa in casa tutto il tempo a deprimermi?»
«Vorrei solo che la smettessi di fare di testa sua e ci dessi ascolto per una fottuta volta. Va bene così?»
Il ricordo di una gamba del tavolo che volava all'altro capo della stanza la scosse. Le venne quasi da ridere, a rendersi conto di quanto poco fosse cambiato, da allora. Ma chi era delle due a non essere maturata nemmeno un po'?
Altair però non distrusse niente, questa volta. Diede solo un calcetto alla sedia, che stridé contro il pavimento.
«Solo fino a domani,» continuò Elettra. «Riesci a non dare troppo nell'occhio almeno fino a domani?»
«Che cazzo cambia, poi?»
«Voglio prima scoprire quanto sa la polizia di noi, di preciso.»
Un mezzo sbuffo, poi Altair aprì il frigo. «Non ti prometto niente,» borbottò, mentre si avvicinava per sdraiarsi sul lato. Il materasso sobbalzò al suo arrivo.
Elettra si accontentò. Da lei non poteva pretendere di più, che le piacesse o meno. «Scusami.» L'altra emise un verso sprezzante e aprì una lattina. «Solo che questa cosa di Keira, non l'avevo nemmeno calcolata. Non sapevo che avesse problemi con...» Si morse il labbro. Voltò il busto in direzione di Altair, solo per trovarla lì, un ammasso di fulmini intento a bere qualcosa – birra, a giudicare dall'odore. «Tu lo sapevi?»
«Cosa? Che si fa di droga?» Sollevò il busto. «L'ho scoperto a cazzo, un po' di tempo fa. L'ho beccata per strada, più rincoglionita del solito. Rideva come una deficiente, l'ho capito subito che era fatta.» Una pausa. Sorseggiò la birra. «Mi ha scambiata per Eve, anche se l'ho capito dopo. Ha allungato le mani. Mi sono girate le palle e l'ho spinta, con tanto di fulmini. Così,» alzò le spalle, «io ho scoperto che lei si droga e lei che io sono una figlia della Tempesta.»
Doveva aver assunto una quantità ingente di Rejecto per scambiare Altair per Evelyn. Elettra abbassò la nuca, si immerse nel buio che avvolgeva il mondo, lì dove la luce di Altair non arrivava. «Quanto tempo fa è stato?»
«Parecchio.»
«Non ti ci vedo però, a incazzarti perché qualcuno ci prova con te,» sorrise Elettra. Le saette di Altair perdevano intensità, il suo bagliore ormai era poco più brillante di una candela.
«Sono stronza, ma non così stronza.»
Non aggiunse altro e non ce ne fu nemmeno bisogno. Per quanto non fosse tipa da preoccuparsi per gli altri, certe linee Altair non le avrebbe mai oltrepassate.
Lasciò cadere lì l'argomento. Elettra scivolò un po' di più verso il bordo, dandole di nuovo la schiena. «Ho bisogno di creare un nuovo personaggio,» esordì, dal nulla. Sorrise al pensiero del sopracciglio inarcato di Altair.
«Ancora a scrivere quelle stronzate?»
«Per il libro nuovo, mi serve un nuovo coprotagonista. Ma non trovo il personaggio giusto da abbinare con la protagonista.»
Altair gettò alcuni indumenti sul pavimento. Con più spazio a disposizione, accomodò anche i piedi. «E da me che vuoi?»
«La protagonista è una ragazzina timida, un po' imbranata, che si lascia influenzare troppo da quello che pensano gli altri. Una che combina un sacco di cazzate cercando di trovare il suo posto nel mondo,» spiegò, ignorandola.
«Allora ti serve solo una testa di cazzo che se ne frega di tutto.» Altair le sferrò una pacca sulla schiena. «Che cazzo vuoi? Il permesso di prendere ispirazione da me?»
Elettra si tirò il lobo dell'orecchio. «È che penso dovresti esserci anche tu. Ne fai parte di diritto.» Un gelo improvviso le invase le ossa. Rabbrividì, e si coprì le mani con le maniche, in cerca di calore. «Per quanti personaggi diversi continui a creare, nessun altro è quello adatto.»
Non sapeva nemmeno lei cosa si aspettasse. Un pugno, forse. Una spinta. Di cadere con la faccia contro le mattonelle e spiaccicarsi il naso. O magari una risata isterica. Una bestemmia. Un insulto. Non lo sapeva, ma avrebbe accettato qualsiasi cosa.
Invece le arrivò solo uno sbuffo, lo stesso sbuffo che precedeva il mezzo sorriso caratteristico di Altair: non quello da sbruffona, quello genuino, quello che lasciava trasparire il suo lato più malinconico, il suo lato più fragile. «Azzardati a fare un finale tragico e ti uccido a furia di calci in culo.»
«Farò un lieto fine.»
«Di quelli con gli unicorni che ballano e tutti che resuscitano e fanno il girotondo?» Altair si interruppe per fare un verso schifato. «Così è ancora più una merda. Falle diventare pazze, conquistano il mondo e distruggono tutto, rimangono solo loro due a fare cazzate tutto il giorno.»
La risata arrivò improvvisa, tanto improvvisa da scuoterle le costole e farle male. Eppure Elettra si beò del dolore che le attanagliava lo stomaco, della voce che le raschiava la gola. «Il brutto è che credo sia il finale più probabile.»
«Visto? Voglio metà dei soldi quando diventerai ricca.» Le picchiettò un dito sulla schiena.
Elettra si alzò in piedi, tenendosi al bastone. «Certo. Se i fan non mi linciano prima, con quel finale.» La ascoltò ridere, e il gelo che le ghiacciava le ossa divenne un piacevole tepore. «Ci vediamo domani,» disse poi.
«Alla fine qual è il piano?»
«Te lo farò sapere domani.» Discuterne con lei tanto continuava a essere inutile. «Non fare cazzate nel frattempo.» Con quelle parole, lasciò l'appartamento.
Angolo autrice:
Avviso solo che ci sono dei riferimenti al prequel, La Voce della Tempesta, in questo capitolo. Il senso generale tuttavia dovrebbe comprendersi lo stesso. Ci tenevo a mostrare il tipo di amicizia fra Altair ed Elettra, fatemi sapere cosa ne pensate.
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