Capitolo 15
Ritornare al lavoro non la entusiasmava più di tanto. O almeno, non la entusiasmava starsene seduta alla scrivania a sfogliare scartoffie su scartoffie. A che servivano, poi? Perché le lasciavano a lei? Lo sapevano che le avrebbe consegnate in bianco.
Con uno sbuffo esasperato, Mira si abbandonò contro lo schienale. Drake si issò con il sedere sulla sua scrivania. Fece cadere un paio di fogli; non sembrò accorgersene, perché si limitò a rivolgerle uno dei suoi stupidi sorrisi smaglianti. Non indossava la giacca della divisa, soltanto la canotta di sotto: una coppia di graffi gli percorreva la spalla, si intrecciava lungo la strada fino al gomito.
«È bello riaverti qui.» Lo disse con una semplicità che le diede i brividi.
Mira chiuse il pugno, lo nascose fra le cosce e voltò la testa. Sulla parete, a contrastare il grigio deprimente, delle puntine colorate reggevano dei pezzi di carta con su disegnati degli schemi incomprensibili. La scrittura apparteneva a Norton. Solo lui poteva riconoscere quei geroglifici che spacciava per lettere e frecce.
Drake si sporse un poco con il busto. La sovrastava dall'alto con la sua immensa mole. «Come stai? Sei sicura di sentirtela?»
Lei emise un mezzo sbuffo. «Sto bene.»
«Però sai, chiunque al posto tuo si sarebbe preso più tempo. Sei uscita solo questa mattina dall'ospedale, o sbaglio?»
Cosa voleva? In un'alzata di sopracciglia, Mira incrociò le braccia al petto. «Anche Alex è già tornata,» gli fece notare.
Drake non le rispose subito. Si grattò il retro della nuca, in silenzio. Le lampadine danzavano sul soffitto, mosse dalle ventole che giravano pigre; gli creavano una serie di ombre in movimento sulla mascella, ombre che gli inghiottivano una metà del viso e poi lo liberavano, in un ritmo costante.
Alla fine, appoggiò una mano sulla scrivania e spostò il peso sul braccio, liberandosi delle ombre una volta per tutte. «Vero. Solo che lei è ancora mezza rotta. L'hai vista come si muove?» Agitò le spalle, l'espressione più seria di quanto avrebbe dovuto. «Sembra la donna bionica.» Si esibì in una delle sue inutili risatine finte.
Mira strinse la stoffa della giacca fra le dita. La strinse nella speranza che il sangue fluisse verso le mani e la vena sulla palpebra smettesse di pulsarle. Non funzionò.
«Tu, invece.» Drake le picchiettò l'indice sulla fronte. Lei lo scacciò con uno sbuffo. «Lo dico sempre, dovremmo prendere tutti esempio da te. Sei la persona più tosta che esista.»
Non poteva essere un caso. Non era un caso. Non lo era.
Insinuava qualcosa. Diventava sempre più difficile, per Mira, credere alla possibilità che la sua fosse solo una stupida paranoia infondata, se lui continuava a comportarsi così. O no? Forse le percosse di Altair e quell'altro le avevano solo staccato qualche neurone, dopotutto di botte in testa ne aveva ricevute parecchie.
L'energia dei fulmini le strisciava sotto le unghie. Si concentrò lì, e prese a fremere con veemenza nel tentativo di liberarsi. Mira sciolse un poco le braccia per controllare di avercele ancora attaccate, le unghie. Le trovò lì, all'apparenza normali. Di smetterla di pizzicarle però non ne volevano sapere.
Giunsero dei passi. Pesanti. Zoppicanti. Lei sollevò di scatto la testa per vedere Alex ciondolare verso la sua scrivania. Il braccio ingessato le penzolava davanti, sorretto da una benda. Una macchia rossa a forma di ala di gabbiano le deturpava la pelle sopra il labbro; sulla guancia invece svettava un livido, ormai ingiallito.
Drake dondolava una gamba. Sorrideva. «Ehi, donna bionica! Come va? Li hai oliati oggi i tuoi ingranaggi?»
«È gesso, deficiente.» Alex scribacchiò qualcosa sul retro di una pagina stampata, poi poggiò la penna e gli si avvicinò. «Vi siete divertiti tu e Norton a fare i maschi alfa della squadra mentre non c'eravamo? Scommetto che ne hai approfittato per fare il provolone con la segretaria al primo piano.»
Drake fece scattare il collo in direzione di Mira. Fu un secondo, uno soltanto: subito dopo puntò il dito in direzione di Alex e rise ancora, nella sua maniera tanto finta quanto fastidiosa. «Tanto per cominciare, la segretaria ha un nome, un bel nome anche, ed è Kathrine. E come seconda cosa, non ho fatto niente del genere.» Lasciò ricadere la mano sulla coscia. «I miei giorni da provolone sono ufficialmente finiti.»
Anziché rispondergli, Alex scoccò un'occhiata a Mira. La scrutò dall'alto, grattandosi la pelle che le spuntava da sotto il gesso. «E perché? Che è successo, un miracolo?»
«Non proprio. È solo che l'altro giorno mia nipote, Penelope, ha compiuto quattordici anni, e io mi ero ripromesso di mettere su famiglia per questa data. Insomma, non può essere che mia sorella ha una figlia così grande e io sono ancora uno scapolo.»
Mira approfittò della loro distrazione per controllarsi meglio le unghie. Rosa, intatte, un po' troppo corte, ma stavano bene. I fulmini non si agitavano più con la stessa ferocia di prima, erano diventati poco più di un fastidioso prurito.
«E che cosa le hai regalato di bello?» chiese Alex.
«L'ultimo volume di quella saga famosa, quella di fantascienza. Com'è che si chiama?» Drake schioccò le dita.
«Quantum Clock.» Norton comparve sulla soglia, intento a spingersi gli occhiali sul naso. Non appariva molto in ordine nemmeno lui, cosa insolita: sembrava che un lama gli avesse leccato i capelli un paio di ore prima. «Di Margaret Nim.»
Drake scese giù dalla scrivania. Portò un paio di fogli con sé. «Sì, quello. Mia nipote ama quella saga. La leggi anche tu?»
«Quella non è una saga qualsiasi, è geniale.» Norton si fece strada fino al suo posto. Al contrario dei colleghi, si sedette sulla sedia. Accese il computer, che le mandò un fascio di luce addosso. «Tratta temi così attuali, nonostante sia ambientato nel futuro. Fa capire quanto a volte i pregiudizi più difficili da affrontare sono quelli che ci creiamo su noi stessi. Insomma, la nostra mente fa più male delle parole degli altri.»
L'altro incrociò le braccia. «Cioè?»
«Se ti auto convinci di essere un mostro, finirai per comportarti da tale.»
«E se ti auto convinci di essere un eroe, ti comporterai da eroe?» lo interruppe Drake.
Norton digitò qualcosa sulla tastiera. «Non è detto, potresti anche essere solo un illuso. Ma Margaret Nim lo sa, questo, e non ha paura di affrontare la profondità dell'animo umano. È davvero un genio.»
«A me sembrano un mucchio di stronzate,» intervenne Alex. Mira non le dava torto, ma evitò di intromettersi. Al momento non le poteva interessare di meno, dell'animo umano: aveva problemi ben più grandi da affrontare.
Aprì un cassetto della scrivania, frugò in un cimitero di penne ed evidenziatori fino a trovare un elastico per capelli. Lo allargò con le dita, e quello si spezzò in due. Imprecò fra sé e sé.
Norton spinse indietro la sedia per fronteggiare gli altri. «Certo, Alex, e la psicologia è una balla inventata per farci il lavaggio del cervello.»
«Non ho mai detto che è una balla, ho detto solo che gli psicologi credono di essere più utili di quanto sono in realtà.»
La conversazione terminò in una risata generale. Drake esplose per primo, chiassoso e spontaneo come suo solito; Alex lo seguì a ruota, battendo il palmo sulla scrivania di Mira; Norton si unì per ultimo, e la sua fu più una risatina contenuta.
Mira poté solo osservarli da fuori, come se fosse di fronte a uno schermo, a guardare un documentario. Quei tre erano uniti da un legame che lei non avrebbe mai compreso. Lo vedeva, il filo che li legava: abbastanza sottile da risultare quasi invisibile, eppure c'era e resisteva a ogni tempesta. Lei però non ne faceva parte.
Non ne avrebbe mai fatto parte.
Il pensiero svanì veloce, così come era arrivato. Evaporò non appena Norton si schiarì la gola per richiamare l'attenzione, e tutti quanti si misero sull'attenti.
«Ho un paio di notizie importanti,» esordì. Appoggiandosi contro la scrivania di Mira, Alex grugnì. Drake rimase in silenzio. «Ieri ho ricevuto una soffiata da Ulio. A quanto pare, Evelyn Moore, la ragazza di McRaven, è coinvolta. Gli ibridi terranno una riunione a casa sua domani.»
Evelyn, quella svitata bionda con la fissa per i lustrini. Mira se la ricordava bene, così come si ricordava la fastidiosa sensazione della vena pulsante sull'occhio che le aveva provocato per il resto della giornata. L'idea di averci di nuovo a che fare le provocò un brontolio di stomaco: i fulmini le scoppiettarono nella pancia in un borbottio continuo.
Nonostante questo, accomodò le braccia sulla scrivania e sporse il busto in avanti.
Drake si grattò una guancia. «Non so, a me sembra strano. Mi sa di trappola.»
«L'ho pensato anch'io,» disse Norton. «Però penso sia comunque il caso di controllare. Non andremo tutti, non si sa mai. Se dovesse succedere qualcosa, sarebbe meglio se almeno due di noi ne restassero fuori.»
«Ci vado io.»
Gli altri le scoccarono un'occhiata stupita. Mira ne sopportò il peso, respirò piano e a fondo. La luce che brillava nelle pupille di Norton era dovuta solo allo schermo, oppure nascondeva qualcosa, un giudizio? Scacciò l'idea subito dopo, e si arrotolò l'elastico rotto attorno alle dita.
Non importava cosa pensavano. L'occasione di rincontrare quei tre bastardi non se la sarebbe persa per nulla al mondo.
Dopo un'attesa infinita, Norton annuì. «Verrò io con te.» Nessuno si oppose, e Mira rilassò la presa sull'elastico. «Alex, tra poco mi aiuterai a interrogare McRaven.»
«Alex?» rise Drake. «Perché proprio lei? Vuoi fare il gioco del poliziotto buono e quello cattivo?»
L'altro scrollò solo le spalle. «No, è che tu fra poco stacchi il turno, e ho bisogno di Mira da un'altra parte.»
Ma Mira non lo stava nemmeno ascoltando. Senza dire nulla, lasciò la sua postazione e uscì in corridoio, dove il brusio degli altri impiegati riempiva le mura da oltre le porte chiuse. Raggiunse il salottino, dove due divanetti si fronteggiavano al centro; in mezzo c'era un tavolino scuro, pieno di tagli e graffi, che veniva utilizzato più come poggiapiedi.
Per fortuna, lì le voci arrivavano attutite. Nessuno occupava i divani né bighellonava nei dintorni del distributore. La finestra però era aperta, e le tende azzurrine rimanevano immobili.
Mira cercò una moneta nella tasca. Comprò una semplice bottiglietta d'acqua al distributore; quella rimase incastrata. Di bene in meglio.
Sferrò un paio di calci alla macchina ruba soldi, piano: delle spintarelle con la punta del piede, più che dei calci veri e propri. Niente. La bottiglia non si spostò di un millimetro. Così aumentò la forza, finché non si ritrovò a tirare anche un paio di pugni.
«Così non ci riuscirai mai, al massimo finisci a romperla.»
Mira sobbalzò al suono di quella voce. Si voltò di scatto, il cuore accerchiato dai fulmini.
Norton le rivolse un sorriso. «C'è un punto preciso da colpire per farla funzionare.» Batté il palmo contro il fianco del distributore; la bottiglietta cadde giù in un tonfo. «È tutta questione di strategia.»
«Certo,» borbottò lei. Si chinò a prendere l'acqua e si allontanò di un paio di passi.
L'altro chinò la testa. Esitava troppo, cominciava a snervarla. Si umettò le labbra un paio di volte, ed era ovvio che volesse dire qualcosa, eppure non osò, non subito almeno. Attese qualche secondo, forse nella speranza che Mira si spazientisse e lasciasse uscire i fulmini per pestarlo.
Non gli diede la soddisfazione. Piuttosto, svitò il tappo della bottiglia e bevve un paio di sorsi.
«Mira, su quegli ibridi che avete affrontato tu e Drake,» disse lui alla fine, «davvero non sai niente?»
Mira buttò giù dell'altra acqua. Strinse la bottiglia con troppa forza, e alcune gocce le finirono sulla maglia. «Te l'ho detto, avevano la maschera. Non li ho visti in faccia. So solo che lei era rossa e lui di colore.»
Qualcosa le impediva di raccontargli la verità. Avrebbe potuto dirglielo, che il nome di quella stronza era Altair, così come avrebbe potuto fornire una descrizione dettagliata di una faccia da cazzo che difficilmente si sarebbe dimenticata. Ma non voleva. Al solo pensiero, i fulmini le si accumulavano attorno al cuore e lo ingabbiavano.
Lui sospirò. «Ulio mi ha dato anche un nome, dice che è il nome di una degli ibridi. Altair Almond.»
Mira schiacciò la bottiglia fra le dita. L'acqua risalì verso l'alto, nell'imitazione del getto di una fontana, e si riversò sul pavimento.
«Ti dice niente?»
«No,» mentì.
Norton infilò una banconota nel distributore. «Ho fatto delle ricerche, e sono arrivato alla conclusione che deve essere un nome falso. Esiste la famiglia Almond, anzi, esistono più famiglie Almond, ma Altair non c'è.»
Sebbene non fosse sicura del motivo, Mira ne fu sollevata. «È un nome strano.»
«Infatti. È il nome di una stella e, per di più, non è nemmeno femminile.» Una bottiglia di succo di frutta cadde giù. Norton si inginocchiò a riprenderla. «Potrebbe essere un nome in codice.»
«Forse sì.»
«Anche se, non lo so, mi sembra tutto così strano. Sento che c'è qualche dettaglio importante che mi sfugge. Siamo così vicini, eppure è come se stessimo cercando dei fantasmi.»
Uno dei due divani scricchiolò sotto il peso di Norton, come se nessuno ci si sedesse sopra da un secolo. Lui reclinò il capo. I neon sul soffitto gli si riflettevano sulle lenti degli occhiali, gli nascondevano gli occhi dietro una patina di luce. Sebbene Mira non lo sentisse, il suono dei suoi pensieri, le riuscì fin troppo bene immaginarlo: una serie di litanie che si sovrapponevano fra loro, tutte troppo impegnate a seguire il filo dei propri ragionamenti per ascoltare le altre.
Fra quelle voci, una si faceva domande scomode. Soppesava ogni indizio, ogni sbaglio di Mira. Prima o poi sarebbe arrivata alla verità.
Sempre ammesso che non fosse già successo.
Lei premette i polpastrelli contro la plastica della bottiglia. Ne piegò la forma superiore, la accartocciò fino a renderla amorfa. «Ne hai parlato con gli altri?» chiese, nella speranza di distrarsi dai fulmini che le friggevano dentro.
Norton agitò il succo prima di aprirlo. «Solo con Drake, per il momento.» Portò la bevanda alle labbra, ma le bagnò soltanto. «Nemmeno lui ha molte idee.»
«Che differenza fa?» disse lei, secca. «Sappiamo dove e quando trovarli, no?»
«Sempre ammesso che non sia una trappola,» annuì Norton. «E comunque chi ci dice che riusciremo a scoprire qualcosa?»
«Non vuoi catturarli?»
«Io e te da soli? Quante probabilità di riuscita abbiamo? L'uno per cento?» Si concesse un sorrisetto. Poi scosse la testa. «Non sono ancora sicuro di cosa sia meglio fare. Parlarci? Spiarli e basta? Ti sembravano tipi con cui si può instaurare un dialogo?»
A questo, Mira rispose con un'alzata di sopracciglio. Non tanto perché le facesse ridere l'idea di Norton che tentava di far ragionare una come Altair, quanto perché non ci aveva mai pensato. Le sembravano tipi con cui si poteva instaurare un dialogo? La verità era che loro ci avevano provato davvero, a parlarle. La cercavano. La spiavano.
Forse allora...
Norton attendeva paziente. Aveva assottigliato gli occhi e la osservava con una curiosità cauta.
«No,» replicò Mira, prima che l'altro cercasse di leggerle nel pensiero.
Lui si accasciò contro lo schienale. Non commentò più al riguardo, l'argomento morì lì. «Devo chiederti un favore,» disse piuttosto. «Jin si è infortunato, perciò dovresti andare di ronda al posto suo, questa notte. Te la senti?»
«Chi è Jin?»
«Il nostro collega, quello con i capelli biondo cenere?»
Non se lo ricordava, tuttavia Mira assentì. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di non restarsene con le mani in mano fra quelle quattro mura ad aspettare che la paranoia la ingoiasse del tutto. Magari il movimento le avrebbe calmato i fulmini scalpitanti nel petto.
Angolo autrice:
Ed ecco che arrivano i capitoli nuovi di zecca. Questo qui è molto di passaggio in realtà, ma è importante per dopo. Anche perché, sta per succedere davvero di tutto... consideratela la pace prima che la Tempesta si scateni come dovrebbe.
Grazie per aver letto fin qui!
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