Capitolo 13
Elettra esitava, la mano stretta attorno alla maniglia della porta; con l'altra, estrasse le chiavi tintinnanti dalla serratura. Dall'interno provenivano rumori inconfondibili: passi, dal ritmo veloce e staccato, accompagnati da un paio di urti ogni tanto.
Un sorriso le solcò il volto. Altair stava meglio. Ora doveva solo sperare che non le avesse distrutto casa mentre era via.
I suoni si interruppero nell'esatto istante in cui Elettra fece il suo ingresso. Altair la aspettava dall'altro lato, un agglomerato di fulmini rossi in agitazione. La sua figura era un faro nel buio assoluto. Emanava odore di Tempesta.
Elettra mantenne la mano sulla maniglia per qualche secondo ancora. Una scarica elettrica le saettò lungo le dita; lei chiuse gli occhi, ma l'energia di Altair continuava a rischiarare il mondo attorno a sé, e la sua luce le creava un riverbero oltre le palpebre abbassate.
Respirò a fondo, ricacciando la forza della Tempesta in profondità.
«Ti sei ripresa,» esordì, con un sorriso.
«Aspetta che prendo quella stronza e giuro che la ammazzo.» Uno sbuffo accompagnò quelle parole.
Elettra richiuse la porta dietro di sé. Un sospiro le sfuggì dalle labbra. «Altair, dobbiamo parlare.»
L'altra emise un fischio. «Che è successo, stai per lasciarmi?»
«Peggio,» le rispose. Altair sbuffò un sorriso. Elettra attese un paio di secondi, poi aggrottò la fronte, di nuovo seria. «Cosa pensavi di fare incontrando Mira?»
Altair e la sua luce divennero vicine, troppo. Ne percepì il calore. Distinse la forza di ogni singolo fulmine che le ringhiava sottopelle. Elettra trattenne il fiato, i pugni chiusi, per impedire ai propri poteri di rispondere a quel richiamo.
«Non mi faccio fare la predica da te.»
La risposta che si era aspettata. Il cuore però le sobbalzò nel petto, e questa reazione non l'aveva prevista. «Il mio era un azzardo calcolato.» Lo era davvero? Scacciò il dubbio scuotendo la testa. Non poteva permettersi esitazioni, non ora.
Altair sollevò le braccia. Lo spostamento d'aria la investì in pieno. «Certo, quando le rompi tu, le cazzo di regole, va sempre bene. Magari avevo calcolato tutto anch'io, che merda ne sai?»
Elettra alzò un sopracciglio. «Spero proprio di no, perché visto il risultato, saresti più stupida di quanto sembri.»
L'elettricità dell'altra si attenuò. La sua luce divenne più opaca, più piccola, e il buio inghiottì il resto della stanza. Rimase soltanto Altair, con una mano sul fianco e lo sguardo rivolto verso sinistra. «Che cazzo cambia? Perché tu puoi fare come ti pare, e io mi devo beccare trecento fottute ramanzine?»
Vega non aveva risparmiato nemmeno Elettra, in realtà. Dischiuse le labbra per farglielo notare, ma le richiuse subito. Ci affondò i denti. Assaporò il rossetto. «Lo sai perché.»
«Perché sei raccomandata?»
«Altair...»
«Perché vai a letto con il rompipalle numero uno?»
«Altair.» Questa volta la chiamò con voce ferma. All'altra non importò.
«Perché vi piace cagarmi il cazzo?»
Elettra tirò giù la manica del maglione fino a coprirsi la mano. «Ho sbagliato anch'io!» Lo urlò, e le parole le bruciarono la gola. I fulmini le si attorcigliarono nello stomaco. Uno sopra l'altro, si accasciarono non appena lei si riempì i polmoni di aria.
Altair indietreggiò appena, in silenzio, per una volta. L'odore della Tempesta aleggiava ancora nella stanza, ma più flebile.
«Ho sbagliato anch'io,» ripeté Elettra. «Ho fatto una stronzata. Sei contenta adesso?» I suoi stessi battiti le riecheggiavano nelle orecchie.
«Cazzo, no.» Sollevò la testa a cercare i fulmini di Altair. Li trovò lì di fronte a lei, di nuovo luminosi, di nuovo pieni di energia. «Mi devi pagare i diritti.»
Elettra allungò la mano per cercare la sua spalla. Ci si aggrappò mentre la superava, ma il solo contatto con Altair le mandò una scarica di energia lungo il corpo. I fulmini le attaccarono le pareti dello stomaco, alla ricerca di una via di fuga; li tenne rinchiusi per miracolo, dirigendosi al tavolo.
Tastò al buio. Le dita incontrarono la superficie fredda e liscia della sedia. La tirò a sé e ci si accasciò sopra in un sospiro.
Un'altra sedia grattò contro il pavimento. Altair si accomodò davanti a lei. «Che casino hai combinato? Siamo nella merda?»
«Credevo non avrebbero mai fatto il collegamento.» Elettra si appoggiò allo schienale, all'improvviso troppo stanca per sorreggere il proprio peso. «Con gli eventi di due anni fa.»
«Quindi? Ti hanno beccata?»
«Non hanno niente, per ora.» Solo altre colpe. E lei che aveva sperato di poter dimenticare per sempre quegli eventi. «Ma potrebbero scoprire chi sono, chi ero, prima o poi.»
Altair schioccò la lingua. «Bella merda.»
«Già. Bella merda.» Infilò le dita nei capelli – o meglio, nella parrucca. Le diede i brividi e la ritirò subito. «Posso sapere tu perché ci hai messo nei casini?»
Ci fu un attimo di silenzio, riempito soltanto dal crepitare dei fulmini di Altair. Incredibile, eppure sembrava che riflettesse sulla risposta, per una volta. «Secondo te? Volevo friggere il culo a quella pazza sadica.»
Ovvio. Stupida lei, che aveva creduto ci fosse una ragione migliore. Non che Elettra potesse permettersi di giudicarla: dopotutto, qual era la differenza fra loro due? La curiosità le aveva animate entrambe, sebbene per motivi diversi.
Il pollice di Altair batteva sullo schienale, riproduceva un ritmo familiare, ma che non riconobbe. «È una pazza, però è imbranata come una foca. Si è quasi colpita da sola un paio di volte.»
«L'ho notato anch'io,» annuì Elettra. «Ha un grande potenziale, però è come se non sapesse dosarsi.»
Altair reclinò il capo. «È una repressa, come te.» Sollevò l'indice, e i fulmini lo avvolsero in una frenetica danza di luce.
In un'alzata di sopracciglia, Elettra trattenne a stento una risata. «Strano, io avrei detto che somiglia molto di più a te.»
«Mi prendi per il culo? Ti sembro una repressa?»
«Da come non si fa problemi a minacciare la gente con la pistola come se fosse una criminale, direi nemmeno lei.»
Altair balzò in piedi. Si batté dei colpi sui pantaloni. «Te l'ho detto che è una pazza sadica. Pazza sadica e repressa.» Si allontanò, portando via con sé anche il calore dei suoi fulmini. «Che speri di farci, con lei? Reclutarla? O devo toglierla dalle palle?» Fece scrocchiare le nocche.
La domanda che sperava di non ricevere. Ci pensava da giorni, a quale fosse la soluzione meno rischiosa, se avercela come nemica o come alleata.
Si lisciò la gonna. «Non so se accetterà mai di unirsi a noi, ma credo che dovremmo provarci. Per colpa sua abbiamo già fatto due errori, non possiamo permettercene un altro.»
«Cazzo, sei seria? E come facciamo? La riempiamo di pugni finché non accetta?»
«Questo...» Elettra esitò. Le labbra risucchiarono l'aria e la tennero chiusa lì; poi la lasciarono uscire in un soffio solo. Dopo il resoconto di Vega sulla missione, mentre Altair si prendeva del tempo per riprendersi dalle ferite – Elettra l'aveva portata a casa sua per evitare brutte sorprese, dato che l'altra si era fatta vedere in faccia – lei aveva riflettuto sul da farsi.
Ma Altair si riprendeva troppo velocemente, ed Elettra ancora non disponeva di una soluzione.
«Ancora non lo so,» ammise alla fine. «Però abbiamo poche scelte. Conosce il tuo aspetto, e se non la portiamo dalla nostra parte rischiamo di mandare tutto all'aria. Sempre che non sia già troppo tardi.»
Due errori. Due singoli errori erano abbastanza per rovinare due anni di preparazioni.
Intrecciò le dita sul grembo. I muscoli delle spalle le tiravano; la schiena si incurvava in avanti, tenerla dritta divenne impossibile; i fulmini le danzavano a un ritmo contenuto nello stomaco. Li immaginò come dei ballerini, accompagnati dalle note di un pianoforte. Lasciò che la musica si affievolisse a poco a poco, e i fulmini si spensero uno dopo l'altro.
Altair le comparve di fronte. La sua luce era tanto vivida che la costrinse a tirarsi indietro con la schiena. «Qual è la cosa più di merda che può succedere? Nella peggiore delle ipotesi, li facciamo secchi tutti, no? Li hai visti, sono delle scartine.»
Bussarono alla porta, due volte di fila. Un secondo dopo, arrivò una terza. Altair sbuffò. Elettra sospirò e riuscì finalmente a rilassare le spalle.
Vega entrò, ma al contrario di Altair, rimase immerso nel buio. Lo riconobbe dai passi, pesanti eppure tristi. Richiuse la porta, piano, ma i cardini cigolarono lo stesso. Poi arrivò il miagolio familiare di Romeo, e subito dopo Elettra lo sentì strusciarle contro le gambe. Gli passò le dita sulla pelliccia folta. Si godette le sue fusa, finché non si trasformarono in un soffiare.
Romeo si allontanò un poco nella direzione dei fulmini luminosi di Altair.
«Ah, ce l'avevi tu il gatto pulcioso,» disse lei.
«Mi aveva portato a fare un giro per impedirmi di ucciderti,» le rispose Vega. «E smettila di proteggerti con i fulmini. Hai paura che ti mangi?»
«Se il deficiente mi attacca, poi mi tocca ucciderlo, e se lo uccido la tua fidanzatina, qui, inizia una fottutissima guerra per vendicarlo. Cerco di evitare il disastro. Per una volta che sono prudente non sei felice.»
«Altair, è un gatto, non uno squalo, non ti attacca.»
«Mi prendi per il culo? L'ultima volta che ho provato ad accarezzarlo mi ha quasi cavato via un occhio!»
E questo era vero. Risaliva a quando Romeo era ancora un cucciolo. Le era andato incontro a coda alta, e Altair si era sentita legittimata ad allungare una mano per fargli una carezza. Lui aveva sfoderato gli artigli e mirato all'occhio.
Convincere Altair a non ammazzarlo subito dopo era stata la cosa più difficile. Eppure, Elettra provò un calore inaspettato al petto al ricordo. All'epoca credeva che le difficoltà maggiori fossero già superate.
«Sente che gli sei ostile,» insistette Vega. La sua voce proveniva dal basso. Le fusa di Romeo seguirono le sue parole. «Per questo fa così.»
«Guarda che quello ostile è lui.»
«Vedo che ti sei ripresa anche troppo. Ti donavano i lividi, sai? Ti davano un'aria più affascinante.»
«E tu sei sempre simpatico come una spina nel culo.»
«Sarà, ma la missione l'hai mandata a puttane tu.» La figura di Vega comparve nel buio. I fulmini gli strisciavano sottopelle, ne illuminavano il profilo. Era tanto vicino che Elettra smise di respirare. Lo cercò con la mano, e incontrò i muscoli contratti del petto. Lui la sfiorò con le dita, rilassandosi sotto il suo tocco.
Elettra scosse la testa. «Un piccolo effetto l'abbiamo ottenuto. Sarebbe potuta andare meglio, ma non credo sia stato un vero e proprio fallimento. Ma potremmo doverci riprovare, perché non credo che durerà a lungo nemmeno così. La situazione è instabile. Dobbiamo parlarne con Keira.»
Altair batté i palmi, facendola sobbalzare. «Potrebbe costruire un'altra di quelle merde. Non è chissà che grande problema.»
«La fai troppo facile,» borbottò Vega. E aveva ragione, perché a prescindere dalla soluzione a questo problema, rimanevano gli errori commessi, e tutto l'intrico di complicazioni che si portavano appresso.
Romeo lanciò un miagolio, ed Elettra se lo ritrovò a strusciarle contro le gambe. Si chinò a coccolarlo. La pelliccia era morbida come sempre, le portò un sorriso sulle labbra. Lo grattò dietro l'orecchio, lì dove gli piaceva di più, immersa nella sensazione totalizzante di averlo vicino. Tanto immersa da non accorgersi in un primo momento del trillo del campanello.
Quando suonò per una seconda volta, nel silenzio improvviso, si alzò.
«Aspetti visite?» chiese Altair.
Elettra non le rispose e andò ad aprire. La persona al di là la scansò in malo modo per fiondarsi dentro, con un'aura rossa e scalpitante che la circondava. L'ibrida non la fermò, riconobbe la scia del suo profumo fruttato, con un retrogusto di vaniglia. Richiuse la porta e tornò da Romeo, che l'aspettava seduto.
«Altair! Ho un compito per te.» Evelyn si diresse spedita verso di lei.
Altair emise uno sbuffo che preannunciava un sorriso sbilenco. «Sei rompipalle di prima mattina, vedo.»
«Evelyn,» la chiamò Elettra, e sentì l'aria spostarsi in risposta davanti a sé. La diretta interessata la fissava. «Capiti al momento giusto, dobbiamo chiedere a Keira...»
«Non avete proprio un cazzo niente da chiedere, a Keira.»
«Mamma mia, sembri una donnola incazzata col ciclo!» la derise Altair. «Che hai fatto?»
«Hanno preso Keira, ecco che ho fatto.»
Perfino Romeo percepì la tensione nell'aria e, con un miagolio, sparì in qualche angolo nascosto della stanza. Tutti gli altri presenti trattennero il respiro e le imprecazioni. Almeno una decina di domande diverse investì la mente di Elettra, ma attese prima di esporne anche soltanto una. Attese di scinderle l'una dall'altra nella propria mente, attese di avere un controllo sul vorticare impetuoso di pensieri.
Altri problemi che si aggiungevano, tutti a causa del suo errore. I fulmini dentro di lei ripresero a danzare, questa volta a un ritmo frenetico.
«Chi è stato?» Anche quelli di Altair si agitavano. Il loro bagliore si estendeva fino a investire la figura minuta di Evelyn, davanti a lei. Le due si fronteggiavano. Altair sovrastava Evelyn di mezza testa, eppure lei ne sosteneva lo sguardo, il mento sollevato.
«La polizia è arrivata questa mattina e l'ha portata in centrale, dicendo che devono farle delle domande.»
L'energia di Vega, accanto a Elettra, era altrettanto tesa. Lui tuttavia non osò muoversi, non osò intromettersi. Si mimetizzava con l'ambiente e, se non fosse stato per i tuoni che gli riempivano il petto e la chiamano, Elettra si sarebbe dimenticata che fosse lì.
«Ma perché?» chiese lei. Anche se conosceva il perché. Il suo stupido errore era il perché.
«Cazzo.» Il tonfo di un pugno che batteva contro la parete la fece sobbalzare. «Cazzo! Merda!» Altair picchiò ancora e ancora. Elettra si stupì che ci fosse ancora un muro da malmenare, dopo i suoi primi colpi.
«Hanno detto che è sospettata di essere in combutta con voi. E io so anche di chi è la colpa.»
Ci fu una variazione nella furia dei fulmini di Altair. Arrestarono la loro energia per un attimo, come un respiro trattenuto, e rimasero in attesa di una conferma, di una risposta esaustiva, come se ne fossero terrorizzati.
L'energia di Elettra rispose alla sua. La danza nevrotica si arrestò, in attesa della condanna.
Evelyn mosse alcuni passi verso di lei. «Quella testa di cazzo ha ricominciato a sballarsi.»
I fulmini di Altair ricominciarono ad agitarsi con più furia di prima; quelli di Elettra rimasero immobili, increduli.
«Penso si sia lasciata sfuggire qualcosa in uno di quei momenti,» continuò Evelyn.
«E il lombrico senza palle ha pensato bene di fare la spia,» terminò Altair.
Vega ruppe l'incantesimo che lo teneva fermo. Incrociò le braccia sul petto. «E il motivo per cui ti serve Altair qual è?»
«Voglio dare una lezione a quel grandissimo figlio di una puttana senza il senso della moda.»
Altair si picchiò il palmo con il pugno. «Io ci sto.»
«Non se ne parla,» intervenne Vega. «Combinerete solo altri casini. Non siamo già abbastanza nella merda?»
Evelyn non gli rispose subito. Il pavimento vibrò sotto i suoi piedi, mentre lei gli si avvicinava e, incurante della colossale differenza di altezza, lo affrontava. Elettra non la vide, ma se la immaginò benissimo, complice la furia che la avvolgeva come un'aura protettiva.
«La devo tirare fuori da lì, quella brutta e stupida e volgare testa di cazzo.» La serietà nella sua voce era tanto tagliente da ammutolire i presenti. «Non ho intenzione di fare le cose a caso, ho un piano, ma mi serve Altair.»
«Che piano?»
«Vega, lasciale andare,» lo interruppe Elettra, e lui sigillò le labbra.
Non obiettò ancora, perciò Altair e la sua luce uscirono senza farsi troppi scrupoli, seguiti a ruota dai passi di Evelyn. Soltanto quando si furono richiuse la porta alle spalle, Vega sospirò.
«Sei sicura di volerti fidare di quelle due?» Una mano le accarezzò la spalla. Un movimento lento e un po' rude, ma che le fece sobbalzare il cuore nel petto. «Sono due pazze.»
I suoi fulmini si erano calmati, facendolo sprofondare di nuovo nel buio. I muscoli gli restavano rigidi, ma la sua sola presenza, la sua sola vicinanza, le regalarono una scarica; l'energia di lei si risvegliò per un attimo, solo per poi riaddormentarsi.
Elettra tastò davanti a sé, cercò il suo viso. Trovò il mento, poi le labbra carnose. Risalì ancora un poco e gli sfiorò per errore la punta del naso schiacciato. Soltanto dopo raggiunse la guancia e allargò le dita per assaporare tutta la ruvidezza della sua pelle. «Lo so,» sorrise, «ma Evelyn non è una scema. So che non farà cazzate, perciò sì, sono sicura di volermi fidare di lei.»
Non ottenne una risposta, solo un grugnito poco convinto. Poi Vega chinò la testa, tanto vicino che il suo respiro le solleticò la pelle. «Ely, stai bene?»
La domanda arrivò improvvisa, la schiaffeggiò in pieno viso. Deglutì a fatica. «Sì, sto bene. Sono solo un po' stanca.»
La stessa sedia dove prima sedeva Altair strisciò sul pavimento. Vega ci si accomodò. La sua mano arrivò subito dopo, a prendere quella di lei, a stringerla appena. «Sei tesa quasi quanto me, ed è tutto dire.»
Lei allargò le labbra in un sorriso. Si aggrappò alle dita di lui, alla sua solidità. «Credo di non essere adatta a fare la leader,» ammise. Trattenne il respiro, sentì Vega abbandonarsi contro lo schienale, percepì il suo sguardo addosso.
«Cos'è successo?» chiese soltanto lui.
«Niente.» Elettra passò la lingua fra le labbra. Il sapore amaro del rossetto le provocò una smorfia. «Niente, è solo... Prima la missione va male, adesso hanno preso Keira.» Abbassò la testa. «Io mi sono fatta scoprire.»
Vega impiegò un'eternità per risponderle. La fissò a lungo, in totale silenzio, e lei li sentiva, i suoi fulmini che gli crepitavano sottopelle, sebbene lui tenesse a bada la loro luce. Le carezzò la mano con il pollice. «Non sempre prendi le decisioni migliori.»
Elettra si irrigidì, ma non obiettò. Aveva ragione.
«Nessuno di noi prende sempre le decisioni migliori. Anzi, facciamo a gara a chi fa più cazzate.» Sbuffò un sorriso contagioso. «Però, ascoltami. Forse non sei la leader che sa sempre calcolare ogni eventualità. Forse non sei quella con il piano infallibile, va bene. Ma sfido chiunque a prendere un branco di pazzi come noi e tenerci uniti come ci riesci tu. Sfido chiunque ad abbandonarsi a un potere immenso come il tuo, e decidere sempre e comunque di usarlo per gli altri.»
Avrebbe tanto voluto vederlo, scrutare i suoi lineamenti sempre imbronciati rilassarsi in un'espressione più dolce, incoraggiante. Dal cuore le partì una scarica elettrica. Non la tenne a bada, questa volta lasciò che crescesse, si godette la danza lenta e melodrammatica dei suoi fulmini e la sensazione di piacere estatico che ne derivava.
Vega si fece più vicino. Il suo calore la avvolse. «Non importa come andrà a finire, Ely. Sei e resterai la leader migliore che potrei mai desiderare.» Le asciugò una lacrima solitaria dalla guancia.
Elettra si sporse su di lui. Percorse il profilo delle sue labbra con le dita. «Grazie,» mormorò soltanto. Poi premette la bocca contro la sua.
Note:
Questo capitolo qui l'ho dovuto riscrivere da capo, ecco perché mi ci è voluta un'eternità. Purtroppo sarà lo stesso per il successivo, quindi abbiate pazienza. Presto o tardi arriverà.
Comunque, ho cercato di mostrare meglio il rapporto che Elettra ha sia con Altair che con Vega. Fatemi sapere se secondo voi ho fatto un lavoro decente, se vi va xD
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