Capitolo 12
Una sfilza ininterrotta di suoni si infiltrò nell'oscurità di cui era prigioniera. Quell'incessante sequenza di segnali acustici la infastidì, ma dopo alcuni minuti, quando non trovò l'energia dei fulmini a confortarla, ci si aggrappò con tutta la propria coscienza, in cerca di un appiglio per riemergere dal buio della propria mente.
La luce soffusa dei neon appesi alle pareti la accecò. Richiuse gli occhi subito dopo, per poi riaprirli e chiuderli ancora, fino a che non spalancò del tutto le palpebre.
Dei tubicini le fuoriuscivano dalle braccia, attaccati a delle macchine, le stesse da cui provenivano quei bip tanto frustranti. Girando la testa, Mira scoprì l'esistenza di una mensola attaccata al muro, proprio accanto al letto, alla stessa altezza del materasso. Immerse in un vaso di vetro, delle orchidee si curvavano verso il basso, verso Mira, come se chinassero la testa in un segno di saluto.
Mira aprì la bocca per parlare, ma le uscì solo un grugnito. Fletté le dita, piano. Le sentiva strane, tutto il suo corpo era strano. Vuoto. Debole. Inutile. Triste.
Dentro di lei, la forza del Tempesta non c'era più.
Al suo posto, un serpente le risalì per lo stomaco, le attraversò la gola, in cerca di un'uscita. Fece appena in tempo a scostarsi di lato che la bile le zampillò fuori dalle labbra, in un fiotto giallastro e acido. Sul pavimento bianco e lucido, il suo vomito formava una schiuma, con delle bollicine che esplodevano a contatto fra loro.
Cos'era successo? Cosa le avevano fatto quei bastardi? Ricordava il dolore delle pestate dell'ibrido di colore: l'aveva colpita come se volesse spaccarla in due, come se la sua stessa vita dipendesse dalla sofferenza di lei. Poi nient'altro. Spariva tutto nel nulla.
E i fulmini...
Un rumore la avvertì della presenza di qualcuno: un uomo in camice bianco in piedi accanto a lei scrisse qualcosa su una cartella. Non sembrò accorgersi dello sguardo di Mira. Diede dei colpetti alla penna con il pollice, poi se la infilò nel taschino del camice, e soltanto dopo prese un pezzo di carta e si chinò a pulire il vomito.
Qualcosa, nel modo di comportarsi di quel dottore, le fece fremere la vena sulla tempia. Non avrebbe saputo spiegare il perché, eppure era convinta, dentro di sé, che ci fosse qualcosa di familiare nei capelli troppo lunghi dell'uomo, in quel colore così simile al miele, e perfino nello sguardo.
«Almeno sei sveglia,» disse lui alla fine. «Come ti senti?»
Mira accasciò la testa sul cuscino. Si perse nella luce del neon fino a farsi bruciare le retine. «Quanto ho dormito?»
«Non molto, considerato com'eri conciata.» Il medico afferrò entrambe le estremità della cartella e se la portò dietro la schiena. Inspirò a fondo, mentre si riavviava un ciuffo scomposto di capelli. «Meno di ventiquattro ore. I tuoi colleghi sono venuti a trovarti una volta, ti hanno lasciato quelli.» Accennò alle orchidee con un movimento della testa.
Mira guardò i fiori una seconda volta. Immaginò Drake presentarsi con il vaso in mano, e fu difficile evitare di pensare a lui che lo distruggeva i petali con le sue manone mentre cercava di tenere la pianta al sicuro, attaccata a sé. No, lui avrebbe scelto qualcos'altro, le avrebbe portato un film per distrarsi. Alex non avrebbe portato niente a parte la sua presenza irritante. Dell'intera squadra, solo Norton era il classico tipo da scegliere dei fiori.
Il peso nello stomaco divenne più leggero. Strano.
«Con tutte le botte che hai subito,» iniziò il medico, «è già un miracolo che tu sia sopravvissuta. Il fatto che ti sia ripresa così presto, be', è ancora più incredibile.» Trafficò con il marchingegno che emetteva segnali acustici. «Sei stata fortunata che ti abbiano lasciato a me.»
Mira mosse appena le dita, come per afferrare un qualcosa che ormai non esisteva più. I fulmini erano spariti, ma la sua capacità di guarigione disumana restava. Eppure, la consapevolezza di essere ancora una figlia della Tempesta non bastò a sollevarla, perché il vuoto nel petto si era trasferito nel cervello e le impediva qualsiasi pensiero, qualsiasi emozione. Qualsiasi cosa.
«Non mi sembri turbata. Non hai paura che ti scoprano?» Il dottore inclinò la testa da un lato.
Avrebbe dovuto. Se soltanto fosse rimasto ancora qualcosa della Tempesta dentro di lei, allora forse sarebbe scattata su e avrebbe provato a fuggire. Però, senza i fulmini, che senso aveva combattere?
«Sei stata fortunata, dicevo. Il tuo corpo reagisce troppo alla Tempesta, dopo essere stata in un punto di risonanza, era come se avessi accumulato una quantità incredibile di elettricità. Se ti avessero affidata a qualcun altro, a questo punto saresti stata giustiziata mentre eri ancora incosciente.»
Mira accarezzò l'indice con il pollice. «E perché sono ancora qui?»
«Perché siamo uguali, io e te.» Finalmente arrivò una sensazione. Stupore, forse, che la convinse ad alzare un poco la testa. «Ti ho dato una pillola per tranquillizzare la situazione. Sai, avevi tutti i capelli dritti e i fulmini che ti scorrevano lungo il corpo quando sono entrato nella tua stanza la prima volta. Sembrava quasi che volessi esplodere.»
«Una pillola?» ripeté lei. «Esiste una pillola che mi toglie i poteri?»
Il medico scosse la testa, mordendosi un labbro. «Non esattamente. Diciamo che li attenua per un po'. È merce rara e costosa, ma visto che ho il tuo stesso problema, sono costretto a prenderla tutti i giorni. Anche se io non sembro in procinto di far esplodere mezza città, non ho mai trovato un meccanismo per tenerli a bada. Suppongo che siamo così perché non abbiamo mai avuto occasione di imparare a controllarci come si deve.»
Mira pensò agli altri ibridi che conosceva: Altair non sembrava il genere di persona in grado di controllare i fulmini e il tizio di colore le era parso un demone infuriato più che una persona. Eppure si aggiravano indisturbati per la città, nascosti, forse anche meglio di lei. Restavano quei pochi che aveva affrontato negli anni, per la maggior parte soggetti giovani, che avevano appena scoperto i fulmini e creavano disastri per mancanza di controllo; e poi c'era la platinata.
Si morse il labbro. Il sapore del sangue le si insinuò nel palato. Sbuffò.
La porta si aprì, e Mira alzò di poco la testa per accogliere i suoi compagni. Norton e Drake spalancarono gli occhi e allargarono un sorriso nel vederla sveglia e cosciente. Di Alex invece non c'era traccia.
«Ehi, ti sei ripresa?» Drake si precipitò accanto al letto. Altair gli aveva lasciato il suo biglietto da visita stampato in faccia: la guancia destra era gonfia e violacea. «Cazzo, sei un carro armato! Alex era messa meglio, eppure ha quasi una cera peggiore.»
«Alex?» ripeté lei, con un filo di voce.
Lui poggiò la mano sul braccio ingessato, lo sguardo basso.
«Si è scontrata con l'ibrida dai capelli platinati,» rispose Norton al suo posto. «Diciamo che non le è andata proprio benissimo. Ha parecchie ferite, ma è sveglia e vigile. Però grazie a voi due abbiamo evitato chissà quale disastro.»
Mira aprì la bocca, sorpresa, tuttavia non replicò. Desiderava combattere contro la platinata dal giorno in cui l'aveva incontrata, bramava di distruggere quello stupido visore e toglierle dalla bocca quella parola che aveva usato contro di lei: "ipocrita".
Eppure, senza l'elettricità che le gorgogliava nelle vene, il desiderio si trasformò in un semplice pensiero nel fondo della sua mente. Senza i fulmini che le scalpitavano nel petto, non provò neanche la metà della rabbia che avrebbe dovuto, al pensiero che fosse stata Alex ad affrontarla.
«Tu invece sei stata assurda!» esclamò Drake, saltando su all'improvviso. «Hai tenuto testa a due ibridi. Se non ti conoscessi, penserei che non sei umana...» Pronunciò le ultime parole ridendo; Mira sentì la bocca riempirsi di saliva. Deglutì, in completo silenzio, e voltò la testa dall'altro lato, dove incontrò lo sguardo complice del dottore. Per quanto tempo ancora poteva mantenere quella farsa?
«È stato merito delle armi nuove.» Non del tutto una menzogna. Il respiro le restò incastrato in gola per un paio di secondi di troppo. Mandò giù un nuovo groppo di saliva e inspirò a fondo.
«Comunque ti sei rimessa in fretta.» Norton raggiunse il vaso di orchidee e accarezzò i fiori con le dita. «Eri ridotta parecchio male. Quando Drake ti ha trovata, eravamo tutti convinti che saresti morta.»
Insinuava qualcosa, o era soltanto Mira che era diventata paranoica?
«Ha una capacità di rigenerazione fuori dal comune,» s'intromise il dottore, e tutti gli occhi si puntarono su di lui. Tutti, tranne quelli di Mira. «Ma è tutto merito della sua determinazione,» aggiunse subito dopo.
«Non avevo dubbi. Mira è indistruttibile!» esclamò Drake. Si massaggiava la testa con un'espressione corrucciata. Proprio nel punto in cui Mira lo aveva colpito.
Norton raddrizzò una delle orchidee, prima che cadesse giù. «Sei riuscita a vederli in faccia?» le chiese.
Aveva molto di più. Aveva un nome.
Esitò. Esitò solo per un paio di secondi, ma fu abbastanza per perdere l'occasione: il dottore sfiorò il braccio di Norton per attirare la sua attenzione. «Credo sia meglio lasciarla riposare, per ora. Ancora non si è rimessa del tutto.»
Norton si spinse gli occhiali sul naso. «Capisco. Chiedo scusa.»
«Siete nel bel mezzo di un caso difficile,» rispose solo il dottore. Anche lui insinuava qualcosa? O le percosse di Altair avevano risvegliato tutta la paranoia assopita di Mira?
Il dottore le promise che sarebbe tornato a breve a controllare la situazione, poi uscì. Norton gli fissò la schiena mentre attraversava la porta e si perdeva nel corridoio. Soltanto dopo sospirò e alzò le sopracciglia, un abbozzo di sorriso sulle labbra. «Vado a prendermi da bere. Volete qualcosa?»
Drake fece cenno di no con la mano. Mira scosse la testa. L'istante dopo, Norton li lasciò soli.
La mano di Drake cercò ancora il bernoccolo sulla nuca. «Certo che quella stronza picchia forte.»
Mira corrugò la fronte. «Sì,» mormorò. Peccato che il colpo alla testa glielo avesse dato lei. Forse lui non se lo ricordava. Una botta di fortuna, si disse.
«Mi dispiace di aver perso i sensi come un coglione. Non sono stato di nessun aiuto.»
«È tutto a posto.»
«No, dico davvero. Se fossi un po' meno inutile, forse non avresti rischiato di rimetterci la vita. Sei stata fortunata che siano fuggiti, potevano ucciderti.»
Potevano, ma non l'avevano fatto. Non avevano ucciso nessuno di loro, nemmeno le guardie.
Mira agitò i piedi sotto le lenzuola, in cerca di una posizione migliore. I muscoli cominciavano a lanciare grida di disperazione a starsene immobili. «Ti saresti fatto solo più male.»
«Forse tu te ne saresti fatta di meno.»
Lei distese le labbra. No. Sarebbe finita solo in tragedia, ma non poteva certo dirglielo. Era già abbastanza fortunata che non ricordasse di come fosse stata lei a metterlo fuori combattimento. Si portò una mano al petto, a cercare il peso invisibile che le comprimeva le costole.
Odiava quella sensazione.
Norton tornò in quel momento, con una lattina di aranciata già aperta. Parlarono d'altro, dell'arresto di McRaven e di quelle poche informazioni che Alex aveva scoperto sulla platinata. Mira ascoltò con un solo orecchio, gli occhi fissi sui petali delle orchidee che la studiavano dall'alto.
Sperò solo che se ne andassero presto.
Note:
Questo capitolo non mi ha richiesto troppi cambiamenti, ho giusto cercato di mostrare un po' di cose anziché dirle e basta. Spero che il risultato sia decente. E sì, la revisione procede lenta ma procede.
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