Un frammento di ciò che fu [4/5]
- Seguitemi. -
Morad si pulì le mani su un fazzoletto di stoffa e si avviò a grandi passi verso l'arena. In un primo momento, Nemeria credette che stessero per rientrare, poi però lo vide girare a destra e sparire dietro il muro. Lei e Bahar dovettero correre per recuperare terreno. Due guardie grosse e nerborute sorvegliavano un'entrata anonima, una semplice porta di metallo incassata nel muro altrimenti liscio.
- Non potete passare. Questo è un accesso riservato. -
Morad tirò fuori una catenella con l'effige di una lince con le fauci spalancate. La testa era di ferro e gli occhi avevano un riflesso bronzeo, come le rifiniture delle orecchie e della bocca.
La guardia aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suo compagno si intromise prima che potesse parlare.
- Scusatelo, ha appena preso servizio. Prego, entrate pure. -
Si spostarono all'unisono e l'uomo che aveva appena parlato aprì la porta, per poi tornare al suo posto. Morad rimise a posto la catenella e, come se nulla fosse accaduto, entrò.
"Per la Madre, quanto è conosciuto Tyrron?"
- Il padrone ha una grande fama. Tutti i lanisti in realtà sono molto conosciuti, ma Tyrron è il migliore. - spiegò Bahar e le diede un buffetto sulla guancia, con le labbra atteggiate in una smorfia da saputella che strappò un risolino a Nemeria, - Affretta il passo, prima che Morad ci urli dietro di muoverci. Quell'uomo sembra sempre si sia alzato con la luna storta. -
Si inoltrarono in un corridoio che discendeva nella semioscurità, appena rischiarata dalla luce opaca delle lanterne. La pietra aveva preservato il fresco, intrappolandolo tra quelle quattro mura come un tesoro prezioso. Morad le attendeva alla fine di una ripida rampa di scale. Al suo fianco c'era un qazam con i capelli verdi, gonfi e crespi. Era alto come un besajaun, ma aveva la testa più grande, quasi sproporzionata rispetto al resto del corpo. I baffi erano un esubero di peli neri in continuità con quelli che uscivano a ciuffetti dal naso e copriva del tutto la bocca.
- Lui è Dakshesh, il proprietario. Gli ho già chiesto se puoi parlare con gli artisti della sua compagnia e mi ha detto che puoi fare tutte le domande che vuoi. -
- Poi starà ai miei ragazzi vedere se rispondere o no. Vuoi parlare con qualcuno in particolare, ragazzino? -
"Sono una ragazza! Ma è possibile che nessuno lo capisca?"
Nemeria trasse un profondo e lento respiro per calmarsi.
- Vorrei parlare con Pavona. -
Dakshesh diede una gomitata scherzosa a Morad e i baffi tremolarono sotto l'impeto della risata.
- Pavona! Vieni, c'è una tua ammiratrice qui! - la chiamò.
Pavona emerse da una delle cabine degli spogliatoi quasi subito. Nonostante si fosse tolta buona parte del trucco, rimaneva il nero del kohl a sottolineare il profilo allungato degli occhi. Quando la vide, un sorriso tremolò sulle sue labbra.
- Non possiamo trattenerci molto, lo spettacolo... - cominciò Morad.
- Il tempo di bere qualcosa insieme c'è sempre. -
- Non posso lasciare la ragazz... -
- Andarsene da qui? E come potrebbe? Le guardie la fermerebbero all'ingresso. - Dakshesh strinse il polso di Morad con l'aria seriosa di chi la sa lunga, - Prendiamoci qualcosa. Non mi piace parlare di affari senza un generoso bicchiere di vino. -
- Non vi dovete preoccupare. Qualora tentasse di scappare, urlerò così forte da richiamare anche le guardie del sultano in persona. - scherzò Pavona.
L'uomo indugiò e poi si strofinò il naso.
- Sappi che conosco tutte le entrate di questo posto. Se provi a scappare, io ti troverò. - le disse e i suoi occhi fiammeggiarono come rubini colpiti dal sole.
Come diceva Fakhri, esistevano due tipi di uomo: quelli che parlano per dare aria alla bocca e quelli che prendono alla lettera quello che dicono. Morad non poteva che rientrare in quest'ultima categoria.
- Io devo finirmi di togliere il trucco. Le è permesso seguirmi nello spogliatoio? - domandò Pavona.
Morad annuì e poi si rivolse a Dakshesh.
- Sediamoci pure su quella panca lì. Bahar, seguimi. -
La ragazza scattò subito e lo affiancò, rimanendo in piedi vicino alla panca. I due acrobati che erano rimasti a fissare la scena si avviarono nelle cabine degli spogliatoi, di nuovo concentrarti sulle loro incombenze.
- Vieni con me. - la invitò Pavona.
Aprì la porta e rimase sulla soglia finché Nemeria non si decise a entrare. All'interno, la cabina era meno piccola di quanto si aspettasse. Gli abiti dello spettacolo erano appesi a un gancio al muro, mentre le ali erano state adagiate contro la parete sul fondo. Pavona si sedette sulla panca e le porse uno specchio con la cornice di legno intagliata in tralicci d'uva.
- Tienimelo dritto, per favore. -
Nemeria annuì e lo sollevò fino all'altezza del suo viso. Rimase ipnotizzata da quanto fosse bella anche senza trucco, anzi, era addirittura più affascinante: il rossetto rimasto sulle labbra le rendeva più grandi e carnose di quanto già non fossero e i capelli scompigliati, di un rosso brunito, le conferivano un'aria selvaggia, fiera. Se la libertà fosse stata una donna, avrebbe avuto il suo viso.
- Allora, cosa volevi chiedermi? -
Pavona tagliò il filo dei suoi pensieri. Aveva distolto lo sguardo dallo specchio e ora stava guardando lei, con lo strofinaccio umido e sporco appoggiato in grembo.
- Io... - iniziò e le parole naufragarono.
Aveva la sensazione di conoscerla, ma come poteva spiegarglielo senza sembrare ridicola? Magari nemmeno si ricordava di cosa le aveva detto quando si erano incontrate nel Quartiere del Legno...
Certo che me lo ricordo, sciocchina.
Nemeria si impietrì e sgranò gli occhi. Quelli di Pavona avevano assunto una sfumatura perlacea che aveva screziato la pupilla di pagliuzze argentee.
- Tu... come fai? -
Perché sono come te. Anch'io, un tempo, ero una Jinian.
- Ti vedo stupita, pensavo lo avessi capito. - commentò poi Pavona ad alta voce.
Attenta a quello che dici. Qui anche i muri hanno le orecchie, ma non rimanere mai zitta. Non voglio che ti capiti nulla di male.
- No, no, io... non ci avevo pensato. - si risolse a dire Nemeria.
- Allora significa che sono anche più brava di quanto mi aspettassi. -
Sciacquò lo straccio nel secchio ai suoi piedi e lo strofinò sul collo con attenzione.
- Quanto ti sei esercitata prima di arrivare a questo livello? -
Prima di abbandonare la tribù, avevo cominciato il Secondo sentiero, quello dell'aria per me. Quando me ne sono andata, ero già capace di comunicare telepaticamente, anche se su brevi distanze.
- Ho imparato molto durante i miei viaggi. Ho osservato soprattutto come lo facevano gli altri e poi ho cercato di rubare i loro trucchi. - aggiunse.
- Parli degli altri artisti? -
Pavona le fece l'occhiolino: - Ovviamente. Per migliorarti, non c'è niente di meglio se non imparare da chi ha più segreti di te, ti pare? -
Nemeria non intuì subito a cosa si riferisse. Aveva la testa sovraffollata di pensieri, provare a comporne uno e farlo emergere in quel marasma era un'impresa ardua. Poi la risposta le rimbombò in mente come un fulmine a ciel sereno.
"Stai parlando degli altri Dominatori."
- Purtroppo la vita lontana da casa è dura, bisogna imparare a sopravvivere con quel che si può. - le confermò con cenno del capo Pavona.
- È stato difficile? -
- Ci si mette solo più tempo. Senza la guida di un maestro, è tutto più difficile. - prese un pettine e se lo passò tra le ciocche, pettinandole all'indietro, - Sono stupita che anche tu abbia abbandonato la tua casa per fare un mestiere del genere. Io ho maturato questa decisione molto presto, ma ho dovuto attendere di compiere sedici anni prima di potermene andare. -
Nemeria si morse le labbra e abbassò lo sguardo. Le lacrime, prepotenti, spingevano da dietro le ciglia.
- Non è stata una mia scelta. La mia famiglia... la mia famiglia non c'è più. -
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