Schiava [3/3]
Venne accolta in un ambiente piccolo, intimo. Gli angoli delle pareti erano foggiati a pilastri e sembravano sorreggere le statue dipinte. Libri e tomi più o meno spessi e polverosi erano stati ordinatamente impilati sugli scaffali delle diverse librerie che quasi toccavano il soffitto. Diverse sedie attorniavano il grande e tornito tavolo centrale, anch'esso gremito di pergamene, tavolette di cera, calamai e stili di legno.
L'uomo alto, il padrone, era seduto dalla parte opposta e non sembrava essersi accorto di lei. Nemeria attese in piedi finché le gambe non ripresero a tremare e le imposero di sedersi su una delle sedie. Non sapeva come comportarsi. Il padrone di casa continuava a scrivere, incurante della sua presenza, inspirando di tanto in tanto dalla lunga pipa bianca, che riponeva su un sostegno di legno a portata di mano dopo ogni boccata.
Doveva chiamarlo oppure doveva attendere che fosse lui a darle il permesso di parlare? Aveva fatto bene a sedersi oppure si doveva aspettare un rimprovero per la sua poca resistenza?
“Mi fa male dappertutto.” si scusò, in un dialogo immaginario. Le gambe soprattutto, non riusciva a stare troppo a lungo in piedi.
Il suo stomaco protestò, un basso gorgoglio che la fece trasalire. Si mise una mano sulla pancia e provò a non pensare al profumo di carne che filtrava attraverso la tenda, alla consistenza che doveva avere sotto i denti quando la si masticava. Un altro borbottio risuonò nella sala.
- Se hai fame, mangia. È ora di cena e tu sei in via di guarigione, è normale che il tuo corpo pretenda più attenzioni del solito. - esordì a quel punto l'uomo, mentre due nuvolette di fumo si librarono dalle sue labbra nell'aria, sprigionando un profumo dolciastro di resina, - Cosa hai lì? -
Nemeria svuotò le tasche. Alla vista della frutta, il suo stomaco borbottò ancora, con più veemenza. L'uomo abbozzò un mezzo sorriso, prese un dattero da un piattino di terracotta, tolse il nocciolo prima di metterlo in bocca e lanciò un'occhiata alla bambina, spingendo appena il piatto nella sua direzione.
- Davvero buoni, domani devo dire a Farshad di comprarne altri. - ne afferrò un altro e fece altrettanto, - Mangia, mangia, abbiamo tempo prima che la cena venga servita. -
Nemeria non se lo fece ripetere due volte. Si impadronì di tre datteri e li infilò tutti insieme in bocca. Poco ci mancò che si strozzasse nella foga, ma era così affamata che subito ne ingoiò un altro, assieme alla buccia e al nocciolo.
- Come vi... -
- Puoi darmi del tu quando siamo da soli. -
Nemeria deglutì l'ultimo boccone e tossì per darsi un contegno. Fissò con desiderio la mela, ma represse l'istinto di azzannare anche quella, e nascose le dita dietro la piega del ginocchio.
- Qual è il tuo nome? -
- Tyrron. - il sorriso si allargò e le labbra si assottigliarono fino quasi a sparire, - A giudicare dalla tua faccia, qualche voce su di me ti è giunta. -
Nemeria annuì e poi si affrettò a scuotere la testa.
- No, non so granché. Solo il nome non mi è nuovo. -
Lui annuì. Da vicino, la sua pupilla era poco più che una fessura slargata, contornata da un alone giallo dorato.
“Tyrron Occhi di Lince.”
- Cosa ne sarà di me? -
- Diventerai una mia gladiatrice. -
Il cuore inciampò nel petto e le parole rimasero impigliate tra i denti come pesci in una rete. Si rese conto di aver trattenuto il respiro solo quando i contorni divennero sfocati.
- Morirò? -
Tyrron appoggiò il mento sulle mani intrecciate, inclinando la testa a destra e a sinistra. La coda ondeggiava a ogni movimento, frusciando sulla veste. Nemeria sostenne il suo sguardo come poteva, respirando il più piano possibile: sperava che se avesse mantenuto la concentrazione su quei movimenti, lui non si sarebbe accorto di quanto avesse paura.
- Dipenderà dalle tue abilità. Di solito i gladiatori non vengono uccisi, sarebbe un enorme spreco di denaro e risorse. Se ricevono ferite mortali, i guaritori fanno l'impossibile per salvarli. - si esibì in un ghigno stiracchiato, - Se quello che mi chiedi è se voglio mandarti a morire, la risposta è negativa, ma non vedo il futuro, non ti posso dare alcuna garanzia che qualcuno non tenterà di ammazzarti. -
Nemeria deglutì a vuoto. Aveva la gola secca e la lingua si era improvvisamente atrofizzata.
- Ci... - strinse il ginocchio, - ci andrò subito? -
- No, ovviamente. Prima ti dovrai riprendere. -
- E dopo? -
- Dopo verrai sottoposta a una valutazione fisica e magica dai miei allenatori. Saranno loro a decidere come indirizzarti, verso quale stile di combattimento. -
- Sarò mai... libera? -
Nemeria pose quell'ultima domanda in un sussurro. Tirò su col naso e si strofinò gli occhi, i denti piantati nelle labbra e lo stomaco contratto. Aveva ancora molte, tante, troppe questioni aperte, eppure in quel momento erano scolorite, insignificanti.
- Anche in questo caso, dipende da te. Ho speso molti soldi per comprarti. -
Srotolò una pergamena e gliela mise sotto il naso. Nemeria lesse i termini del contratto senza capire davvero ciò che c'era scritto. Parole come “vendita”, “proprietà”e “riscatto” erano incomprensibili.
- Sai leggere? -
Il cervello di Nemeria non sapeva più nemmeno elaborare un pensiero logico. Annuì con poca convinzione e Tyrron dovette interpretare quel suo tentennamento come una dimostrazione d'ignoranza.
- Mi sei costata duemiladuecentocinquanta shekel. - incrociò il suo sguardo, - Sai quanti sono? -
“Troppo.”
- Sì, ora sì. -
- Quando riuscirai a ripagarmi, riavrai la tua libertà. - avvolse un nastro attorno alla pergamena e la andò a sistemare su uno degli scaffali, - Se hai finito, desidero farti io alcune domande. -
Lo sguardo che aveva, simile alla lama di un pugnale, bastò a inchiodarle la lingua al palato e a pietrificarla. Sentiva freddo, un freddo che germogliava dalla paura dell'ignoto e della morte e dalla certezza di non poter avere segreti con quell'uomo: avrebbe annusato la bugia dopo le prime sillabe.
- Mi piacerebbe sapere il tuo nome, prima d'ogni cosa. - riprese posto e si protese verso di lei, - Non mi piace condurre una conversazione senza sapere a chi mi sto rivolgendo. -
- Nemeria. - esalò flebilmente.
- Bene, Nemeria. Come ti ho detto, sarai una mia gladiatrice. Lavorerai per me. I miei allenatori provvederanno a renderti una guerriera capace di far divertire il pubblico. Se sarai brava, riuscirai a racimolare abbastanza shekel da pagarti la libertà. Nel frattempo, verrai alloggiata in una stanza nel dormitorio della scuola. Condividerai la camera con un'altra ragazza che ho acquistato assieme a te. Lì sarà la tua vita, d'ora in avanti. Visto quanto ho dovuto sborsare per averti, mi aspetto che tu non mi deluda, se non altro se ci tieni a non essere più una schiava. -
Schiava. Quella parola la colpì come uno schiaffo e le trafisse la pancia, attaccandola allo sedia. Meno di un animale, meno di un oggetto, meno di nulla: aveva perso il diritto di definirsi un essere umano. Una lacrima le sfuggì dalle ciglia prima che Nemeria riuscisse ad asciugarla.
- Non piangere, non ne vale la pena. Lì fuori saresti morta prima o poi, uccisa da un'infezione o da una mela andata a male. Qui verrai nutrita, curata e avrai un tetto sopra la testa, e in cambio ti verrà solo richiesto di far divertire il tuo pubblico, il tuo cliente più pretenzioso e indulgente di tutti. Non so cosa ti abbiano raccontato, ma ti posso assicurare che ben presto comincerai a pensare d'essere stata fortunata a finire qui. - fece un tiro dalla pipa e trattenne il fumo in bocca prima di soffiarlo fuori in un filo sottile, - Ci sono poche regole, ma ce n'è una in particolare che pretendo venga rispettata: non provare a fuggire. La scuola è sorvegliata e anche volendo usare il tuo potere, il collare non è l'unica cosa placcata in oricalco. Non ti sto minacciando, Nemeria, ma ti prometto che se mai tenterai la fuga, le ossa rotte e le bruciature ti sembreranno dei fastidi a confronto di quello che patirai. -
L'occhiata che le scoccò la fece rabbrividire. Più delle parole, erano quegli occhi taglienti a gelarle l'anima.
- Hai capito, Nemeria? -
- S-sì, ho capito. -
- Ottimo. - l'uomo ripose la pipa sul sostegno e si portò alla bocca l'ultimo dattero, - Per il resto, puoi fare quello che più desideri. Più avanti potrai anche uscire dalla scuola, ma fino a quando non sarò certo che non dovrò mobilitare i Kalb per venirti a stanare, non posso permettermi di rischiare. -
Nemeria annuì. La testa si era svuotata, la sentiva leggera, piena d'aria, con le domande tutte compresse contro la scatola cranica. Il collare, ora, le pesava come se fosse stato di piombo. Era la catena che la vincolava a quell'uomo, a Tyrron; il nodo scorsoio da cui penzolava la sua dignità.
- Se non hai altro da chiedermi, puoi tornare nelle tue stanze fino a quando non sarà pronta la cena. Il guaritore afferma che per il momento è meglio tenerti sotto controllo e io concordo con lui. - concluse e le fece un lieve cenno della mano, - Ho delle faccende burocratiche particolarmente noiose di cui mi devo occupare, puoi andare. -
Nemeria non attendeva altro. Scese dalla sedia, chinò il capo e si trascinò in camera sua. L'odore del cibo le stuzzicava le narici, ma lo stomaco era chiuso in una morsa gelida, così stretta da darle l'impressione che avrebbe potuto vomitare da un momento all'altro. Deglutì il gusto acido della bile assieme alla tristezza, alla frustrazione, al dolore. Tra le lacrime si domandò perché non avesse chiesto che fine avessero fatto tutti gli altri, e chi fosse l'altra ragazza che aveva comprato.
“Perché ti preoccupi? Gli schiavi non hanno amici.”
Soltanto quando ebbe raggiunto la sua camera e nascosto il viso nel cuscino si concesse di piangere.
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