Schiava[2/3]

Si avvicinò al tavolo e con un gemito dolorante tirò su il lembo. A parte un po' di farina e qualche briciola di pane, non c'era nessuno. Si morse le labbra e uscì quanto più in fretta poté. Si diresse verso la tenda in fondo alla stanza. Un venticello tiepido del tardo pomeriggio le soffiò sul viso e le asciugò il sudore sulle gambe e sul collo. La luce aranciata del sole sfumava nelle gradazioni del giallo per poi incupirsi in un rosso purpureo, che imbruniva nel viola del crepuscolo. Dalla sua prospettiva, Nemeria riuscì a scorgere anche le prime stelle. Inspirò a pieni polmoni l'aria fresca e avanzò fino alla vasca al centro. Il vento increspava la superficie dell'acqua illuminata dall'apertura sul tetto, sospingeva le foglioline contro le sponde come barchette alla deriva. Le fauci spalancate dei lupi sui doccioni parevano fissarla con i loro occhi inanimati, freddi, feroci, così realistici da farla indietreggiare. Si fermò solo quando andò a sbattere contro il pozzo alle sue spalle. Sussultò e tese le orecchie. Silenzio, solo il sibilo del vento e le ombre sempre più lunghe della sera.

Strinse la pietra di luna perché le infondesse un po' di coraggio. Trattenne il fiato quando con la punta delle dita sfiorò un collare di cuoio. Si trascinò fino al bordo della vasca e si inginocchiò. Il suo riflesso le rimandò una bambina spaventata, vestita con una tunica bianca, stretta in vita da una cintura. Abiti nuovi, leggeri, puliti, come quelli che indossava quando viveva nella tribù. Avrebbe potuto pensare di essere libera, se non avesse avuto quel pezzo di cuoio placcato con un metallo rossastro, simile al rame. Un pizzicore le intorpidì le dita quando ve le passò sopra, lo stesso che le trasmise la fibbia.

"Basterà scioglierlo."

Non aveva mai usato il fuoco in quel modo, non era nemmeno sicura di poter sprigionare il calore sufficiente senza bruciarsi. Chiuse gli occhi e trasse un lieve respiro, prima di fissare la sua attenzione sulle pareti. Una volta Etheram le aveva detto che anche l'ambiente era importante per concentrarsi, e che il silenzio, a volte, poteva essere più rumoroso di una stanza piena di gente.

- Ci sono due modi di guardare il mondo, Nemeria: puoi osservarlo da lontano e coglierlo nella sua armoniosa interezza, oppure avvicinarti e lasciarti catturare dalle minuzie più pregevoli. Non c'è un metodo più giusto dell'altro, è la situazione e il tuo stato d'animo a decretare se è meglio rimirare un paesaggio mentre cavalchi o quando bivacchi. Lo stesso discorso si può applicare al metodo con cui attingi potere dagli elementali: puoi protendere la mano e rimanere distante, così come puoi avvinarti e immergerti in loro. -

Nemeria puntò lo sguardo sui monti che affrescavano le pareti. Le vette si innalzavano verso il cielo, sconfinando nelle nuvole bianche, dipinte tamponando il pennello con tocchi rapidi. Un branco di lupi correva nella foresta come un'unica entità, si avventava sulla cerva in fuga con ferocia, la braccava tra gli olmi e gli ontani imbiancati di neve finché il capobranco non la atterrava. Era una scena cruenta che, come quella nella sua stanza, continuava su tutte e quattro le pareti. Nemeria seguì i predatori senza riuscire a rivolgere la sua attenzione altrove, attratta dalla bellezza dei colori e dal realismo con cui erano stati riprodotti. Socchiuse le palpebre e si concentrò sul naso, biancheggiato attorno alle narici per rendere il riflesso della neve sciolta, poi sulle orecchie abbassate, parallele alla testa, e sulle zampe che sfregiavano lo strato spesso di neve.

La pietra di luna le trasmise un pallido calore.

Contemplò la cerva... no, il giovane cervo, poiché il pittore aveva tratteggiato un accenno di corna, e osservò il manto lucido e le zampe chiazzate di rosso. Nemeria immaginò che fosse rimasto ferito o che fosse l'unico sopravvissuto della sua famiglia. Come lei.

Strinse di più il ciondolo e abbassò le palpebre. Poteva sentirlo, il soffio del vento, quello che sferzava il paesaggio innevato. Le si infilava tra le dita e tra le bende, come un nastro di seta appena lavato. Davanti ai suoi occhi divenne una raffica che ingrossava la fiamma, danzava con essa lasciandosi lambire dalle lingue ardenti. Allungò la mano verso il cerchio di luce, lo oltrepassò mentre il vento spirava più forte e...

La visione svanì e tutto piombò nell'oscurità.

La bambina attese un istante, quindi aprì gli occhi e si guardò attorno senza capire dove avesse sbagliato. Aveva fatto come sua sorella le aveva detto e gli elementali avevano risposto. Allora perché poi se n'erano andati quando aveva provato ad attingere al loro potere?

Venne colta da un senso di vertigine e dovette appoggiarsi alla parete per non svenire. Fissò il pavimento finché la griglia delle piastrelle non tornò a essere una sola, ferma.

Avrebbe parlato con Kimiya, forse lei poteva aiutarla. Sempre se l'avesse trovata.

Si raddrizzò e, senza staccare la mano, percorse il perimetro della stanza per vedere se ci fossero altri corridoi. Non voleva tralasciare nulla se voleva avere la certezza di trovare la sua amica. Sicuramente, appena si era svegliata, era corsa a nascondersi nel posto più buio e lontano della casa.

Il portone si aprì che non aveva ancora finito il suo giro. Nemeria si immobilizzò come un topo davanti al gatto quando vide un uomo attorniato da una ventina di servi avanzare all'interno. Era alto, svettava al di sopra di tutti gli altri di almeno una testa, i capelli brizzolati rasati ai lati e tenuti fermi con un legaccio di cuoio sulla spalla. L'aveva notata subito, Nemeria se n'era accorta dallo sguardo attento e curioso che le aveva lanciato, ma non si era avvicinato. Si era rivolto all'uomo alla sua sinistra e gli aveva fatto un cenno con la testa, abbracciando con un gesto della mano i servi che portavano ceste cariche di frutta, verdure, pane e cereali.

- Sì, mio signore. -

- Bene, muovetevi. -

Aveva una voce baritonale che risuonava chiara e forte nell'immobilità del silenzio. Il servo piegò la testa in un cenno di assenso e scattò, seguito dagli altri. Passarono accanto a Nemeria scoccandole appena un'occhiata, prima di svanire al di là della tenda. I loro passi animarono la casa e si dispersero nelle camere e nei corridoi.

- Finalmente ti sei svegliata. - disse l'uomo rimasto, non appena le fu vicino, - Noto anche che hai trovato da mangiare. Molto bene, significa che stai riprendendo le forze. -

Non era stata una sua impressione, era davvero molto alto. Indossava una tunica corta blu dalle maniche lunghe e dei calzoni morbidi infilati in stivali di pelle di montone. Da sotto le sopracciglia folte, sollevate in un cipiglio divertito, la fissavano delle iridi argentee.

- Avrai molte domande da farmi. Seguimi, andiamo nel mio studio, ti spiegherò tutto. -

Senza attendere risposta, sparì oltre la tenda. Nemeria attese un momento, poi non vedendolo riapparire lo seguì.

All'interno la casa fremeva, di nuovo viva e popolata da uomini e donne che correvano per il corridoio, portando vassoi, piatti, vivande. L'aria trepidava del rumore di stoviglie, del profumo degli aromi cosparsi sul pesce e sulla carne messa a cuocere. I domestici la scansavano senza fermarsi, le sfrecciavano accanto o piroettavano con grazia senza che dai piatti cadesse nemmeno una goccia di sugo, un pezzetto di carota, uno spicchio di mela.

- Segui il corridoio e quando vedi la grande tenda rossa, aprila. Il padrone ti aspetta lì. Non puoi sbagliare, è la tenda più grande di tutte! - la informò un giovane servo con un accenno di barba, vedendola persa in mezzo al corridoio.

Nemeria annuì, sebbene non fosse proprio certa di aver capito. Ripercorse la strada che aveva fatto precedentemente, stando bene attenta a non urtare nessuno, anche se le sembrava che quegli uomini fossero abituati ad avere gente tra i piedi.

- Ragazzino, di là. -

Senza troppe cerimonie, una ragazza le mise le mani sulle spalle e la girò. I ricci le incorniciavano il viso paffuto, non ancora adulto, e solleticavano le spalle e il collo sottile. Nemeria non ebbe il tempo di puntualizzare di essere una femmina, figurarsi opporre resistenza mentre la serva la trascinava lungo il corridoio, svoltava a sinistra e la sospingeva verso la tenda che copriva l'interna parete. Anzi, era essa stessa la parete.

- Ricordatelo la prossima volta, al padrone non piace aspettare. - la redarguì con un sorriso bonario, - Ora va', non star qui a fissarmi come un baccalà. -

- Non devo aspettare che mi chiami? -

- Lui cosa ti ha ordinato? -

Nemeria ripeté quello che le aveva detto.

- E allora fai così. Il padrone è sempre molto chiaro: se ti dice che vuole che lo segui nel suo studio, significa che lo devi seguire nel suo studio. Semplice, no? -

A lei non sembrava così, ma decise comunque di annuire per non fare la figura della stupida. La ragazza le batté una pacca sulla spalla, ignorando l'occhiata di rimprovero di una donna più anziana che passava nel corridoio.

- Bahar, scansafatiche, non perdere tempo e vienimi a dare una mano con la cottura del maiale. -

- Arrivo, arrivo! -

Nel suo tono c'era un che di esasperato che strappò un sorriso a Nemeria.

- Me la cavo da sola, ora. - si sentì in dovere di dire.

La serva annuì. Si era già girata per andarsene quando tornò a guardarla, stavolta con maggior interesse.

- Ma i tuoi occhi... -

- Bahar, che la peste ti colga se non ti muovi adesso! -

Quell'ultima esortazione bastò per smorzare qualsiasi curiosità. La ragazza le lanciò un'ultima occhiata curiosa prima di correre via come se avesse la morte alle calcagna.

Nemeria la seguì con lo sguardo finché non sparì dietro l'angolo, poi tornò a fissare la tenda. Si sentiva come un agnello che stava per andare di sua spontanea volontà nella tana del leone, ma non aveva scelta.

"Sorella, dammi la forza."

Strinse nel pugno la pietra di luna e trasse un profondo respiro, prima di scostare la tenda.

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