Lucciole[5/6]

Correva con il barattolo stretto al petto, al fianco di una volpe di fuoco. Seguì il lucore dei tatuaggi e zigzagò tra gli alberi finché non giunse nella radura dove aveva catturato le lucciole.

L’Alta Sacerdotessa e le Anziane erano raccolte in circolo attorno a un gruppo di bambini. Guardandoli, Nemeria riconobbe anche Radames, Sasha e Guar. I suoi amici erano lì, tutti, ma non era possibile: a parte Kia, sarebbero dovuti essere più grandi.

Il capo tribù tacque e alzò lo sguardo su di lei. La vide, ma non disse nulla. Anche le altre Anziane si sarebbero dovute accorgere di lei. Le poche che guardarono nella sua direzione non dissero nulla. Si limitarono a tenere fermi i bambini, le mani posate sulle spalle come spesso facevano durante le esercitazioni con i meno dotati. Ma nei loro confronti non avevano mai avuto un atteggiamento così materno, perché erano tra i maschi migliori.

L’Alta Sacerdotessa tirò fuori un pugnale, imitata dalle Anziane. Dalla terra sbucarono delle radici, che si chiusero sui piedi e sulle braccia dei bambini. In un attimo li sgozzarono, come succedeva da generazioni.

Nemeria rivide la medesima scena prendere forma in tempi remoti, percependo il cambiamento dei paesaggi, di Anziane, di bambini morti e trasformati in polvere luminosa da un tocco dell’Alta Sacerdotessa. Cambiò anche lei e cedette lo scettro degli Spiriti a quelle che avevano guidato la tribù nelle generazioni precedenti.

Quando finalmente il tempo si fermò, Nemeria era tornata agli esordi della civiltà, in una città maestosa, dove le Jinian passeggiavano fianco a fianco con gli uomini.

La volpe la invitò a seguire una coppia che camminava a braccetto. Erano due giovani, lei con i capelli nerissimi sciolti sulle spalle, lui con le spalle larghe e la mascella volitiva. Erano entrambi umani, mortali e innamorati. Passarono tra le fontane di un guardino rigoglioso, con i gelsomini in piena fioritura, e si sedettero su una panchina di pietra a contemplare le anatre che si contendevano un pezzo di pane. La ragazza, che aveva tra le mani la metà di una pagnotta, lanciò della mollica e scoppiò a ridere quando un pavone corse lì in mezzo per accaparrarselo.

Dietro un albero, Nemeria intravide una donna che li spiava. C’era molto bianco in lei, doveva aver già affrontato le difficoltà di più di un sentiero, eppure nel suo sguardo risplendevano ancora i sentimenti. Mangiava il giovane con gli occhi, stringeva i pugni quando lui accarezzava la mano della ragazza. Lo voleva, ma non poteva perché il suo cuore apparteneva a quella mortale. Fece sbocciare un fiore ai suoi piedi, una rosa rossa senza spine, e si avvicinò fino alla panchina perché la vedesse. Lui, però, raccolse il fiore e le rivolse uno sguardo infastidito, prima di girarsi e infilarlo tra i capelli della ragazza.

- Così l’amor che tutta la infiamma, infiammò il mondo. - recitò la volpe.

La ragazza giaceva nuda nel letto, il volto pallido esangue e le vene degli occhi scoppiate. Nella bocca del suo amato, riverso a terra, erano sbocciati anemoni e fiori di campo. La Jinian li fissava impassibile, con il bastone degli Spiriti ancora in pugno. Al teschio di gatto erano rimasti attaccati pezzi d’osso e materia cerebrale. Non lo pulì nemmeno. Si affacciò al balcone e lo innalzò al cielo.

I mortali erano sotto la casa, con forche e torce. Molti chiedevano la sua testa, la testa della regicida. La Jinian osservò le sue sorelle impalate agli angoli della folla, uccise per il volere del Re Sole, Heydar. E lei le aveva lasciate morire perché si erano comportate da traditrici, perché avevano preferito l’equilibrio e asservirsi ai desideri dei mortali. Non era degna di essere la loro guida, ma poteva ancora riscattarsi.

Nemeria ebbe un brivido quando il pensiero di cosa volesse fare prese forma nella sua mente.

- Non puoi cambiarlo, Cuore di fuoco. Questo è ciò che fu. Lascia che il passato si dispieghi davanti a te. -

Li maledisse. Non erano degni di convivere con le Jinian, e queste non potevano mischiarsi con la loro genia.

Nemeria vide la folla trasformarsi in Jin e devastare tutta Kàdingirra. Non rimasero altro che macerie fumanti.

La notizia si diffuse di città in città.

“Le figlie della Madre non vogliono salvarci.”

“Loro possono curare le malattie e permettono al bestiame di morire. Non sono dee, sono mostri.”

“Aiutateci! I maghi hanno perso il controllo!”

L’ombra della guerra si allungò dietro le Jinian in fuga. Si fermarono in una pianura e l’Alta Sacerdotessa osservò i figli maschi nati dall’unione tra le sue sorelle i mortali. Se fossero cresciuti e fossero diventati forti, le avrebbero schiacciate, così come i mortali facevano con le loro donne, e come Jin avrebbero dilaniato la tribù dall’interno. Anche loro dovevano morire.

- Sorelle, portatemi i più bravi tra i vostri allievi. -

Si recarono in una grotta isolata.

- Da questo momento così è e così per sempre sarà. - sancì e prese il primo bambino.

- Non possiamo. -

- Noi possiamo tutto. -

Una volta ucciso il primo, con gli altri fu semplice. Il rumore della carne lacerata non la disturbava più.

Guardò le altre e alzò il bastone degli Spiriti, roteandolo sulla testa. Come richiamate da un turbine, centinaia di gocce luminose apparvero nel teschio del gatto. Sembravano uova di pesce. L’Alta Sacerdotessa ne prese una e la scoppiò tra le dita.

- Se nessuno si ricorderà di loro, nessuno potrà soffrire. -

Li distrusse tutti e le altre rimasero lì, mute, con le mani sporche di sangue. Erano inorridite, ma lei, l’Alta sacerdotessa, sapeva che erano dalla sua parte perché anche loro avevano perso qualcuno.

- Sopravvivranno solo i meno dotati e quando ci avranno dato una prole li manderemo via. Se resteranno, cercheranno di sopraffarci perché donne, e perché le uniche capaci di usare la magia. -

Nei suoi occhi c’era follia, ma nessuno la vide. Il dolore feriva troppo e la paura era troppo pesante.

- Così voglio, così sia. -

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