Famiglia [2/3]

- Dovresti fare quello che Hirad ti ha detto. - le suggerì Noriko in tono neutro.

Nemeria fece spallucce e appoggiò il mento sulle dita intrecciate.

- Lo so, devo solo... rimettere a posto le idee. Mi ha detto così tante cose e adesso ho una gran confusione in testa. -

- A me sembrava fossi concentrata su altro, in realtà. - la bambina si allungò verso di lei e inclinò la testa per catturare il suo sguardo, - Se non te la senti, puoi dirlo, nessuno qui ti giudicherà. A parte Hirad, quasi nessuno ha il coraggio di avventurarsi nelle catacombe. -

- Anche tu? -

Noriko sorrise debolmente. Spostò l'attenzione altrove, l'espressione malinconica che aveva un momento prima era sparita, celata dietro le sue iridi color ghiaccio. Gli occhi di Noriko avevano qualcosa che spaventava e affascinava Nemeria, un connubio di paura e calma che le provocava l'inspiegabile impulso di confessarsi e, allo stesso tempo, allontanarsi.

- Quando mi sono unita al gruppo di Dariush, anche io sono stata incaricata di seguire Hirad, ma preferisco stare all'aria aperta. -

Nemeria incassò la testa nelle spalle, poi si girò a guardare verso l'entrata. L'immagine di Dariush che stringeva i piccoli seni di Altea, della sua mano che le premeva contro le scapole per tenerla ferma, le fece ribollire il sangue e rivoltare lo stomaco.

- Dariush è davvero il vostro capo? - chiese in un ringhio, strinse i pugni e inspirò profondamente, obbligandosi a mantenere il controllo.

Noriko rimase qualche istante a fissarla con la stessa calma con cui si contempla un paesaggio.

- Tutti lo reputano tale, quindi lui pensa di esserlo. - rispose, allungando le gambe fin a sfiorare i ceppi anneriti.

- Nonostante faccia del male ad Altea? -

La bambina non rispose.

Nemeria scosse il capo schifata. La rabbia le graffiava lo sterno come una bestia feroce e il sangue affluiva rovente alle mani. Sentiva il potere del fuoco spingere per uscire, un bisogno urgente che si confondeva con un altro, più doloroso e devastante, che però cercava di ignorare.

- C'è un detto dalle mie parti che recita "Siediti sulla sponda del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico". - mormorò Noriko con voce piatta, - È solo questione di tempo, Dariush avrà quel che si merita. -

"Mentre aspetti il cadavere, però, il nemico ucciderà ancora."

Nemeria serrò le palpebre e si sforzò di togliersi quelle immagini orrende dalla testa, che si affastellavano mescolandosi ad altre relative al passato: Dariush sul corpo di Altea, il sangue che sgorgava dalla gola di Hediye, lo sguardo tagliente dello Sha'ir, le lame arrossate alla luce abbacinante del sole. Si portò le mani alle tempie e si obbligò a respirare, come se l'aria potesse abbassare la pressione che le schiacciava la gola.

- Guardami. - le ordinò Noriko.

Nemeria obbedì e alzò la testa in un movimento lento, quasi sofferto. Osservò il corpo sottile della bambina, la sagoma snella che la giacca lasciava trasparire, le spalle rilassate sotto la canapa e le dita aggrappate al proprio braccio per trattenerla dal compiere azioni impulsive. La pietra di luna divenne più tiepida e Nemeria avvertì il fuoco che le bruciava dentro affievolirsi, come se qualcuno vi avesse gettato sopra dell'acqua. Solo allora si rese conto di stare tremando, che non era solo la rabbia a scuoterla.

- Devi rimanere sulla tua sponda del fiume e attendere. - le ripeté pacata Noriko, lo sguardo sempre fisso su di lei, - E se nel buio vedi qualcosa, ricordati dove sei e non avere paura. Non serve, non qui. -

A quelle parole, Nemeria sussultò. Provò a divincolarsi, ma era come paralizzata, incatenata a quello sguardo che, solo adesso se ne rendeva conto, era fin troppo maturo per appartenere a una fanciulla così giovane.

- Come fai a sapere...? -

- Sono una brava osservatrice. - rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia.

Poi si alzò e le diede le spalle, allontanandosi. Nemeria rimase a osservarla mentre camminava, il cervello pieno di domande e una pressante angoscia che le premeva sul petto. Il dubbio di quante cose Noriko potesse sapere le si insinuò tra le costole e le stritolò i polmoni, strappandole via la poca aria che contenevano. Se non fosse stata seduta, ne era certa, le ginocchia le avrebbero ceduto.

Non si accorse della presenza di Hirad finché il ragazzo non la scosse e non le mise in mano una mappa e uno zaino. Dalla sua espressione soddisfatta, Nemeria capì che non vedeva l'ora di uscire.

- Che faccia preoccupata, diamine! Te l'ho già detto prima, non ci perderemo. - la rincuorò, sfoderando un sorriso smagliante, mentre la trascinava verso l'uscita.

Nemeria lo lasciò fare senza opporre resistenza. Scivolò fuori dal passaggio segreto con un po' di fatica e si lasciò guidare da Hirad, che, tutto contento di avere compagnia, continuava a parlare.

Girarono per le gallerie conosciute per buona parte della mattina, fermandosi solo per bere o per mangiare. Come Nemeria aveva immaginato, le catacombe erano cupe e spaventose anche alla luce del sole, un labirinto di pietra nel quale si sarebbe facilmente persa senza una guida. Di tanto in tanto, un ragno o un ratto sgattaiolava fuori da qualche angolo buio, per poi sparire di nuovo, ma a differenza del giorno precedente, Nemeria non vi badò.

Mentre Hirad cercava di spiegarle come orientarsi, la sua mente vagava e si perdeva in pensieri sempre più tetri, abitati da occhi e da mani pronte a ghermirla. Le sembrava di camminare in un sogno, uno dei tanti che faceva quando viaggiavano attraverso il deserto, e per un istante riuscì a convincersi che quello che stava vivendo era tutta un'illusione, uno scherzo causato dal caldo. Poi però il vento le portava alle orecchie la parlata stretta e dura dei cittadini di Kalaspirit e la realtà tornava a gravarle addosso come un macigno.

Alla fine della giornata, quando Hirad, ormai stanco e avvilito dalla poca partecipazione della sua compagna, la ricondusse alla base, Nemeria non cenò nemmeno. Si infilò nella tenda e tirò su le coperte fin sopra la testa.

Nelle due settimane che seguirono, Nemeria dovette imparare molte cose. Stare con i ragazzi del campo, far parte della "famiglia", non era facile come aveva pensato. E, in generale, non lo era vivere a Kalaspirit. Il mito della città benevola e ospitale era solo una maschera per i viaggiatori meno esperti o quelli che non si soffermavano abbastanza tempo per scoprirne il vero volto, freddo, ostile, talvolta anche razzista. Gli occhi di Nemeria e Noriko, la carnagione chiara dei gemelli e le orecchie lunghe di Altea e Dariush erano dettagli più che sufficienti per causare una certa diffidenza, che unita ai loro abiti sdruciti e alla puzza che si portavano dietro si trasformava rapidamente in odio. Era per questo che per la maggior parte del tempo si muovevano sottoterra, attraverso quel labirinto di gallerie e tunnel che sembrava arrivare ovunque in città.

Nonostante sapesse quanto fosse necessario conoscerli, Nemeria aveva difficoltà a ricordarseli. Quando usciva con Hirad e questi le indicava i segni distintivi di ognuno, li dimenticava quasi subito e, per quanto si sforzasse di trattenere quelle informazioni, il giorno successivo qualsiasi conoscenza avesse acquisito sull'argomento era svanita.

Altea e Hami la rimproveravano, mentre Mehrdad e Malakeh, quelle poche volte che non erano fuori assieme alla Sha'ir, a Chalipa e Kimiya, si lanciavano un'occhiata d'intesa, sussurrandosi qualcosa all'orecchio che li faceva ridere. Più di una volta Nemeria ebbe la tentazione di affrontarli e chieder loro cosa ci fosse di tanto divertente, ma poi la pietra di luna diventava calda e la sua irritazione scemava abbastanza da farle riporre l'ascia di guerra.

Noriko, invece, non le parlava più, sembrava aver perso completamente interesse nei suoi confronti. Se da una parte questo la tranquillizzava, dall'altra le dispiaceva, anche se non riusciva a capirne il motivo.

L'unico con cui le piaceva passare il tempo era Hirad. Lui scherzava e minimizzava la sua sbadataggine con una risata o il racconto di un aneddoto su quando era finito in un nido di ragni o era inciampato nel femore di qualche vecchio scheletro. Non sembrava più scoraggiato dal suo silenzio, anzi, più Nemeria taceva più lui sembrava impegnarsi, tirando fuori i racconti e le curiosità più strane. Sapeva davvero molte cose, sia sulle catacombe che sulla città stessa, e amava parlarne, anche se difficilmente riusciva ad arrivare fino in fondo al suo discorso senza divagare. Col passare dei giorni, Nemeria cominciò ad apprezzare la sua compagnia e il suo continuo sproloquiare. Qualche volta addirittura le venne voglia di conversare e seguirlo nei suoi voli pindarici, sebbene lei fosse la prima a perdersi. In un certo qual modo, tutte quelle nozioni riuscivano parzialmente a occupare la sua mente, la tenevano ancorata alla realtà e allo stesso tempo la distraevano dai suoi demoni personali che, però, venivano a trovarla ogni volta che chiudeva gli occhi.

Svegliarsi al mattino era sempre un sollievo: l'incubo era finito ed era obbligata a pensare ad altro, anche se la rabbia, la paura e l'angoscia erano i suoi inseparabili compagni. La seguivano ovunque andasse, si annidavano in un angolo remoto della sua mente e sbucavano fuori alla prima occasione. Le bastava incrociare lo sguardo tagliente di Dariush, scorgere uno strano movimento nel buio o udire una voce simile a quella di Etheram o Hediye perché questi l'assalissero con i loro suoni, le loro immagini, le loro sensazioni. In quei momenti, Nemeria si sentiva sopraffatta e il bisogno di parlare con qualcuno di quello che ne era stato della sua gente e di quello che accadeva ad Altea diventava quasi insopportabile.

Aveva provato a richiamare l'elementale, ma ogni volta che ci provava la paura di essere scoperta le strisciava dentro le ossa e la frenava. Gli unici momenti in cui le sembrava di tornare a respirare era quando usciva con Hirad.

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