Capitolo 3

Camminavo al fianco di Corinne, chiedendomi quanto ci avrebbe messo a pormi la fatidica domanda. Sapevo che prima o poi mi avrebbe domandato che cosa stesse succedendo tra me e Luke e io non avevo alcuna intenzione di rispondere. Non con la sincera verità almeno. Da quando Luke mi aveva tirato quello schiaffo, non solo la tensione era così densa da diventare opprimente, ma Michael aveva cominciato a studiare ogni millimetro del mio corpo per captare un qualsiasi segnale che mio fratello avesse perduto del tutto la ragione.

-Posso sapere perché tuo fratello mi ha quasi sbranata quando gli ho chiesto cosa avesse?- Simulò un tono di indifferenza, ma non ero così certa che fosse tanto disinteressata quanto voleva far credere.

-Non gli piace che la gente gli faccia notare che il mondo gira attorno al Sole e non a lui- Spostai per la centesima volta i capelli dal mio viso, ma sembravano intenzionati a rimanere davanti ai miei occhi. Ottimo.

-Dimmi qualcosa che non so. Era furioso e si vedeva anche ad occhi chiusi- Scrollai le spalle. Non c'era molto di più da sapere sul mio celebre fratello. Si comportava male, glielo facevo notare, si incazzava come una bestia, si sfogava sul resto dell'umanità. E ricominciava da capo.

-Perché non parli direttamente con lui?- Il mio tono fu più scontroso di quanto avessi pianificato.

-Parliamo allora del perché sembra che Michael sia un adepto di Satana ai suoi occhi?- Eccoci qui, di nuovo a parlare di qualcosa che riguardava Luke. Avevo la sensazione che la cotta che la mia vicina di banco aveva per mio fratello fosse direttamente proporzionale alla mia voglia di sparire dalla faccia della Terra ogni qual volta Luke avesse un momento no.

-Cosa vuoi che ne sappia, sono io quella che gli deve sempre spiegazioni. Non il contrario- Sbuffai e guardai Michael Clifford. Se ne stava seduto in un angolo con il cellulare in mano, probabilmente giocando a qualche video gioco di bassa categoria che andava di moda in quel momento. Sembrava concentratissimo. Poi alzò lo sguardo su di me e abbozzò un sorriso. Infilò il telefono nella tasca della felpa over size che indossava e fece qualche passo nella mia direzione, ma prima che potesse rivolgermi la parola venni trascinata via da Corinne. La guardai come se fosse impazzita.

-Sono sicura che c'entra lui nel litigio che hai avuto con tuo fratello e tu cosa fai? Continui a cercarlo?- Aveva alzato leggermente la voce e la cosa non mi piaceva affatto. Punto primo, perché lei non era nessuno per dirmi che cosa fare e con chi. Punto secondo, non ero io a cercare Michael. Era lui a trovarmi in ogni situazione.

-Stai zitta, Co. Non sai niente, non comportarti anche tu da maestrina del cazzo! Non sai che cosa ci siamo detti io e Luke, non sai come mi sono sentita. E non cercare di addossare la colpa a Michael, perché lui non c'entra niente.- Sbottai. -E fammi un favore, taci- Mi allontanai in fretta da lei. Per l'ennesima volta sembrava che Michael fosse la causa di ogni male e più cercavano di farmi credere che fosse una persona da evitare come la peste, più quel vago alone di mistero che circondava la sua identità di intrigava. Ero attratta da lui come una calamita. Come una bambina alla quale era stato detto di non toccare qualcosa e non vedeva l'ora di farlo per sapere che sensazioni avrebbe provato.

*

Ci vollero tre giorni di completo silenzio perché Luke decidesse di venirmi a cercare. Fu solo grazie alla musica di Ed Sheeran se non gli lanciai contro il comodino per aver osato entrare in camera mia senza bussare. Gli diedi le spalle decisa più che mai a ignorarlo. Fu questione di una manciata di secondi prima che mi togliesse una cuffietta.

-Ho bussato, ma non rispondevi- Strabuzzai gli occhi e mi misi seduta, raccogliendo cautamente le cuffie mentre lo guardavo sconvolta.

-Luke Robert Hemmings che bussa? Che onore!- Commentai ironicamente. Luke non parve lasciarsi scalfire dalla mia acidità.

-Dobbiamo parlare- Continuò imperterrito, ignorando completamente che forse, e dico forse, la sottoscritta non era intenzionata ad ascoltarlo.

-Non ho niente da dirti. Puoi uscire da dove sei entrato-

-Non mi piace quello che ho fatto. Non avrei dovuto darti quello schiaffo, ho sbagliato- Allora Dio esisteva davvero e quello era un miracolo di Natale. Be', proprio Natale no, visto che era passato da mesi.

-Cosa dovrei dirti?-

-Nulla. Ho sbagliato ma... tu sei così testarda e io davvero avrei evitato se tu mi avessi dato ascolto- Si mise a sedere al fondo del letto.

-Io ti ho sempre e dico sempre dato retta e guardami! Le mie coetanee staranno facendo shopping o si staranno chiedendo quale smalto si abbini meglio al vestito che metteranno al prossimo party a cui parteciperanno, mentre io sono qui da sola con una testa di cazzo che non mi lascia neanche ascoltare la mia musica. Credi che sia bello? Nessuno e ci tengo a sottolineare nessuno si osa avvicinarmi perché ci sei sempre di mezzo tu e il tuo stupido mezzo regno del terrore. Con che coraggio ti offendi?- Avrei voluto urlare, ma sapevo che avrei spezzato il cuore di nostra madre. Per lei, che era cresciuta senza fratelli, era importante che i suoi pargoli andassero d'accordo.

-Ti ringrazio per il complimento. E comunque ci sono dei motivi se mi comporto così- Motivi. C'erano sempre delle scusanti, delle cose che la sottoscritta non poteva sapere, ma che a detta di Luke erano fondamentali perché l'esistenza umana vivesse indisturbata.

-Perché odi Michael?- Chiesi, cercando di prenderlo in contro piede. Lo fissai dritto negli occhi con quel coraggio che avevo raccolto a fatica.

-Non voglio litigare con te. Però sappi che non mi piace. E, per la cronaca, sono sicuro che te la caveresti benissimo anche da sola. Solo che non posso lasciarti andare-

-Non mi hai risposto- Gli feci notare incrociando le braccia al petto. Non mi sarei lasciata sviare così facilmente. Esigevo delle risposte, una volta per tutte.

-Non posso spiegartelo ora, lo farò quando verrà il momento. Te lo giuro- Si alzò e si avvicinò a me.

-Quando verrà il momento?- Lo guardai dal basso e mi sentii minuscola, semi nascosta dalla figura imponente di Luke. Mi sentii pure parecchio delusa dalla sua costanza nel trattarmi come se non fossi in grado di capire. Come se avesse dovuto parlarmi di come funziona una centrale nucleare.

-Purtroppo temo presto. E non sai quanto mi spaventa- Odiavo sempre di più quelle risposte a metà e la sua capacità di trovare una via d'uscita per le domande scomode. E la porta che scelse quella volta mi lasciò di stucco. Mi abbracciò. Uno di quegli abbracci pieni di affetto e calore, uno di quegli abbracci che Luke non avrebbe dato se non in casi estremi. Era allergico alle dimostrazioni d'affetto, freddo come il marmo, eppure mi stringeva tra le braccia. Era un gesto impacciato, ma lo ricambiai.

-Mi perdoni?- Mi guardò negli occhi e fui certa che i suoi fossero colmi di tormento. Aveva tolto la maschera, si era svestito del suo solito atteggiamento spavaldo e se ne stava lì, in attesa di un mio assenso, fragile come un castello di carte. Lo avevo sempre saputo, non era mai riuscito a ingannarmi del tutto, ma mi fece male. Vedere mio fratello stare così mi fece male.

-Solo se ti ricordi che io valgo quanto te e mi merito rispetto. Mi devi rispettare, hai capito?-

-Certo. Certo che ti rispetto. E anzi... tu vali più di me, ma non te ne rendi conto- Forse quello che non se ne rendeva conto era lui, perché se davvero valevo così tanto avrebbe dovuto mostrarmi più rispetto fin da subito. Mia madre bussò prima di affacciarsi in camera mia. Le rivolgemmo la nostra attenzione e ci sorrise, ma si vedeva lontano un miglio che qualcosa non andava. Richiamò Luke e dentro di me la curiosità ruggì forte, ma sapevo che se avessi chiesto anche la minima informazione avrei ricevuto la solita sterile risposta: a tempo debito.

Dopo un'ora passata davanti allo schermo della mia televisione guardando un film fui costretta ad alzarmi. Mi si erano intorpidite le gambe e rischiai di cadere quando tentai di azzardare qualche passo verso la porta. Mi stiracchiai cercando di risvegliare i miei muscoli, per poi dirigermi verso la cucina alla ricerca di una bottiglietta d'acqua. Prima di entrarvi mi fermai per qualche secondo davanti alla foto di famiglia e mio padre mi sorrise da dietro il vetro lucido della cornice. Chissà quanto ancora sarebbe rimasto lontano da noi. Mamma aveva lasciato la radio accesa e giusto per completare quel quadro deprimente in cui mi ero appena infilata trasmisero Angels. Sospirai mentre afferravo un bicchiere dalla credenza e lo riempii fin quasi a farlo traboccare. Mia madre entrò in cucina e mi sembrò improvvisamente invecchiata di vent'anni. Il suo viso era contratto in una smorfia di preoccupazione e non sembrò accorgersi di me finché non le rivolsi la parola.

-Mamma? Tutto okay?-

-Nulla, va tutto bene. Ho appena sentito di un brutto incidente, è sopravvissuta solo la madre e non oso immaginare come possa vivere d'ora in poi- Era una bugia, lo si vedeva dal modo in cui si torturava le mani. Faceva la stessa cosa quando da piccoli ci diceva che la torta al cioccolato era finita perché mentre eravamo a scuola le sue amiche se l'erano sbafata tutta. Mi resi conto solo in quel momento di quanti segreti ci fossero nella mia famiglia e mi sentii improvvisamente fuori luogo. Io ero estranea a tutte quelle menzogne, non conoscevo affatto quei misteri di cui eravamo circondati. La abbracciai brevemente, per poi andare verso la stanza insonorizzata senza rendermene realmente conto. La mia testa era piena di interrogativi ai quali non avrei saputo dare risposta e mi sentivo stordita da quella consapevolezza. Luke se ne stava lì seduto, con la sua chitarra in braccio e le dita che pizzicavano le corde con dolcezza e sapienza. Lo guardai bene e su quelle spalle larghe sembrava gravare tutto il peso della casa in cui abitavamo. Quando papà era partito per lavoro lui si era sentito in dovere di essere il mio punto di riferimento, la mia roccia. Le cose gli erano un po' sfuggite di mano, ma le sue intenzioni erano state buone. Aveva voluto spianarmi una strada sicura sulla quale camminare. E la sua vita sociale già ridottissima era scemata fino a sparire totalmente. Fui grata che non si fosse accorto di me, sembrava così sereno con lo strumento tra le mani e le note di I miss you dei Blink-182 di sottofondo. Sereno e fragile. In fondo a quella corazza, dietro tutte le sue rispostacce e la sua attitudine sfrontata c'era un ragazzo pronto a crollare in mille pezzi. Era un cliché, ma si trattava di mio fratello e avrei voluto che sapesse che io ero lì per lui. Che, come lui c'era per me quando mi sbriciolavo, io ci sarei sata quando a crollare sarebbe stato lui. Mi sedetti al suo fianco sul divano sgangherato e lui smise di suonare. Gli sorrisi appena e gli accarezzai la guancia.

-Ti manca tanto, eh?- non c'era bisogno che specificassi. Lo sapeva lui e lo sapevo io, a chi mi stavo riferendo.

-Non è mica morto. Sta solo lavorando lontano- Tornò alla sua chitarra, cercando di richiudersi nel suo guscio, nella sua comfort zone.

-Non deve necessariamente essere morto per sentirne la mancanza. Smettila di scappare Luke, io sono qui con te. Lo vedo e lo so come stai-

Sì, mi manca. Da morire. Ma non posso permettermi queste fesserie. Devo essere forte perché tu e la mamma avete bisogno di me-

-E tu? Tu non hai bisogno di noi?- lo avevo messo in difficoltà. Mi guardò smarrito e provai l'istinto di accoglierlo tra le mie braccia come si fa con i bambini piccoli e cullarlo.

-Non conta ciò di cui ho bisogno io. Venite prima voi, siete sempre venute prima voi- La sua risposta mi fece quasi ridere. Era così convinto di dover essere il martire della situazione che non si rendeva conto di quanto pericoloso fosse cercare di proteggere qualcuno quando si è già in ginocchio.

-Luke... non puoi sempre fare tutto da solo. Noi ci siamo per te, io ci sono- gli scostai i capelli dalla fronte e mi ricordò quando eravamo piccoli e Luke si prestava a farmi da cliente quando giocavamo alla parrucchiera. -Non puoi caricarti tutto il peso sulle spalle. Se hai bisogno di una parola di conforto, di sfogarti, di qualsiasi cosa io ci sono. Come tu ci sei per me. Devi fidarti di me. Nessuno si salva da solo e non puoi salvare gli altri se sei a pezzi.- Sospirò e poggiò la testa sulla mia. Era il massimo che potessi aspettarmi da lui. Era riluttante ad ammettere le proprie debolezze e sapevo che non avrebbe mai acconsentito a mostrarsi in difficoltà.

Dopo un po' mi alzai e lasciai la stanza, per poi dirigermi in bagno. Prima ancora che toccassi il rubinetto l'acqua cominciò a scorrere. Mi sfregai gli occhi, pensando di essermela immaginata, e quando li riaprii non c'era altro che un debole gocciolio. Che sciocca. Avevo scambiato un lavandino mal funzionante con una cascata.

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Eccomi qui con il terzo capitolo. Spero vi piaccia :)

Onyxandopal Xx

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