Capitolo 13

In quel posto il tempo sembrava scorrere in modo diverso, come se i secondi fossero dilatati e poi, subito dopo, ristretti come un maglioncino lavato alla temperatura sbagliata. Era impossibile capire se fosse giorno o notte, lunedì o venerdì. Non potevo neppure appellarmi al mio orologio biologico, poiché lo avevo sempre avuto un po' sballato.

Per l'ennesima volta da quando mi trovavo lì, una delle tante guardie mi prelevò dalla mia cella per condurmi nella sala in cui mi attendeva il trio dell'incubo, come li avevo soprannominati. Avevo dovuto indossare dal primo istante un braccialetto che inebetisse i miei poteri e che, nonostante i miei innumerevoli tentativi, non ero riuscita a togliere. Ricambiai il loro sguardo, mentre attendevano che io reagissi, che provassi a usare i miei poteri.

-Se tu ci aiutassi libereremmo te e quel branco di inutili dominatori ancora vivi- Iniziò Lilith, con tanto di quel disprezzo nella voce che avrebbe potuto bastare per le tredici generazioni a venire. Sempre ammesso che ce ne sarebbero state.

-Sono piuttosto sicura di non voler assistere alla distruzione del genere umano- La guardai negli occhi come facevo sempre. Non mi sarei lasciata intimidire da lei, non le avrei lasciato il potere di piegarmi a suo piacimento. Lei, in tutta risposta, rise.

-Sì, forza. Scatena i tuoi poteri e facci vedere chi sei- Mi derise e cercai di domare la rabbia che stava montando nel mio petto, anche se stava prendendo il sopravvento sul resto sempre più spesso.

Ingoiai ancora una volta il boccone amaro e tenni la testa alta sfidandola. Come da copione, uno dei suoi fratelli mi stordì e mi risvegliai alcune ore dopo -o così presumevo- nella stanza delle torture. A una delle estremità si trovava lo stesso ragazzo che mi aveva messa K.O. e ghignò soddisfatto quando si accorse che ero sveglia. Ogni volta che lo guardavo mi ripetevo quanto fosse un peccato che tanta bellezza e tanto fascino fossero toccati a un elemento del genere.

-Sai, tu e il tuo amico, Clifford, ci state dando parecchio fastidio. Lui perché abbiamo bisogno di fondere due elementi per abbatterlo e tu perché sei un osso duro. C'è da farvi un applauso per la vostra soglia del dolore, è parecchio più alta rispetto alla media- Mi stava prendendo in giro. Schioccò le dita e una specie di lanciafiamme si posizionò davanti a me, dopo essere spuntata da una botola nel pavimento.

-Farà un po' male- Mi avvertì, come se non lo avessi saputo.

Avevo perso il conto di quante volte le fiamme avevano lambito il mio corpo consumandomi nell'animo. Era umiliante e doloroso e non aveva altro scopo che il sadico divertimento della Trinità dell'Incubo. Era un male che ti entrava nelle ossa e ti faceva desiderare di morire, bruciava la pelle, i polmoni, il fumo si mescolava al mio sangue e avrei soltanto voluto non svegliarmi più. Strinsi gli occhi e afferrai il labbro tra i denti per non dargli la soddisfazione di sentirmi urlare, oltre a quella di vedermi in ginocchio. Il sapore rugginoso del sangue si diffuse nella mia bocca e provai l'impulso di sputare, appena prima che un conato di vomito si facesse vivo alla bocca del mio stomaco. Lasciai cadere in avanti la testa e con essa le ciocche sfuggite dalla coda, mentre dentro di me pregavo soltanto che fosse tutto rapido.

Quando tornai nella mia gabbia mi abbandonai sul letto e tenni le mani strette intorno ai polsi. Le catene con le quali mi bloccavano erano sempre fin troppo strette e mi ritrovavo a sanguinare, con i polsi escoriati dal materiale che usavano per impedirmi di usare i miei poteri. Come ogni volta, ebbi la sensazione che insieme al mio carnefice ci fosse qualcun altro nella stanza, ma che al contrario di lui fosse contrario a tutta quella scenata e che osservasse impotente.

I giorni scorrevano lenti e monotoni. Al mattino venivo svegliata dalla sorella di Irwin, che portava con sé la colazione e un cambio pulito di vestiti. Poi qualcuno cercava di convincermi a collaborare fino all'ora di pranzo, sperando che sfinendomi avrei accettato, ma la mia mente era ancora abbastanza forte da imporsi sulla stanchezza emotiva e fisica che provavo. E ogni volta che dicevo no venivo portata nella stanza delle torture, sottoposta alla crudeltà senza fine degli Oscuri.

Qualche volta capitava che Veronika si fermasse a parlare con me, anche se io tenevo le distanze. Non le raccontavo mai nulla di me, anche quando lei sembrava essere sincera nei miei confronti. Era difficile fidarsi di qualcuno che viveva lì dentro per scelta e che ogni mattina mi consegnava un vassoio colmo di cibo preparato da chi mi teneva prigioniera.

-Che ti succede, Kresley- Mi domandò sedendosi ai piedi del mio letto.

-Mi piacerebbe parlare con Michael- Confessai e me ne pentii subito dopo. Mi ero stupidamente esposta.

-Potrei provare a chiedere... credo che giocandomi la carta della collaborazione potrebbero acconsentire. Sai, se li convinco che queste piccole concessioni vi porteranno ad accettare le loro condizioni-

Scossi la testa, ero davvero dubbiosa. Non credevo che raccontare loro la favoletta del ''saranno più buoni se li fate incontrare'' sarebbe servito a qualcosa, non erano certo stupidi. Tuttavia una parte di me volle sperarci sul serio.

-Sarebbe magnifico. Grazie, Veronika- Mi sorrise e abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia. Doveva -o voleva- farmi una domanda scomoda e non sapeva come iniziare. Le diedi un buffetto sulla spalla incitandola a parlare.

-Tu lo ami?- Mi domandò guardandomi dritta negli occhi e scoppiai a ridere. Come poteva pensare una cosa del genere? Era un'assurdità, enorme per giunta.

-No, per niente. Gli voglio bene, credo, ma penso sia normale visto quanto abbiamo condiviso. Mi ha insegnato tutto quello che so e vorrei sapere se sta bene. Tutto qui-

-Dovete assolutamente incontrarvi. Credo che vi tengano lontani perché avete il potere di distruggerli. E io voglio che succeda- L'ultima parola le uscì strozzata, come se si fosse pentita di averla pronunciata. Mi chiesi per quale ragione una come lei, al servizio degli Oscuri, potesse desiderare di vederli soccombere.

-Io e mio fratello, così come altri qui, non siamo né Oscuri né dominatori. Semplicemente i nostri genitori hanno appoggiato la causa al loro tempo e noi siamo stati costretti a farne parte- Un velo di tristezza le coprì gli occhi mentre parlava dei genitori. Mi trattenni a stento dal sottolineare che Ashton mi sembrava parecchio partecipe alla causa.

-So a cosa stai pensando, Kresley. Ma ti assicuro che il vero Ashton non è il mostro che hai visto. Lui... lui non farebbe del male a una mosca, credimi- Si alzò con fare nervoso e capii quanto lei fosse una vittima della situazione, forse quasi quanto me. -Devo andare, ho già parlato troppo- Prima che potessi fermarla se ne andò e con lei la flebile speranza di rivedere Michael.

Avrei tanto voluto chiederle se Luke fosse stato catturato, ma avevo paura che se lo avessi domandato le cose per lui si sarebbero complicate moltissimo. Forse non era importante per la causa e lo avrebbero lasciato in pace, ma se io glielo avessi nominato probabilmente avrebbero pensato che con lui nelle loro mani io sarei divenuta più docile. E c'erano ottime probabilità che un incontro tra me e Michael avvenisse solo per quel motivo. Sbuffai, ero stufa di dover fare mille congetture per cercare di comprendere la logica che si nascondeva dietro le azioni degli Oscuri.

I miei pensieri vennero interrotti dalle urla di dolore di un Dominatore, l'ennesimo della giornata e della lista delle vittime. Aveva davvero senso continuare con quell'abominio? Dopotutto avevano ciò che cercavano: gli Alpha; perché continuare a fare del male a tutti gli altri? L'unica risposta che ero in grado di darmi era che alla base del comportamento della Trinità dell'Incubo c'era il solo gusto per il dolore altrui. Godevano nel loro sadismo e non avrei mai immaginato di assistere a una crudeltà simile, tant'è che faticavo a credere ai miei occhi ogni giorno di più.

Una fitta di dolore mi prese all'altezza dello stomaco e mi accasciai a terra senza fiato. Premetti una mano sul punto colpito e annaspai in cerca di sollievo, ma respirare sembrava peggiorare soltanto le cose. Intorno a me era tutto schifosamente bianco: dalle pareti alle lenzuola, al battiscopa. E se non era bianco, era un colore comunque freddo e agghiacciante. Attendere che quella sofferenza finisse fu come una lenta agonia, nonostante fossero passati solo pochi minuti, o almeno così supposi. Mi tirai su a sedere a fatica e mi scostai i capelli dal viso, cercando di capire che cosa mi fosse appena accaduto. Non era mai successo prima che dopo una tortura i dolori arrivassero il giorno dopo.

Raccolte le forze che mi restavano raggiunsi l'armadio e quando lo aprii, come al solito, mi si accapponò la pelle. Eravamo vestite tutte allo stesso modo, una divisa informe viola prugna di un tessuto che tendeva a pizzicare la pelle come foglie di ortica. Era difficile starci dentro, soprattutto quando il fastidio diventava così forte da spingerti a scorticarti la pelle. Per non pensarci strinsi forte i pugni e lasciai che le mie unghie affondassero nella carne delle mani.

Spesi la mia giornata a pensare a Michael e a quanto sperassi di rivederlo, almeno per assicurarmi che fosse vivo. Be', doveva esserlo. Secondo quanto mi aveva spiegato, io e lui eravamo connessi in quanto Alpha e se fosse morto lo avrei percepito, così come era possibile percepire l'uno il dolore e le forti emozioni dell'altra. Volevo con tutte le mie forze che lui avesse ragione, perché quella debole consapevolezza mi avrebbe aiutata a sopravvivere e tener duro. Avevo perso tutto, se avessi perso anche lui non sarei più riuscita a rialzarmi.

Matthew mi aveva proposto di passare del tempo in sua compagnia, in cambio di una visita da parte di Michael. Io avevo scioccamente accettato, disperata e affamata di vedere un volto amico. Mai come in quel momento avevo avuto bisogno di Michael, di una sua battuta, persino di un suo comportamento moralmente scorretto. Mi facevo ribrezzo per la semplicità con la quale mi ero venduta, per aver accettato di dare a Matthew una chance per potermi manipolare come ero sicura che avrebbe provato a fare. Certo era che non mi sarei arresa facilmente, non avrei permesso che la loro insistenza avesse la meglio sulla mia mente. C'erano in ballo troppe persone. Mi venne la pelle d'oca a pensare a che cosa sarebbero stati in grado di fare gli Oscuri se avessero ottenuto il controllo della mente di tutti i Dominatori rimasti e il potere della Terra.

Durante il pranzo, l'unico pasto che ci era concesso consumare in una sala comune, mi resi conto di quanto le altre dominatrici fossero allo stremo delle forze. Tra loro c'erano anche delle bambine e mi si spezzò il cuore. Abbassai lo sguardo sul mio piatto e ignorai la sensazione di avere tutti i loro occhi puntati addosso, non ero capace di reggerne neanche un paio. Sembravano tutte così perse e tristi e io avrei dovuto salvarle, essere la risposta alle loro richieste di aiuto, ma non riuscivo neppure ad addormentarmi senza dover ricacciare indietro le lacrime. In più, alla sensazione di totale sconforto e inutilità, si unì il sospetto che la Trinità da me volesse soltanto un favore e che l'incontro con Michael fosse una trappola. Alzai gli occhi su Veronika e la domanda che mi stava ponendo con lo sguardo era chiara almeno quanto la mia risposta. Ero sicura di non amare Michael.

La gentile concessione da parte di Lilith sapeva di fregatura, ero certa che avrebbero provato a plasmarei miei pensieri a loro favore e sarebbe stato anche abbastanza semplice, considerando che lo scudo mentale di cui disponevo era indebolito da tutte quelle pareti a base di essenza purissima del Fuoco. Feci appello a tutta la mia volontà, chiedendole di non abbandonarmi mai.

Mentre attendevo l'incontro con Michael mi arresi alla disperazione e mi domandai da quanto tempo fossi lì. Settimane, mesi? Avevo provato a tener conto dei giorni basandomi sul sonno, ma ne avevo perso il conto poco tempo dopo. Pensai anche a dove potesse essere Luke, se stesse bene, se fosse tornato a casa. No, non era così sciocco, anche se una parte di me avrebbe voluto che la mamma rivedesse almeno lui. La certezza che ne sarei uscita viva andava affievolendosi, schiacciata dal peso delle responsabilità che portavo sulle mie spalle e da una guerra che non avevo scelto di combattere. I miei pensieri si aggrovigliavano ed era difficile restare lucida, non potevo perdere la testa, ma sembrava infinitamente più semplice lasciarsi andare.

Camminavo lungo il corridoio che mi avrebbe portata da Michael e nel frattempo meditavo sulla possibilità di contattare gli Alpha che ci avevano preceduti e chiedere il loro aiuto. Era davvero possibile farlo? Non credevo che gli spiriti esistessero, ma dopo tutto io potevo comandare a bacchetta l'acqua, perciò... perché non avrebbero dovuto esistere? Se solo avessi potuto parlarci per un paio di minuti avrei chiesto loro se valesse davvero la pena di stringere i denti e cercare di resistere o se fosse meglio arrendersi subito.

Veronika digitò un codice su un pannello e la portà si aprì con un sibilo a qualche passo da noi. Entrai nella stanza che mi era appena stata rivelata e mi guardai intorno girando su me stessa. Al centro della camera c'era un vetro e al di là di esso un'altra entrata. Notai solo successivamente le tastiere collegate al muro trasparente che divideva le due metà di quella sala.

-Tu e Michael non potrete parlare se non attraverso dei messagggi scritti e avrete circa dieci minuti. Mi dispiace, ma è tutto ciò che sono riuscita a fare- Sembrava davvero dispiaciuta e per un secondo considerai l'idea di abbracciarla.

-Non speravo neppure di rivederlo. Questo è più di quanto immaginassi-

Le sorrisi e per la prima volta pensai all'ipotesi di fidarmi davvero di lei, ma fu un pensiero fulmineo e sciocco, dettato solo dall'entusiasmo del momento. A portarlo via con sé fu proprio Veronika, che mi lasciò sola dopo quel brevissimo sorriso.

Presi un profondo respiro trepidante di attesa mista ad ansia. Non vedevo Michael da un tempo indefinito e non sapevo che cosa aspettarmi. Avevo visto su di me i cambiamenti che le torture e la reclusione avevano portato giorno per giorno, rimirandomi allo specchio, e l'effetto era stato devastante. Quale sarebbe stato l'impatto che avrebbe avuto su di me la vista del suo corpo martoriato come il mio, quando l'ultima immagine che avevo di lui era un corpo forte e sano e un'espressione disperata?

La porta dall'altra parte si aprì e vidi spuntare una chioma castana e con essa il mio sorriso. Quando realizzò che ero lì davvero, che non ero un miraggio, si illuminò e sembrò sul punto di correre per raggiungermi. I pochi passi che ci separarono mi parvero infiniti, come se quei metri scarsi tra il mio essere e il suo avessero potuto dilatarsi e diventare migliaia. Si fermò a un soffio dal vetro e si trovò costretto a indietreggiare leggermente quando il suo fiato lo appannò all'altezza del naso e della bocca.

Superata l'immensa felicità iniziale, riuscii a concentrarmi sui piccoli dettagli che lo componevano e il mio cuore precipitò in un abisso di dispiacere, mentre lo stomaco si contorceva per il disappunto. Era stanco, lo si leggeva nelle profonde occhiaie che circondavano gli occhi chiari e una volta brillanti, ora spenti e intristiti. Avrei voluto dire che non fosse provato ma era innegabile, soprattutto considerando le condizioni del ragazzo che mi avevano messo davanti. Lo stavano torturando proprio come me, il suo dolore era il mio e viceversa, i nostri muscoli dolevano come fossero stati una cosa sola e le escoriazioni sulla mia pelle erano riflesse sulla sua, come in una sorta di patto di sangue che ci legava. Essere Alpha voleva dire questo: condividere tutto, anche il dolore più profondo.

Ciao digitò con la mano tremante e potei notare quanto fosse dimagrito. Quel dettaglio mi fece pensare che fosse passato più tempo di quello che credevo.

Ciao. Come stai?

Come mi vedi. Tu? Sembri... hai una strana espressione, Fiorellino

Alzai lo sguardo dal display e inarcai un sopracciglio, per poi sorridergli e fargli la linguaccia. Dovevo sdrammatizzare per nascondere il più possibile il mio reale stato d'animo.

Sono solo stanca. E felice di vederti, anche se non si vede. Però mi ritengo offesa, sai? Avevi detto che mi avresti portato in un Resort in Costa Azzura!

Ridacchiò scuotendo la testa e in quel preciso istante avrei dato qualsiasi cosa per poterlo sentire con le mie orecchie. Era una delle cose che più mi mancavano. Udire la sua voce, poterlo toccare, avere l'occasione di essere per un solo istante ancora il Michael e la Kresley di qualche tempo prima, quelli che si prendevano in giro per i corridoi della scuola e che si sfidavano, sarebbe stato senza prezzo.

Lo so, sono un pessimo tour operator. Indugiò per un istante con il dito a mezz'aria, come indeciso se proseguire o meno. Lo incitai con un gesto della mano, impaziente di avere con lui una qualsiasi conversazione. Come mai hanno permesso che ci incontrassimo?

Ho fatto un patto con il diavolo perché accadesse Quella confessione fu come togliermi un enorme peso dal petto. Era inutile negarlo a me stessa o altri, io a lui tenevo molto e poter constatare con i miei occhi che fosse ancora vivo e abbastanza in forma da stare in piedi in quella stanza era più di quanto potessi desiderare in quel momento.

Così mi fai arrossire Si coprì leggermente il viso con la mano e mi venne da ridere. Appoggiai una mano sul vetro, le mie forze sembravano essere venute meno. O forse era solo l'emozione di rivederlo a giocarmi brutti scherzi.

Non esaltarti, Fiammiferino

Lui poggiò la propria mano in corrispondenza della mia e scoppiai a ridere.

Sembriamo Tarzan e Jane, Mike.

Io Michael, tu Kresley. Anzi, no. Tu Fiorellino.

Scossi la testa ridendo e mimai un ''idiota'' con le labbra, ignorando con prepotenza i dolori addominali e costali che ridere mi causò. Sperai che non fossero forti abbastanza perché li sentisse anche lui.

Mi piace vederti ridere. Anche se pensi che sia un idiota.

Mi mancò il fiato e il mio cuore si fermò, ricominciando a battere all'impazzata subito dopo.

Lo penso anche quando non rido

Mise il broncio, che si trasformò in un'espressione allarmata e contrariata insieme quando una lucina rossa iniziò a lampeggiare e gli schermi ci segnalarono i due minuti rimasti a nostra disposizione.

Michael fece per affrettarsi a scrivere qualcosa, ma si piegò con una mano premuta contro i reni e una fitta lancinante colpì me nello stesso punto e istante. Alzai gli occhi e incontrai i suoi, non c'era bisogno di parole. Il legame che fino a quel momento avevamo voluto negare e ironizzare, era reale. Dannatamente reale. Non era un'invenzione, una favoletta, gli Alpha sentivano davvero ciò che provavano gli altri. Con orrore presi realmente coscienza di quanto dolore dovesse aver provato ogni volta che non reagivo e mi colpivano, del senso di impotenza che doveva averlo colpito ogni volta che ero crollata a terra distrutta dal fuoco.

Il puzzle cominciò a prendere forma per poi completarsi tutto d'un pezzo. I dolori che provavo quando mi rinchiudevano nella mia cella davvero non erano solo miei, ma anche i segni della tortura che non stavo vivendo io. Michael era inorridito e mi chiese scusa, ma prima che potessi rispondergli due agenti arrivati dal nulla ci separarono.

Guardai Michael puntare i piedi e ribellarsi, dimenarsi come mai prima lo avevo visto fare, ma nonostante i suoi sforzi fu trascinato via. Allungò una mano nella mia direzione in un disperato tentativo di poterci toccare, spezzandomi il cuore.

Mi divincolai dalla presa ferrea sul mio braccio e sbuffai.

-Ce la faccio anche da sola- Sbraitai, ma quando mi lasciarono andare per poco non persi l'equilibrio. Non riuscivo a credere a quanto era appena successo, tutte quelle cose insieme mi fecero girare la testa. La mia anima era fusa con quella di Michael.

-Siete così dolci insieme. Continuo a sostenere che tu stia solo reprimendo le tue emozioni-

-Non puoi sindacare su questo, nessuno ha il diritto di farlo. So che cosa provo- Borbottai senza farci troppo caso. Avevo altro a cui pensare in quel momento e non avevo voglia di dirle che io Michael lo sopportavo a minuti alterni, nonostante avessi capito di tenere a lui non significava che io potessi volere o provare di più.

Mi sfregai le mani sulle braccia quando nel corridoio una corrente fredda mi colpì e un ricordo mi avvolse. Michael era dietro di me e mi teneva le mani in posizione di mira, mentre Luke ci guardava in cagnesco appoggiato a un albero un po' più in là. Se lo conoscevo bene, Luke si stava colpevolizzando di non essere rimasto a casa con noi quel giorno e pregai affinché il suo senso di colpa non lo divorasse come lo sconforto stava facendo con me.

Veronika bussò a una porta e Matthew aprì con il sorriso più agghiacciante della storia. Mi prese la mano e la baciò con viscida eleganza, per poi condurmi nella stanza alle sue spalle.

Non ero assolutamente pronta a ciò che mi aspettava.

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Eccomi di nuovo qui! La canzone nei media non centra nulla, ma l'ho messa (nel lontano aprile 2015) perché oggi è il compleanno di una mia amica. Auguriiiii Corinne <3 Ti voglio bene e come promesso ecco il capitolo per il tuo compleanno! Un bacio, spero che ti piaccia e che piaccia anche a voi altri lettori <3

Tanti auguri a te, tanti auguri a te. Tanti auguri a Corinne, tanti auguri a te! 

Happy birthday to you, happy birthday to you, Happy birthday to Corinne, happy birthday to you

Bon anniversaire a toi, bon anniversaire a toi, bon aniversaire a Corinne, bon anniversaire a toi.

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