Capitolo 12
Kresley
La notte, al contrario di quanto avessi sperato, non mi aveva portato né consiglio né pace. Avevo rimuginato anzi sul susseguirsi di tutti quegli avvenimenti e non riuscivo a togliermi dalla testa quelle brevi frazioni di secondo che avevano preceduto il bacio di Michael, quel bacio che aveva significato fin troppe cose assieme perché io potessi catalogarlo. Ero arrabbiata, molto arrabbiata, e delusa. Se quello era il modo in cui sperava di guadagnarsi la mia fiducia, stava sbagliando di grosso.
Il profumo di Luke arrivo alle mie narici mentre scendevo velocemente le scale. Avevamo litigato pesantemente e il nostro rapporto da qualche mese a questa parte era andato degradando sempre più, ma i suoi vestiti restavano il mio posto preferito al mondo. Era come ricevere un suo abbraccio e dovevo ammettere quanto mi mancassero le sue coccole. Il problema più grande era che lui non sopportava l'idea che mi facessi addestrare da Michael e io non tolleravo quella di starmene ferma a guardare mentre gli Oscuri, responsabili della morte o sparizione di migliaia di innocenti dominatori, se ne andavano a spasso alla ricerca della sottoscritta e di Michael.
Fu proprio lui che incontrai in cucina e dopo un'occhiata puramente casuale lo ignorai. Recuperai i biscotti dalla dispensa e il succo d'arancia dal frigo, per poi appoggiarmi al bordo del lavandino per consumare la mia colazione.
-Come fai a mangiare quella roba? C'è più burro che farina dentro- Gemette contrariato e io mi limitai a fissare il muro davanti a me. Credeva davvero di poter fare finta di niente?
-Mi stai ascoltando?- Rimasi in silenzio ancora una volta e rimisi al loro posto il bicchiere pulito e i biscotti, raccogliendo e buttando via le briciole che si erano accumulate sul piano della cucina.
-Potresti almeno degnarti di rispondere!- Sibilò mentre mi seguiva in salotto. Lo accontentai, rispondendogli con una bolla d'acqua in faccia, ero stufa della sua insistenza.
Tornai al piano superiore e uscii in terrazza, perdendomi nello splendore della città vista dall'alto. Desiderai poterla vedere dalla cima della cupola del Duomo, ma sapevo che non avrei potuto farlo. Se mi avessero trovata lì sopra avrei messo a repentaglio non solo la mia vita, ma anche quella di tutte le persone che mi avrebbero circondata.
Sospirai con lo sguardo rivolto verso Ponte Vecchio e lasciai vagare la mia mente fino in Australia. Mi mancavano la mamma e Corinne, ma mi convinsi che quella fosse la cosa più giusta da fare affinché loro fossero al sicuro.
La porta si aprì interrompendo i miei pensieri e anche senza bisogno di voltarmi sapevo che si trattava di Michael. I suoi passi leggeri si avvicinavano, così come la fragranza pungente del suo dopobarba. Il suo calore mi avvolse anche da quella distanza, facendomi desiderare ardentemente di avere la capacità di sparire. Il suo dominio gli regalava qualche grado corporeo in più e quando si arrabbiava diventavano molti più del normale, proprio come in quel monento. Se non avessi potuto percepirne la vibrazione nell'aria, la sua rabbia si sarebbe mostrata a me sottoforma di quell'afa improvvisa che mi aveva circondata.
-Smettila di ignorarmi, non lo sopporto- Gli lanciai uno sguardo carico di risentimento, poi tornai a Firenze. Era una città troppo bella perché lui me la rovinasse.
-Almeno dimmi cosa ti ho fatto!- Esplosi come il tuono che da il via alla tempesta, come una pioggia scrosciante che lava via la polvere dalle strade e allaga le buche nell'asfalto, che inonda i tombini e i fiumi fino a causare grossi danni.
-Che cosa mi hai fatto? Sul serio?- Il tono della mia voce fu così alto che avrebbero potuto sentirmi persino dagli Uffizi. -Mi hai portato in una specie di discarica abbandonata, trattata come un'idiota, oggettificata e baciata senza alcun consenso da parte mia. Se sono così scema come credi, perché non ti trovi un altro Alpha?- Sentivo la mia pelle bruciare e le mani tremare, ero sicura che i miei occhi fossero furenti e che sarei esplosa in una pioggia violenta nel giro di pochi secondi, forse un minuto.
Michael mi avvicinò a sé e prese il mio viso tra le mani, baciandomi nuovamente. Era chiaro che godesse nel farmi incazzare. Lo scaraventai dall'altra parte del terrazzo con un serpente di ghiaccio e mi pulii la bocca con la manica della camicia di Luke. Rise.
-Che cazzo hai appena fatto, eh, Clifford?- Tuonò mio fratello circondato da vortici di acqua e ghiaccio mentre si posizionava davanti a me. Colpì Michael senza dargli tempo di rendersi conto di quanto stesse succedendo. Ma fu questione di un attimo prima che i due dessero inizio a una vera e propria lotta. Ogni volta che si colpivano, la connessione fisica che avevo con entrambi faceva sì che il loro dolore si riflettesse su di me, seppur affievolito.
Qualcosa mi disse di frappormi tra Michael e Luke e venni colpita da una fiamma al ventre e una seconda sulla spalla. Mi ritrovai a terra, spalmata come una noce di burro su un toast. Un dolore lancinante mi pervase portandomi a rantolare un lamento.
-Cosa ti è saltato in mente?- Mi domandò Luke inginocchiandosi al mio fianco.
-Dovevo proteggerti- Tossicchiai e strizzai gli occhi. Non avevo idea che un'ustione potesse fare tanto male. Luke usò su di me l'Acqua curativa e alleggerì notevolmente il carico di dolore che stavo provando. Quando ebbe finito non era rimasta che una scottatura da esposizione al sole. Tuttavia era ancora dolorosa. Notai solo in quel momento la maglietta carbonizzata e la manica della camicia staccata dal resto dell'indumento.
-Sei un dominatore morto- Ringhiò con rabbia Luke alzandosi in piedi e puntando verso Michael.
-Luke, no. Lasciami... lasciami da sola con lui, per favore- Luke mi guardò come se fossi impazzita e non potei dargli torto. Michael mi aveva quasi resa una Giovanna D'Arco dei giorni nostri e, seppur senza volerlo, aveva fatto un male inimmaginabile. Mi alzai in piedi e scrollai il capo.
-Sto per esplodere, Luke. Non voglio che tu mi veda in quello stato. Vai a comprarmi una pomata per le ustioni. Fidati di me, per piacere-
Stavo mentendo spudoratamente, di nuovo, ma dentro di me sentivo che qualcosa stava per accadere e sapevo che anche Michael lo avvertiva. Ciò che stava per succedere non poteva che essere orribile e volevo che Luke fosse il più lontano possibile da noi. La vocina nel profondo della mia testa non voleva saperne di stare zitta e continuava a ronzare come una zanzara fastidiosa.
Lasciai un bacio sulla guancia di mio fratello e cercai di imprimere nella mia memoria ogni suo tratto, nonostante sapessi che mi sarebbe bastato guardarmi allo specchio per rivedere lui. Gli sorrisi e lui mi scostò i capelli dal viso.
-Ne sei sicura?- Annuii con convinzione.
-Sto per scatenare l'uragano Kresley, non credo ti convenga starci in mezzo- ridacchiai, mentre dentro mi sentivo morire. Chiusi la porta alle sue spalle e andai alla finestra, solo per guardarlo andarsene con il cappuccio sulla testa e il passo svelto.
-Senti, Fiorellino... Mi dispiace. Non volevo colpirti-
-Non volevi colpirmi, non volevi baciarmi, né tutto quello che hai fatto- Replicai gelida mentre andavo in camera mia. Mi cambiai dando le spalle allo specchio, non volevo vedere il mio corpo immacolato marchiato a fuoco da Michael. Solo quando fui sicura che le scottature fossero ben nascoste mi voltai a guardarmi, riconoscendo finalmente il mostro che ero diventata. Rispondevo male, perdevo facilmente la calma e la voglia di piangere o nascondermi era diventata sempre più grande, fino a oscurare del tutto quella di vivere. Non potevo, però, né nascondermi né piangere, né scappare. Ero vincolata al mio destino, anche se non me lo ero scelta e non mi sentivo tagliata per esso. Dal mio sacrificio dipendevano le vite di troppe persone.
Quando scesi in cucina per bere un bicchiere d'acqua incrociai lo sguardo addolorato di Michael. Pensai che se avesse saputo dosare i propri colpi, non ci saremmo rirovati in quella situazione. Si scusò nuovamente e non riuscii a trattenermi.
-Smettila, Michael. È stato un incidente e va bene, adesso, però, basta- Il senso di angoscia che mi attanagliava mi stava stringendo la gola, quasi volesse strangolarmi. Si avvicinò senza che io potessi sottrarmi al suo ascendente su di me e mi mise una ciocca dietro l'orecchio.
-Non avrei mai, e sottolineo mai, voluto farti del male. Solo che tuo fratello mi manda in bestia, ti impedisce di vivere la tua vita. Ti tratta come se fossi stupida. Prima, quando mi hai respinto, si è intromesso senza capire che sei grande abbastanza da sapere cosa vuoi e cosa no-
-Vuole solo proteggermi. È quello che fa da che ne ho memoria e spesso ha rinunciato agli amici per me- Mi sentivo in dovere di giustificarlo. -Ha sempre messo me al primo posto. Sempre- Michael si avvicinò ulteriormente, lo spazio tra di noi era davvero troppo poco e non riuscivo a sopportarlo. Trattenni il respiro.
-Stiamo... quello che stai facendo è sbagliato- Balbettai e Michael rise.
-Dovresti, dunque, eclissare la tua vita per lui? Vuoi davvero impedirti di essere felice per il resto della tua vita, impedirti di provare sentimenti per qualcuno?- Non capivo che cosa volesse insinuare, ma se le mie supposizioni erano corrette sarebbe diventato uno spezzatino di Alpha
-Vuoi forse insinuare che sono innamorata di te? Non farmi ridere- Fu impossibile evitarlo, scoppiai a ridere in faccia a Michael. Lui assottigliò le palpebre.
-Kresley, Kresley, spero tanto che tu ti accorga che è sempre tuo fratello a scegliere per te. E che ti meriti di meglio. Abbi una volontà, Fiorellino- Avrebbero dovuto dargli un premio per la sua capacità di irritarmi.
-Ti ascolti quando parli? Luke non c'entra nulla. E poi... ho forse scelto di stare qui? No. Ho forse scelto questo destino? No. Perciò, Michael, evitiamo questo discorso e- Venni interrotta dal campanello, che venne seguito dalla porta spalancata.
Un urlo strozzato si incastrò tra la bocca e la gola. Hood. Istintivamente gli lanciai contro una sfera di ghiaccio, che venne evitata con un'eleganza inumana.
-Complimenti, Clifford, le hai insegnato i giochi con l'acqua!- L'applauso di Irwin scrosciò alle spalle del suo compare.
Michael si posizionò davanti a me e nel giro di un secondo tutto precipitò nel caos totale. Era una lotta impari, io e Michael facevamo fatica a mantenere il ritmo e guardarci le spalle a vicenda. Ashton e Calum avevano l'abilità di sparire e ricomparire altrove a loro piacimento e per noi era impossibile prevedere da dove ci avrebbero attaccati.
La stanchezza si fece sentire, sentivo i muscoli bruciare come se una lama di fuoco vi fosse affondata dentro, non riuscivo a respirare regolarmente e l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che non potevo mollare. Intorno a me la casa andava in pezzi, i quadri cadevano, il divano era ribaltato, il tavolino distrutto e con esso tanti altri oggetti che non avevo neppure notato.
Mentre il sudore colava lungo il mio collo e la schiena, consumai le ultime forze che mi erano rimaste per incidere sul tavolo di legno un messaggio per Luke e ringraziai di aver imparato a creare punte di ghiaccio tanto affilate e resistenti.
Irwin e Hood non sembravano accusare affatto la temperatura altissima della casa, la cui fonte era il dominio di Michael. Vederli così tranqulli mi diede alla testa, come poteva essere per loro così normale una cosa del genere? Distratta dai miei pensieri abbassai la guardia e Ashton riuscì a colpirmi al petto, facendomi accasciare a terra senza fiato. Stringere i denti e rialzarsi, quella era l'unica cosa da fare. Il mio dovere fu più forte della mia debolezza, le mie responsabilità giocarono il ruolo di carburante per un motore inceppato e mi alzai lentamente.
-Siamo dure a cadere, eh, Hemmings?- Ashton sembrava divertito dalla mia condizione, ma la mia testa vorticava troppo perché io potessi preoccuparmi della sua ironia.
-Non immagini quanto- Io, invece, lo immaginavo e tutta la sicurezza che stavo ostentando non era che la mera bugia che avevo inventato.
La mia freccia di ghiaccio lo sfiorò, ferì il suo zigomo perfetto e lasciò che il sangue ne uscisse con lentezza estenuante. Persino le sue ferite sembravano eleganti, nella malvagità che lo avvolgeva. La compostezza degli Oscuri mi lasciava senza parole,affascinata e spaventata al tempo stesso. Erano inumani, mostri di cui nessuno avrebbe voluto sentir parlare, e allo stesso tempo non erano altro che una versione amplificata della crudeltà dell'uomo.
Un dettaglio particolarmente spaventoso di Ashton Irwin erano i suoi occhi verdi velati da una patina quasi impercettibile, uno sguardo che dava la sensazione che Ashton non avesse in realtà volontà propria e reagisse meccaniccamente sotto effetto di ipnosi. Quella sensazione era seconda per intensità solo alla paura che mi incuteva la sua ferocia ruggente. Avevo a che fare con una bestia dall'istinto omicida, un sadico leone pronto a schiacciare e smembrare qualunque gazzella avesse avuto la cattiva sorte di passargli accanto.
Il mondo divenne una massa indefinita e scura quando una scossa elettrica salì dal pavimento su per il mio corpo e i miei nervi cedettero, lasciandomi stramazzare al suolo senza forze. Il sapore metallico del sangue inondò la mia bocca e la gola, avrei voluto poter sputare, vomitare, ma non riuscivo a muovere nessun muscolo volontario. Con gli occhi spalancati vidi la vista farsi sfocata e i rumori si fecero via via più lontani, ovattati dall'abisso da cui ero avvolta. Nel mio ultimo secondo vigile riuscii a sentire la mano di Michael toccare un punto non ben definito del mio corpo, poi più nulla.
*
La mia emicrania pulsava nel mio cervello con lo stesso ritmo di un lavandino che giocciola. Provai a portare una mano alla testa per cercare di fermarla dal vorticare, ma una fitta di dolore mi impedì di portare a termine il gesto. Mi accorsi, dopo qualche secondo, che mi prudevano i palmi e le dita. Sbattei le palpebre più volte per mettere a fuoco l'ambiente intorno a me e fu come ricevere delle stilettate al nervo.
Quando finalmente riuscii a focalizzare la vista su quanto mi circondava vidi Michael legato alla sedia accanto alla mia e le manette che entrambi portavamo ai polsi. Una scia di sangue secco decorava il viso pallido e provato del ragazzo al mio fianco, così come i lividi rendevano maculate le sue braccia. Aveva qualche altra ferita sparsa qui e lì. Sollevai lo sguardo sui suoi occhi e mi sentii morire. Era arrivata la fine di tutto, ci avevano catturati e non saremmo mai più stati capaci di portare i Dominatori in salvo. Insieme al profondo dolore fisico, venni afferrata alla gola da un immenso sconforto.
Schiacciata dall'abbacchiamento della cattura, riportai l'attenzione davanti a me. C'erano cinque gradini di marmo nerissimo così lucidi che avrei potuto specchiarmici e un trono centrale, poi due più piccoli. L'imponenza della sala era innegabile e nononstante il soffitto a volta fosse altissimo io mi sentivo soffocare dalle pesanti tende che coprivano le finestre. Mi vennero i brividi e seppi perché quando Lilith comparve seduta al centro, con la sua bellezza inebriante e insieme agghiacciante circondata dall'oro del suo posto a sedere. Dopo di lei ci onorarono due ragazzi. Anche loro, come Lilith, sembravano scolpiti nel marmo da mani sapienti, i loro tratti di uno splendore quasi angelico contrastavano prepotentemente con lo sguardo carico di un'intensità demoniaca.
Dietro di noi Hood e Irwin parevano aspettare un cenno da parte del Trio dell'Incubo, anche se non credo attendessero di essere cacciati.
Non appena i nostri rapitori se ne furono andati, Lilith diede l'ordine a due guardie di portarci via, di accompagnarci nei nostri appartamenti. Aveva aggiunto qualcosa su quanto fosse magnifico che ci trovassimo finalmente lì tutti insieme, una sorta di celebrazione della nostra fine agghindata come un comitato di accoglienza. Ricordo che, prima di essere trascinata via, io e Michael ci eravamo alzati in piedi e io fui colpita da un mancamento. Le mie gambe avevano ceduto sotto il peso del mio corpo e se non fosse stato per la reazione tempestiva di Michael sarei stramazzata a terra. Mi aveva afferrata sotto l'ascella e tenuta in piedi, il suo sguardo esprimeva una preoccupazione commovente, rassicurante, che riuscii ad apprezzare solo in parte. Avrei voluto piangere davanti a quelle iridi così profonde colme di un istinto di protezione che non credevo di meritare.
-Stai bene?-
-Credo di sì- Poggiai la testa sulla sua spalla e mi beai del calore che sprigionava. Sentivo freddo, un gelo che veniva da dentro e saliva e scendeva lungo il mio organismo, diffondendosi a macchia d'olio e inebetendo qualsiasi tentativo di riprendermi.
-Non ci pensare neanche- Mi sgridò, doveva aver percepito quel fulmineo desiderio di morte provato dalla sottoscritta.
-Stai zitto, ho la testa che mi scoppia-
La risata di Lilith riecheggiò tra le pareti e suonò più macabra della musichetta da horror ben fatti.
-Piccina, Calum deve averti fatto male-
Michael la fulminò con lo sguardo e ebbe uno scatto in avanti, miseramente fallito quando una potente scossa lo percosse facendolo crollare sulle ginocchia. Fu allora che le sentinelle incaricate di portarci alle nostre celle arrivarono e ci prelevarono.
*
Mi guardai intorno mentre procedevamo lungo un corridoio apparentemente eterno. Fuori dalla Sala del Trono era tutto bianco, dalle pareti alle luci, allo scarso arredamento. I neon accecanti rimpiazzavano la naturale luce del sole, l'assenza delle finestre mi causò claustrofobia mista a mal di testa. Cercai di concentrarmi sul riecheggiare dei nostri passi piuttosto che sulla presa dell'Oscuro su di me, la quale bruciava sulla mia pelle.
Michael aveva l'aria distrutta, ferita, delusa. Aveva l'aria di chi sa di aver tentato con tutte le proprie forze e aver fallito comunque, o forse dubita di non aver dato il cento per certo, di chi comunque sa che la fine è arrivata. La sua espressione abbattuta mi fece capire che non c'erano più speranze, la fine dei dominatori e dell'umanità era arrivata.
Salimmo una lunga scalinata e svoltammo diverse volte, mi sembrava di girare in tondo, fin quando non giungemmo davanti a quella che sarebbe stata la mia cella. Michael riuscì a sfuggire alla presa della guardia per pochi secondi e mentre il terrore nel suo sguardo rifletteva il mio, prese il mio viso tra le mani e mi guardò con sicurezza. Una sicurezza tale che persino le barriere delle gabbie vaccillarono nella mia mente.
-Andrà tutto bene, te lo prometto- Mi baciò di sfuggita la fronte e sentii le lacrime offuscarmi la vista.
Avrei tanto voluto credergli. Venni spinta dentro la stanza e la pesante porta antidominio si chiuse davanti a me. Barcollai fino al letto e mi lasciai caderci sopra, disprezzandomi per aver permesso che tutto ciò accadesse e chiusi le palpebre.
L'ultima cosa che udii furono le urla di Michael qualche metro più in là.
☆-☆-☆-☆
Aggiorno ad un ora indecente, lo so. Spero che vi piaccia e niente... commentate e votate se vi va :)
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