Capitolo BONUS 2 - Metà e meta

Alla fine, Eugene riuscì nel suo intento: Josephine prolungò la sua permanenza a Edge fino a data da destinarsi.
I due trascorsero assieme ogni singolo giorno, tra pic-nic sull'erba e passeggiate all'aria aperta. Si scambiavano sogni e speranze, come giovani innamorati nel fior dei loro anni.

Eugene pendeva dalle labbra della fanciulla, beandosi della dolcezza della sua voce e dell'acume dei suoi discorsi. Il banchiere, però, quelle labbra le desiderava. Oh, eccome se le desiderava. Piene, rosee, invitanti... E che dire dell'eleganza che le contraddistingueva ogni qualvolta si stiravano in un gioioso sorriso! Così armoniose su quel viso perfetto, così rare da scovare tra le bocche di centinaia di ragazze.

Più di tutto, Eugene amava che quelle labbra prendessero vita solo per lui. Ogni broncio giocoso, ogni meravigliosa risata, ogni parola mimata... Era tutto per lui. Avrebbe potuto vivere di quelle labbra anche senza mai baciarle, seppur le desiderasse così tanto.

Se non fosse stato un uomo paziente e cresciuto con sani principi, sarebbe impazzito per quella bocca ammaliante. Per di più, aveva il sospetto che Josephine si divertisse a giocare con la sua stessa sensualità, che ridesse sotto i baffi del sorprendente autocontrollo che lui era bravo a mantenere.

La ragazza possedeva la bellezza tentatrice del diavolo, che portava addosso con la grazia degli angeli. Se a questo, poi, si sommava la sua arguzia e la genuina sfrontatezza, si otteneva il connubio perfetto che era la persona di Josephine.

Nonostante la sua spensieratezza, c'era qualcosa che pareva turbarla tutte le volte che Eugene osava chiederle delle sue origini. Aveva già udito il suo cognome, ma il paese della ragazza era talmente distante che le orecchie dei curiosi stentavano a spingersi così lontano. Gli aveva accennato del turbolento rapporto con i genitori, dell'amata sorella, del suo forte spirito di ribellione, ma non aveva mai approfondito i suoi racconti. Eugene, dal canto suo, preferiva non insistere.

Il banchiere, invece, le avrebbe parlato volentieri della propria famiglia, se solo lei si fosse mostrata interessata.
Ma Josephine era alquanto singolare: poco le importava del passato, dei morti e delle persone che non avrebbe potuto conoscere. No, a lei piaceva il presente.

Scoprire Eugene, poco alla volta, era un gioco da vivere alla giornata. Lei non si fidava delle storie. Josephine interpretava a modo suo le persone (che spesso finivano con l'annoiarla).
Considerava quel banchiere un curioso oggetto di studio; non perché fosse un uomo particolarmente stravagante, anzi era piuttosto comune: cordiale, educato, buono, sagace e ironico. La vera rarità della sua persona consisteva nelle sue reazioni dinanzi al comportamento -spesso considerato riprovevole- della ragazza. Come tutti, ne rimaneva stupefatto. A differenza degli altri, però, non c'era disgusto o disprezzo o disapprovazione nella sua meraviglia. Era affascinato, ammaliato da qualsiasi cosa facesse Josephine, che fosse inseguire un cappello o cantare a squarciagola canzoni offensive nei confronti dei nobiluomini.

Stavano vivendo quell'intrigante fase di un rapporto in cui si ha solo il sospetto di un'infatuazione dirompente. 

***

I due giovani passeggiavano braccio a braccio per le strade di Edge, camminando di pari passo con fare complice e infantile, mentre una folla di curiosi li guardava di sottecchi. La loro relazione non era passata inosservata agli abitanti della città: il buon banchiere e l'attraente straniera, che storia!

-Ci fissano tutti, Eugene- notò Josephine, senza preoccuparsi di celare il divertimento nella sua voce. Come sottofondo, oltre al chiacchiericcio, risuonava un'allegra canzone di una banda da marciapiede.

-Le persone che s'impicciano della vita altrui sono quelle che non ne hanno una propria altrettanto interessante. Ignorali.-

La ragazza, però, non era per niente intenzionata a ignorarli. Quegli occhi curiosi e indiscreti, che non si preoccupavano minimamente di celare la loro indole pettegola, meritavano uno spettacolo degno di tanta attenzione. 

-Diamo loro qualcosa da guardare.-

Eugene pensò che avessero già abbastanza da guardare, ma la fanciulla non sembrava d'accordo. Fu allora che la vide calciar via le scarpe e mettersi a ballare proprio lì, nella piazza grande. I musicisti, intenti a far suonare i loro strumenti, alzarono lo sguardo su di lei, un po' disorientati e un po' divertiti dalla scena. Poi, come scossi da una nuova energia, ripresero a suonare con più vigore. 

Era una musica incalzante, gioiosa e instancabile. Josephine non se ne perdeva una nota. Si muoveva a tempo, volteggiando con grazia da un punto all'altro, saltando come una gazzella e spostando i piedi in perfetta armonia. Ogni volta che con un balzo finiva davanti a qualcuno, faceva una ridicola riverenza e riprendeva a ballare. 

Era una danza semplice, fluente e... coinvolgente. Infatti, dopo un primo momento di sbalordimento -e un secondo di diffidenza- qualche coraggioso era rimasto ad osservare con crescente entusiasmo la scena. Qualcuno teneva il ritmo col piede; qualche altro ciondolava sul posto. La maggior parte delle persone, invece, mostrava un disgusto sconvolto. In fin dei conti, era tanto inusuale quanto deplorevole ballare in quel modo sconsiderato, lasciando che la gonna si sollevasse oltre i limiti consentiti dal buon senso e che la veste le scivolasse giusto un po' dalle spalle per mettere in evidenza i seni prosperosi. 

Eugene, invece, stava ridendo di gusto. Gli ridevano le labbra, gli rideva il cuore. Una risata fresca, melodiosa quanto la musica che accompagnava la bizzarra danza della fanciulla da cui non riusciva a distogliere lo sguardo. Era estasiato. 

Non si accorse di star ballando con lei finché i suoi capelli gli accarezzarono il viso. Gli abitanti di Edge ne avrebbero parlato per settimane: la strana coppia che aveva dato spettacolo nella grande piazza!

Ben presto quel balletto improvvisato si trasformò in un rapido crescendo; la gente abbandonò l'imbarazzo e si unì a loro a ritmo di musica. In un batter d'occhio, la piazza divenne un'ampia sala da ballo. Buttati giù gli imponenti muri dell'alta società, i cittadini di Edge erano un popolo semplice, amante delle feste e dello svago. 

D'un tratto, accadde tutto contemporaneamente: il sole fu oscurato dalle nuvole e un lampo squarciò il cielo; la piccola orchestra interruppe la musica stonando l'ultima nota e ritirò in fretta gli strumenti; la folla, così com'era arrivata, si dileguò sotto i portici.

Una goccia cadde dal cielo, dritta sul naso all'insù della bella Josephine, scivolandole sulle labbra e sul mento. In quel preciso istante, esattamente una frazione di secondo prima che la giovane riabbassasse lo sguardo sul suo compagno e facesse precipitare la lacrima d'angelo sul terreno, Eugene capì di amarla.

Un momento dopo, scoppiò un temporale.

Ed ecco che come un fulmine il cuore gli balzò in petto, imprimendo  quell'attimo fuggente nella sua memoria da lì all'eternità. Josephine era la sua tempesta in una giornata altrimenti monotona. Era l'uragano che movimentava la sua vita, la scossa che scuoteva i suoi sentimenti. Era una vera forza della natura, donata dal destino a lui, per qualche misterioso motivo.

La guardò ancora, beandosi gli occhi di tanta bellezza: fradicia dalla testa ai piedi, con un sorriso che coinvolgeva tutto il viso e il vestito bagnato che le metteva in risalto le forme seducenti. Era quasi irreale il modo in cui portava elegantemente il suo aspetto, senza mai risultare volgare. 

Sebbene l'innocenza non fosse una caratteristica appartenente a Josephine, c'era qualcosa nello sguardo della giovane che fece tentennare Eugene. Insicurezza, forse? Aveva perso la solita malizia per far spazio a qualcosa di nuovo -probabilmente anche per lei stessa- che pareva causarle un conflitto interiore.

Il banchiere non era un esperto nel settore, ma mentre altre gocce d'acqua s'incastravano tra le ciglia della donna, non ebbe dubbio alcuno.

Nei suoi brillanti, v'era l'amore. Un amore diverso dal suo, un amore prorompente e incerto che andava colto al volo per far sì che non sfuggisse. Eugene non voleva perderlo proprio adesso che era lì, a un soffio da lui.

Fu allora che la baciò. Piano, come il primo bacio richiedeva, e intensamente, come il suo cuore pretendeva.

Josephine chiuse gli occhi e lasciò che la pioggia lavasse via le sue incertezze. Per uno spirito libero come lei, era difficile accettare l'idea che, per la prima volta in vita sua, non esistesse altro posto in cui stare che non fosse tra le braccia di Eugene. 

Quando le loro labbra si separarono, non si dissero nulla. Mano nella mano, con due rinnovati sorrisi stampati sui loro visi, corsero al riparo dalla pioggia.

***

In pochissimo tempo, il loro amore fu su la bocca di tutti. Eugene, l'unico erede dei Farrell, l'ottimo partito che aveva sempre rifiutato le fanciulle di Edge, aveva finalmente trovato la donna per sé. Vista sotto questa nuova luce, Josephine cominciò ad essere ben voluta dagli abitanti della città, che impararono lentamente ad apprezzare persino le sue stranezze e a far finta di non notare le sue maniere discutibili.

Passarono le settimane e, mentre la gente si affezionava sempre più alla straniera, giunse il giorno in cui Josephine avvertì il suo istinto naturale di abbandonare quel luogo per scoprirne un altro.

Si trovava al mercato, con la sola compagnia del vociare dei passanti e delle urla dei bambini chiassosi che si aggiravano tra le bancarelle. Aveva detto a Eugene che si sarebbero visti all'ora pranzo, in un ristorante lì vicino. Così, quella mattina si ritrovava in mezzo a quella confusione che la metteva sempre di buon umore. Eppure c'era qualcosa nell'aria che le faceva provare una spiacevole sensazione di disagio. 

Era Edge. L'odore della salsedine e dei fiori, il profumo delle pietanze esposte al mercato, la fresca fragranza del bucato appena lavato che inondava le strade... Era tutto troppo familiare. Con un misto di orrore e stupore, Josephine si rese conto di essersi abituata a quell'effluvio cittadino. 

Non era la prima volta che le capitava qualcosa del genere: se rimaneva troppo a lungo nello stesso posto, i suoi sensi le ricordavano che aveva bisogno di trovarne uno nuovo.  

La sua permanenza a Edge si era protratta per troppo tempo. Doveva riprendere i suoi viaggi e visitare altre città. 

-Josephine?-

Si voltò di scatto, riemergendo brutalmente dai suoi pensieri, e vide due occhi infossati sorriderle amorevolmente. 

Maximilian Yellor, lo stesso che le aveva regalato un mazzo di fiori non troppo tempo addietro, la sovrastava in altezza di almeno dieci centimetri. Chissà come, erano diventati amici. Dopo quel corteggiamento miseramente fallito, Josephine lo aveva rincontrato diverse volte, insieme a Eugene. 

Il vecchio spasimante non aveva mostrato alcun rancore nei confronti del rivale vincitore, e alla fine avevano preso a uscire tutti e tre assieme per un tè o una gita in barca. 

Era un uomo oltre la trentina, vedovo e padre di due figli, caporedattore di una delle case editrici di Surn. Josephine lo trovava noioso, ma provava una certa compassione nei suoi confronti. 

-Ciao, Max!- lo salutò con un veloce bacio sulla guancia e ricambiò il sorriso.

Si unirono per la passeggiata al mercato, chiacchierando del più e del meno. La giovane donna non riusciva a togliersi di dosso quell'urgenza di ripartire, come se le mura delle città fossero divenute improvvisamente opprimenti. Aveva anche il brutto presentimento che Eugene non avrebbe gradito quella sua irrequietezza. 

Quando Max le fece notare quanto fosse distratta, Josephine cedette e gli disse cosa la turbava tanto. 

Voleva ripartire. Non era mai stata nello stesso posto per tutto quel tempo. Aveva abbandonato la sua patria per vedere il mondo, per non fermarsi mai. Desiderava la libertà, una vita da nomade. Invece era rimasta a Edge per oltre un mese, senza quasi rendersene conto.

-Lo hai già detto a Eugene?- le domandò Maximilian.

Josephine scosse la testa. Certo che non glielo aveva detto! Come avrebbe potuto? Eugene era chiaramente innamorato di lei, gli avrebbe spezzato il cuore! Quel gioco, quella loro storia, qualsiasi cosa fosse, era andato troppo avanti. A lei era piaciuto, ma non poteva durare. Lei non era fatta così. Benché nessun altro le avesse mai infiammato l'anima come Eugene, lei non aveva alcuna intenzione di metter fine al suo viaggio. 

-Non posso dirglielo, è complicato. Forse sarebbe meglio ripartire senza neanche avvisarlo.-

-Oh no, in quanto amico di entrambi, te lo sconsiglio. Feriresti lui e infangheresti te stessa. Devi dirglielo. Eugene non è un uomo che dà in escandescenze. Il più che può accadere è un triste addio.-

Josephine soppesò ogni parola, specialmente l'ultima.

Addio.

Era davvero pronta a dire per sempre addio a Eugene?

La pendola dell'orologio della piazza suonò dodici rintocchi, informandola che era in ritardo per il pranzo. 

-Lo farò. Grazie, Max, ma devo andare- fece per salutarlo, ma lui le prese una mano e la trattenne. 

-Per quel che vale... Se io fossi al posto suo, ti seguirei ovunque, anche a costo di abbandonare tutto ciò che ho.- Le posò un rapido bacio sul dorso della mano e sparì tra la folla. 

Mentre si affrettava a raggiungere il ristorante, Josephine pensò che no, non voleva essere seguita da nessuna parte. Non vedeva nulla di romantico in un uomo disposto a lasciare la sua casa, i suoi figli e la sua vita per inseguire una donna. Anzi, le dava addirittura la nausea.

Quando scorse il sorriso sghembo di Eugene che l'aspettava al tavolo, sperò con tutta se stessa che lui non avesse in mente una cosa simile.

***

Josephine aveva ritenuto opportuno evitare l'argomento durante il pranzo, così aveva aspettato la consueta passeggiata fuori città, oltre la collina. 

Quel prato fiorito ricco di vita era diventato il loro posto segreto, un luogo che apparteneva solo a loro. Il loro piccolo paradiso. 

La fanciulla mosse qualche passo tra i fili d'erba, temporeggiando sull'imminente catastrofe. Non si era mai sentita così in pena prima dei saluti. Eppure v'era abituata! Insomma, quante centinaia di volte aveva detto addio ad altrettante centinaia di persone? Dunque perché con Eugene doveva essere così difficile?

Una piacevole brezza le accarezzò il viso, bruciandole gli occhi già umidi di lacrime. Stava piangendo. Le era già capitato? No... certo che no. Stava lottando con se stessa, con l'istinto e col cuore che le dicevano due cose diverse. 

Dando le spalle all'uomo che osservava ignaro il cielo sopra le loro teste, assaporò con la mente il gusto amaro di un addio. Non lo avrebbe guardato negli occhi, non ne sarebbe stata capace. Doveva solo sputarlo fuori, come se fosse banale e privo di significato. Come se avesse potuto illudersi che lo fosse sul serio. 

-Ti amo.-

Eugene la precedette, prendendola alla sprovvista. 

Maledetto, maledetto lui! Aveva giocato d'astuzia, l'aveva battuta sul tempo e aveva distrutto ogni possibilità di pronunciare quel dannato addio! 

Glielo aveva detto alle spalle, vigliacco e codardo senza alcuna dignità! Come aveva potuto giocar quella carta letale, quell'asso vincente che era l'amore? Come... Come...

Josephine fece un respiro profondo, mentre la sua persona si divideva a metà. 

Una metà sperava che il vento la trascinasse via come una piuma, l'altra sapeva che tutte le correnti del suo cuore soffiavano verso Eugene. 

Avvertiva la sua presenza, dietro di lei, costante e paziente. Se si concentrava, riusciva persino a gustare il sapore dei suoi baci, gli stessi che si erano dati ogni giorno dopo il primo sotto la pioggia. 

Si sorprese nello scoprire che se li ricordava tutti. Addirittura si sconvolse quando capì che erano gli unici che ricordava. Nessun altro uomo le aveva lasciato sulle labbra la memoria di un bacio.  

Come se non bastasse, realizzò che, sebbene tutte le città visitate le avevano lasciato qualcosa nell'anima, Edge sarebbe stata la sola in cui lei avrebbe lasciato una parte di sé. Una sua metà. Se fosse partita, la sua mente e il suo cuore l'avrebbero riportata lì, in quel luogo, oltre quella collina, tra le margherite e i papaveri, dove l'eco di un "ti amo" l'avrebbe tormentata per sempre. 

I suoi viaggi avrebbero perso significato. Nessun altro uomo le avrebbe scaturito le emozioni che provava con Eugene. Non vi sarebbe stato alcun panorama paragonabile a quello che aveva adesso davanti agli occhi. Neanche la pioggia sarebbe rimasta uguale. Nemmeno lei lo sarebbe stata. 

E allora che senso aveva partire? Che senso aveva abbandonare quel prato? 

Non aveva provato quelle sensazioni neanche quando aveva lasciato la sua patria, la sua casa e la sua famiglia. Non aveva provato nulla. 

Ora, invece, moriva dentro al pensiero di dovere andar via. Andare dove, poi? 

Eugene attendeva in silenzio, dietro di lei. Come previsto, non aveva fatto alcuna sceneggiata né aveva dato di matto. Non le stava mettendo fretta, non stava nemmeno aspettando una risposta. Era semplicemente lì, per lei. Lui e quelle due parole letali. 

Josephine aveva percepito mille promesse in quella dichiarazione. Le aveva giurato un futuro meraviglioso, un amore eterno. Già poteva proiettarsi in un ipotetico domani: lui e lei che ridevano della società, che ballavano per strada e giocavano come bambini, che si sposavano e rendevano il loro matrimonio tutt'altro che noioso, che facevano l'amore tutti i giorni, che avevano dei figli, che tornavano su quella collina e si amavano più di prima. 

Sorrise con tenerezza a quei pensieri. Si stupì di se stessa quando capì che desiderava ardentemente quel futuro con lui. La ragazza che per anni aveva considerato il matrimonio un traguardo improbabile, adesso lo sognava ad occhi aperti. Chissà cosa avrebbero pensato i suoi genitori. Di sicuro non avrebbero approvato le sue nozze con un banchiere. E la loro disapprovazione era un ottimo incentivo per spronarla a sposarsi!

Si asciugò le lacrime e inspirò a pieni polmoni, sicura più che mai. Non c'era spazio per altre esitazioni, era giunto il momento di affrontare quella dichiarazione.

Si voltò verso Eugene, col sorriso più radioso di cui era capace. Attorno a loro, margherite e papaveri coloravano di bianco e rosso il tappeto d'erba, mentre api e farfalle danzavano tra i petali illuminati dal sole del pomeriggio. 

Josephine non aveva dubbi: era pronta per il suo prossimo viaggio. Il suo spirito aveva già fatto le valigie, era salito sul treno e puntava dritto di fronte a lei. 

Era arrivata.

Dopo anni di vagabondaggio, finalmente aveva deciso la sua destinazione. E non era la fine, era appena l'inizio. 

Le parole, rivolte a Eugene, scivolarono dalla sua bocca come una cascata di emozioni, marchiandosi indelebilmente sulla loro storia.

-Tu sei la mia meta.-

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