35 - Casa dolce casa
Non replicai, non ne ebbi la forza. il solo pensiero che Mila potesse tradire Derek in quel modo, che potesse tradire me, mi sembrava assurdo. Poi, ricordai il suo volto colpevole nella stanza di Mara, le sue false lacrime, le lenzuola impregnate di sangue... E la odiai, la odiai con tutta me stessa. Si era presa la nostra fiducia e l'aveva calpestata, per poi sparire senza dire una parola.
Il viso scarno di Mara e i suoi occhi spenti si fissarono nella mia mente, alimentando il rancore nei confronti della domestica.
La dolce e timida Mila, le sue guance tonde e rosse di vergogna, il suo conforto... tutta una farsa.
Mi accorsi in quel momento che l'avevo considerata un'amica. E il momento dopo capii che ero stata una stupida.
Dopo anni di solitudine in cui avevo rifiutato qualsiasi legame con la gente, avevo lasciato che Mila e un'altra ristrettissima cerchia di persone scalfissero la mia corazza. E puntualmente ero stata tradita e ferita.
Ben ti sta, Tessa.
Ad aggravare la situazione, vi era la recente scoperta della relazione pseudoamorosa fra Mila e Ryan. Giusto per rimarcare l'infallibile capacità di giudizio di mio fratello.
-Mi duole annunciarvi che dobbiamo separarci, miei cari. Non voglio che certe malelingue mi affianchino alla tua figura, Tessa. Non per il momento, almeno.-
Senza neanche avere il tempo di replicare, gli scagnozzi di Timothy ci scaraventarono fuori dalla carrozza e quest'ultima ripartì spedita sulla strada.
Diedi un'occhiata attorno e mi stupii di quanto lontani fossimo da Zelum. La città era ancora visibile, ma avevamo abbondantemente superato i suoi confini.
Ci trovavamo in quella che pareva essere una piccola fattoria indipendente, con un recinto di maiali, galline che beccavano in giro indisturbate, un orticello misto e un campo appena arato.
La casa del proprietario, sebbene di dimensioni ridotte, era in buone condizioni. Dietro di essa intravidi una stalla.
Persino da lì si vedevano le navi mercantili che inondavano il porto di Zelum. Forse avrei potuto raggiungere Edge a bordo di una barca.
-Mila ha combinato un bel casino- disse Blake con disinvoltura, mentre osservava la casa.
Gli saltai addosso senza preavviso e cominciai a tirargli un pugno dopo l'altro, urlandogli insulti a raffica.
Ero un tantino nervosa, per niente disposta a trattare con leggerezza l'argomento Mila. E Blake si ostinava a sghignazzare a ogni cazzotto (nessuno dei quali pareva sortire l'effetto desiderato, ovvero grida di dolore, sangue e lacrime).
-Tu devi essere Tessa Farrell.-
Mi bloccai con la mano a mezz'aria, pronta a sferrare l'ennesimo colpo, e voltai il capo verso la persona che aveva fatto il mio nome: un uomo avanti con gli anni, con capelli e occhi grigi, sbarbato e alto quanto me.
Mai visto. Eppure mi aveva riconosciuta.
Forse era un uomo di Timothy o uno di Derek. Oppure qualcuno che mi aveva intravista in città. Ultimamente il mio nome era sulla bocca di tutti. Qualcosa in lui, però, non mi convinceva. La sua voce era profonda e fiera, priva di accento, in netto contrasto con l'aspetto ordinario da semplice contadino.
-Deve averlo intuito dalla tua inconfondibile grazia, gattina- ironizzò l'idiota che mi ero portata dietro.
Spinsi via Blake e mi rivolsi all'uomo: -E tu chi sei?-
-Il mio nome non ha alcun valore, per cui non importa- rispose, sempre atono. -Adesso sbrigatevi. Sul retro della casa troverete un carro con delle scorte e due cavalli. Dirigetevi a ovest, seguendo la costa. Non inoltratevi nell'entroterra. Evitate città e villaggi. Cercate aiuto e riparo solo nelle fattorie indipendenti, se e quando sarà strettamente necessario. Una volta giunti a Edge, non fatevi riconoscere e non parlate con nessun abitante di Surn.-
Blake si fece improvvisamente serio e mi si affiancò. Quella situazione non piaceva a lui quanto non piaceva a me.
-Perché dovremmo darti retta?- domandai, al contempo diffidente e curiosa.
Un uomo senza nome che mi diceva cosa fare non era troppo affidabile. D'altro canto, sembrava saperla lunga sulla nostra destinazione.
Il contadino non rispose. Estrasse un pezzo di carta dalla tasca e avvicinò il proprio dito medio alla bocca per morderlo. Lo premette sul foglio e mi mostrò l'impronta di sangue.
-Sei tu l'autore delle lettere!- esclamai.
L'uomo scosse la testa. -Troverai chi cerchi a Edge. Andate.-
Temporeggiai ancora qualche secondo sul posto, spostando il peso da un piede all'altro. L'inconfondibile firma di sangue non lasciava spazio a dubbi. Volente o nolente, dovevo fidarmi.
Feci cenno di seguirmi a Blake e m'incamminai. Quando gli passai accanto, l'uomo posò una mano sulla mia spalla e disse: -Siamo tutti pronti, Tessa Farrell. Aspettiamo che lo sia anche tu.-
-Tutti chi? Pronta per cosa?!- Scossi la testa quando l'uomo rientrò in casa senza degnarmi di uno sguardo.
Io e Blake aggirammo l'abitazione per arrivare alla stalla e, accanto ad essa, trovammo il carro. A trainarlo vi erano due cavalli color miele che sembravano sprecati per quell'incarico. Il nostro mezzo era anche munito di un modesto baldacchino che fungeva da riparo.
La guardia sollevò la coperta pesante che ricopriva il carico e cominciò a frugarne il contenuto, mentre io tentavo inutilmente di ricomporre i pezzi del puzzle impossibile che era diventata la mia vita. Fra Derek in pericolo, Ryan rimbecillito, Mara malata, Mila traditrice, Timothy impazzito... non sapevo da dove iniziare.
-Ci sono scorte sufficienti per un paio di settimane, qualche soldo per vivere anche nelle successive, una cartina di Surn, dei vestiti puliti, una corda... Un mucchio di roba utile per il viaggio, insomma. Chiunque ha organizzato tutto questo, deve essere una persona molto precisa. C'è persino una spazzola per capelli. Sai almeno come si usa, gattina?-
-Ho una precisa idea su come potrei utilizzarla con te, se non ci dai un taglio.-
Blake strozzò una risata e balzò sul carro, mani alle redini. Riposi zaini e armi e presi posto vicino a lui. Non appena fummo in movimento, avvertii uno strano calore che dissipò tutti gli altri pensieri.
Stavo tornando a casa.
***
Il viaggio si rivelò più estenuante del previsto. Per quanto odiassi i treni, erano sicuramente più veloci di quel vecchio carro. Il suo continuo sobbalzare sul terreno sconnesso, lontano dalle strade principali, mi fece venire il mal di schiena.
Per più di una settimana, seguimmo attentamente le indicazioni del contadino, tenendoci a debita distanza dalle città e arrangiandoci con le scorte. Sfortunatamente, però, quel pappamolle di Blake si beccò la febbre dopo la prima pioggia, così ci ritrovammo nel bel mezzo delle campagne a cercare una fattoria indipendente.
-Ti ricordi quando ho detto a Derek che se ti avesse licenziato, ti avrei assunto io come guardia del corpo?- Guardai Blake, disteso sulle coperte all'interno del carro, con le guance rosse e gli occhi semichiusi. -Ecco, ci ho ripensato. Sei fragilino. Faccio prima a difendermi da sola. Lo sapevo che dovevo chiedere a Cole e non a te...-
Una mela mi colpì dritta in testa, facendomi imprecare. -Non scherzare, gattina. Sappiamo entrambi che sono il tuo preferito fra le guardie.-
Mi voltai, dandogli le spalle, e sorrisi fra me e me. Era davvero il mio preferito. Aveva messo in gioco la sua vita e il suo lavoro per me.
Guardai davanti a me e vidi una fattoria in disparte, non troppo distante da noi. Diedi un colpo di redini ai cavalli e li incitai al trotto. Mi domandai se un altro contadino qualunque ci avrebbe aiutati senza battere ciglio. Dopotutto eravamo estranei, e io stavo azzardando il tutto per tutto su una fattoria scelta a casaccio.
Quando arrivammo, Blake non riuscì nemmeno ad alzarsi. Era in condizioni pietose. Così, accostai il carro alla casupola da cui non proveniva alcun rumore e scesi alla ricerca di qualcuno. La fattoria non era molto diversa da quella in cui eravamo già stati, fatta eccezione per l'abitazione, la quale era un po' più piccola e malandata.
Mi avviai verso l'ingresso, ma un colpo di fucile sparato in aria mi fece sobbalzare sul posto.
-Chi va là?!- urlò un uomo alle mie spalle, fra il crocchiare delle galline spaventate.
Alzai le mani e mi girai molto lentamente verso di lui. Puntava la canna del fucile dritto verso la mia faccia. I capelli sbiaditi dall'età erano lunghi fino alle spalle, lo sguardo truce di due occhi castani non lasciava presagire nulla di buono. Forse avevo scelto la fattoria sbagliata.
-Sono Tessa Farrell- azzardai, -qualcuno mi ha detto di cercare aiuto nelle fattorie indipendenti. La tua mi sembrava...-
-La mia lo è. Ma dimostrami che sei chi dici di essere, ragazzina.-
Deglutii. A Zelum, nessuno avrebbe avuto dubbi sulla mia identità. Non mi era mai stato chiesto di dimostrarla. Come potevo fare?
Lanciai un'occhiata fugace al carro, dove Blake, nascosto dal baldacchino, rimaneva fermo e in silenzio. Chissà perché ebbi l'impressione che non fosse disteso, bensì pronto a sparare all'uomo. Ma ucciderlo non ci avrebbe aiutati.
Poi, il lampo di genio. Abbassai cautamente una mano e me la portai alla bocca per mordermi un dito. Non avendo carta a disposizione, me lo premetti sul viso.
-Per l'Angelo! Sei sul serio chi dici di essere!- L'uomo abbassò il fucile e mi venne incontro per passarmi un braccio attorno alle spalle con fare amichevole.
Anche Blake venne allo scoperto, armato come pensavo.
-Lui è con me- mi affrettai a dire. I due si scambiarono un'occhiata, poi gettarono le armi.
-Sono Logan, signorina Farrell. Casa mia è casa vostra, adesso.- Il tono del contadino era diventato improvvisamente gentile. Dopotutto le lettere avevano ragione. Un nome fa la differenza.
-Blake ha la febbre. Eravamo in viaggio, ma così non possiamo continuare. Puoi aiutarci?- chiesi con la stessa gentilezza.
Logan annuì e ci scortò dentro, non prima di aver abbeverato e nutrito i cavalli. La casa era piccola per avere più di una stanza da letto, ma il contadino riuscì lo stesso a infilare due pagliericci nella cucina, il che significava che ci avrebbe ospitato per la notte.
Lo vidi frugare in un armadietto e tirarne fuori delle medicine, che porse a Blake. Poi bagnò dei panni puliti, indicò alla guardia di stendersi, e glieli adagiò sulla fronte e sui polsi.
-Così dovrebbe andar bene. Prendi le medicine e riposa, ma prima aspetta di cenare. Nessun malato guarisce a stomaco vuoto.- Detto questo, l'uomo si fece spazio nell'angusta cucina e preparò un miscuglio di uova e verdure per tutti e tre.
Durante la cena, non mi trattenni dal chiedere: -Prima hai nominato l'Angelo. Conosci la sua storia?-
Logan ridacchiò come se avessi fatto una domanda stupida. Blake si fece d'un tratto interessato alla conversazione.
-Certo che conosco la sua storia, come tutti! Non si sa molto di lui, ma quel poco che sappiamo ci basta. L'Angelo era molto più che un semplice uomo, secondo noi. Era un mito vivente con grandi aspirazioni. Noi crediamo che il suo tempo non sia finito- rispose il contadino.
-Ma "noi" chi?-
-Noi del Culto dell'Angelo. Sai, la gente tende a dimenticarlo, ma noi no. Mandiamo avanti i suoi ideali.- Logan fece un profondo respiro e sorrise. -Ma non sarò io a spiegarti tutto. C'è qualcuno che lo farà al posto mio. E non vedo l'ora che tu sappia ogni cosa, Tessa Farrell. Oh, non vedo proprio l'ora! Adesso a nanna.- Detto questo, il contadino ripulì la tavola e si congedò per ritirarsi nella sua camera, lasciandoci al chiarore di luna proveniente dalla finestra.
Sia io che Blake prendemmo posto nei nostri pagliericci, così vicini da sembrare uno solo. Ma io non avevo affatto sonno. Quel poco che ci aveva detto Logan mi aveva confusa. Non sapevo dell'esistenza di un Culto dell'Angelo. E cosa voleva dire che mandavano avanti i suoi ideali? E chi era questo "qualcuno" che mi avrebbe spiegato tutto? E perché era così importante che io sapessi?
-Ehi, gattina. Smettila di pensarci, adesso. Sono solo dei fanatici- disse Blake, subito prima di tossire.
-Tu li conosci?- abbassai la voce, per non svegliare Logan. La guardia fece lo stesso.
-Ne ho sentito parlare. E sono dei fanatici. Gli ideali di cui parlava Logan sono delle assurdità. Grandezza. Potere divino. Superiorità assoluta. Non so dove ti stai andando a cacciare, Tessa, ma se stai per incontrare il loro capo, preparati al peggio.- Blake fece una pausa, chiuse gli occhi e sospirò. -Sono in condizioni pietose, scusami. Ho bisogno di riposarmi, dovresti fare lo stesso.- Poco dopo, udii il suo leggero russare.
Lo guardai dormire con una certa tenerezza. Con quelle guance rosse, mi ricordava vagamente mio fratello, quando stava male nel bosco.
Mi alzai senza far rumore e sciacquai i panni con acqua fredda, per poi rimetterglieli su fronte e polsi.
Visto così da vicino, Blake aveva qualcosa di familiare. Troppo familiare. Qualcosa che apparteneva... Al passato, forse?
Scossi la testa. La stanchezza mi stava giocando brutti scherzi. Mi rigirai nel pagliericcio e mi costrinsi a dormire.
***
Logan fu cordiale con noi per tre giorni, finché Blake non fu guarito e arrivò il momento di ripartire.
Prima di andare, però, avevo ancora qualcosa da chiedergli.
-Logan, hai il giornale di oggi? O anche di qualche giorno fa.-
Lui sembrò pensarci un po' su, poi frugò in una cesta e ne tirò fuori un giornale. -È della settimana scorsa. Non vado spesso in città a comprarli, scusami.-
Quasi glielo strappai dalle mani e lessi il titolo della prima pagina: "DEREK SCOTT IN GALERA".
Dovetti rileggerlo all'infinito per capirne il significato. L'articolo spiegava come Derek avesse attentato alla vita della sorella e del piccolo; come una certa Mila Bain e i suoi genitori avessero poi provato la sua colpevolezza in tribunale. E come lui, alla fine, fosse finito in carcere.
In un moto di rabbia, feci a pezzi il giornale. Blake mi mise una mano sulla spalla, in un misero tentativo di conforto. Logan non parlò.
Ripartimmo poco dopo, con nuove scorte e la stessa meta: Edge. In più, mi caricai un peso sul cuore. Sapere che Derek era in galera mi faceva ribollire di rabbia. Rabbia verso Mila, verso Richard. E io ero troppo lontana per fare qualsiasi cosa. Ma non potevo tornare indietro, non adesso.
Mi sentivo in colpa. Era come se stessi tradendo Derek. Dopotutto avevo lasciato il mio futuro marito da solo. L'anello che portavo al dito divenne un fastidioso macigno, ma non lo tolsi nemmeno per un istante. Pregai mentalmente che Derek mi perdonasse.
Il viaggio divenne infinito, soprattutto perché spesso desideravo tornare a Zelum. Benché Blake mi ripetesse ogni giorno che Derek si sarebbe tirato fuori da quella situazione, a me sembrava che il mondo stesse cadendo a pezzi.
Non facemmo altre soste nelle fattorie e spronammo i cavalli fino allo stremo. Avevo fretta di mettere fine a quella storia e tornare da Derek, da mio fratello, da Mara.
***
Arrivammo a destinazione in anticipo sui tempi previsti.
Edge, che era rimasta un ricordo per tanti anni, adesso mi si apriva davanti come una meraviglia del mondo. Le strade erano piene, ma non caotiche, le case erano variopinte e di diverse grandezze, tutte con un giardino o un orto. Dolci note musicali provenivano da una delle piazze mentre attraversavamo la città sul carro. Il profumo dei fiori si mescolava all'aria salmastra, la gente passeggiava con calma sui marciapiedi e il rumore della ferrovia era solo un'eco che non rovinava in alcun modo l'atmosfera creatasi.
Da Edge si vedevano chiaramente tutti i paesaggi di Surn: il mare a sud, le montagne a ovest, le colline a nord e le pianure a est. Alti alberi spuntavano dal nulla in mezzo alla città, immergendola nel verde delle loro fronde. Sopra di noi, un cielo azzurro e limpido faceva da cornice allo spettacolo che era la mia terra natia, regalandoci un sole luminoso.
Dopo, crudele come mai, giunse la realtà: erano tutti traditori. Ognuno di loro era complice. Gli abitanti di Edge mi avevano voltato le spalle. E io non potevo che odiarli. In mezzo a quelle vie, dove avrei dovuto sentirmi a casa, era come se la mia infanzia fosse svanita. Solo un posto poteva salvarmi da quell'amarezza; ed era lì che eravamo diretti.
Mi voltai verso Blake, seduto al mio fianco, e mi ricordai all'improvviso che pure lui era originario di Edge. Chissà se anche lui avrebbe voluto vedere casa sua, prima di andar via.
Alla fine, un po' in rovina e ricoperta d'edera e muschio, ci apparve davanti dopo aver svoltato l'ennesimo angolo: casa mia.
Il grande giardino, ormai abbandonato, era diventato selvaggio e immenso, ricoprendo quasi del tutto il viale che portava all'entrata. Lasciammo il carro fuori e proseguimmo a piedi, facendoci strada fra la natura incontrollata. Per qualche motivo, sapevo di essere sulla giusta strada. Chiunque mi stesse aspettando, era lì dentro.
Il portone d'ingresso era socchiuso e non fu faticoso aprirlo, nonostante le ingiurie del tempo lo avessero rovinato. All'interno vi era aria di morte. Respiravo ancora i ricordi di quella sera maledetta. Immaginai i corpi senza vita dei miei genitori sul pavimento... Scossi la testa, cacciando via quelle immagini spaventose. Blake, vicino a me, non osava proferire parola.
Con orrore, guardai le statuette che decoravano stanze e corridoi e mi domandai se ci fosse ancora quella che, per mano di Edmund Fletcher, aveva ucciso mia madre. Non mi soffermai a cercarla e proseguimmo.
Al piano superiore, vidi la mia stanza intatta, con solo le coperte scombinate da un brusco risveglio. La camera dei miei genitori, vicina a quella di Ryan, era nelle stesse condizioni. Mi costrinsi a non soffermarmi nemmeno lì e andai avanti, alla ricerca dell'autore di quelle lettere.
Infine, lo trovai.
Nella sala da ballo, la preferita di mia madre, oltre alla polvere e agli strumenti musicali abbandonati, vi erano le finestre spalancate e, nella penombra, una figura sconosciuta. Mi bloccai proprio al centro, dove il sole m'illuminava per intero. Blake fece lo stesso ed estrasse la pistola, puntandola contro l'individuo. Quando costui si decise a venire alla luce, mi resi conto che si trattava di una donna. No, non una donna qualsiasi, bensì la moglie di Timothy Batchelor, quella che avevo visto una sola volta a Resal.
Negli stessi abiti coprenti di allora, appariva irriconoscibile. Non vi era modo di vedere il suo volto o la sua pelle. Ma potevamo sentire la sua voce.
-Ti stavo aspettando- esordì con una voce stranamente familiare.
Un secondo prima che replicassi, la donna si liberò del copricapo, scoprendo così la sua faccia.
Il mio cuore si fermò. Conoscevo benissimo quella donna.
-... Mamma?-
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