33 - Dietro al sole d'estate

-Vediamo se ho capito bene... Hai tentato di uccidere Richard Molloy a mani nude.-

-Sì.-

-Nella Sala Circolare.-

-Già.-

-Davanti a tutti i consiglieri.-

-Proprio così.-

-E l'unica cosa di cui ti preoccupi è non esserci riuscita?-

-Avrei risolto un mucchio di problemi- sbuffai. Devony scoppiò in una fragorosa risata, seguito a ruota dal fratello. Vicino a loro, Cole scuoteva la testa.

I consiglieri mi avevano trascinata di peso fuori dalla sala, imprecandomi contro e rinchiudendomi nel solito stanzino deprimente. Né Derek né Ryan avevano mosso un dito per aiutarmi. 

Ora, stravaccata sul divano in pelle, mi sentivo più frustrata che mai. Ero venuta in quel dannato posto per cambiare la mia vita, per trasformarla in qualcosa di migliore. Ero lì per spodestare Richard dal suo prezioso trono e per riprendermi mio fratello.

Sei venuta qua anche perché l'idea di ottenere un po' di potere ti allettava, mi suggerì una fastidiosa vocina nella mia testa.

Niente di tutto ciò era accaduto. I consiglieri erano un branco di idioti che non vedevano -o non volevano vedere- la realtà dei fatti.

Richard Molloy era colpevole. Loro lo sapevano. Tutti lo sapevano. Il suo potere si basava sul terrore altrui, sulla propria consapevolezza di superiorità e sull'influenza carismatica.

Sbuffai, irritata. Il Consiglio del Cielo lo temeva, questo era chiaro. Ma cosa ne era della giustizia e della legge di Surn?

Strinsi gli occhi, cercando una risposta sospesa in aria.

Se Molloy sedeva ancora al Consiglio dopo tutto quel tempo, non sarei stata io a far smuovere la giustizia.
Nessuno, in quel posto, aveva davvero preso posizione per anni. Ero abbastanza sicura che l'omicidio dei miei genitori non fosse stato né il primo né l'ultimo dei crimini commessi da quell'uomo.

Sospirai tra me e me. L'unico modo per detronare Richard Molloy, era far valere il diritto di successione di Ryan, sebbene quest'ultimo avesse recentemente perso la zucca.

In un punto recondito della mia mente, l'eco persistente della vendetta mi suggeriva di farmi giustizia da sola. Per fortuna, la parte più lucida e razionale della mia persona decise di prevalere sull'istinto e di soffocare quei deliri pazzoidi. Perché era da pazzi desiderare di far fuori l'assassino dei propri genitori, no?

... No?

Qualcuno aprì la porta, evitandomi un catastrofico scontro col mio io interiore. Un ometto prossimo alla calvizie fece il suo ingresso, mentre alle sue spalle altre persone discutevano animatamente. 

-Derek non è in una buona posizione. Al suo posto, vorrei accanto le mie guardie del corpo-  disse Timothy Batchelor, palesemente intenzionato a svuotare la stanza da persone superflue.

Blake e Cole si lanciarono un'occhiata, indecisi sull'abbandonarmi o meno con quell'individuo, poi seguirono il malcelato invito del consigliere e uscirono dalla stanza per raggiungere il loro capo. 

Timothy e Devon si scambiarono sguardi di disapprovazione, entrambi evidentemente disturbati dalla presenza dell'altro. A dirla tutta, neanch'io morivo dalla voglia di condividere la mia aria con quel topino stempiato. 

Feci per aprire bocca, ma lui scosse la testa e prese la parola prima di me. -"Sopra di noi, il Cielo è il nostro unico giudice" è una delle tante frasi attribuite al senso della Sala Circolare. Il costruttore di questa sede aveva notevoli progetti, Tessa. Alcuni dicono che soffrisse di manie di grandezza; altri lo ritenevano un genio o un pazzo.- Dopo una breve pausa a effetto, continuò: -Secondo lui, chi governava doveva mantenere un contatto diretto con l'immensità del cielo, quasi per creare un rapporto divino. Eppure, nonostante i suoi illustri ideali, nessuno ricorda il nome del costruttore, né vi sono testimonianze della sua reale esistenza, a parte questo posto. Alla gente piace chiamarlo "l'Angelo".-

Timothy sorrise, un po' immerso nei suoi pensieri riguardo il cosiddetto "Angelo". Io trattenni a stento il disgusto. 

-Questo "Angelo" non è altro che l'ennesimo folle assetato di potere. Sopra di voi, solo il Cielo?! Sul serio?! Siete dei consiglieri, non divinità. Una corona celeste non fa di voi delle creature onnipotenti.-

Le mie stesse parole mi scossero e, a giudicare dall'espressione dipinta sul volto dell'ometto di fronte a me, ero stata condotta a quel ragionamento. La corona celeste non rendeva immortali i consiglieri, non letteralmente almeno. In un certo senso, invece, era proprio quello che faceva. Erano quasi intoccabili. 

Mi morsi l'interno di una guancia, a disagio. Scossi la testa per scrollarmi quei pensieri dalla mente e rivolsi un'occhiata truce a Timothy.

-Che ci fai qua?- Dubitavo che fosse venuto solo a dispensare la sua velenosa filosofia. 

I suoi occhietti si spostarono nuovamente su Devon, il quale non aveva aperto bocca. Quando tornarono su di me, la sua faccia aveva assunto una sfumatura purpurea ed era stata imperlata da qualche goccia di sudore. Il consigliere si avvicinò di scatto a me, impacciato nei movimenti e curiosamente instabile sui piedi. Le sue mani, che erano state strette in due buffi pugnetti fino a quel momento, raccolsero una delle mie per portarla alla sua bocca. Posò un maldestro bacio sul dorso e poi rinchiuse le mie dita tra le sue. Nascosto fra di esse, c'era qualcosa.

-Le cose stanno per cambiare, Tessa. Sta a te decidere in che modo. Vuoi indossare la corona celeste o vuoi diventare il cielo?- Un po' titubante, Timothy uscì dallo stanzino senza aggiungere altro. 

Strinsi la mano attorno all'oggetto che vi aveva depositato. Avrei dovuto aspettare di rimanere sola per dargli un'occhiata e...

-Il tuo amico fa schifo a mantenere i segreti. Cosa ti ha dato?- Devon mi si piazzò davanti, incuriosito quanto me da tutto quel mistero. Sbuffai. Era inutile fingere. 

Schiusi le dita per rivelare un pezzo di carta stropicciato al loro interno. Lo distesi alla bell'e meglio e lessi le poche parole nere che lo coloravano: "Dietro al sole d'estate". Le dissi ad alta voce, più per farmele entrare in testa che per farle udire a Devon. Cosa diavolo significavano? 

Il giornalista rimase impassibile. -Ragiona- mi suggerì. 

-Grazie tante, è quel che sto cercando di fare- ribattei, seccata. Un attimo dopo, notai una punta di autocompiacimento sugli angoli incurvati della sua bocca. -Sai già cosa vuol dire questo maledetto messaggio!- 

-Un consigliere con cui hai avuto a che fare qualche tempo fa ha fatto irruzione in uno stanzino, cercando la tua attenzione e provando in tutti i modi a rimanere da solo con te. Nonostante ciò, aveva previsto che non ci sarebbe riuscito. Questo spiega il messaggio su carta e il goffo tentativo di passare inosservato- disse semplicemente. 

-Ok, e quindi? Si tratta di una specie di messaggio in codice! E tu sai già la soluzione: dimmela!- 

-Il messaggio è per te, non per me. Mi piacciono gli indovinelli, ma credo che tu sia abbastanza sveglia da risolverlo per conto tuo. Fai in fretta, però. Tra poco avremo compagnia e tu non avrai più la possibilità di trovare la risposta. In quel caso, lo farò io. E la terrò per me.- Nel suo tono provocatorio c'era qualcosa di sinistro. Non stava scherzando: lo avrebbe fatto davvero. Devon era troppo ambiguo per i miei gusti. Lo ignorai e rilessi il messaggio.

Dietro al sole d'estate.

Mi concentrai a fondo sul possibile significato nascosto di quelle parole, ma non riuscivo a trovarne un senso logico. Cosa voleva dirmi? E perché dirmelo in quel modo?

Mi sentii una stupida. Devon aveva capito al volo, quindi la risposta era lì, a portata di mano. Peccato che io non riuscissi a vederla. Socchiusi gli occhi. Non sapevo ragionare da giornalista, ma potevo farlo da cacciatrice. 

Rinunciai al messaggio e mi concentrai su ben altro. Quando cacciavo, conoscevo esattamente ogni singolo dettaglio della situazione: il luogo, la preda, i tempi d'azione. Sapevo quando e come muovermi e agire. Bastava analizzare. 

In quel caso specifico, io ero la preda e Timothy il cacciatore. La sede del Consiglio era il luogo.

No, mi corressi, questo buco è il luogo di caccia. Avrebbe potuto avvicinarmi prima o anche dopo. Invece aveva scelto quella microscopica sala d'attesa. Aveva tentato di isolarmi. Non era andato dritto al sodo, perché si presupponeva che fossi l'unica a recepire il messaggio. 

Proprio dentro quella stanzetta.

Spalancai gli occhi per guardarmi attorno: il solito divanetto in pelle, lo stesso misero tavolo di sempre, gli anonimi quadri appesi alle pareti. Cosa mi sfuggiva?

Osservai più attentamente i quadri: uno di essi raffigurava un prato fiorito, con una grossa quercia sullo sfondo, le colline a circondarla; il cielo era terso, di un azzurro vivace; in un angolo, un sole giallo illuminava la scena. Un altro quadro era completamente diverso, più tetro e immobile. La neve dominava sull'intero paesaggio, le nuvole coprivano il cielo e promettevano tempesta; sullo sfondo vi era un albero maestoso, anch'esso bianco...

Guardai il quadro seguente: l'erba era un po' secca, il cielo grigio, le colline gialle e rosse; un timido sole faceva capolino in un angolo, dietro una nuvola. 

Quando spostai l'attenzione sull'ultimo quadro, ormai avevo già capito. Il paesaggio raffigurato era il medesimo, catturato dal pennello del pittore in diversi periodi dell'anno. Più precisamente, in diverse stagioni. Primavera, inverno, autunno e...

La tela finale raffigurava uno splendido prato ricco di vita; i fiori sembravano essersi moltiplicati a dismisura e adesso erano popolati da insetti e piccoli animali; la quercia appariva più imponente che mai, mentre le colline brillavano di un verde abbagliante; ma i colori più sgargianti erano stati usati per dipingere il sole, nell'angolo in alto a sinistra, che donava luce all'intero quadro.

Eccolo lì, il sole d'estate.

Mi avvicinai al quadro incriminato, ma mi arrestai un attimo prima di sfiorarne la cornice.
Se non avevo frainteso il messaggio, c'era qualcosa dietro alla tela; qualcosa che l'autore del messaggio aveva pensato per me, solo per me. Non per Devon.

-Non credi che sia tardi per cercare di nascondere segreti?- domandò il giornalista, un sopracciglio sollevato a schernirmi. -Inoltre,- continuò -non credo che rimarremo soli ancora a lungo. Ti do una mano a tirarlo giù.-
Così, senza attendere il mio consenso, rimosse il quadro dalla parete, lasciando l'impronta bianca del suo riscontro oddio. Me lo porse con delicatezza e mi assegnò il compito di risolvere definitivamente quel rompicapo.
Appoggiai il quadro sul tavolo, rigirandolo sul retro, e ne esaminai l'angolo dietro al quale era dipinto il sole d'estate. Un pezzo di cornice era stato rotto e riattaccato. Lo separati con cautela dalla tela per scoprire un altro foglio di carta. Soppressi un brivido e afferrai quello che sapevo essere l'ennesimo messaggio.

"Non dimenticare le tue radici, Tessa. Il tuo futuro ti attende dove risiede il tuo passato. Incontralo al confine."

L'impronta insanguinata di un dito faceva da firma all'inquietante invito.
Nonostante avessi letto a mente ciò che era scritto sul foglio, avvertivo lo sguardo curioso di Devon che, alle mie spalle, si interrogava sul significato sinistro di quelle frasi.

Questa volta, però, il mio istinto aveva preceduto il suo intuito. Chiunque fosse l'autore di quel mistero, mi aveva dato appuntamento a Edge.

***

La situazione era degenerata più del previsto: a quanto pareva, il Consiglio aveva deciso per maggioranza di voti (ed ero pronta a scommettere che Richard avesse influito parecchio sul verdetto dei suoi colleghi) che la sottoscritta non era in grado di seguire le orme di Eugene Farrell, in quanto considerata troppo selvaggia e incivile per essere adeguata a un ruolo talmente privilegiato.
Evidentemente, il mio tentativo di uccidere Richard Molloy a mani nude non aveva attirato le simpatie dei consiglieri.
Tuttavia, Derek era riuscito a convincerli che, con la giusta educazione, presto avrei potuto essere degna di ricoprire quella carica importante. Per fortuna o per sfortuna, la stessa sorte era toccata anche a Ryan; sebbene non possedesse le medesime qualità della sorella scimmiesca, era stato considerato ancora troppo giovane e immaturo per prendere le redini del potere dei Molloy. In quanto legittimo erede, però, poteva scegliere il suo tutore. E chi altri, se non l'adorabile zietto?

Ormai non avevo più dubbi sul masochismo di mio fratello. Non appena gli si era presentata l'occasione di oscurare la figura di Richard, lui l'aveva messa maggiormente in luce, rendendo vani i miei tentativi di accusa.

Che fratellino arguto.

Tutto questo mi era stato freddamente riferito da Derek Scott in persona che, tanto per completare la scena disastrosa delle nostre vite, si trovava in una situazione persino più critica della mia: le accuse di tentato omicidio erano ancora valide e il suo nemico era deciso a farne un vero e proprio processo; con Mara troppo debole tra le braccia di Richard e io con una fama non delle migliori, Derek era a corto di testimoni attendibili. In poche parole, si sarebbe trattato dell'ennesimo sconto di potere tra i due vertici di Surn.

Tra l'infinita di problemi che si accumulavano inesorabili nella mia esistenza, ciò che più mi premeva era l'invito in codice del misterioso personaggio che si celava dietro la firma di sangue.

Con mia grande sorpresa, Devon aveva mantenuto per sé il segreto del quadro e non aveva fatto domande invadenti. Un giornalista discreto, da non crederci!

La persona che si nascondeva dietro a un'impronta non si era preoccupata di specificare il giorno e l'orario del nostro fatidico incontro. Il suo invito era aperto, paziente e urgente al contempo. Quante possibilità avevo di mollare tutto e tornare a Edge? E come avrei reagito rimettendo piede nella mia città natìa, nella città che mi aveva tradita? Avrei dovuto parlarne con qualcuno, magari con Derek? E che ruolo aveva Timothy Batchelor in tutto questo?

Minuscoli frammenti di ricordi, microscopici pensieri perduti chissà dove e quando si mescolavano nella confusione totale della mia mente.
Immagini sfocate dal passato. Il volto sdoppiato di mia madre, una voce. Due voci. Ronald Molloy. Conversazioni lasciate a metà, parole sospese in aria. La disperazione di Mila. Il suo tradimento. I sospetti di Cole. Richard Molloy e la sua perversa capacità di mandare in frantumi il mio equilibrio psicofisico. Il mio rapporto quasi morboso con Derek Scott. I segreti di Derek. I miei segreti. La vendetta. Le domande senza risposta. Il cognome sconosciuto di Devon e Blake. L'insistenza di Devon sul mio passato. Un'eco lontana, una consapevolezza nascosta. La relazione segreta di Mila e Ryan. L'aborto di Mara. Il processo imminente di Derek per tentato omicidio. Il mio posto negato nel Consiglio del Cielo.

E mentre tutto ciò minava la mia sanità mentale, io mi sentivo smarrita.

***

Evitai qualsiasi contatto umano per giorni e giorni. 

Mi rintanavo in biblioteca o passavo le giornate nei giardini. Qualche volta sgattaiolavo fuori dalla villa. Non era difficile come un tempo: Derek non badava a me adesso che il mondo sapeva della mia esistenza.

Ecco, quest'ultimo dettaglio era diventato un problema. In qualche modo, ero famosa. La gente mi riconosceva per strada e mi tempestava di domande, ma io scappavo via ogni volta. Molti accennavano ai miei genitori, descrivendoli come brave persone, degne di stima e affetto. Dovevo ammettere a me stessa che mi sentivo rincuorata da quelle parole colte di sfuggita. Le persone conservavano bei ricordi di mio padre e mia madre, ricordi che a me mancavano. Provavo uno strano senso di nostalgia. E il mio smarrimento aumentava con esso.

Ma c'era qualcosa che mi distraeva, seppur in minima parte, dalla catastrofe circostante.

Zelum.

Finalmente avevo l'opportunità di vederla e visitarla da cima a fondo, senza colossi a chiudermi dentro una claustrofobica carrozza. La città era un'esplosione di blu, in tutte le sue sfumature. Era il punto d'incontro tra l'immensità del cielo e la vastità del mare. I palazzi raggiungevano altezze vertiginose, rendendo credibile l'accesso al mondo celeste. I loro muri toccavano tutte le tonalità del colore dominante, mescolandosi anche col bianco e l'argento. La vita tra le strade era frenetica, ma mai come al porto. Lì la gente non si dava tregua. Era un viavai di imbarcazioni, di marinai, di visitatori e viaggiatori.

Speravo di vedere Edmund Fletcher scendere da una di quelle navi, prima o poi.

Il mare mi sorprendeva sempre col suo continuo muoversi, ondeggiare e poi tornare calmo. L'odore salmastro mi ricordava casa, la mia vera casa. L'acqua salata mi rinfrescava durante le mattine più afose, la brezza mi schiariva le idee.

Da qualunque prospettiva la si guardasse, Zelum era magnifica; ma io preferivo osservarla dall'alto. Avevo visto le albe e i tramonti dagli altissimi palazzi che dominavano sulla città, avevo osservato le persone camminare al di sotto di me, piccole come formiche da quella distanza. Avevo provato la sensazione del vuoto, aggrappandomi in un punto strategico e lasciando le gambe penzoloni fino a sentire le braccia bruciare. Avevo sperato di toccare le nuvole, avevo sentito il sole più vicino e più caldo sulla mia pelle. Avevo persino accolto la pioggia prima di tutti gli altri, diversi metri sotto.
Avevo urlato al vento, avevo superato tutti in altezza. Ero diventata più grande persino degli alberi imponenti che mi avevano accompagnata infinite volte nel bosco.

Eppure non avevo mai toccato il cielo. Per quanto io tentassi di allungarmi verso di lui, rimaneva sempre troppo distante.

Potevamo diventare un tutt'uno? Potevo, anch'io, essere irraggiungibile?

Le cose stanno per cambiare, Tessa. Sta a te decidere in che modo. Vuoi indossare la corona celeste o vuoi diventare il cielo?

Anche quel giorno, il vento mi riportava le parole di Timothy Batchelor. Forse mi sbagliavo, ma iniziavo a capire cosa intendesse dire.

E io volevo diventare il cielo.

***

Quando decisi che era giunto il momento di tornare a Edge e comunicarlo a Derek, mi avviai furtiva nella sua stanza.

Vuota.

Probabilmente era andato a una delle riunioni del Consiglio. O forse era in tribunale...?
No, no. Me l'avrebbe detto.

Optai per una passeggiata in giardino, ma mi sorpresi nel trovare Derek intento a percorrere il viale, in ritorno verso casa. Blake e Cole si erano fermati a diversi metri di distanza alle sue spalle.

Il pinguino procedeva a passo militare verso di me, gli occhi verdi fissati sui miei. Se non lo avessi visto centinaia di altre volte, avrei detto che stesse per attaccarmi.

Il suo sguardo glaciale non mi abbandonò neanche per un secondo, finché non fu a mezzo braccio da me.

Attorno a noi, solo l'erba e i fiori potevano udirci.

Prima che potessi rendermi conto di cosa stesse accadendo, Derek pronunciò chiaramente una sola parola.
Non una proposta. Un comando, forse.

-Sposami.-

Istintivamente, guardai il cielo.

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