30 - Un giornalista anonimo


Il giornalista, un tale Devony, arrivò a Zelum solo una settimana dopo la mia folle ispirazione. Derek mi aveva spiegato che era uno dei pochi uomini di Surn che raccontavano le verità scomode senza mezzi termini -sottintendendo, dunque, che la mia esistenza fosse una verità scomoda. A quanto pareva, proprio per questo motivo, preferiva mantenere un profilo basso per non attirare su di sé le attenzioni sbagliate. Non aveva reso noto il suo cognome né il suo indirizzo, così da non essere facilmente rintracciabile. Vantava un volto piuttosto anonimo, privo di segni di riconoscimento degni di nota che lo rendessero un individuo semplice da identificare e riconoscere. In sintesi, era un professionista. Si muoveva nell'ombra e scovava misteri e intrighi, facendosi carico di esporli agli occhi del popolo. 

I giornali locali non avevano nessun dubbio sulla veridicità dei suoi articoli e lo pagavano profumatamente. Gran parte delle sue vittime giornalistiche, però, desideravano la sua testa appesa al muro del salotto. 

Devony era un personaggio ambiguo, sgradito e sconveniente, malvisto dalla società e al contempo ricercato per la solerzia del suo operato.

E un fidato amico di Derek.

Per quanto fosse strano inserire fidato amico e Derek nella stessa frase, non trovavo altro modo per definirlo. Il signor pinguino Scott non avrebbe affidato una notizia tanto delicata a un giornalista qualunque. Lui voleva Devony. 

Così, seduta sull'erba fresca di rugiada, aspettavo pazientemente il suo arrivo alla villa, previsto per quel pomeriggio.

Negli ultimi sette giorni, la situazione all'interno di casa Scott si era più o meno stabilizzata: Blake non era stato licenziato ed era tornato a comportarsi come se nulla fosse accaduto; Mila si era scusata per il suo comportamento bizzarro, ma non mi aveva fornito ulteriori spiegazioni; Cole proseguiva la sua indagine ossessiva sulla domestica; Mara era stata dal dottore, il quale le aveva detto che la gravidanza si sarebbe rivelata più dura del previsto a causa di alcune complicanze della crescita fetale. Nulla che, a detta sua, non fosse risolvibile con qualche medicina.

Dal canto mio, ero scettica sul risultato della cura prescritta dal medico. Mara non accusava più quei dolori lancinanti con la stessa frequenza di prima, ma il suo aspetto era pessimo. In ogni caso, non aveva perso la sua euforia infantile.

Forse ero io a preoccuparmi un po' più del necessario. Beh, non solo io, in effetti... Anche Derek manifestava chiari segni d'inquietudine ogni qualvolta che notava il pallore della sorella. 

Il dottore, però, rimaneva fermo nella sua diagnosi; né Mara né il bambino correvano alcun pericolo di rilievo.

Derek SSS -Seduzione e Silenzio Scott- non aveva più toccato l'argomento Resal. Io non avevo insistito né su quello né sul mio posto al Consiglio. Presto la notizia del mio ritorno sarebbe diventata pubblica e io avrei potuto riscattare ciò che mi spettava, con o senza la sua approvazione. Con un po' di fortuna, avrei anche riabbracciato mio fratello.

-Un'intervista all'aria aperta? Un'idea degna di te, gattina, ma non credi che avresti un po' più di intimità tra le mura della villa? Ci sono orecchie indiscrete persino tra i fili d'erba.-

Alzai gli occhi su Blake, spuntato da chissà dove col suo solito inesistente rispetto per la solitudine altrui.
Il suo volto era ancora tumefatto, il labbro spaccato tirato in un sorriso gioviale.
Non potevo fare a meno di sentirmi responsabile per ciò che gli era accaduto. Derek lo aveva picchiato a causa mia. Se non mi avesse aiutata, se avesse ubbidito agli ordini di quel pinguino dispotico e presuntuoso...

-Non guardarmi come se fossi un cucciolo ferito- sospirò. -Mi sono meritato quei cazzotti.- Prese posto accanto a me, sull'erba. Gettò la testa all'indietro e poggiò i palmi sul terreno, assumendo un aspetto più simile a quello di un ragazzino spensierato che di una guardia del corpo.

-Mi dispiace...- mormorai, a disagio.

-Falla finita, gattina. Ho incassato una punizione minore di quella che mi aspettavo. Il padrone è ossessionato da te. Se tu non l'avessi fermato, mi avrebbe fatto a pezzi.-

-Avresti potuto difenderti- ribattei. Ed era vero: sebbene Derek fosse ben impostato, Blake era sicuramente più massiccio e allenato di lui. Avrebbe potuto reagire e prevalere nello scontro senza troppa fatica.

-Sì,- convenne -avrei potuto.-

-Ma non l'hai fatto.-

-E non ti viene nessun motivo in mente?-

Beh, effettivamente un motivo c'era. Gli altri scagnozzi lo avrebbero massacrato per difendere Derek. Forse persino Cole si sarebbe accanito sul collega.
Annuii e sbuffai. Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa.

In lontananza, udii il cancello aprirsi e richiudersi.

-Grazie- dissi di sfuggita, un secondo prima di scattare in piedi e procedere a grandi falcate verso il portone di casa. Blake mi seguì in silenzio nella hall, dove trovammo Derek in attesa del nuovo ospite.

I loro sguardi si incrociarono per un attimo, neutrali e pacifici. Non ci sarebbero state altre scazzottate, quel giorno.

-Magari mi sbaglio, ma... Devony non è un nome da donna?- domandai per ingannare l'attesa. I passi erano sempre più vicini.

Blake rise sotto i baffi e dissimulò l'ilarità con un colpo di tosse. -Direi proprio di sì.-

Guardai Derek, confusa. Magari avevo capito male e quel fantomatico giornalista era in realtà una donna...

I camerieri aprirono il portone della villa, permettendo l'ingresso all'uomo che intuii essere Devony.

La prima cosa che pensai fu che no, non era per niente una donna. I suoi lineamenti erano delicati, ma non androgini. E la barba ben curata non lasciava spazio a dubbio alcuno.

La seconda fu che aveva un'aria familiare, troppo familiare. I capelli scuri e lunghi, pettinati all'indietro, gli accarezzavano la nuca in un taglio ordinato. Gli occhi turchesi e infossati mi fissavano con critico interesse e celavano una scintilla di maliziosa curiosità. Era quella stupida luce nel suo sguardo che non mi era affatto nuova...

-Sorellona, da quanto tempo non ci si vede!- l'esclamazione giocosa di Blake mi lasciò di sasso. Erano parenti. No, peggio: erano fratelli!

Li osservai a bocca aperta mentre si prodigavano in un caloroso abbraccio, mettendo in risalto tanto le loro differenze quanto le somiglianze: avevano le stesse mani, la stessa pelle, lo stesso colore di capelli; Devony, però, era più basso di quasi tutta la testa rispetto al fratello, ed era decisamente più mingherlino e ossuto. Nonostante la statura e l'aspetto mantenuto, il giornalista doveva essere più anziano di Blake di diversi anni.
A dirla tutta, però, io non sapevo neanche quanti anni avesse quest'ultimo.

-Ringrazia il sangue che scorre nelle nostre vene, fratellino. Se non fosse per la madre che condividiamo, non mi farei problemi a mostrarti davanti a tutti quanto poco femmina io sia.-
Persino le loro voci erano simili e velate della medesima cadenza ironica!
-Piuttosto, ti sei visto? Sei addirittura più brutto del solito. Meno male che mi muovo in incognito, almeno non vengo associato alla tua faccia di culo!-

Si diedero un'ultima pacca sulle spalle e sciolsero quella stretta fraterna. Io mi sforzai di richiudere la bocca e osservai inebetita il nuovo arrivato.

-Derek Scott! Ogni volta che ti rivedo hai qualche ruga in più. L'ho sempre detto che la ricchezza porta preoccupazioni e le preoccupazioni portano a una vecchiaia precoce!-

Ok, forse mi ero sbagliata. Dopotutto, quel giorno ci sarebbe stata una scazzottata.

Mi preparai psicologicamente al destro di Derek sul fratello della precedente vittima e... E invece fui delusa. Il padrone di casa fece un cenno di saluto al giornalista e indicò me col capo.

-Tu devi essere Tessa Farrell- constatò Devony, avvicinandosi a me con fare indagatore. Mi passò una mano sul viso, come per accertarsi della mia reale presenza lì. Fratello diverso, vizio identico: toccare la gente senza permesso.

-Non sei cambiata affatto. Solo un po' più alta e imbronciata- disse con uno strano sorriso.

Ignorai il repentino cambio d'espressione di Derek e Blake, ma non mi lasciai sfuggire la sua affermazione.

-Ci siamo già visti?- domandai.

Mi fissò con insistenza per qualche secondo prima di rispondere: -Sì. Agli esordi della mia carriera, ho lavorato ad Edge, la mia città natale. Eri a malapena una bambina, ma mi ricordo perfettamente di te. E dei tuoi genitori.- 

Mi tese la mano e smise di sorridere. -Lieto di rifare la tua conoscenza.-

La strinsi, cercando nella mia memoria la sua immagine. Niente.

-Devony, accomodati pure in una stanza degli ospiti. Confido che passerai qui la notte, dico bene?- l'ordine di Derek, malcelato come invito, aveva un ché di minaccioso.

L'ospite accettò di buon grado e seguì un cameriere su per le scale.

-Hai un fratello!- dissi in tono d'accusa a Blake.

La guardia fece spallucce e ammiccò. -Ha importanza? Il fratello più sexy lo hai visto quasi tutti i giorni negli ultimi tempi.-

Lasciai al silenzio l'arduo compito di ammazzare la sua ironia da due soldi e guardai Derek sparire al primo piano.
Registrai in ritardo le informazioni fornitemi da Devony. Lui e Blake provenivano da Edge, la mia città natia.

La città che mi aveva voltato le spalle.

***

-Cosa diavolo ci fate nella mia stanza?!-

Era sera, quasi notte. 

Dopo cena mi ero fermata a chiacchierare con Mara nella sua camera ed ero andata via solo quando si era addormentata beatamente abbracciata al cuscino.

Decisa a farmi una bella dormita in vista dell'intervista del giorno seguente, mi ero incamminata verso la mia stanza e, una volta entrata, avevo visto quei quattro deficienti seduti sul mio letto.

-Siamo in riunione- Cole mi liquidò con noncuranza, la sua attenzione rivolta altrove.

-Siete sulle mie lenzuola- gli feci notare, mantenendo a stento la calma.

-Abbiamo appena portato a termine la nostra piccola opera di spionaggio. Adesso ne traiamo le conclusioni- spiegò Devony, senza neanche degnarmi di uno sguardo.

-Nella mia stanza- constatai.

-Dalla tua stanza- precisò Blake.

-Voi siete matti! Di che accidenti parlate?!-

Derek, scuro in volto, lanciò un'occhiata eloquente ai suoi uomini -specialmente a Cole- e uscì a grandi passi dalla porta.

-Qualcuno mi vuole dire che succede?- sbuffai, esasperata. Cole si issò in piedi, torreggiandomi dall'alto dei suoi due metri di altezza, e mi superò oltre la soglia con la stessa simpatia del suo padrone.

Gli uomini che circolavano in quella villa erano adorabili.

Blake si stiracchiò sul mio letto e si mise comodo tra i guanciali.

-Chiamo Mila per un tè?- proposi con sarcasmo.

-Oh no, Tessa, non credo sia proprio il caso di disturbarla a quest'ora. Sono sicuro che abbia qualcosa più interessante da fare e gente meno noiosa di noi a cui dedicare le sue attenzioni.- Devony mi sorrise. C'era qualcosa di enigmatico in quell'uomo. Qualcosa che mi faceva girare la testa. E no, non nel senso romantico del termine, ma in quello nauseante.

Considerato che i due fratelli non sembravano affatto intenzionati a sloggiare, mi accomodai sulla poltrona di fianco al letto e tamburellai le dita sul ginocchio.

Vedendoli lì, due ex abitanti di Edge con una vita apparentemente decente, non potei fare a meno di provare un pizzico di rancore nei loro confronti. Dov'erano, loro, mentre Edmund Fletcher, Walt Frazier e gli altri uomini di Richard entravano in casa mia e rovinavano la mia famiglia?
Anche loro erano rimasti in silenzio davanti allo scempio di quel tiranno? Erano stati impassibili di fronte a due bambini in fuga?

-Chiedi quel che devi chiederci, Tessa. E smettila di torturarti le mani.- Mi accorsi di aver conficcato le unghie nei palmi solo dopo l'intervento di Devony.
Il giornalista, a cui non riuscivo ad attribuire un'età precisa, mi guardava come fossi un esemplare in via d'estinzione. Non riuscivo a leggere le sue emozioni, eppure mi era chiara la sua ostentata pazienza e disponibilità verso la mia persona.
Mi metteva a disagio.

Anche Blake si mise sull'attenti, accanto al fratello. In qualche modo, i nostri ruoli si erano invertiti. Ero io quella a fare le domande.

-Qual è il vostro cognome?- Avevo bisogno di saperlo. Magari le nostre famiglie si erano conosciute, o forse eravamo addirittura vicini di casa... 

Mi diedi della stupida: non mi avrebbero dato una risposta, non una veritiera perlomeno. Se Devony aveva mantenuto l'anonimato per tutta la sua carriera, non vi avrebbe rinunciato per un mio capriccio. Tutt'al più mi avrebbe rifilato una bugia per farmi contenta.

-Sei una ragazza sveglia, Tessa. Mi aspetto che tu capisca che non potrei darti una risposta sincera e dunque preferisco non dartene alcuna.-

Guardai il giornalista, intento ad alzarsi dal letto e stiracchiarsi esattamente come il fratello.

Il mio istinto elaborò i dati ancor prima della mia mente, cosicché le parole abbandonassero la mia bocca senza preavviso: -Derek conosce la vostra identità.-

Non era una domanda. Non avevo dubbi a riguardo: Derek Capo Supremo Scott non avrebbe assunto Blake come guardia del corpo se non avesse saputo il suo cognome e le sue origini; e non avrebbe affidato la mia storia nelle mani di uno sconosciuto.

Devony sfoggiò un altro dei suoi sorrisi enigmatici e portò il viso alla mia altezza. Mi afferrò il mento con due dita e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Blake, dietro di lui, aveva un'espressione seria che non gli apparteneva. 

-Deduzione azzeccata, Tessa Farrell.- Sentivo il suo fiato sulla faccia, il suo sguardo misterioso trapassarmi come una freccia. Quell'uomo non mi piaceva. 

-Ti fidi così tanto di Derek Scott da credere che non mi dirà il tuo cognome se glielo chiederò?- tentai di far suonare quella domanda come una sfida o una provocazione, ma fallii miseramente. Nel momento stesso in cui la pronunciai, la mia sicurezza vacillò. Derek mi avrebbe davvero svelato il nome della famiglia del giornalista? 

-Io non mi fido di Derek Scott- lo disse con tanta semplicità che seppi subito che non mentiva. Allora per quale motivo aveva rivelato la sua identità a un uomo di cui non si fidava?

-Ma tu sì, vero?- mi domandò. Provai una sensazione di fastidio talmente forte che mi venne voglia di sgozzarlo. Aveva usato un tono dolce e saccente, adatto a una bambina di quattro anni. A giudicare dalla sua voce, sembrava quasi che provasse una sorta di tenerezza -o pena- per me. 

-Ciecamente- risposi con fermezza. -Dovresti anche tu, considerando che potrebbe rendere pubblico il tuo segreto. Lui si fida di voi o non permetterebbe a Blake di essere la sua guardia del corpo personale.-

Devony mi posò un fugace bacio sulla fronte. Raggiunse la porta, seguito da suo fratello, e mi rivolse un'ultima volta la parola: -Viviamo in un mondo in cui la fiducia è sopravvalutata. Ci sono altri fattori, molto meno nobili, che determinano un rapporto duraturo.- 

***

Il giorno seguente, dopo pranzo, Devony insisté affinché io e lui rimanessimo soli per l'intervista. Mise a tacere persino le insistenze di Derek e, come se non bastasse, tirò le tende e sigillato le finestre del salotto in cui ci trovavamo. Ignorando gli ordini del padrone di casa, chiuse addirittura a chiave la porta e fece sgomberare l'intero corridoio. A fare da sentinella, c'era Blake. Anche lui, però, era ben distante dal nostro rifugio a prova di spia. 

A nulla erano serviti i miei tentativi di spiegargli che tutti, lì dentro, conoscevano la mia storia. Non c'era nessun motivo logico per tenerci segregati in una stanza. A meno che non volesse abusare di me -e glielo avevo sconsigliato, per il suo bene- non avevano senso tutte quelle precauzioni. A lui piacevano il silenzio, la discrezione e l'intimità. Almeno così aveva detto. 

Così, armato di nient'altro che la sua persona, si sedette sulla poltrona di fronte alla mia, accavallò le gambe e rimase a fissarmi senza aprire bocca. Trovai strana l'assenza di fogli e penne per prendere appunti, ma non diedi voce ai miei pensieri. Dopotutto non avevo idea di come lavorasse un giornalista. Se Devony aveva intenzione di scrivere l'articolo a memoria, erano fatti suoi, ma se avesse osato inventare dettagli sulla storia, avrei fatto in modo che la prossima notizia sul giornale corrispondesse a quella della sua morte.

Dopo quell'infinita contemplazione, finalmente mi porse la prima domanda. E poi un'altra, e un'altra ancora... 

Raccontai la storia della mia vita come se la stessi leggendo da un libro. Con mio profondo rammarico, mi resi conto di non ricordar gran parte della mia infanzia. O meglio, non ricordavo nulla al di fuori della felicità della mia famiglia. Non ricordavo la faccia del fornaio, i volti delle balie, il giardino di casa mia...

Persino la fuga nel bosco sfumava nella mia mente. In verità, fino a quel momento ero convinta di aver mantenuto nitide le immagini di me e Ryan che ci allontanavamo dalla città, ma Devony demolì ogni mia convinzione. Non mettevo più a fuoco i sentieri, il tragitto, il tempo. Avevo dimenticato i dettagli. 

Domanda dopo domanda, ebbi la vaga sensazione che il giornalista dubitasse della veridicità del mio racconto. Non lo dava a vedere, ma ogni volta che chiedeva qualcosa, sembrava che sapesse già la risposta. 

Impiegai quasi un'ora a spiegargli che no, nessuno mi aveva aiutata. Anzi, gli abitanti di Edge mi avevano apertamente voltato le spalle e tentato di consegnarmi al nemico!

-Tessa, qualcuno deve averti aiutato. Una bambina così piccola non può arrivare così tanto lontano senza alcun supporto. Cerca di ricordare- sospirò lui.

Spazientita ed esausta, lo mandai al diavolo. Avevo fatto tutta da sola! Tutto! Che lui trovasse credibile o meno la mia storia, erano fatti suoi!

-Sono qui! Sono viva! Non è questo che conta?- sbraitai, agitando le mani in aria. 

Devony si massaggiò le tempie. -Sì, è questo che conta. Ma non basta. Devi acquisire consapevolezza e lucidità.-

-Sono consapevole che i miei genitori sono morti e sono abbastanza lucida da capire di essere orfana, grazie- sbottai al limite dell'esasperazione.

-Sai quanti chilometri dista Edge da Old Rooster?- chiese all'improvviso.

-Non di preciso, ma...-

-Più di trecento chilometri. Quasi due settimane di cammino ininterrotto.-

Aprii la bocca, ma la richiusi senza emettere suono. Non sapevo di aver fatto tutta quella strada.

-Non amo la parola impossibile, ma è quantomeno improbabile che due bambini siano riusciti in una tale impresa. Anche se fosse, come avreste fatto ad andare avanti per tutto quel tempo senza mangiare, senza un tetto, senz'acqua? Qualcuno vi ha aiutati, per forza.-

Non me lo stava chiedendo. Non lo stava nemmeno ipotizzando. Ne era certo. 

Era sicuro che io mi sbagliassi.

Come dargli torto? Anch'io cominciavo a diffidare della mia memoria. In fin dei conti, non si poteva considerare un viaggio alla portata di qualsiasi bambino. Io c'ero riuscita, però. Come, non lo sapevo. Ma ce l'avevo fatta.

Scossi la testa, rassegnata. -No, non ho ricevuto aiuto da parte di nessuno.-

Devony sospirò. Per un attimo, il suo volto apparve stanco e segnato da ingiurie più profonde del tempo. -Se solo tu ricordassi...- Come scosso da una lotta interiore, si stropicciò gli occhi e si accarezzò la barba prima di riprendere il controllo di sé. 

-D'accordo, dovrò farmene una ragione, per adesso. Ho abbastanza materiale per l'articolo di giornale. Mi metto subito a lavoro.- Devony ammiccò e mi tese tese la mano. -Sei pronta a fare la tua entrata in scena, Tessa?-

La strinsi di buon grado e sorrisi, un po' incerta. No che non ero pronta. Avevo vissuto bene proprio perché tutti mi davano per morta. Il mio ritorno avrebbe attirato curiosi e impiccioni... E personaggi sgradevoli come Richard.

Ma era tempo di reclamare il mio posto a Surn. E, soprattutto, era ora di dimostrare a quel dannato Molloy che avrei lottato fino alla morte.

La mia o la sua.

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