29 - I baci del silenzio
Gli uomini di Timothy Batchelor gettarono a terra le pistole e rimasero in attesa di un comando.
Comando che non arrivò mai, perché qualcuno buttò giù la porta della sala da pranzo e fece irruzione nella stanza. Più di una dozzina di uomini armati circondarono gli altri presenti, mentre un certo pinguino avanzava a passo lento verso il padrone di casa.
Postura impeccabile, sguardo glaciale e un'aura a dir poco assassina... Derek Scott si piazzò davanti a Timothy, il quale tremava come una foglia e sudava come un suino.
Che diavolo ci faceva già lì? Era troppo in anticipo! Che ci fosse anche il teletrasporto tra i suoi superpoteri?
-Come...?- bofonchiai, perplessa.
-La lettera- rispose freddamente.
Stava mentendo. Era impossibile che avesse trovato la lettera: si trovava nella mia valigia.
Liberai Timothy -che non aveva ancora osato parlare- e indietreggiai di qualche passo. Qualcosa bolliva in pentola e puzzava di bruciato.
-Uscite tutti. Io e il signor Batchelor dobbiamo parlare- il tono di Derek non ammetteva repliche. Sia i suoi uomini che quelli di Timothy ubbidirono, trascinandomi con loro.
Afferrai Blake per un braccio e lo costrinsi ad allontanarsi dalla folla per seguirmi nella mia camera. Chiusi la porta alle nostre spalle e lo spintonai contro il muro, col pugnale ancora in mano.
-Ehi ehi, gattina, frena! Che accidenti ti prende?-
-Maledetto! Hai spifferato tutto a Derek! Pensavo volessi concedermi del tempo in più per... insomma, sei un vile traditore!- lo accusai. Provai a togliergli la possibilità di diventare padre con una ginocchiata ben assestata, ma lui si parò prontamente i gioielli di famiglia e mi bloccò.
-Non gli ho detto nulla, Tessa. Mi crederai non appena il padrone venderà i miei organi a qualche scienziato per non averlo informato.- Blake mi rubò il pugnale e l'osservò con finto interesse. -Anzi, sai che ti dico? Fammi fuori tu. Almeno morirò per mano di una donna, meglio se nuda. Sarebbe un bel modo per andarsene da questo mondo...-
Questa volta non riuscì a parare abbastanza in fretta la ginocchiata. Si piegò in due dal dolore e si coprì il punto colpito con fare drammatico. -Dannazione, gattina, ci sono modi più veloci per uccidermi! Questa è cattiveria!-
Lo lasciai soffrire in un angolino e recuperai la mia valigia. Frugai al suo interno e mi accertai della presenza della lettera, poi sospirai. Se non era stato Blake ad avvertire Derek, Mila e Mara dovevano aver vuotato il sacco, non c'era altra spiegazione.
Quell'improvvisata non mi aveva permesso di indagare sulla lettera, né su quanto Timothy aveva detto. Voleva spedirmi a Diamant Brut... Ma perché?
Chissà cosa gli stava dicendo Derek in quel preciso istante...
Scossi la testa. Se volevo far sì che quel viaggio non risultasse inutile, dovevo almeno trovare Edmund Fletcher.
-Blake, che ne dici se prendiamo anche gli altri bagagli mentre aspettiamo Derek?- proposi.
-Ma sì, tanto vale rendersi utile mentre aspetto la morte. Andiamo.- Uscì dalla stanza, convinto che lo stessi seguendo. Le sue proteste arrivarono troppo tardi, quando avevo ormai chiuso a chiave la porta.
Mi affacciai dalla finestra, cercando un possibile appiglio per rendere più piacevole la discesa fino al piano terra. Non capivo il bisogno dei ricchi di avere le camere da letto al secondo piano. Avvistai un davanzale sporgente e un alberello dall'aria non solidissima, e cominciai a scendere.
Le urla di Blake cessarono, probabilmente perché aveva intuito le mie intenzioni e stava già scendendo le scale.
L'albero resse il mio peso e da lì arrivai per terra con un salto. Mi trovavo sul retro del palazzo, immersa nel verde del giardino. Scavalcai il recinto che circondava l'abitazione e iniziai a correre lungo la strada, con un mediocre vantaggio su Blake.
Quando fui abbastanza lontana, mi concessi un minuto di riposo. Probabilmente tutte le guardie erano sulle mie tracce, forse persino Derek in persona. Non ci avrebbero messo molto a trovarmi.
Ero ancora nei quartieri alti, eppure alcune bancarelle spuntavano qua e là come funghi. Mi avvicinai a una di esse, in ombra tra due case. La merce esposta consisteva perlopiù in erbe ed oli, ma c'erano anche intrugli melmosi. La proprietaria -una signora tutta fronzoli e ciondoli- mi rivolse un sorriso storto e si strinse nel suo scialle.
-Desideri qualcosa, mia signora? Ho tutto ciò che può servire a una donna! Dalle più nobili alle più crudeli, mia signora. Filtri che possono ringiovanire, altri che possono mandare in estasi, altri ancora che possono eliminare... i suoi problemi- dalla voce strisciante della mercante, intuii che stesse parlando di veleni. Non ero sicura che fosse legale venderli, ma dopotutto non erano affari miei e io non potevo considerarmi una paladina della giustizia. Inoltre, non ero lì per quello.
-No, ehm... Grazie. Sto cercando un uomo, so che vive da queste parti e...-
-Un uomo ti ha messa nei guai, mia signora? Ho una soluzione anche a quello, mia signora. Una tazza al giorno di un miscuglio micidiale e presto il problema sparirà com'è venuto, mia signora. Un attimo che lo cerco...- La donna cominciò a frugare sotto il bancone, facendo tintinnare i pesanti pendenti che portava alle orecchie.
Avrei voluto dirle che avevo intenzione di ucciderlo in un modo ben più doloroso, ma quella ormai era rispuntata con una boccetta fra le dita. Il forte odore del liquido mi violò le narici, facendomi storcere il naso. Riconobbi diverse erbe pericolosamente mortali, e infine il dolce aroma della ruta, anch'essa velenosa.
-Eccolo! Non posso esporlo alla luce del sole, mia signora... Le malelingue si aggirano come avvoltoi tra i vicoli delle grandi città. Sai, i nobili lo ritengono riprovevole... Ah! E dire che sono proprio loro a comprarne in gran quantità per liberarsi di figli indesiderati! Mia signora, posso farti un prezzo speciale...-
-No, ascolta, sei fuori strada, credimi. Voglio solo sapere dove abita Edmund Fletcher e come posso arrivarci.-
-Non vuoi acquistare nulla, mia signora?- la mercantessa utilizzò un tono offeso, quasi arrabbiato.
-Pagherò le informazioni- le dissi. Quello bastò a illuminarle il volto.
-Mia signora, sei saggia. D'accordo, d'accordo. Edmund Fletcher... è un mercante piuttosto abile, mia signora. La sua casa non è distante, giusto appena in fondo alla strada. Accanto alla banca, mia signora. Puoi riconoscerla dal cancello rosso. Brava gente, i Fletcher. Un po' sulle loro, ma maestri nel loro mestiere.-
La pagai con qualche moneta e corsi via per evitare altri inquietanti sproloqui. Trovai immediatamente il posto da lei indicato: un'abitazione circolare, un cancello rosso all'entrata.
Non ebbi modo di formulare alcun piano, che un uomo avanti con gli anni spuntò sulla soglia e mi lanciò un'occhiata curiosa.
-Le serve qualcosa, signorina?- domandò gentilmente. I capelli candidi e ricci gli incorniciavano il viso rugoso e sereno; gli abiti pregiati sottolineavano l'alto rango della sua famiglia.
-Sto cercando Edmund Fletcher- confessai. In fondo, non c'era nulla di male... Anche se a breve avrei dovuto pensare a qualcosa di meno sospettoso.
-Mi dispiace, ma mio figlio non è in casa. È partito qualche giorno fa. Perché lo cerca?- Dunque era suo padre. Dovevo cavargli qualche informazione in più.
-Tempo fa, si era mostrato interessato a un raro drappo intarsiato in oro che mi appartiene. Non ho voluto rinunciarvi, allora. Adesso, però, ho bisogno di soldi e mi vedo costretta a rivalutare l'offerta del signor Fletcher- mentii con ferma e falsa convinzione.
-Temo che sia sfortunata, signorina, mio figlio non tornerà tanto presto. Quando parte, non lo ferma più nessuno... Soprattutto ora che ha preso il mare. Le chiederei di portarmi il tessuto per permettermi di valutarlo e farle un'offerta, ma non m'immischio negli affari di mio figlio. Mi dispiace.-
Era partito in mare, fantastico! Le mie speranze di ritrovarlo avevano preso il largo con lui.
-La ringrazio, signore. Arrivederci.-
Ero frustrata e amareggiata. Ero partita con l'idea di soddisfare il mio desiderio di vendetta, di far fuori colui che aveva ucciso mia madre. Volevo rendere giustizia alla vita stroncata di Josephine e alla mia vita, condannata all'esilio da una società che non riconosceva più il mio volto. Sapere che Edmund potesse girare a piede libero, perfettamente in salute e senza nessuno che gli mettesse i bastoni fra le ruote, mi corrodeva il fegato.
Alla fine quel viaggio si era rivelato inconcludente.
Quando una carrozza si fermò davanti alla casa dei Fletcher, salii a bordo senza opporre resistenza. Era giunto il momento di tornare a Zelum.
***
Il viaggio di ritorno fu una lenta tortura. Derek non aveva pronunciato una singola parola, neanche si era degnato di guardarmi in faccia. Blake aveva ripreso il suo posto come guardia ai margini del vagone e aveva evitato accuratamente di sbirciare nella nostra direzione.
Io mi ero arresa alla stanchezza e avevo sonnecchiato fino all'arrivo.
Tornata a casa, nella hall fui accolta da Mara con un altro abbraccio distruttivo. Si scusò a nome suo e di Mila per aver spifferato tutto a Derek, dicendosi in pena per me. Non me la presi, in fin dei conti l'avevano fatto per il mio bene e, a giudicare da come si era evoluta la situazione, c'avevano visto giusto.
Non feci in tempo a commentare l'aspetto un po' sciupato della futura mamma, che i miei occhi - e quelli degli altri presenti, tra cui Cole e altri suoi colleghi - furono attratti da un movimento brusco alla mia destra.
Derek aveva afferrato Blake per il colletto e lo stava minacciando sottovoce. Il pugno si schiantò sulla faccia del malcapitato con l'intenzione di frantumargliela.
-Dovevi eseguire gli ordini e riferirmi tutto, dovevi proteggerla!- La sua voce tuonò fin sopra le scale, mentre la guardia si massaggiava la guancia livida.
Cole non mosse un dito, Mara rimase paralizzata sul posto. E io con loro.
-Non sei stato in grado di svolgere un compito semplicissimo, razza di incapace!-
Blake incassò un secondo pugno in pieno viso, senza reagire.
Fu allora che m'intromisi. Mi parai di fronte a Derek, che ovviamente mi superava in altezza e imponenza, e sollevai il mento in segno di sfida.
-Levati di mezzo, Tessa- ordinò, freddo.
-Non sono una bambina, Derek. So prendermi cura di me stessa, l'ho fatto per anni e posso farlo ancora. Se Blake non fosse venuto con me, sarei andata da sola a Resal. Ha fatto quel che era meglio per me, e tu non eri incluso nei piani.-
Serrò la mascella, ma la sua espressione rimase dura e glaciale. -Blake lavora per me, il suo compito è obbedire ai miei comandi, non lasciare spazio alle tue follie.-
-Allora licenzialo! Così potrò assumerlo io. Tutti i membri del consiglio hanno delle guardie del corpo, no?- lo dissi con un sorriso velenoso stampato sulla bocca.
Mi girai di scatto, per niente pronta a sopportare la sorpresa che sapevo si sarebbe dipinta sul suo volto.
Guardai Blake, impassibile a quella situazione. Aveva un occhio nero, la guancia livida e un labbro spaccato da cui colava sangue in abbondanza. Se il bersaglio di Richard non fosse stato Mr Bones, a quest'ora l'uomo che mi stava davanti sarebbe morto e sepolto per difendermi.
Calò un pesante silenzio nell'ingresso. Mi sentii improvvisamente debole, schiacciata da una quantità infinita di dubbi e incertezze. Mi allontanai da quelle persone, da quell'atmosfera insopportabile, e corsi nella mia stanza.
Qualcuno si era già occupato di riportare la mia valigia e il mio zaino in camera. Mi spogliai in fretta e riempii la vasca da bagno, ansiosa di annegare i miei pensieri. Mi immersi nell'acqua calda, alla luce di un'unica candela, e attesi che il calore mi strappasse di dosso i problemi.
Timothy Batchelor e la lettera rimanevano un mistero, così come la donna mascherata. Edmund Fletcher non si trovava nemmeno a Surn, il che significava che la mia vendetta era troppo lontana perché io potessi assaporarne anche solo il sapore. Richard stava minando la mia salute mentale; e chissà cosa n'era stato di Ryan.
Il mio dolce fratellino era stato risucchiato in quel vortice e non ero nelle condizioni di trarlo in salvo illeso. Rischiavo di caderci dentro anch'io.
Infine, Derek e il suo comportamento assurdo che lo aveva portato a picchiare a sangue Blake.
Per non parlare del fatto che non avesse mai minimamente accennato alla mia possibile appartenenza al Consiglio di Surn.
Non potei fare a meno di chiedermi cosa si fossero detti lui e Timothy Batchelor in quella sala da pranzo. Che avessero parlato di Diamant Brut...?
Un rumore mi distrasse dalle mie supposizioni. Qualcuno era entrato nella mia stanza e adesso si dirigeva nel bagno, da me. Riconobbi il suono dei passi, la marcia quasi militare dell'uomo che, in qualche modo, si era conquistato la mia fiducia e aveva fatto breccia nelle mie difese.
I suoi occhi verdi, felini e taglienti alla flebile luce della candela, mi scrutarono con misurata malizia. Lo vidi togliersi i vestiti e inginocchiarsi vicino al bordo della vasca. Intrecciò le sue dita alle mie e posò un bacio sul dorso della mia mano.
-Derek,- lo avvertii -ho bisogno di risposte.- Considerato che non dava segni d'improvvise sfuriate e congelamenti istantanei, continuai a parlare: -È vero che mi spetta un posto privilegiato nel Consiglio del Cielo?-
Annuì.
Una minuscola parte di me aveva sperato fino all'ultimo secondo che non fosse così, che si trattasse di una bugia inventata da Richard per farmi dubitare del suo rivale. Quell'ammissione, invece, mi mandò nel panico.
-Perché non me l'hai detto?- sussurrai. Nell'attimo stesso in cui pronunciai quelle parole, capii che avrei creduto a ogni sua risposta; qualsiasi essa fosse, l'avrei accettata come verità. Perché mi fidavo ciecamente di quell'uomo.
Derek entrò nella vasca -in cui si stava comodamente in due- senza mai lasciarmi la mano. Con un muto invito, mi fece alzare. Non provai alcuna vergogna quando, in piedi e nudi, ci ritrovammo pelle a pelle. -Non volevo che t'inghiottissero nel circolo vizioso dei potenti, Tessa... Non volevo che ti trasformassi anche tu in un'ingorda affamata di gloria e ricchezze- rispose contro le mie labbra.
Nel buio quasi totale, mi sentii pervadere da una strana sensazione. -Hai paura che diventi come mio fratello- dissi, angustiata.
-No,- ribatté lui, mentre le sue mani prendevano possesso del mio corpo -ho paura che diventi come me.-
-Ma...- La sua bocca si precipitò sulla mia, interrompendo ogni replica e distruggendo le mie barriere.
Dimenticai i mille interrogativi che mi tormentavano, misi da parte timori e ansie. C'era qualcosa di disperato nel modo in cui le nostre anime venivano attratte l'una dall'altra, nella totalità del loro fondersi che escludeva il resto del mondo.
Derek si distese nella vasca e mi trascinò su di lui. Quei baci che mi toglievano letteralmente il fiato erano, al contempo, una fonte essenziale di vita. Mi rubavano le parole, m'intimavano il silenzio, mi rendevano succube di quella passione violenta e incontrollabile.
Non c'erano più insicurezze nei miei gesti, nessuna esitazione a dividere il mio spirito dal mio corpo. Avevo bisogno del piacere effimero che quell'uomo riusciva a scaturire dentro di me, entrando nelle profondità del mio essere. Era niente più che la coronazione del nostro complicato rapporto, la necessità fisica quanto mentale di appartenerci l'un l'altra.
Non esisteva nient'altro all'infuori di noi. Che m'importava dell'universo, se con Derek mi sentivo bruciare più del sole? Avremmo potuto rimanere per sempre in quella vasca a goderci a vicenda per tutta l'eternità, al sicuro dalle insidie provenienti dall'esterno. Noi due e basta, riparati dal tenue bagliore della candela.
Mi aggrappai alle sue spalle, mentre Derek stringeva i miei fianchi accompagnandoli con foga nei loro movimenti. Gettai la testa all'indietro e mi lasciai sfuggire un lungo gemito prima di abbandonarmi contro il suo petto.
-Non andartene mai più, Tessa- le sue parole, simili a una preghiera, erano il riflesso dei miei pensieri. Anche lui, come me, voleva perdersi nella sublime meraviglia di quei sentimenti.
Potevamo rimanere insieme per sempre, protetti dalle fiamme dei nostri cuori.
Ma il fuoco scioglieva inesorabilmente la cera della candela.
E presto ci avrebbe lasciato in balia delle tenebre.
***
L'urlo squillante di Mila per poco non svegliò tutta Zelum. Riemersi dalle coperte del poco che bastava per guardarla di traverso e zittirla.
-Perché diavolo stai gridando?- mugugnai con la bocca impastata dal sonno.
Vidi le sue guance diventare scarlatte e gli occhi spalancarsi in preda al panico. Seguii il suo sguardo per capire il motivo di tanto imbarazzo: Derek dormiva beatamente accanto a me, sul mio letto. Nudo.
La sera precedente, dopo il bagno rigenerante, ci eravamo prodigati in un secondo incontro tra le lenzuola e poi eravamo crollati in un sonno profondo.
A giudicare dalla faccia di Mila, sarebbe scoppiata a piangere per la vergogna da un momento all'altro se non fossi intervenuta. Svegliai Derek e mi vestii velocemente, preoccupandomi di recuperare anche i suoi abiti e lanciarglieli di sopra.
La domestica distolse lo sguardo, posò il vassoio della colazione sul tavolino e corse fuori dalla stanza alla velocità della luce.
-Buongiorno- mi salutò Derek.
Non risposi. Gli diedi persino le spalle e volsi le mie attenzioni alla cioccolata calda che se ne stava sola soletta tra le altre leccornie che aveva portato Mila. La mandai giù subito, rischiando quasi di ustionarmi la gola, e poi allungai un bignè a Derek.
-Non ho tempo per fare colazione. Devo andare alla sede del Consiglio- anche se aveva usato il solito tono freddo e distaccato, notai una certa urgenza nella sua voce.
Senza pensarci, chiesi: -Come vanno le cose, là?-
Mi fissò per un attimo, come se stesse soppesando la risposta da darmi.
-Il mio piano non sta dando i frutti sperati. Il signor Gentry, il padre di Emily nonché membro del Consiglio, ha avanzato l'ipotesi che io mi stessi approfittando del cosiddetto patto di alleanza tra me e i Molloy. Richard non ha direttamente rafforzato la sua tesi, ma ha fatto il suo gioco. In poche parole, i miei colleghi credono che io stia facendo i miei interessi e non quelli di Surn.-
Si passò una mano sul volto e tra i capelli. Era in difficoltà, il che significava che anch'io lo ero. La mia ultima possibilità di vendetta prevedeva Derek come tramite, poiché io non avevo accesso alla vita politica della penisola. Beh, non ufficialmente, almeno.
Emily Gentry aveva messo in atto il famigerato accordo con Richard e il piatto della bilancia pendeva di nuovo dalla loro parte.
Gli eventi mi scorrevano attorno indisturbati e io non facevo nulla per cambiarli. Non potevo permetterlo. Era arrivato il momento, per me, di prendere una posizione effettiva nel campo di battaglia e agire in prima linea.
Dovevo dare inizio alla vera guerra.
-Derek, contatta quel giornalista. È giunta l'ora di raccontare a Surn la storia dei due bambini sopravvissuti. Ricordiamo alla gente dell'esistenza di Ryan Molloy e Tessa Farrell.-
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NOTE AUTRICE:
Ciao lettori!
Colgo l'occasione per informarvi di una nuova iniziativa di AutoriVari che s'intitola Come ti spaccio la fiaba. Il progetto è accessibile a tutti.
Inoltre, come alcuni di voi avranno notato, Fiducia e Inganno è stata spostata in "Mistero/Thriller". In realtà non credo rientri totalmente in quella categoria, ma è sicuramente più inerente. In ogni caso, non date troppa importanza al genere. Sto sperimentando.
Al prossimo capitolo!
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