26 - Nient'altro che noi
Erano passate ore da quando avevamo lasciato Derek e Mara soli nella mia stanza. Ed erano ancora lì, quei due.
Tutti si erano dileguati dopo dieci minuti, mentre io avevo aspettato almeno un'ora che quella dannata porta si aprisse. Avevo persino pensato di entrare e mandare a farsi benedire la loro privacy, ma quel pinguino era stato abbastanza furbo da chiudere a chiave.
Adesso, sconfitta e impaziente, me ne stavo seduta in giardino a contare gli infiniti fili d'erba. Il dottore mi aveva consigliato riposo, tanto riposo, una pausa da tutti i miei pensieri. Ahimè, sembrava proprio che il destino non fosse d'accordo coi consigli medici, perché continuava a tormentarmi.
Mio fratello, Richard Molloy, Edmund Fletcher, Timothy Batchelor, la lettera, i ricordi e infine Derek e la sua recente scoperta della gravidanza di Mara. Fantastico! La mia vita era meno incasinata quando me ne stavo per i fatti miei nel bosco, dove la preoccupazione maggiore era arrivare al giorno dopo.
Ripensai con nostalgia crescente alla mia casetta, agli alberi e alle ore dedicate alla caccia, a Ryan... Sembravano passati anni.
Stavo decisamente perdendo il controllo del mio mondo. Le strade che portavano alla vendetta si diramavano in direzioni ben diverse da quelle che mi avrebbero assicurato protezione.
Le parole di Mila, seguite dall'eco dei miei ricordi, tornarono a martellarmi la testa. Che significato avevano quelle immagini, quelle voci?
-Tessa- il profondo richiamo di Cole mi riportò alla realtà. Sapevo che sarebbe venuto da me. -Cos'è successo prima della crisi?-
-Noto con piacere che seguite tutti le direttive del dottore. Farmi tornare a quel momento è un ottimo modo per calmarmi, complimenti.-
Cole esitò. Strinse i pugni talmente forte che udii le dita scrocchiare, poi chiuse gli occhi e inspirò rumorosamente. -Devo sapere cos'è accaduto mentre eri con Mila.-
Sollevai un sopracciglio, vagamente sorpresa dalla sua insistenza in una situazione così delicata. Voleva farmi arrabbiare?
D'accordo, colosso, giochiamo.
-Vuoi davvero saperlo?- domandai con fare furbo. -Ebbene...- Mi accarezzai il labbro inferiore con un dito, abbassando lo sguardo in una triste imitazione della dolce timidezza della domestica. -Mila mi ha baciata, più e più volte. Deduco le sia piaciuto. Non ero a conoscenza dei suoi gusti, ma non posso dire che sia stato sgradevole... Anzi, penso proprio che lo ripeteremo in un altro momento.- Alzai gli occhi per vedere la sua reazione, ma fui delusa. Nessun accenno di gelosia. Mutai la mia espressione, diventando più seria. -Magari quando sarò cosciente e capace di respirare da sola.-
Cole scosse la testa e ridusse gli occhi a due fessure per lanciarmi un'occhiataccia. All'improvviso i suoi lineamenti si fecero più morbidi, più rilassati. -Scusami. Capisco che tu non voglia parlarne. Di qualsiasi cosa si trattasse, deve essere stato orribile per ridurti in quelle condizioni. Però... È importante che tu me lo dica. Se il comportamento di Mila ti è sembrato strano...-
-A dir la verità, sì- ammisi. Non mi piaceva l'idea di assecondare le manie da stalker di Cole, ma persino io dovetti ammettere che Mila si era comportata in modo strambo. -Ha sbraitato qualcosa sul fatto che troppe persone conoscono la mia storia e...- feci una pausa per assimilare le stesse immagini che mi avevano fatto visita il giorno precedente. Mia madre e... mia madre? -... E il mio vero nome- conclusi a mezza voce. Avevo evitato deliberatamente ciò che riguardava la lettera, ma a quanto pareva, era stato sufficiente per far scattare qualcosa nella guardia.
-Il tuo vero nome- ripeté Cole.
-Sì. Mila sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. Alla fine quella mezza morta ero io, però.-
-Hai intenzione di chiederle cosa significhi?-
-Non adesso. Devo stare a riposo, ricordi?-
Cole guardò un punto impreciso sopra le mie spalle, sovrappensiero. -Capisco. Grazie.- Fece per andarsene, ma si voltò di nuovo. -Il padrone e Mara hanno liberato la tua stanza. Pensavo potesse interessarti.- E tornò all'interno della villa.
Aspettai qualche minuto e feci lo stesso. Salii i gradini della hall a tre a tre, diretta verso l'unico posto in cui Derek avrebbe potuto rifugiarsi dopo una notizia del genere. Percorsi quasi correndo il corridoio e giunsi davanti alla porta incriminata. Nella serratura, la chiave d'argento dava bella mostra di sé.
Entrai in silenzio e mi avvicinai alla poltrona sulla quale sedeva Derek. Aveva la faccia inespressiva, gli occhi gelidi rivolti alla bambola che teneva tra le mani.
Rimasi accanto a lui senza parlare per un tempo impreciso, fin quando il suo sguardo incrociò il mio.
-Tu lo sapevi, vero?-
Annuii.
-Avresti dovuto dirmelo- non c'era ira nella sua voce, né delusione. Non c'era traccia di alcuna emozione.
-Mara sta bene?- domandai, cauta.
-Sì. Andrà dal medico nei prossimi giorni.-
Allungai una mano nella sua direzione, lentamente e con decisione. Non mi aspettavo un rifiuto, ma era sempre meglio andarci piano quando Derek era di cattivo umore.
Infilai le dita tra i suoi capelli fino a raggiungere la nuca e continuai ad accarezzarli con delicatezza. Mi feci più vicina a lui e, con la mano libera, presi la bambola e la poggiai sulla mensola, accanto alle altre.
Derek mi avvolse in un abbraccio e abbandonò la fronte contro il mio vestito. Ancora una volta, percepivo i suoi sentimenti come i miei.
Sua sorella portava in grembo il figlio del suo peggior nemico. In che ambiente sarebbe nato, quel bambino? Le orme di chi avrebbe seguito? E lui sarebbe stato capace di amarlo?
Il sangue di un Molloy e di una Scott, uniti in un sol neonato, sarebbe stata una notizia degna della prima pagina dei più famosi quotidiani di Surn. E, ovviamente, l'orgoglio e l'onore della famiglia di Derek avrebbero perso altri punti agli occhi dei membri della stessa.
-Tessa?-
-Mh?-
-Non partire domani.-
Fu in quel preciso istante, in seguito alla sua richiesta, che ebbi la sensazione che la mia vita si stesse spezzando in due. E seppi che non potevo accontentarlo.
-Ho bisogno di allontanarmi, Derek, devo...-
-Allontanarti da me?- domandò, la voce smorzata dalla veste.
Lo afferrai per le spalle e lo spinsi quel poco che bastava per guardarlo in faccia.
-Non sto mica scappando!- dissi in mia difesa.
Scattò in piedi, come se l'idea della fuga gli fosse venuta in mente solo adesso. E, a giudicare dalla sua espressione, non era un'opzione che gli andava a genio.
-Meglio così, o sarei costretto a rapirti di nuovo. E questa volta non sarei affatto gentile.-
-Scusami, Mr Modi Eleganti, ho paura che mi sia sfuggita la parte in cui sei stato gentile quando mi hai trascinata via da casa mia.-
-Casa tua?- il suo tono glaciale mi fece venire la pelle d'oca.
Un secondo... In che maniera, esattamente, la conversazione aveva preso questa piega? Non era afflitto per il futuro nipotino biondo?!
-Ho vissuto più tempo io che tu in quella casa! Quindi sì, casa mia!- lo rimbeccai.
-Te ne sei appropriata illegalmente- mi fece notare.
-Oh, certo, e tu invece mi hai legalmente portata via come un sacco di patate e rinchiusa qua dentro!-
Derek sospirò e si avviò verso la porta. -Cancello tutti gli impegni di oggi. Dopo pranzo, staremo insieme. Da soli.-
-Come quei giorni nel bosco?- azzardai, tentando disperatamente di non far sentire una penosa nota di gioia euforica nella mia voce.
-No, Tessa. Sarà molto meglio.-
Derek uscì e io rimasi nella stanza con la sola compagnia delle bambole e delle promesse annunciate.
***
-È ora che impari a maneggiarlo, Tessa.-
-Non so neanche tenerlo in mano!-
-Devi perfezionare l'impugnatura e prepararti a reggere il colpo, tutto qua. Ecco, ti faccio vedere come si fa.-
Quando Derek aveva detto che avremmo passato il resto della giornata da soli, non mi era passato per la testa che intendesse fare quello.
Lo vidi prenderlo in mano con esagerata delicatezza, neanche fosse un neonato da tenere in braccio, e puntarlo in direzione opposta alla mia.
-Così non vedo nulla, genio. Girati!-
-È per precauzione, potrei farti male. Avvicinati e guarda meglio, ma non toccare.-
Ubbidii, un po' seccata da tutte quelle attenzioni nei confronti di un pezzo di ferro. Non credevo che sarebbe stato così complicato e noioso imparare ad usare un fucile.
-Ok, fammi provare.- Gli strappai l'arma dalle mani, risparmiandomi la grazia che aveva utilizzato lui nel farlo. Mirai alle fronde degli alberi del giardino e, inserito il colpo in canna, sparai.
Fui presa alla sprovvista dalla forza del rinculo e mi ritrovai col sedere a terra in ben che non si dica. Derek mi offrì il suo aiuto per alzarmi, cercando inutilmente di celare un mezzo sorriso divertito. Rifiutai e mi tirai in piedi da sola, con un ghigno trionfante sul viso.
-Centro!-
Seguendo la scia del mio sguardo, Derek si accorse della povera vittima che giaceva alle radici di un albero.
Avevo fatto fuori un uccello.
-Bel colpo. Lo avresti apprezzato anche tu, se non fossi caduta rovinosamente al suolo. Forse sei troppo gracile per reggere la potenza del...-
-Non ero pronta. Vedrai che il prossimo tentativo andrà meglio. Aspettami qua, vado a recuperare la cena.-
Mi incamminai verso la preda, ma fui fermata quasi subito.
-Il menù di stasera non prevede tortore. Ricarica il fucile e mira a qualcosa di inanimato, così non dovrò ripulire l'erba dal sangue dei poveri disgraziati.-
Feci spallucce ed eseguii gli ordini. Questa volta puntai al muro rinforzato, aldilà degli alberi, e mi preparai a resistere alla spinta del colpo.
-Stai sbagliando ancora. In questa posizione non riuscirai mai a respingere il rinculo.-
Derek si mosse alle mie spalle, allungando le braccia sulle mie per correggerne la postura. Il suo respiro mi solleticava il collo lasciato scoperto dalla giacca.
Mi feci guidare come una marionetta, finché le sue labbra sussurrarono al mio orecchio: -Non appena avremo finito qui, corri a indossare il tuo abito più bello. Voglio mostrarti come sarebbe stato il nostro primo incontro in altre circostanze.-
Deglutii e annuii. Un po' mi dispiaceva dovermi cambiare per la terza volta gli indumenti: avevo appena messo da parte la gonna per indossare dei degni vestiti da caccia! Eppure quell'invito -se -così potevo definirlo- m'incuriosiva.
"Altre circostanze" stava a significare "Se tu non fossi cresciuta in un bosco come una selvaggia e io non fossi stato colui che ti ha strappata dal suo verde". Dopotutto, fingere di essere due persone normali avrebbe interrotto la monotonia delle nostre vite, no?
Fu così che, un paio d'ore dopo e col sedere dolorante, mi concessi un bagno caldo e aprii l'armadio alla ricerca del mio abito più bello.
Dato che Mila non si trovava da nessuna parte, chiesi aiuto a Mara. Me ne pentii poco dopo, quando mi propose, tutta eccitata, un vestito rosa shocking pieno di fiocchi e merletti.
-Come ha preso la notizia del bambino?- le domandai mentre frugavo tra l'eccessivo numero di vestiti che riempivano quel dannato armadio.
-Mi ha semplicemente abbracciata. Io, invece, sono scoppiata a piangere come una bimba. Abbiamo passato il tempo a scegliere il nome del piccolo, ci crederesti mai?- Mara s'interruppe con una risatina nervosa. -Lo so che non l'ha presa bene, ma so anche che è contento per me. Ha detto che sarò una madre fantastica.-
Le sorrisi con tenerezza. -È una di quelle rare volte che mi trovo d'accordo con tuo fratello. Sarai una mamma meravigliosa.-
-Tessa!- squittì -Quello, prendi quello!- Indicò l'ennesimo abito orribile: verde pisello e con uno strano scialle pieno di perline colorate. Lo scartai immediatamente e... Lo vidi.
Lì, nascosto dietro agli altri, c'era il vestito rosso, lo stesso che avevo indossato la prima volta a Rout Orbis.
E non ebbi più dubbi.
Mara mi diede una mano a infilarmici dentro e mi vietò categoricamente di coprire tutta quella pelle in bella vista.
Acconciai i capelli in un semplice chignon -ormai avevo imparato a farlo da me- e mi guardai allo specchio. Il risultato non era malaccio.
-Sono convinta che mio fratello ti lascerà partire più spesso, se ogni volta gli dai l'arrivederci conciata in questo modo- scherzò Mara. -Su, metti le scarpe e raggiungilo nella sala da ballo che dà sul giardino. Ti prometto che non interromperò nulla...-
-Mara!-
Rise di gusto e raggiunse la porta. -Divertitevi, piccioncini.-
-Aspetta!- la fermai.
-Che c'è? Vuoi dei consigli su come diventare mamma? È abbastanza facile, devi solo... Oh, ma che dico, mio fratello lo saprà meglio di me.-
Le lanciai un'occhiataccia e scossi la testa. -Che nome avreste scelto per il bambino?-
-Se fosse femmina, Adele, come nostra madre.-
-E se fosse maschio?-
-Beh... Eugene. Abbiamo pensato entrambi che sarebbe un modo per ringraziarti di averci riuniti. Ma se non vuoi, io non...-
-Va benissimo. Eugene è perfetto.-
-Adesso, smuoviti! A mio fratello non piace attendere!-
La seguii lungo il corridoio, fino alle scale, e lì ci salutammo. Da sola, proseguii per la mia strada e giunsi alla sala da ballo, dove Derek mi stava aspettando.
Lo trovai in piedi, elegantemente vestito e rivolto verso il balcone, che osservava il tramonto.
La sala era quasi vuota: una piccola orchestra, messa in disparte, suonava una dolce melodia e non faceva caso a noi; un tavolo era stato apparecchiato per due proprio davanti al fruscio delle tende, laddove gli ultimi raggi del tramonto e le candele illuminavano debolmente la nostra cena.
Derek si voltò e, cogliendomi completamente di sorpresa, sfoggiò il sorriso più sincero che gli avessi mai visto sulla bocca. Mossi qualche passo nella sua direzione, incerta su come comportarmi. C'era qualcosa di strano nell'aria, qualcosa di diverso. Fondamentalmente, non puzzava di vendetta. Solo acqua di colonia e il profumo del pollo speziato che fumava sul vassoio.
-Quindi... Sarebbero queste, le altre circostanze- dissi.
Sempre sorridendo, Derek scostò una sedia per farmi sedere e prese posto anche lui.
Un cameriere, sbucato da chissà dove, ci riempì i piatti e versò del vino nei nostri bicchieri. Notai distrattamente i petali di rosa che decoravano la tovaglia di velluto dorato.
-Buon appetito e... Tessa?-
-Sì?-
-Sarebbe bello se almeno stasera non svenissi. Non bere troppo.-
Infilzai il pollo con una forchetta, pregando ardentemente che fosse Derek. -Buon appetito!- esclamai prima di ficcarmi un boccone di dimensioni considerevoli in bocca.
Nonostante l'idea di ubriacarmi e rovinare tutto solo per fargli dispetto mi avesse solleticato la mente, evitai persino di annusare il vino. In compenso, svuotai il mio piatto e mi sarei preparata anche a fare il bis, se Derek non mi avesse invitata a ballare.
Com'era scontato che accadesse, gli pestai i piedi un paio di volte e dovetti sopportate i suoi sguardi polari. Ma il peggio venne quando, in seguito a una giravolta particolarmente audace, inciampai su me stessa e caddi sul pavimento, trascinando giù anche il mio partner.
La musica s'interruppe e l'orchestra al completo si affrettò ad aiutarci, ma Derek li cacciò via tutti e rimase disteso là, proprio su di me, tutt'altro che intenzionato a muoversi.
-Vuoi farmi morire soffocata?- mi lamentai.
Si sollevò quel tanto che bastava per permettermi di respirare e mi guardò negli occhi. -Sai che c'è? Questa serata è un totale fallimento.-
Quelle parole mandarono in frantumi un angolino del mio orgoglio. E del mio cuore. E anche un pezzo del mio ego. Ok, non ero una brava ballerina e neanche il classico esempio di seguace accanita del bon ton, ma faceva male sentirselo dire in quel modo.
Tentai di levarmelo di dosso. -Hai ragione. È meglio che io vada.-
Derek bloccò ogni mia inutile protesta e mi afferrò i polsi, costringendomi a fronteggiarlo. -Non intendevo dire questo, Tessa. Non è colpa tua. È colpa nostra. Volevo mostrarti cosa significa fare le cose alla vecchia maniera, con tanto di cena, vestiti eleganti, atmosfera sofisticata e valzer. Ma non penso faccia per noi. In questo momento, non so che darei per essere insieme sulla riva di quel fiume, coi vestiti fradici e le tue labbra incollate alle mie.-
I frammenti del mio orgoglio si riattaccarono tra di loro, risanando il disastro.
Mi avventai sulla sua bocca, giusto per aiutarlo a ricordare i dettagli di quella giornata nel bosco. In tutta risposta, le mani di Derek mi accarezzarono le spalle nude. Mi dimenticai dello scomodo pavimento di marmo e inarcai la schiena quando le sue labbra si spostarono sul mio collo.
I capelli sfuggirono allo chignon e si sparpagliarono a terra, mentre una spallina del vestito scivolava ingenuamente lungo il braccio.
Il tocco di Derek si fece strada fino alle cosce, lasciate scoperte per metà dalla gonna rialzata.
-Andiamo... In... Camera...- mugolò tra un bacio e l'altro. Si alzò in piedi e sollevò anche me, tenendomi in braccio.
Con le mie gambe allacciate al suo bacino e le braccia attorno al collo, Derek mi trascinò fuori di lì, fino alla porta nera, che spalancò e richiuse prima di tuffarsi sul letto. Non feci minimamente caso all'eventualità che qualcuno avesse potuto vederci, ero troppo impegnata a lasciarmi divorare da quell'uomo.
Derek si liberò della giacca e tornò a lambire ogni singolo centimetro di pelle scoperta, mentre le sue mani si preoccupavano di scoprirne ancora. Gettate le scarpe sul pavimento, sbottonai la sua camicia per avere libero accesso al suo torace. Le mie dita lo sfiorarono appena, quasi impaurite da quella scoperta che era il suo corpo.
Con un gesto fluido e impaziente, Derek si sfilò completamente la camicia e mi sovrastò con tutto se stesso.
Fu quando entrambe le spalline scesero al di sotto dei gomiti e la mia gonna arrivò ad un'altezza improponibile, che mi risvegliai dall'apnea causata dall'improvvisa botta di coraggio e mi resi conto della situazione.
Probabilmente pure lui se ne accorse, perché rallentò la sua foga per piantare i suoi occhi nei miei.
Nessuna parola. Uno sguardo, niente più. E capii.
Qualsiasi fosse stata la ragione per cui eravamo giunti a quel punto, io e Derek eravamo diventati una cosa sola.
In un mondo che sembrava odiarmi, l'uomo che mi stava davanti era l'unico spiraglio per una boccata d'aria fresca. Lo capivo dal modo in cui condividevamo le stesse emozioni, nobili o meno che fossero. Lo vedevo dai suoi occhi, che sarei stata capace d'individuare tra la folla. Lo percepivo dai suoi sguardi, quelli che riservava a me nelle rare occasioni in cui decideva di aprirsi. Lo intuivo dal fatto che, per tutta la giornata, non avevo pensato a nulla che non fosse lui. Persino la vendetta passava in secondo piano quando ero con lui, persino i miei genitori, persino il mio passato. Lo capivo dalle sue carezze, dai suoi baci, dal bisogno che aveva lui di me, e io di lui. Era la prima persona, dopo anni e anni, che volevo rendere felice e che concedeva piccole gioie perfino a me. Era l'unico di cui mi fidavo. Era il solo che, sebbene conoscessi ben poco dell'amore, si era insinuato prepotentemente nel mio cuore.
Se l'amore era il fondersi di due anime, io avevo fatto la mia scelta.
Desideravo lui.
Gentilmente, scostai le sue mani e sfuggii dalla sua presa. Mentre abbandonavo il letto e mi mettevo in piedi davanti a Derek, notai i suoi pantaloni già sbottonati. Chiusi gli occhi, incapace di osservarlo lì, seduto sul letto nella penombra, e mi voltai di spalle. Infine, con deliberata lentezza, mi sfilai il vestito, facendolo scivolare a terra.
Udii Derek inspirare e trattenere in respiro. Io, invece, non ero più sicura di essere capace di respirare.
Mi girai, pronta a fronteggiarlo. Ero nuda, spogliata degli abiti e delle inibizioni, nuda per davvero. Scoperta, indifesa, volevo donargli me stessa. Avrebbe potuto far di me quel che gli pareva, io glielo avrei lasciato fare. Perché mi fidavo. Perché volevo essere sua. Perché non mi avrebbe fatto del male.
Avanzai di un passo, poi due, tre. Quando fui abbastanza vicina da avvertire il calore che emanava, fui trascinata tra le lenzuola.
Mi baciò come mai prima d'allora, tanto che fremetti. Le sue dita non si facevano più scrupoli e si addentravano dove non aveva ancora osato. Le mie mani avevano bisogno di mantenere il contatto con la sua pelle rovente, col suo petto massiccio che si alzava e abbassava velocemente.
Alla fine, pure i pantaloni trovarono posto tra gli altri vestiti, sul pavimento. A dividerci, non c'era più nulla.
I suoi baci si fecero maggiormente intensi e si spostarono sui miei seni, le sue gambe trovarono posto tra le mie.
Una spinta, una frazione di secondo, e i nostri corpi si unirono.
In un misto tra dolore e piacere, sapevo di trovarmi esattamente dove volevo essere. Con lui.
La sua fronte imperlata di sudore, il suo respiro affannoso che si mescolava al mio, il ritmico movimento che lo spingeva sempre più affondo.
Mi aggrappai a lui, soffocando un gemito nell'incavo del suo collo, e mi abbandonai alla spinta conclusiva.
Quando, poco dopo, si accasciò su di me, mi circondò con le braccia e mi strinse a sé con fare possessivo.
Mi posò un ultimo bacio sulle labbra e, contro la mia bocca, bisbigliò: -Non andartene mai, Tessa.-
Quella notte, sognai il bosco. E Derek.
E nient'altro.
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