25 - Ricordi
-Voglio tornare nel bosco.-
Era passata una settimana dal ballo, durante la quale avevo studiato le mappe di Surn e un possibile piano per allontanarmi dalla supervisione di Derek senza destare troppi sospetti. Alla fine, ero giunta alla conclusione che il bosco vicino Old Rooster fosse l'unico posto in cui rifugiarmi per non attirare attenzioni indesiderate. E, tra l'altro, era il solo luogo in cui Derek mi avesse mai dato il permesso di andare senza fare storie.
-Non so se è un buon momento, Tessa. Ho troppe cose a cui pensare- mi liquidò con un gesto e tornò alle sue scartoffie. Sbuffai.
Eravamo nella sua camera, lui se ne stava alla scrivania a leggere fogli su fogli di chissacché, mentre io ero lì, in piedi e cocciuta come una bambina che chiedeva al padre i soldi per le caramelle.
Era stata una settimana a dir poco bizzarra: Cole si era trasformato in una specie di maniaco compulsivo, alla ricerca costante di informazioni su cosa facesse, dicesse o pensasse Mila; quest'ultima, dal canto suo, si limitava a svolgere le sue normali mansioni da domestica e, a parte qualche repentino cambio d'espressione quando parlavamo, non c'era nulla di strano in lei; Blake si vedeva sempre più spesso in giro, soprattutto nella mia stanza, con la solita scusa dell'indagine (su cui, per il bene del mio fragile stato emotivo, non avevo fatto domande; l'unico patto era che non si presentasse più seminudo); Derek era perennemente assorto nella nuova alleanza con Richard, e stava quasi tutto il tempo fuori dalla villa; Mara aveva fatto di tutto per nascondere le nausee al fratello, ed era con lei che avevo trascorso la maggior parte del tempo. Le avevo detto della lettera -tenendomi lontana dall'argomento "Edmund Fletcher"- e di Timothy Batchelor. Persino lei pensava che avessi bisogno di riflettere in un luogo solitario, al riparo da quello che rappresentava Derek e la mia vita attuale.
Per certi versi, non avevo mentito: avevo davvero intenzione di starmene da sola, andare a caccia e godermi la quiete del bosco. Il fatto che avessi omesso un piccolo dettaglio, l'innocuo particolare che riguardava l'imminente viaggio verso Resal e la mia vendetta, era solo secondario.
-Non ti ho invitato, infatti- sottolineai con tranquillità.
Il suo sguardo letale non tardò ad arrivare. -Prego?-
-Non devi venire con me. Ho bisogno di stare sola per pensare.-
Derek di alzò dalla sedia e fece roteare il collo per dar tregua ai nervi stanchi. Poi, con deliberata lentezza, fece qualche passo nella mia direzione, finché ci furono solo pochi soffi a dividerci.
-Vediamo se ho capito bene- cominciò con una finta espressione pensierosa. -Ti aspetti che io ti lasci andare da sola in un bosco a chilometri da qui, mentre io sto intrattenendo una guerra di potere con un uomo che ha almeno cento motivi diversi per farti del male e non vede l'ora che io allenti la presa per mettere in atto uno dei suoi piani.-
Lo fissai, testarda, pronta a tenergli testa. -Io ho almeno mille motivi diversi per fare del male a Richard, non il contrario- gli feci notare.
-Lo credi sul serio?-
-Certo!- confermai, ma un attimo dopo mi venne in mente qualcosa. -Ah, no. Dimenticavo la storia del "userebbe me per arrivare a te".-
Mi sollevò il mento con le dita, costringendomi a piantare gli occhi nei suoi.
-Davvero è l'unico motivo che ti viene in mente?-
Annuii.
-Sei più ingenua di quanto credi, Tessa.- L'altra sua mano raggiunse la mia vita e mi attirò più vicina a lui. -Questo scontro non sarebbe mai iniziato se non fosse stato per te. Hai impedito a Richard di uccidere tuo fratello, quattordici anni fa; questo è un motivo più che valido per farti fuori. Sei sopravvissuta, e questo vuol dire che finché tu sarai in vita, l'impero di Richard sarà in costante pericolo, a prescindere dal destino di tuo fratello. Quest'ultimo dipende solo ed esclusivamente da te... sei l'unica che riesce a influire sulle sue decisioni, sul suo futuro. E, credimi, suo zio l'ha ben capito. Hai strappato Mara dalle mani di quel vile, l'hai riportata a me. E poi... Mi hai spinto a fare tutto questo.-
Lo guardai, confusa. Non era da lui lodarmi, né tanto meno darmi meriti che lo riguardassero.
Se speravo in qualche parola in più, mi sbagliavo di grosso. Le sue labbra si scontrarono con le mie, assetate di baci. Evitati i preamboli, mi sollevò da terra e mi adagiò sulla scrivania, gettando a terra le scartoffie che la riempivano. Le sue mani si inoltrarono sotto i vestiti, esplorando punti che mai aveva osato sfiorare.
Quello slancio di passione improvvisa era... Troppo.
Fu allora che lo fermai.
-Devo andare nel bosco, Derek.-
Vidi le sue spalle irrigidirsi, le mani bloccarsi e il corpo resistere a chissà quale forza. Era come se fosse in una sorta di sofferenza... Beh, poco male. Se il suo scopo era sviarmi dalla richiesta, cascava male, malissimo!
-Vai.- Aveva ceduto al secondo attacco! Fantastico! -Ma ad una condizione: verrà una scorta. Cinque o sei uomini, non di più, che alloggeranno a Old Rooster per lasciarti la tua intimità. Non hai alternative, quindi non fare storie.-
Derek si staccò da me, evitando accuratamente di guardarmi in faccia, e si passò una mano tra i capelli.
-Starò attenta- promisi. Rimasi seduta sulla scrivania, le gambe penzoloni e la pelle che bruciava ancora per il suo tocco. Derek era l'ennesimo interrogativo della mia vita, un'altra persona di cui sostanzialmente non sapevo nulla, eppure era parte fondamentale della mia quotidianità.
Non era più un semplice mezzo per ottenere la mia vendetta, un alleato. Derek Scott era un elemento fisso e allo stesso tempo incerto della mia esistenza. Qualcuno di cui mi fidavo, qualcuno su cui potevo contare.
Allora perché diavolo mi sentivo così vulnerabile al suo fianco? Ero come in bilico sul palmo della sua mano: bastava una parola a farmi cadere, una stretta a distruggermi.
Una domanda iniziò a ronzarmi fastidiosamente in testa: cosa sono io per Derek Scott?
-Quando partirai e quanto starai via?-
-Dopodomani. Non so quando tornerò, mi serve del tempo- risposi in fretta, felice di interrompere i miei pensieri.
-D'accordo.-
-C'è ancora una cosa...- mi morsi la guancia, incerta se fosse il caso di chiederlo. -Rivoglio lo zaino. Voglio andare a caccia nel bosco, come facevo un tempo.-
Derek mi scrutò qualche istante, poi annuì. Tirai mentalmente un sospiro di sollievo e feci per uscire dalla stanza, ma la sua voce mi fermò.
-Tessa,- chiamò -non farmene pentire.-
Per un attimo, solo per un attimo, esitai sulla porta. Varcare la soglia significava tradire la sua fiducia, tornare indietro voleva dire venir meno ai miei principi.
Da un lato c'era la vendetta, a portata di mano e invitante come non mai; dall'altra c'era la possibilità di raccontare tutto a Derek e trovare sicurezza tra le sue braccia.
Nel bel mezzo, invece, c'ero io col mio futuro incerto. Nessuna scelta avrebbe migliorato la mia vita.
Tanto valeva render giustizia al sangue versato.
Uscii dalla stanza.
***
Quel pomeriggio Mara si era rifugiata nella mia camera per allontanarsi da occhi indiscreti. Non aveva fatto altro che vomitare e vomitare e vomitare. E soffrire a causa dei dolori alla testa e alla pancia. E piangere, certo.
-Degno figlio di suo padre,- mormorai -neanche è nato e già crea solo problemi.-
-Tessa! Non sono cose da dire a una donna in dolce attesa!- mi rimproverò Mila, col faccino scandalizzato e le guance tutte rosse.
La futura mamma era lì, distesa sul mio letto e piegata in due dal dolore. Mi faceva pena, ovvio, ma mi aveva spiegato che "era normale soffrire nell'attesa di una gioia". Quella frase era talmente assurda che avevo messo da parte i buoni sentimenti e ora vedevo la gravidanza come un inutile supplizio che Mara, a dirla tutta, si meritava. Crudele? Un po', sì, ma questo era quello che succedeva a chi abbandonava il fratello per sposare un idiota e farsi mettere incinta.
Mentre Mila le porgeva un altro bicchiere d'acqua, imposi a me stessa un divieto: mai e poi mai avrei avuto dei bambini.
-Dovresti farti vedere da un dottore- suggerì la domestica.
-No, per carità! Mio fratello lo verrebbe a sapere!-
-E allora? Lo scoprirà comunque, prima o poi- sbuffai e mi distesi accanto a lei, osservandola di sottecchi. Ancora nessun accenno evidente del pancione che sarebbe sbucato inevitabilmente di lì a poco.
Mara fece per ribattere, ma una fitta di dolore la costrinse a star zitta. Era in condizioni pessime.
-Non può andare avanti così- constatai con una punta di pietà. -Diamoci un taglio e chiamiamo un medico.-
-No! Non chiamate nessuno!-
-Non abbiamo scelta, Mara. Se tuo fratello scopre che sei incinta, mica ti ammazza. Se muori perché nessuno glielo ha detto, ammazza me. Cerca di capire, è una questione di praticità.-
Mila mi lanciò un'occhiata di rimprovero, poi sospirò. -Forse posso aiutarla io.-
La vidi uscire dalla stanza e tornare poco dopo con una tazza fumante.
-Non credo che la cioccolata calda possa servire...- Annusai l'intenso profumo di cannella, misto a qualcos'altro di familiare di cui, però, mi sfuggiva il nome. Quell'intruglio non aveva nulla a che fare con la cioccolata, ma l'odore prometteva bene.
-Bevi e manda giù anche questo, allevierà il dolore.- La domestica offrì la tisana e una pillola a Mara.
-Mettine un po' da parte anche per noi. Almeno, quando Derek ci ucciderà, sarà indolore.-
Dovemmo aspettare qualche minuto prima che la tisana magica facesse effetto. I conati di Mara si placarono, così come le lacrime e i dolori che la tormentavano. Non aveva esattamente l'aspetto di una donna in piena salute, ma almeno era più tranquilla.
Si riprese appena in tempo per vedere sbucare Blake dalla porta. Un altro che si era preso il brutto vizio di non bussare.
-Buon pomeriggio, fanciulle- salutò allegramente, accomodandosi senza invito alcuno. -Tessa, devo farti i miei complimenti!-
Tre sguardi perplessi si posarono su lui; qualche secondo più tardi, due si spostarono su di me, interrogativi. Scossi la testa.
-Di che parli?-
-Sono stato dal padrone, poco fa, ed era di pessimo umore. Ovviamente la colpa è tua. Una gita in un momento talmente delicato... Sei proprio terribile. Comunque, complimenti! Sei la prima che riesce a sottometterlo come un agnellino e a farlo incazzare come una bestia contemporaneamente. Non è mica da tutti.-
La guardia ridacchiò e strappò un sorriso anche alle ragazze. Fantastico, non bastava uno a fare l'idiota... Adesso aveva altre due che lo incoraggiavano!
Le fulminai con lo sguardo ed entrambe tentarono invano di camuffare le loro espressioni divertite.
-Alla fine lo hai convinto!- constatò la sorella dell'oggetto della conversazione. -Se sei capace di far fare a mio fratello quello che ti pare... Direi che sei ufficialmente mia cognata.-
-Cosa...-
-Non vedo l'ora di organizzare il matrimonio!- Gli occhietti sognanti di Mila per poco non mi fecero ribaltare.
-Non se ne parla!-
-Questo significa che presto ci saranno dei marmocchi a zampettare casa casa... Spero non prendano dalla madre, o dovremo assumere un domatore di tigri.-
Lanciai un'ultima, esasperata occhiata furente a Blake e sospirai rumorosamente. I loro progetti erano assurdi, eppure non potevo fare a meno di chiedermi cosa mi riservasse il futuro con Derek. Lo aveva detto lui, no? Eravamo una coppia. Forse un po' fuori dalle righe, ma pur sempre una coppia. Ammetterlo a me stessa, nella mia testa, mi fece provare una strana sensazione di calore.
-Voi farneticate- li liquidai. Non era un argomento che ero pronta ad affrontare con quei tre.
Per mia fortuna, lasciarono cadere il discorso e si concentrarono su altro finché, poco dopo, sia Mara che Blake si congedarono. Fu allora che ebbe inizio il disastro.
-Tessa, perché vuoi andare nel bosco?- La voce di Mila era incrinata da una nota di panico e preoccupazione. I suoi occhi mi scrutavano, allarmati da qualcosa che non riuscivo a vedere. Quello era esattamente il tipo di comportamento strano della cameriera: i continui e repentini cambi d'espressione senza un motivo apparente. Possibile che c'entrasse qualcosa con Cole?
-Ho bisogno di stare da sola- risposi semplicemente.
-Per quale motivo?- C'erano almeno mille risposte ovvie a quella domanda, e Mila le conosceva tutte. Eppure il suo sguardo, insistente e accusatorio, ne voleva un'altra che non fosse scontata o falsa. Aveva tutta l'aria di saperla già, quella risposta.
-Hai frugato tra le mie cose- dissi più a me stessa che a lei.
-Stavo solo ordinando la stanza! Ho visto la lettera nel cassetto e...- La domestica si coprì il viso con le mani, nel tentativo di nascondere il rossore della vergogna. Almeno non aveva provato a negare.
Sospirai e le tolsi delicatamente le mani dalla faccia. -Non voglio fare sciocchezze, Mila, ma devo riflettere sul significato di quella lettera. E per farlo, ho bisogno di una tranquillità che in questa villa non troverò mai- era una mezza verità. La lettera non era il motivo principale della mia partenza, ma non potevo certo dirle che avevo intenzione di fare fuori Edmund Fletcher. La cameriera sembrava già al limite della sopportazione, come se quelle due righe d'inchiostro rappresentassero una minaccia.
-Tu non capisci!- la vocina di Mila si alzò di un'ottava, cogliendomi di sorpresa. -Quelle parole... Quell'impronta... Tessa, sono segnali d'avvertimento. Ciò che vi è scritto è vero: sangue e nomi fanno la differenza!- In lei c'era qualcosa che andava ben oltre la semplice preoccupazione. Era terrore, puro terrore.
-Penso che tu stia esagerando...-
-No! Fanno la differenza tra la vita e la morte, è questo che intendeva dire! Chiunque abbia scritto quella lettera, ti sta mettendo in guardia. Troppe persone sono coinvolte nella tua storia, Tessa, troppe persone conoscono il tuo vero nome!-
Le ultime parole, pronunciate con una voce quasi disperata, innescarono qualcosa nella mia mente. Provai una dolorosa fitta alla testa, talmente forte che sentii le mie ginocchia cedere e farmi cadere sul pavimento. In ben che non si dica, mi ritrovai distesa supina, il respiro smorzato e il corpo debole.
-Tessa!-
L'intenso dolore alla testa non accennava a lasciarmi, e ad esso si unì una spiacevole sensazione al petto. Poi, improvvise e rapide come un lampo, delle immagini sfocate percorsero la mia mente, seguite dalle voci dei volti che apparivano astratti nella mia memoria.
Seppi per certo che non si trattava di un sogno, quando mi accorsi di avere gli occhi spalancati e la vista funzionante. Erano ricordi riemersi da chissà dove.
Era la mia famiglia.
Mia madre e mio padre, mano nella mano.
Un altro uomo e un'altra donna che non riuscivo a inquadrare, poiché erano di spalle. Ma sentivo le loro voci.
Di nuovo mia madre. Ancora mia madre.
Infine, una frase priva di senso che risuonava come un'eco: Quello è il mio nome, il mio vero nome.
I miei sensi si stavano perdendo, le immagini diventavano via via più vivide.
-Ti prego, Tessa, rispondimi!-
Udivo le parole della domestica, ma ero incapace di risponderle. O di muovermi.
Mi resi conto di non star respirando. Avvertii Mila accovacciarsi accanto a me e scuotermi, urlare il mio nome e chiamare aiuto.
Sentii il tocco delicato delle sue labbra morbide che costringevano le mie a schiudersi, la sua bocca premuta sulla mia, il suo respiro che diventava il mio. Le sue lacrime mi accarezzarono le guance, le sue mani tremarono sulla mia pelle.
Ancora quelle immagini, ancora quelle voci.
Mila soffiò aria nei miei polmoni ripetutamente, nel disperato tentativo di mantenermi cosciente. Ma io non c'ero. Io non ero lì.
Io stavo ricordando.
Qualcuno aprì la porta.
E io persi i sensi.
***
Un nome può fare la differenza. Tienitelo stretto.
-Signor Scott, la ragazza ha bisogno di assoluto riposo, di nuovo. Niente stress. La sua mente e il suo corpo non reggono i suoi ritmi emotivi.-
Troppe persone conoscono il tuo vero nome!
-Proprio per questo non le permetterò di partire!-
Quello è il mio nome, il mio vero nome!
-Derek, sii ragionevole...-
-Non intrometterti, Mara!-
-Ritengo che la tranquillità di un bosco possa giovare alla salute della ragazza, quindi perché negarglielo?-
-Non posso lasciarla andare, non senza di me, è rischioso. E io non posso assolutamente partire adesso.-
-Tanto non potrai impedirglielo. Tessa fa sempre quello che le pare.-
-Non questa volta, Mara!-
Ero sveglia da mezz'ora e già rimpiangevo lo stato di semi incoscienza.
Il dottore mi aveva visitata, giungendo a una diagnosi uguale alla precedente: ero una pazza furiosa da tenere calma. Non aveva usato queste parole precise, però il senso era stato più o meno quello. Ora, lui e Derek discutevano su come e quando potessi riprendermi.
Dal canto mio, mi facevo gli affari miei. Ciò che mi passava per la testa era tutt'altro che un buon metodo per guarire.
Quelle parole avevano un senso. Quei ricordi, vecchi di anni e anni, erano nuovi di zecca nella mia memoria. Erano riemersi dal nulla, ancora troppo impolverati perché io potessi analizzarli a fondo.
Cosa aveva voluto dire Mila? Sapeva qualcosa di cui io non ero a conoscenza? O, forse, conosceva meglio di me il meccanismo delle famiglie nobili a Surn.
Avrei voluto chiederglielo, ma, da quando mi ero svegliata, lei aveva evitato accuratamente il mio sguardo, tenendo il suo fisso per terra.
Dopotutto non avevo voglia di parlarne davanti a tutti gli altri.
Era giorno, qualcuno mi aveva portata sul letto. Ero rimasta incosciente per ore e alla fine avevo dormito fino al mattino.
Adesso ero circondata dalle solite facce.
Blake se ne stava con le spalle poggiate al muro, gli occhi puntati fuori dalla finestra e le mani in tasca; Cole faceva la solita cosa: osservava Mila con sospetto; quest'ultima singhiozzava sommessamente accanto al mio letto.
Mara, Derek e il dottore continuavano a discutere.
-Dateci un taglio,- m'intromisi -partirò comunque, che voi lo vogliate o no. State sprecando fiato. Grazie, dottore, Mila l'accompagnerà al cancello.-
Derek tentò di raggelarmi con lo sguardo, probabilmente irritato dalla mia presa di potere. La domestica e il dottore, dopo un primo momento di esitazione, si congedarono e uscirono dalla stanza.
Mara assunse una fiera espressione da "beccati questo, fratello" e posizionò i pugni sui fianchi, in segno di sfida.
Non c'era competizione, tra i due. La sorella sottometteva Derek come un cucciolo bastonato. Trattenni una risatina e mi tirai su a sedere. Sul tavolino di fianco al letto, Mila aveva posato un vassoio. Alzai il coperchio e annusai, deliziata, le leccornie che lo riempivano.
Ebbi appena il tempo di portare la tazza di cioccolata alle labbra, che vidi Mara sgranare gli occhi e coprirsi la bocca con una mano.
Due secondi dopo, vomitò sulle scarpe del fratello. Sarebbe stata una scenetta comica, se Mara non si fosse piegata in due per il dolore, con le mani in grembo e le gote bagnate di lacrime.
Agirono tutti contemporaneamente: Blake corse a chiamare il dottore, Derek sorresse la sorella e la portò sul mio letto, mentre Cole si affrettava a procurare gli oggetti che il suo padrone gli ordinava di prendere.
Io ero spiazzata. Gli occhi di Mara cercarono i miei in una muta supplica, le sue labbra mimarono una preghiera.
Non potevo coprirla, non questa volta.
Lei si ostinava a non rispondere alle domande del fratello, io tacevo. Derek gridava, nel panico. La sua faccia era diventata una maschera di paura e tensione.
Infine, Blake tornò con Mila e il dottore.
Per tutta la durata della visita, io e la domestica guardammo altrove, incapaci di sostenere le occhiate di Mara.
Un bicchiere d'acqua, una pillola e una coperta pesante. Poi un sospiro.
-Non si allarmi, signor Scott,- lo rassicurò il medico -sono dolori normali, la prima volta. Porti sua sorella nel mio studio, domani. Mi accerterò che anche il bambino stia bene.-
-Il bambino?- Derek, che odiava le ovvietà, utilizzò un tono incredulo, quasi inebetito.
-Sì, signor Scott. Mara è incinta.-
Infiniti secondi di silenzio, interrotti all'improvviso dalla voce tuonante di Derek.
-Uscite! Uscite tutti!-
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