24 - Lettera


Non ricordavo come fosse successo, ma ad un tratto mi ero ritrovata al centro della pista a guidare decine di persone in balli popolari. Non che sapessi i passi, certo, ma mi era bastato chiedere all'orchestra di suonare qualcosa di più vivace e mi ero limitata a seguire il ritmo. All'inizio tutti mi avevano fissata come fossi una pazza, poi, chissà come, mi erano venuti dietro e avevano seguito i miei balli improvvisati. Non proprio tutti, però. Alcune dame più snob avevano preferito rimanere in disparte a spettegolare dietro i loro pavoni dalle piume colorate. Ma che ci facevano dei pavoni lì dentro?

Tutto ciò era cominciato quasi un'ora prima, quando avevo avuto la fenomenale idea di bere del vino. Ogni volta che qualcuno si avvicinava per chiedermi di ballare, io declinavo gentilmente l'offerta, ma quelli non desistevano e si fermavano per quattro chiacchiere. Così, un po' per sopportare il loro chiacchiericcio e un po' perché avere le labbra impegnate era una buona scusa per non prendervi parte, mi ero scolata cinque calici di vino. O forse sei.

Adesso, in mezzo alla pista da ballo, mi muovevo a ritmo di musica inventando passi a casaccio. Mara, al mio fianco, ballava e rideva come una matta, tanto che veniva da ridere pure a me, anche se non sapevo esattamente per quale motivo. Accanto a me c'erano due tacchini che muovevano i fianchi a tempo, ondeggiando sulle ginocchia. Mi piacevano i tacchini, avevano un buon sapore! Ma non mi aspettavo che partecipassero anche alle feste.

Chiusi gli occhi beandomi della sensazione di leggerezza che mi pervadeva e li riaprii solamente quando l'orchestra smise di suonare. Barcollai all'indietro e dovetti aggrapparmi a uno dei tacchini per non cadere. Che tacchino forzuto! Appena rimisi a fuoco la sala, un pinguino dall'aria tutt'altro che amichevole mi venne incontro. Accanto a lui, un tizio che mi sembrava familiare, ma di cui al momento mi sfuggiva il nome...

-Blake!- Ah, ecco qual era! -Portala nella sua stanza. Mara, va' con lui e ridalle un minimo di contegno.-

I due interpellati ubbidirono e mi presero a braccetto. Quello doveva essere un pinguino molto importante. Un re pinguino, sicuro.
I tacchini e le persone mi salutarono calorosamente, e io ricambiai con un sorriso il loro affetto.

-Devo per forza andare via? Mi stavo divertendo!- mi lamentai mentre percorrevamo il corridoio.

-Ordini del capo. Devo ammettere, però, che ti preferisco di gran lunga in questo stato- ridacchiò la guardia.

Mi parai davanti ai miei due accompagnatori e li scrutai attentamente. Erano così carini!

-Vi voglio bene!- esclamai felice, e un secondo dopo li abbracciai entrambi. -Siete super, ma proprio superfantastici!-

-Ehm... Sì, Tessa, anche noi ti vogliamo bene.  Ora vieni che...-

-E chi è Tessa? Io mi chiamo Ol...Oly... Olly!-

-Ok, Olly. Andiamo in camera tua, va bene?- Mara mi accarezzò la testa e mi prese per mano con dolcezza, conducendomi verso la mia stanza.

Giunti a destinazione, mi precipitai sul letto e cominciai a saltarvi sopra. Anche se quel burbero di un pinguino voleva tenermi lontana dalla festa, non significava che non potevo divertirmi per conto mio!

-Tes... Ehm, Olly, dove sono le tue scarpe?- mi chiese Mara. Mi fermai di colpo e osservai i miei piedi nudi.

-Non le ho.-

-Questo lo vedo, ma...- la ragazza sbuffò e si rivolse alla guardia, ma io non li stavo a sentire.

Faceva un gran caldo lì dentro e il vestito mi soffocava, così decisi di togliermelo di dosso.

-Olly, sta' ferma! D'accordo, Blake, credo che tu debba andartene.-

-Sul più bello? Neanche morto!-

Udii la porta sbattere e mi lasciai cadere pesantemente sul materasso. Non riuscivo a spogliarmi e la testa mi girava troppo per potermi concentrare su un'azione tanto complicata. Fortunatamente Mara venne in mio aiuto e piano piano mi sfilò il vestito.

-Va bene, Tessa, adesso ti alzi e ti fai un bel bagno. Appena finisci, puoi stare distesa tutto il tempo che vuoi.-

-Olly, sono Olly. Non voglio stare coricata, voglio tornare nella sala da ballo e divertirmi coi tacchini!-

-Non puoi, sei ubriaca. Mio fratello è già furioso, non è il caso di peggiorare la situazione.-

-Tuo fratello? Intendi il re pinguino?-

-Proprio lui.-

-Mhm...- ubbidiente, mi alzai dal letto ed entrai in bagno, seguita a ruota da Mara. Lei mi sciolse i capelli, riempì la vasca d'acqua e mi aiutò a lavarmi mentre io osservavo con ammirazione le bolle di sapone a forma di coniglietti.

***

Il bagno era stato rigenerante. La testa mi girava ancora e il pavimento ondeggiava senza motivo, ma gli animali erano scomparsi. Avevo convinto Mara a lasciarmi da sola, cosicché lei potesse tornare alla festa e salutare gli ospiti.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, ma ora me ne stavo a gambe all'aria, in camicia da notte, sul mio comodissimo letto. Il sonno tardava ad arrivare e io avevo la sensazione di essermi dimenticata qualcosa. In più non riuscivo a capire perché Derek avesse invitato tacchini e pavoni alla festa. Forse era il caso di chiederglielo.

Ma sì, tanto non avevo nulla di meglio da fare.

Mi sollevai a fatica e tastai il pavimento con un piede. Bene, sembrava solido. Feci il primo passo e il maledetto non tradì la mia fiducia, anzi rimase perfettamente stabile e immobile. Presa di coraggio, uscii dalla mia camera e raggiunsi quella di Derek affidandomi esclusivamente al mio istinto, perché la strada non me la ricordavo.
Abbassai la maniglia della porta e tirai. Niente, chiusa. Provai di nuovo, questa volta con più forza, ma non servì a nulla. Stavo valutando l'idea di sfondarla quando quella si aprì.

-Bastava spingere- mi accolse la voce di Derek, glaciale come al solito. Ma certo, bisognava spingere, non tirare! Come avevo fatto a non pensarci?

M'intrufolai senza invito e curiosai in giro, ignorando completamente il suo sguardo gelido che mi seguiva. All'improvviso mi tornarono in mente le sue parole: era stato lui ad invitarmi!

-Sono qui,- dissi semplicemente -e ora?-

-Come sarebbe a dire?-

-Mi hai detto tu di venire dopo la festa. Non ti facevo così smemorato!-

Mi dondolai sul posto, in attesa.

-Forse avrei dovuto specificare di venire sobria- il suo tono divenne ancora più duro, quasi cattivo.

-Sono sobria! O non mi sarei ricordata dell'invito, no?- mentii spudoratamente. Mi bastò guardarlo per capire che non credeva a una singola parola. Il suo sguardò mi trafisse da parte a parte e divenne... pericoloso?

Derek si avvicinò a me e sollevò un sopracciglio. -Ti ricordi proprio tutto, Tessa?-

-Olly, mi chiamo Olly! E sì, più o meno...-

-Olly, questo te lo ricordi?- sussurrò al mio orecchio un attimo prima di baciarmi. Il dannatissimo pavimento decise di giocarmi un brutto scherzo proprio in quel momento e cominciò a oscillare. Mi aggrappai alle spalle di Derek per evitare di cadere e lui mi circondò la vita, probabilmente per lo stesso motivo.

-Sì!- risposi convinta. Che idiota, certo che ricordavo quel bacio!

-E questi?- domandò ancora. Questa volta le sue labbra mi sfiorarono il lobo, il collo e la spalla.

-Ovvio, me li ricordo perfettamente...- mormorai.

Il pavimento stava per cedere. Derek doveva essersene accorto, perché mi sollevò da terra e mi trascinò sul letto. Sì, lì eravamo decisamente più al sicuro.

-E dimmi, visto che il tuo cervello funziona tanto bene, sai anche perché ti ho chiesto di venire qui?- parlava sommessamente e nel frattempo continuava imperterrito a riempirmi di baci. Ogni punto della mia pelle sfiorato dalle sue labbra prendeva immediatamente fuoco. Sentivo caldo, tanto caldo. Forse avevo bisogno di un altro bagno.

Ignorai la sua domanda e provai a sbottonarmi la camicia da notte. -Mhm... Derek, aiutami a togliere questa...-

Lui si fermò a fissarmi. Che aveva da guardare? Stavo morendo di caldo, perché non si dava una smossa?!

La sua mano si mosse con deliberata lentezza verso il primo bottone della veste e lo sganciò con altrettanta calma, per poi passare al secondo, al terzo...

Derek si resse sulle ginocchia e con un rapido gesto si liberò della giacca. Il suo sguardo famelico non mi abbandonò nemmeno per un istante, finché lui non si avventò voracemente sulla mia bocca.

Un fastidioso allarme scattò nella mia testa, ridonandomi quel pizzico di lucidità che servì a farmi capire dove mi trovavo e cosa stavo facendo. E quanto volessi continuare a farlo.

Fu allora, però, che mi ritrovai due uomini addosso. Non due uomini qualunque, ma due Derek!

La situazione si stava facendo interessante.

-Tessa?-

Due paia di occhi verdi mi guardavano preoccupati. Lentamente divennero quattro pozze confuse e sfocate.

-Tessa!-

-Olly... Sono Olympe, la vera Olympe- sussurrai un attimo prima di perdere i sensi.

***

Aprire gli occhi non era mai stato così difficile. Ogni minuscolo movimento delle palpebre mi causava dolorosissime fitte alla testa.

Quando finalmente riuscii a spalancarle, il viso tutt'altro che rilassato di Derek fu la prima cosa che vidi.

-Luce,- mugugnai -c'è troppa luce.-

-Come ti chiami?-

Provai a guardarlo male, ma era un'impresa troppo dolorosa e faticosa, dunque mi limitai a rispondergli.

-Credevo non ti piacessero le ovvietà.-

-Come ti chiami?- insisté.

-Tessa, brutto idiota. Mi chiamo Tessa. Ma che problemi hai?- sbuffai e mi tirai su a sedere con non poche difficoltà.

-Cosa ricordi di ieri?-

-È un interrogatorio?-

-Rispondi.- Il solito tono risoluto, lo sguardo di ghiaccio e la postura imperativa... C'erano tutti i presupposti per farmi venir voglia di strozzarlo da un momento all'altro.

-Niente, a dire il vero- sospirai e mi premetti due dita sulle tempie. -A parte l'immagine offuscata di due tacchini... Tu non hai dei tacchini, giusto?-

-Diciamo che non ho l'abitudine di invitarli alle feste, no.-

-Ottimo, allora non ricordo un fico secco. In compenso ho fatto un bel sogno, con tutta la famigliola e quel disgraziato di mio fratello ai tempi dell'innocenza. Eravamo in un campo di margherite e papaveri e...-

-Ok, fermati, non mi interessa.-

Mr Simpatia doveva essersi svegliato di buon umore.
In qualche modo riuscii a reggermi sulle gambe, a maledirlo e ad uscire dalla sua stanza.

-Tessa!-

-Abbassa la voce, ti prego...- La mia testa sembrava sul punto di scoppiare, e la voce squillante di Mara mi aveva praticamente sfondato le tempie martellandole dall'interno.

-Scusami. Facciamo colazione assieme? Posso anche darti qualcosa per il mal di testa.-

Accettai di buon grado e la seguii nella sua stanza, dove qualcuno aveva già portato due vassoi ricolmi di delizie.

-Ho un messaggio per te- annunciò la ragazza mentre io mi avventavo voracemente sulla cioccolata calda. -È da parte di Timothy Batchelor.-

Posai la tazza, in attesa. L'alcol non aveva cancellato tutti i ricordi della sera precedente. Quel nome era vivido nella mia memoria, e sapevo bene il perché.

-Mi ha chiesto di rinnovarti il suo invito, a Resal, e di darti questa.- Mara mi porse una busta sigillata. Sulla superficie giallognola, vi era scritto il destinatario.

Tessa Farrell.

Deglutii a vuoto. Come faceva a sapere il mio vero nome? Mi ero presentata come Olympe Scott! Forse avevo spifferato qualcosa da ubriaca?

-Sa come ti chiami- constatò Mara, con una punta di sorpresa. -Dovresti leggerla.-

Forse notò l'espressione sul mio volto, perché si affrettò ad aggiungere: -Oh, non qui se non vuoi! Mi faccio gli affari miei. Promesso. Sarò muta come un pesce anche con Derek.-

Le rivolsi un sorriso grato e rigirai la busta tra le dita. Che diavolo poteva volere uno come Timothy Batchelor da me?

Dopo aver accettato la medicina di Mara, mi congedai e raggiunsi la mia stanza solo per cambiarmi i vestiti. Dopodiché corsi in giardino, presi posto sull'erba e aprii la busta. Al suo interno vi era una lettera con poche righe:

Viviamo in un mondo in cui i legami di sangue decidono il futuro della gente.

Un nome può fare la differenza.
Tienitelo stretto.

Una calligrafia sottile e raffinata. Nessuna firma.

Un'impronta rossa in un angolo del foglio. Sangue.

Chiunque avesse scritto la lettera, prendeva molto sul serio i legami di sangue. L'autore era davvero Timothy Batchelor? E che diamine voleva dirmi?

Osservai a lungo il foglio, nella speranza di trovare un indizio o nell'illusione che potesse comunicarmi qualcosa in più. Il mio istinto mi diceva a gran voce che c'era qualcosa di losco dietro quelle parole, qualcosa che mi turbava nel profondo. 

Mimai il mio nome con le labbra, assaporandone ogni lettera. Poi feci lo stesso col nome che avevo utilizzato la sera prima come copertura.

Olympe. Era il secondo nome di mia madre, anche se lei non lo usava mai. Eppure io l'avevo sentito molto spesso durante l'infanzia, però non riuscivo a ricordare in quali occasioni. 

Rimisi la lettera all'interno della busta, mi sollevai da terra e procedetti a grandi passi verso il portone della villa. Non credevo fosse il caso di parlarne con Derek, ma avevo ben due indagini da svolgere a Resal. La prima riguardava Edmund Fletcher, la seconda, invece, la lettera e Timothy. 

Una strana sensazione mi solleticava la mente, qualche sorta di presentimento.

Attraversai la hall e mi fiondai in biblioteca, alla ricerca della mappa polverosa di Surn. Come aveva detto mio fratello, la città di Resal non distava molto da Rout Orbis, giusto qualche chilometro a ovest. Il problema era solo uno: arrivarci. Avevo l'impressione che Derek non avrebbe approvato una spedizione da vendicatrice in una città a me sconosciuta, soprattutto in una situazione delicata come quella. Ma allora cosa potevo fare?

Quello che hai fatto per tutta la vita, mi consigliò una vocina nella testa. Fuggi.

Ok, no, era una soluzione esageratamente drastica.

Potevo proporre una gita romantic...

No, il mio cervello non riusciva neanche a formulare quel pensiero. Dopotutto non c'era assolutamente nulla di romantico tra me e Derek. Al massimo potevo proporlo a Mila o a Mara. Una gita tra amiche, s'intende. 

Ecco, ecco! Quello sì che poteva funzionare! Un viaggio tra sole donne per rilassarsi fuori dal recente caos politico e familiare!

... D'accordo, neanche quello era un piano infallibile.

Sospirai, rassegnata all'evidenza: avrei dovuto parlare con Derek per convincerlo a lasciarmi andare. 

Uscii dalla biblioteca e mi diressi nella mia stanza. Lungo il corridoio, però, mi fermai davanti alla porta della stanza di mio fratello. Avevo sentito un rumore. Allungai la mano verso la maniglia e...

-Tessa.-

Ma certo, un cliché tipico di quell'odiosa villa: tutti ti interrompevano nei momenti meno opportuni.

Ignorai il richiamo di Cole e provai ad aprire la porta. 

Chiusa.

-Il padrone ha fatto chiudere quella stanza- mi spiegò la guardia. -Cercavi qualcosa?-

Scossi la testa. Dovevo essermelo sognato. -E tu?-

Il colosso era palesemente nervoso: stringeva i pugni e continuava a spostare il peso da una gamba all'altra, mentre le sue pupille si muovevano freneticamente alla ricerca di chissacché.

-Hai visto Mila?- 

-No,- risposi -non ancora. Ti sei pentito di averla piantata e ora ti sei trasformato in una specie di stalker?-

Cole mi lanciò un'occhiata sprezzante e mi superò senza aggiungere altro.

Stavo giusto pensando che quella era una giornata strana, quando entrai nella mia stanza e mi resi conto che era totalmente assurda. 

Blake, a torso nudo e senza scarpe, se ne stava poggiato al muro, tutto assorto in qualcosa di inesistente.

-Ti prego, trovami una valida spiegazione a tutto questo.-

La guardia, prima seria e concentrata, si accorse di me e mi rivolse un sorriso malizioso.

-Ciao, gattina. Ti stavo aspettando- disse con la pallida imitazione di un adulatore. Mi limitai a guardarlo male. 

Blake scoppiò a ridere, preso da un'ilarità che non condividevo affatto. Non appena si fu ricomposto, riprese a parlare: -L'ironia non è il tuo forte, vero? Comunque, è il mio giorno libero e sto facendo un favore a un amico.-

-E questo favore implica necessariamente la tua presenza, svestito per giunta, nella mia stanza?-

-Diciamo che è una specie di indagine in borghese... Si lavora meglio quando si sta comodi. Tranquilla, non ho frugato tra le tue cose, l'indagine non riguarda te. Anche se vorrei tanto sbirciare nel cassetto della biancheria intima...-

La prima cosa che trovai a portata di mano fu un libro; glielo lanciai e lo presi in pieno petto, peccato che fosse troppo piccolo per arrecargli seri danni.

-La solita violenta- si lamentò massaggiandosi il punto colpito. 

-Sparisci.-

Per fortuna, non se lo fece ripetere due volte.

Rimasta sola, mi distesi sul letto e chiusi gli occhi, nel tentativo di mettere in ordine i miei pensieri. Se escludevo gli strambi comportamenti dei miei coinquilini, le mie preoccupazioni principali si diramavano in tre direzioni: al primo posto, costantemente presente come un macigno nel mio cuore, c'era mio fratello. Ancora non potevo capacitarmi della sua assenza, della nostra separazione forzata dagli eventi. Subito dopo c'era la lettera macchiata di sangue. Odorava di mistero e di novità, ma non presagiva nulla di buono.

Infine, più immediata tra le mie urgenze, c'era la ricerca di Edmund Fletcher. Il bisogno opprimente di trovarlo non mi dava tregua. Il desiderio di vendetta aveva scavato fino alle ossa, e adesso chiedeva di essere dissetato. 

Ma cosa volevo davvero? Una volta trovato l'assassino di mia madre, cosa avrei fatto? Avrei iniziato col porgli delle domande, probabilmente. Perché avesse accettato l'incarico assegnatogli da Richard Molloy, ad esempio, e con quale coraggio lo aveva portato a termine. 

E poi? Cos'altro? Su cosa si sarebbe basata la mia vendetta concreta?

Pensai di nuovo a Richard Molloy. I piani che lo riguardavano erano più complessi e comprendevano la sua rovina. Mi sarei goduta il suo fallimento, la sua misera discesa verso la fine. 

Non potevo dire lo stesso di Edmund Fletcher. Non avevo idea da dove cominciare per smontare il suo impero, e dubitavo persino che servisse a scalfirlo moralmente. Non lo conoscevo, non sapevo dove mirare e come ferirlo. 

In compenso, avevo un pugnale. 

Quanto ero disposta a sacrificare della mia umanità per ottenere la tanto bramata vendetta?

Diversi impeti d'ira mi avevano portata a un passo dall'uccidere Richard Molloy, ma sarei stata capace di arrivare fino in fondo o avrei esitato e rinunciato?

Accarezzai mentalmente la lama del pugnale, ora nascosto chissà dove. La immaginai grondante di sangue... 

Scacciai via quei pensieri. No, non potevo togliere la vita a qualcuno.

Poi, improvvise e inaspettate, le immagini del viso tumefatto di mia madre vennero a farmi visita. La mia mente le plasmava con libera fantasia e orrore. 

Il delicato faccino di Josephine sfregiato e ingiuriato a suon di calci, il sangue e i lividi che lo deformavano a vista d'occhio. Artefice dello scempio, la punta di uno stivale. Lo stivale di Edmund Fletcher. 

E adesso non esisteva morale, solo un folle sentimento che grattava via il mio precario equilibrio emotivo. Incapace di aprire gli occhi, il mio cervello continuava ad elaborare le immagini dell'omicidio di mia madre, chiare e vivide come non lo erano mai state.

Infine, la risata di Edmund risuonò come un'eco nelle mie orecchie. Mi accorsi di star sudando e di aver stretto così forte i pugni da essermi conficcata le unghie nei palmi delle mani.

Spalancai gli occhi, col fiato corto e il cuore a mille.

Pronta ad ottenere l'unica vendetta possibile.

Pronta ad uccidere.



Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top