Capitolo 56: L'angelo con una sola ala
Non era possibile, non potevo crederci.
Il tempo all'Inferno era distorto, ma non credevo fosse passato così tanto tra i vivi.
Come aveva potuto Hope dimenticarmi? Come aveva potuto lasciarmi per lui?
Mi sentivo uno straccio e quello schiaffo ancora bruciava sulla pelle leggermente irsuta. Ero disposto anche a perdere le mie ali per lei, a rinunciare per sempre al Paradiso e ai suoi privilegi, e lei mi aveva dimenticato. Non potevo crederci; non poteva essere; non credevo potesse fare così male.
Tirai un pugno con tutta la forza contro la parete di una delle stanze del palazzo di Kora e poi ancora un altro e un altro ancora fino a farmi sanguinare le nocche, come se quel dolore potesse mettere a tacere quello che mi lacerava dall'interno.
«Lo sai che quel muro non ti ha fatto nulla, vero?» ghignò una voce divertita e sarcastica alle mie spalle, che riconobbi come quella del demone della superbia.
Appena mi voltai lo vidi poggiato all'ingresso della stanza, con stampata sul volto quell'espressione di scherno e superiorità, tipica di lui e del peccato che incarnava, manifestata attraverso quel sorriso sprezzante e malizioso che tanto irritava noi angeli.
«Vuoi che usi la tua faccia?» ringhiai furioso con le mani screpolate tremanti dal nervoso.
«No, sarebbe meglio che usassi quella del vero colpevole.» Rise, divertito dalla mia rabbia e dall'avere un nemico comune. «Anche se dubito che tu possa fare qualcosa contro di lui nelle tue attuali condizioni» osservò incrociando le braccia con sarcasmo. «Vuoi davvero rinunciare alla tua piccola Nephilim? Non crederai mica a quello che ti ha detto, vero?»
«E tu che ne sai di come stanno le cose?» sbraitai ferito nell'orgoglio e nei sentimenti, oltre che nel fisico.
«Non ci voleva molta intelligenza per capire che ti abbia voluto tenere lontano per evitare che il mietitore ti uccidesse all'istante» replicò, sottolineando ciò che reputava essere ovvio. «Non le importa nulla di lei, così come di tutte quelle che l'hanno preceduta.» Mi rivolse un'occhiata laterale, per assicurarsi che anche la mia mente stesse evocando le immagini di Ruby. «Ne sta solo approfittando, sai chi è, dopotutto.»
Non risposi, convinto del fatto che Hope me lo avrebbe fatto capire se avesse avuto paura del mietitore, se avesse avuto bisogno del mio aiuto. La verità era che mi aveva dimenticato, non era riuscita a perdonarmi per tutti quegli anni in cui le avevo tenuta nascosta la verità e per averla abbandonata quando più aveva bisogno di me.
«Era disposta a cadere e venire qui sotto pur di liberarti. È andata con lui per arrivare a te e raggiungerti all'Inferno; quello che ha fatto è stato per te, non per lui» ridacchiò divertito. «Low ti avrebbe ucciso all'istante se la ragazzina non ti avesse fermato con quello schiaffo. Matt mi ha raccontato tutto quello che è successo, nel dettaglio» aggiunse lascivo.
Mi voltai a guardarlo cercando di capire se stesse mentendo; dopotutto i demoni erano noti per i loro inganni e raggiri, soprattutto quel particolare essere che avevo di fronte, ben conosciuto per la sua pericolosità, o forse ciò che davvero mi spaventava era il fatto che volessi disperatamente credere alle parole di un demone per potermi illudere che non l'avessi persa.
«Rifletti, che cosa avresti fatto al posto suo sapendo che non potevi fermarlo e che l'avrebbe uccisa?» domandò mellifluo sogghignando. «Per quale ragione piangeva disperatamente e non ti guardava?»
«Perché dovresti remare contro il tuo mietitore se questo non fosse tutto un piano ben preciso della tua padrona?» Nonostante volessi credere alle sue parole ero molto sospettoso e non solo per la natura diabolica del mio interlocutore, ma soprattutto perché era dalla stessa parte di colui che tanto si impegnava a demolire.
«Il mietitore non è uno di noi, avrebbe dovuto essere un'anima dannata, condannata a vivere il suo incubo per l'eternità, e invece Kora lo ha reso immortale con un patto.» Scosse il capo esponendo i fatti con evidente fastidio, mostrando apertamente la sua contrarietà a quel particolare evento. «Non è né angelo né demone, ma non sto a raccontarti nel dettaglio, semplicemente lui non mi piace e pensa solo a se stesso» spiegò avvicinandosi a me.
«E come faccio a sapere che non me lo stai dicendo per farci uccidere a vicenda? Perché dovrei crederti?» Hope andava a letto con lui, me lo aveva detto lei stessa; la paura di quell'uomo non era sufficiente a spiegare il suo comportamento.
«Se volete uccidervi a vicenda a me non importa affatto. Inoltre, in quelle condizioni ti potrei uccidere anche io, figurati Low che ha un potere smisurato, se paragonato al mio» osservò divertito. «A ogni modo, quello che ti ho raccontato è la verità. Perché te l'ho detto? Ho i miei motivi per farlo e non credo certo che le ragioni di un demone possano interessare a un angelo di luce.» Alzò le spalle con disinteresse facendo tendere gli indumenti su petto e spalle. «Kora ha fatto un'offerta a Low mentre eravate al pub e dubito seriamente che lui abbia intenzione di rifiutarla. Molto presto si disinteresserà completamente della Nephilim e in quel momento smetterà di proteggerla, lasciando che i tuoi simili ne facciano carne da macello.» Allargò quindi il suo ghigno, divertito. «A lui non importa se non di sé stesso, ma questo lo sai forse anche meglio di me. La sua è stata una provocazione verso di te dall'inizio.»
«Che offerta ha fatto la tua padrona al mietitore?» Serrai i pugni, sentendo il sangue ribollirmi nelle vene per la rabbia e la frustrazione sortita dalle parole di Astaroth; se avesse fatto del male a Hope lo avrei ucciso, anzi peggio, lo avrei cancellato una volta per tutte.
«Di riavere indietro sua moglie,» rispose lui con un ghigno, godendosi ogni singola ruga di tensione sulla mia fronte «che, guarda caso, assomiglia terribilmente a Hope.» Scoppiò a ridere aprendo le braccia con un gesto esplicativo di quanto stesse per dirmi. «Motivo per il quale lui vuole quel piccolo angioletto candido e immacolato.»
«Sua moglie? Il mietitore è sposato?» Questa cosa era assurda, lui era la morte, era il male, era il braccio destro del demonio, la sua ombra putrida e letale; come poteva la morte sposarsi? Che diavolo voleva quell'essere dalla mia Hope?
«Si è sposato quattrocento anni fa, ma la mogliettina è volata in cielo, non senza l'aiuto del tuo superiore, nonché padre della piccola Nephilim che vi contendete» sghignazzò lui. Aveva perfettamente centrato il cuore della questione. «Ovviamente la somiglianza di Hope l'ha attirato, visto che non conosceva ancora le sue origini celesti, ma adesso che lo sa...» alzò le spalle con noncuranza, insinuando cosa potesse scaturire da quella conoscenza. «Si è preso gioco di te e di lei, sapendo che poteva ucciderti, e lei ti ha protetto» spiegò allargando il sorriso. «Non ti ha ucciso, sei l'unico che ha risparmiato e che si diverte a torturare, e non si limita a farlo solo con te, ma anche con lei, e tutto solo per punire l'arcangelo. Sai quanto sia abile come manipolatore, dopotutto» osservò divertito.
«Razza di bastardo!» Volevo morto quel figlio di puttana che si approfittava di Hope, a qualunque costo. «Devo andare da lei e fare a pezzi quello stronzo!» Non potevo lasciarla un minuto di più nelle sue mani.
Astaroth rise, aveva finalmente suscitato la reazione desiderata in me, restava solo un'ultima cosa da fare prima di reclamare il premio dalla sua regina. «E come? Non puoi lasciare l'Inferno, a meno che tu non cada, non sei abbastanza forte per sconfiggerlo» osservò, conscio purtroppo delle mie abilità ridotte a causa della grave mutilazione subita a opera del mietitore. «Non puoi fare nulla se non farti ammazzare e lui lo farebbe di fronte a lei, mostrandole tutto quanto, facendo a pezzi la sua volontà più di quanto già non abbia fatto.»
Strinsi i denti fino a farmi dolore la mascella, divorato dai sentimenti negativi che si stavano impossessando di me. Non volevo cadere, non per la Città d'Argento, già a me preclusa, piuttosto non volevo dovermi trovare a combattere contro i miei fratelli, i miei compagni, e se Hope fosse riuscita ad ascendere non l'avrei più rivista. Ma d'altronde che altra scelta avevo? Davvero le mie ali contavano più di lei? Le avevo detto il contrario eppure l'avevo esposta a mille pericoli pur di non fare ciò che andava fatto. Se fossi stato più determinato sarei caduto subito tornando da lei, non lasciandola alla mercé di quel bastardo.
Non mi aspettavo potesse essere così difficile prendere quella decisione e rinunciare a chi ero davvero, a chi avevo voluto essere per oltre duemila anni.
«Credo che, se cadessi, Kora potrebbe aiutarti a raggiungere lo stesso livello di Low. Potreste anche essere alla pari o quantomeno impedirti di farti uccidere subito.» Tirò su un angolo delle labbra, perfettamente conscio di avere la situazione in pugno. D'altro canto non era poi così difficile piegare un disperato. «Solo lei può aiutarti a riaverla, ma in cambio vuole qualcosa, lo sai.»
«E se ti sbagliassi e il mietitore non volesse tornare da sua moglie? Se volesse Hope? Credi davvero che Kora mi aiuterebbe a togliere il giocattolo all'angelo della morte?» Ne dubitavo seriamente, così come dubitavo che Kora mi rendesse abbastanza forte da poter uccidere il suo mietitore.
«Credo di sì» rispose allargando il sorriso strafottente. «L'alternativa è restare qui mentre lui si diverte con lei annichilendola totalmente fino a che non si sarà stufato» ipotizzò alzando le spalle. «È una marionetta nelle sue mani.»
Mi infastidiva da morire il pensiero delle sue mani su di lei, dei suoi loschi raggiri, di come la stesse usando. «Dannazione! E va bene! Sono pronto a ribellarmi all'Onnipotente.» In fondo questo era anche colpa sua, se lui avesse fatto qualcosa io non sarei stato costretto a cadere e lei non sarebbe stata in pericolo costante.
Astaroth sorrise accattivante per poi annuire. «Bene, credo che sia il caso che tu parli con Kora» osservò, leccandosi le labbra come pregustando qualcosa di estremamente piacevole. «Seguimi!»
Chiusi gli occhi per la frustrazione, ma non potei fare altro se non accondiscendere al suo volere.
Uscimmo dalla stanza, camminando lungo alcuni dei corridoi del Palazzo Nero della Signora Oscura, mentre ci dirigevamo in quelle che sapevo fossero le sue stanze private. Percepì il nostro arrivo, ovviamente; in quel dannato posto non si poteva neanche respirare senza che lei lo sapesse. Era davanti allo specchio, intenta a spazzolarsi i capelli neri come la notte che l'aveva generata. Indossava una vestaglia di seta, lasciata volutamente aperta per mettere in bella mostra le forme strizzate in un completino succinto. «Cosa ci fanno due bei ragazzoni nella mia camera?» chiese guardandoci dallo specchio con sguardo malizioso.
«L'angelo ha qualcosa da chiederti, mia regina,» mi anticipò il demone della superbia lanciandomi un'occhiata «sembra aver deciso finalmente da che parte stare.»
«Molto interessante.» Mi squadrò dallo specchio sorridendo provocante per poi voltarsi e iniziare ad avvicinarsi. «E sentiamo: da quale parte ha deciso di stare il nostro Luke?»
Strinsi i denti e irrigidii la mascella ricambiando il suo sguardo affamato con uno carico di disprezzo e risentimento. Lei non mi piaceva, così come il demone che mi aveva fatto da accompagnatore e ogni parte dell'Inferno che avevo visto.
«Il tuo scagnozzo mi ha detto che mi puoi dare il potere necessario per battermi con il mietitore, se cadessi» replicai cupo e rabbioso, serrando i pugni per contenere la frustrazione che provavo nel proferire quelle parole. Mi sentivo ingannato e manipolato, ma mi rendevo anche conto di essere stato messo alle corde e di non avere più nessuna possibilità, se non quella che le mie nemesi mi stavano offrendo.
Si avvicinò a me lentamente, con aria innocente. «Se tu cadessi avresti indubbiamente molti vantaggi: potrei ridarti le ali e la tua forza, non saresti più un angelo di luce, ma potresti entrare e uscire dall'Inferno a tuo piacimento, come un tempo facevi con i Cancelli Dorati, e provare a riconquistare il cuoricino confuso della tua piccola Nephilim,» iniziò a elencare con voce melensa, «ma non gradisco che si faccia del male al mio angelo della morte.»
Lanciai uno sguardo al demone che, alle parole di Kora, aveva smesso di sorridere, restando a guardarla in silenzio.
«Quanto basta per portarla via da lui» acconsentii cedendo anche su quel punto, sebbene, mi resi conto, fosse quello la cui rinuncia più mi costasse.
«Niente di personale, sai com'è, ho dei piani e lui mi serve per portarli a compimento. Quando siederò sul Trono Celeste potrai fare quello che ti pare di lui» mi accordò andando a recuperare dei calici di vino che porse al demone della superbia e a me, tenendo il suo tra le mani.
«Va bene» asserii chiudendo gli occhi e trovando conforto in quella promessa che sapevo essere senza valore. «Cosa vuoi in cambio?»
Mi scrutò indecisa mordendosi il labbro. «In tempi diversi avrei avuto parecchie richieste, ma sei fortunato, ne ho solo due.»
Rimasi in silenzio, senza bere, mente alle mie spalle il demone iniziava a sorseggiare tranquillo il liquido rosso rubino che ci era stato offerto.
«Primo: ti impegni a non fare la pelle a Low, almeno fino a quando non sarà finita la rivolta celeste, e secondo: voglio che tu guidi le mie armate in battaglia diventando Guerra, uno dei quattro cavalieri dell'apocalisse.» Sorrise, scoprendo finalmente una delle carte del piano che l'aveva guidata per quasi duemila anni.
«Cosa?» domandai sgranando gli occhi. Sarei dovuto entrare in Paradiso, il posto che per millenni avevo chiamato casa e a cui sognavo di tornare da quasi un secolo, e uccidere centinaia di angeli che un tempo conoscevo e consideravo fratelli. «No, non posso farlo» risposi scuotendo il capo e abbassandolo, poggiando poi il bicchiere sul primo ripiano che avevo vicino.
«D'accordo, non sei obbligato, Luke, puoi sempre restare a guardare Low che si sbatte la colomba dalla tua prigione infernale, sono certa che quell'immagine ti tormenterà a lungo» mi minacciò sadica, sapendo che qualunque mio diniego o remora sarebbe stata piegata dall'ineluttabilità delle circostanze in cui noi tutti ci trovavamo.
Lei aveva bisogno di cavalieri che guidassero le sue armate e io avevo bisogno di forza e libertà per poter lottare per l'unica cosa che in tutta la mia lunga vita immortale avesse avuto davvero valore: l'amore.
«Non puoi tenermi qui imprigionato in eterno» sibilai irritato. «Non posso guidare il tuo esercito in Paradiso, conosco quegli angeli e molti sono miei amici.» Non avevo scelta, eppure ciò che restava della mia coscienza cercava di trattare con quella donna per poter avere più miti condizioni.
«Allora perché non sfrutti la tua nuova posizione di cavaliere dell'apocalisse e provi a convincerli a schierarsi dal lato giusto?» Me lo disse come fosse un suggerimento spassionato che potesse mettere a tacere ogni mio eventuale dubbio.
«Non mi ascolterebbero mai.» Probabilmente avrebbero cercato di uccidermi subito, appena avessero incrociato il mio sguardo.
Ero indeciso, avevo perso ormai le mie ali e la possibilità di tornare a casa già da un bel pezzo, inoltre ero ben consapevole che rifiutare la proposta di Kora significava perdere ogni cosa mi fosse rimasta, compresa Hope. Dio non aveva mosso un dito per me, per Hope, per Matt e per tutti gli altri che quotidianamente invocavano il suo nome e il suo aiuto. A Lui non importava niente di noi; buoni, cattivi, luce, ombra, non faceva differenza, Lui era sordo alle nostre invocazioni, per cui era solo nostra responsabilità lottare per ciò che contava e difenderlo fino all'ultimo respiro.
Kora stava per andare a distruggere il Paradiso e nemmeno questo era servito a smuoverlo. Sarebbero morti tutti per nulla, difendendo un Padre che in realtà non era mai stato tale.
Chinai il capo, digrignando i denti e stringendo i pugni. Ormai ero un caduto, ma ancora non avevo perso la cosa più importante di tutte; potevo salvare Hope.
«Sai...» sentii dire da Astaroth. «Il fatto è che se non lo fai, a parte il fatto che il mietitore farà di lei quello che vuole, quando se ne stancherà cosa credi che accadrà?» domandò sarcastico e mellifluo. «Non avrà più nessun motivo per tenerla in vita, la ucciderà e, visto che pare incorruttibile beh... credo che tutto sommato potrebbe essere un'ottima strategia far apparire la figlia del suo più odiato e acerrimo nemico dinanzi ai Cancelli Celesti. Sarebbe una vendetta perfetta per lui: la vita della figlia di Michele in cambio della sua adorata mogliettina.»
L'Oscura Regina non disse nulla, si limitò ad andare a sedersi su di una poltrona sorseggiando il vino dal calice. «La scelta è solo tua Luke e come ben sai l'esercizio del libero arbitrio comporta conseguenze che bisogna accettare. Pensa a ciò che possiedi, a ciò che potresti perdere e a quanto ci guadagneresti e, dopo esserti fatto i tuoi conti, prendi una decisione e accetta le conseguenze che ne deriveranno.»
«Ormai non ho niente da perdere» ribattei fissando torvo il demone della superbia. «Va bene» concessi con rassegnazione tornando poi a guardare Kora. «Accetto.»
«Hai fatto la scelta giusta, Luke.» Si sollevò dalla poltrona senza mostrare la soddisfazione che mi aspettavo di vedere dipinta sul suo volto, fondamentalmente convinta che non ci fosse stato altro possibile epilogo per la mia storia e di conseguenza per la sua. «Qui all'Inferno apprezziamo molto coloro che credono in qualcosa, che hanno un motivo per combattere, soprattutto se quel motivo è l'amore. Siamo molto passionali quaggiù.» Mi strizzò l'occhio, da buon'intenditrice, sottolineando quello che demoni e caduti pensavano sin dall'origine dei tempi: che gli angeli fossero motivati solo da dovere e paura, mentre loro da passione e lealtà. «Non ti resta che cadere definitivamente, al resto penserò io.»
«Come faccio a cadere definitivamente? Ho già rinnegato Dio, non credo più in lui da molto tempo» risposi prendendo un altro lungo respiro.
«Se è vero, allora non ti resta che aprire le tue alucce, vediamo di che colore sono.» Non stava nella pelle dalla curiosità.
Non era una cosa che amavo fare. Dopo che il mietitore mi aveva tagliato un'ala, provocandomi la cicatrice che portavo impressa sulla schiena non amavo mostrarle e raramente le tiravo fuori, ma se erano vere le parole di Kora, allora tutto poteva davvero cambiare.
Abbassai il capo e chiusi gli occhi, aprendo quello che restava delle mie ali.
«La tua colomba le ha mai viste?» mi chiese la Nera Regina alzandosi dal trono e venendomi incontro.
«Sì, le ha viste» risposi in tono più basso, rialzando lo sguardo su di lei nel vederla avvicinarsi.
«Bhè, hai il tuo fascino, non c'è che dire.» Mi girò attorno sfiorandomi l'unica ala che mi restava e il moncone dell'altra per poi ricalcare la cicatrice che mi aveva fatto Low.
Quel contatto indesiderato e inopportuno mi fece allontanare d'istinto dal suo tocco, infastidito e irritato come non mai. Faticavo a farmele toccare persino da Hope, figuriamoci da lei.
Erano il simbolo della mia vergogna, del non essere riuscito in ciò che avrei dovuto fare, del non essere stato capace di proteggere Ruby e Caty.
«Sta buono. Sto valutando i danni, anche se devo ammettere che mi dispiace, una sola ala fa molto sexy, ma un patto è un patto.» Sospirò ritornando davanti a me. «Stringiamolo e riavrai le tue ali.» Mi tese la mano aspettando che l'afferrassi.
«Un patto è un patto» ripetei mentre le stringevo la mano con decisione senza toglierle gli occhi di dosso.
Non mi interessava quanto le mie ali potessero essere o meno sexy. In quel momento avevo per la testa solamente il desiderio di uscire da lì e recuperare Hope; il resto non aveva nessuna importanza.
«Farà male, ma credo sia tardi ormai per ripensarci.»
Fiamme nere vennero fuori dal suo braccio ed iniziarono ad avvolgermi ricostruendo l'ala distrutta e cancellando la cicatrice dalla mia schiena. Fu terribilmente doloroso sentire l'ala spuntare nuovamente dalle mie spalle mentre il sangue caldo mi colava lungo la schiena e sul pavimento. Digrignai i denti e chinai il capo, stringendo la mano di Kora e l'altra a pugno per cercare di non gridare e sopportare quel dolore sordo e pulsante che mi aveva invaso tutta la schiena per poi espandersi in tutto il resto del corpo.
Come tutte le torture dell'Inferno, anche quel male sembrò Infinito, ma era solo un'illusione, bastarono pochi attimi per rendermi di nuovo un angelo completo. Appena la metamorfosi fu ultimata le fiamme sparirono, ritraendosi nella carne della propria Signora, e la mia mano fu nuovamente libera. Kora mi lasciò andare tornando a sedersi alla poltrona, spossata. «Benvenuto in squadra, mio cavaliere, festeggiamo la nascita di Guerra!» annunciò con voce stanca, asciugandosi la fronte imperlata.
Sospirai pesantemente, cercando di riprendere il controllo di me stesso e delle mie emozioni, senza rispondere, come se non mi importasse nulla delle sue parole, intento a gestire il flusso di sensazioni intensificate che mi pervadevano. Quando la mia ala si era ingrigita tutto si era amplificato, avevo percepito il mondo esterno e quello interiore in modo completamente nuovo, come se mi fosse stato tolto un filtro dagli occhi. Adesso era tutto ancora più vivido e travolgente e anche se pensavo di saperlo già gestire, non potevo negare mi avesse colto alla sprovvista, e poi c'erano le mie ali... le sentivo, entrambe presenti, con il loro peso equamente distribuito sulla mia schiena, una sensazione che avevo dimenticato, un'energia che aveva smesso di fluire in me ormai da tempo. Non avevo bisogno di vederle per sapere che ci fossero e che mi erano terribilmente mancate.
Lei sembrò leggermi nel pensiero. «Erano circa settecento anni che non vedevo un paio di ali così.» Mi indicò un enorme specchio, troppo stanca per alzarsi dal suo seggio. «Puoi guardarti, se lo desideri.»
Osservai lei, poi il demone, che mi fissava sempre con quel ghigno superiore e arrogante mentre sorseggiava divertito. Tirai su l'angolo della bocca, in un moto involontario dettato dai miei nuovi sentimenti di autocompiacimento e soddisfazione. Ero curioso di capire cosa fossi diventato, anche se potevo sentire perfettamente il potere e la forza diffondersi dalle mie ali all'intero corpo; mi sentivo invincibile.
Mi spostai di fronte allo specchio aprendo appena quelle che erano le mie nuove ali, fissando la mia immagine riflessa. Erano gigantesche ed erano due, nere come la pece e lucenti, con una delle due, quella ricresciuta gocciolante sangue.
«Allora? Che ne pensi?» mi chiese lei tenendomi gli occhi fissi addosso.
«Sono come quelle del mietitore» risposi assottigliando lo sguardo per poi nasconderle, sentendo tutta la soddisfazione che avevo provato fino a quel momento trasformarsi in odio e rabbia, tornando a guardare verso di lei. «Ho le sue stesse ali!» ringhiai quasi, facendo difficoltà a controllarmi. Scossi la testa per rimettere al loro posto i sentimenti negativi e cercare di restare lucido e non distrarmi dal vero motivo per cui avevo stretto quell'accordo. Mi voltai verso di lei avvicinandomi di qualche passo. «Come faccio a rintracciare Hope e quel bastardo?»
«Bhè se avete entrambi i capelli neri non è mica colpa mia.» Sollevò le mani innocente. «Anche le mie sono nere.» Riprese il calice, tornato nuovamente pieno, senza ancora accennare ad alzarsi. «Il mietitore ha messo una runa di occultamento addosso a se stesso e alla tua adorata colomba. Erano al mio club fino a qualche ora fa e stanno andando a Salem, non so altro.»
«Allora andrò a Salem! Come esco dall'Inferno?» domandai a denti stretti in un sibilo. Non ce la facevo più ad aspettare e mi sembrava che ogni istante passasse fin troppo velocemente, temendo di arrivare da Hope troppo tardi.
«Frena i cavalli, cavaliere! Non puoi entrare a Salem, Low l'ha sigillata, puoi solo girarci intorno e sperare di intercettarli.» Si alzò dalla poltrona con un rantolo di stanchezza, facendo leva sui braccioli. «Per uscire di qui fai come facevi di solito con i Cancelli Dorati; adesso sei un caduto e puoi muoverti a tuo piacimento qui.» Aveva voglia anche lei di liquidarmi, sembrava star perdendo la faccia tosta che aveva in pubblico, vinta dalla stanchezza.
Quel bastardo maledetto si era praticamente barricato con lei a Salem e a quel pensiero mi salì di nuovo il sangue alla testa, ulteriormente amplificato dalla mia nuova condizione di caduto. «Va bene. Quando intendi iniziare con questa tua guerra?» domandai severo. «E dove posso trovare Matt?»
«Inizierà quando sarò pronta.» Mi diede le spalle avvicinandosi all'uscita, sventolando una mano in aria per liquidarmi. «Matt è da qualche parte qui all'Inferno, cercalo, non sono la sua segretaria» rispose seccata «e sta tranquillo, presto imparerai a gestire questi tuoi nuovi focosi stati d'animo.»
Non attesi altro nè dissi altro, facendo dietrofront e uscendo dalla sala, lasciando demone e regina da soli. Iniziai a chiedere dove potevo trovare Matt, non avendo minimamente idea di dove poterlo trovare, aggirandomi a caso per l'Inferno. Non ci volle molto a scoprire che avesse un appartamento tutto suo su uno dei vari cerchi. Arrivai rapidamente da lui, bussando con rabbia sulla porta, intenzionato a non perdere più neanche un secondo.
Venne ad aprire un ragazzetto, un giovane demone, ma Matt era dentro, sentivo la sua voce.
«Chi è?» chiese infatti, avvicinandosi all'uscio.
«Sono io!» risposi secco e iracondo scansando il ragazzetto ed entrando in casa. «Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Luke!» si fermò di colpo, piuttosto confuso nel vedermi lì. «Sei un'allucinazione dell'Inferno?»
«No, non lo sono» risposi seccato. «Voglio andare a riprendermi Hope, vieni con me?»
«Aspetta, come hai fatto a uscire dalla cella?» Mi scrutava alla ricerca di un indizio che rivelasse l'inganno, ignorando l'unico dettaglio che potesse fargli capire cosa mi fosse davvero successo.
«Sono caduto, ho stretto un patto con Kora» risposi risoluto, stanco di aspettare che ci arrivasse da solo. «Ho bisogno del tuo aiuto, amico, non posso lasciarla nelle mani del mietitore.»
«Certo» mi rispose subito, anche se un po' incredulo, soffermandosi sui miei occhi, divenuti di un verde acceso e molto più intenso. «Ti... ti aiuterò ovviamente, ma, Luke, accidenti non posso credere che tu sia caduto, cioè cazzo, Michele darà di matto quando lo saprà.»
«Non avevo alternative. Il mietitore sta solo manipolando Hope, non posso lasciarla nelle sue mani» risposi guardandolo. «E se devo dannarmi per salvarla allora così sia.»
Matt si guardò intorno alla ricerca del ragazzetto che mi aveva aperto la porta. «Lasciaci soli» ordinò al demone, per poi aspettare che andasse via prima di iniziare a parlare. «Ti aiuterò a riprenderti Hope, quella scena al pub è stata assurda. Però... c'è un problema più grosso del mietitore. Hope si è messa in testa di voler fermare la guerra» mi rivelò.
«Cosa?» domandai allibito per poi sorridere nervosamente scuotendo il capo. «Che stupida! Questo è tipico di lei» osservai sospirando.
«Bhè, sembra aver convinto anche il mietitore. Mi ha chiesto di trovare Lucifero per lei, crede che possa fermare Kora» bisbigliava, timoroso che potessero sentirlo.
«Tutto questo non ha senso.» Scossi il capo cercando di riordinare le idee e tenere a bada la rabbia. «Astaroth mi ha detto che probabilmente quello che ha fatto Hope è stato per proteggermi e che è soggiogata dal mietitore» spiegai tornando a guardarlo per poi sedermi. «Cosa ne pensi? Tu eri lì.»
«Non saprei che dirti. A me sembrava la solita, solo più diffidente.» Fece spallucce, continuando a studiarmi incerto. «Ha detto di voler stare con lui, ma francamente non saprei dirti se i suoi sentimenti fossero reali o indotti.»
Devo scoprirlo e fermarla. Ormai la guerra ci sarà e si farà solo ammazzare nel cercare di fermarla» osservai nervoso e preoccupato. «Kora mi ha detto che sono a Salem, ma che Low ha bloccato tutto il luogo e che non possiamo entrare» dissi camminando avanti e indietro per dar sfogo al mio nervosismo amplificato dalla caduta.
«Forse davvero dovremmo cercare Lucifero.» Si appoggiò a una sedia rigirandosi le bacchette tra le mani, cercando anche lui una valvola di sfogo. Nonostante la sua nuova condizione non mi sembrava affatto cambiato, neanche nei minimi dettagli, ma d'altronde era sempre stato bravo a capire e gestire le emozioni, proprio come Hope. «Ma se hai un piano io sono con te.»
«Devo parlare prima con lei e poi sì, potremmo cercare Lucifero. Bisogna però trovare un modo per portare a Hope un messaggio a Salem che veda solo lei.» Se avesse risposto avrei anche avuto la certezza che ciò che aveva detto non fosse vero.
«Mandale una lettera, noi non possiamo entrare, gli umani sì» mi suggerì scherzando.
«Vero, ma come la potrebbe trovare, Salem non è una piccola città, potrebbe essere ovunque» ribattei pensieroso prima di alzare lo sguardo su di lui. «Gli umani possono entrare, demoni e angeli no, ma se un umano venisse posseduto?» In quanto angelo non accettavo le possessioni demoniache, ma poteva essere un'alternativa, forse la sola possibile.
«Non saprei, non sono un grande esperto di queste cose, ma credo che sia possibile. È difficile che un demone faccia una possessione, a loro non piace molto, quindi credo che il sigillo non sia così forte da accorgersi della differenza tra un umano normale e uno posseduto.» Mi guardò fermandosi. «Vuoi mandare un demone a Salem a cercarla? Non vuole parlare neanche con noi perché non si fida, credi darà retta ad un demone qualunque?»
«Non a uno qualunque, ma a quello della superbia. Non sembra amare particolarmente il mietitore, a mio avviso» suggerii incrociando le braccia. «E visto che è un tuo amante potresti convincerlo a farlo.»
«Come lo sai che è un mio amante?» Sembrava un po' in imbarazzo e anche intimorito.
«Credi che in questo periodo in cui mi hanno tenuto qui dentro non mi abbiano raccontato nulla?» domandai sarcastico inarcando un sopracciglio.
«Non sei arrabbiato?» Era parecchio teso e lo si vedeva bene da come storceva il naso.
«Perché dovrei? Sapevo già quali fossero i tuoi interessi... Capisco la frustrazione e il perché sei caduto» spiegai distogliendo lo sguardo e con tutt'altro tono. «Anche se credo che ci sarebbero state altre alternative o soluzioni.»
«Davvero? Mi avrebbero cancellato, lo sai. Non sono tutti come te, Luke.» Sbuffò frustrato. «Va bene, parlerò ad Astaroth.» Mi osservò attentamente staccandosi dalla poltrona. «Tu intanto riposati e fatti una doccia, ne hai bisogno.»
«Sì, credo di averne bisogno, ma non ho un posto dove farla» sospirai scocciato aprendo le braccia. «Comunque... ho di nuovo le ali... entrambe.»
«Sul serio?» mi chiese curioso e felice per me. «Comunque puoi restare qui mentre ti sistemi.»
«Va bene» risposi con un sospiro di gratitudine. «Fa in fretta con quel demone, voglio andare a Salem al più presto.»
«Farò del mio meglio... ehm, Luke...» mi chiese lui un po' titubante «posso vederle?»
«Sono come quelle del mietitore» risposi piuttosto infastidito. «Mi irritano da morire.»
«Oh... capisco.» Sembrava deluso, ma non insistette ulteriormente. Era stato lui, quasi un secolo prima a trovarmi ferito e a prendersi cura di me, era stato il primo a vedere le mie ali mutilate. «D'accordo, vado a cercare Astaroth, tu rilassati»
«Grazie, Matt» risposi osservandolo e sospirando. «Perché vuoi vederle? Ci tieni così tanto?»
«Curiosità.» Tentò di fare l'indifferente con una delle sue alzate di spalle, ma sapevo che aveva bisogno di sapere cosa fosse stato di quello scempio.
«Tanto prima o poi le vedrai comunque, in guerra dovrò usarle per forza» commentai con un sospiro lasciandomi cadere sul divano.
«Certo, riposati, Luke, ci vediamo dopo.» Si avviò alla porta per poi bloccarsi sull'uscio. «Se hai bisogno di qualcosa chiedi pure ai demoni, sono qui apposta.»
«Non credo che chiederò a loro» ribadì sospirando e passandomi una mano sul viso, esausto. «Anche tu sei uno dei cavalieri dell'apocalisse, per caso?»
«Così sembra.» Appariva dispiaciuto all'idea di dover combattere contro i nostri compagni, soprattutto perché loro non si sarebbero affatto fatti lo scrupolo di cancellarci se ne avessero avuto l'occasione.
«Non vorrei neppure io combattere questa guerra. Se potessi aiutare Hope a fermarla lo farei» osservai pensieroso.
«Vale la pena tentare, però, Luke, comunque vadano le cose, non potremo più tornare a casa.» Non sembrava sconvolto, piuttosto rassegnato.
«Se posso vivere qui con Hope a me sta bene, sto facendo tutto questo per lei» affermai osservandolo attentamente. «Poi non mi sembra che qui ti dispiaccia poi molto, anzi, mi sembra che tu stia meglio.»
«Questo posto mi piace e per quanto ne so potremmo anche vivere sulla Terra. Potreste tornare a casa vostra.» Mi sorrise, felice che l'avessi presa bene. «Più che altro sono preoccupato per Mark e Joan.»
«Saranno con Michele, presumo.» osservai tornando a guardarlo. «Perché sei preoccupato?»
«Non vorrei trovarmeli contro durante la guerra e poi ho saputo che il mastino infernale abbia ferito gravemente Mark.» Era in pensiero, anche se cercava di non dimostrarlo.
«Come?» domandai nervoso per poi sospirare. «Mi piacerebbe rivederli.» Non sul campo di battaglia ovviamente.
«Mark è un moralista. Se è sopravvissuto a Cerbero è probabile che cercherà di cancellarci, così come Michele. Mi dispiace per Joan, questa situazione le starà spezzando il cuore.» Appoggiò la mano sullo stipite della porta dandomi un ultimo sguardo a labbra strette. «Riposa, amico mio, appena avrai recuperato le forze penseremo al da farsi. Vado a parlare con la superbia, ci vediamo dopo.»
Sospirai, chiudendo gli occhi e poggiando la testa sullo schienale del divano. Ero stanco e stravolto da tutto quello che era successo; quello era il primo momento dove potevo davvero permettermi un attimo di tranquillità in cui poter pensare solo alla mia Hope e al momento in cui ci saremmo rivisti e avrei potuto nuovamente stringerla tra le mie braccia.
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