Capitolo 48: Matrimonio

Me lo confessò solo molto dopo, ma in quel momento lei stava combattendo una battaglia interiore. Le avevo detto che l'avrei sposata e un bacio non era poi così deplorevole dopotutto, ma se mi fossi tirato indietro lei si sarebbe sentita compromessa per sempre. In quel momento stava decidendo se fidarsi davvero di me e della sua sensazione che fossi una brava persona; voleva credere che quella luce che vedeva esistesse sul serio e voleva tenerla accesa e aiutarla ad ardere, per cui non si ritrasse e non mi fermò, pur restando tuttavia rigida e terribilmente impacciata.

Per me fu ugualmente strano, abituato a reazioni diverse delle donne con cui mi intrattenevo, molto più languide e passionali. L'avere lei tra le braccia, che non mi stesse rifiutando, ma che faticava a tradire la sua natura, era inebriante e al contempo eccitante in maniera incredibile. Ebbi un desiderio terribilmente forte di possederla in quello stesso istante e non so come resistetti a quella voglia irrefrenabile. Probabilmente anche quello fu solo un atto di mero egoismo da parte mia, visto che non mi sarei mai perdonato se avessi offuscato quella luce macchiandone il candore.

Il bacio era casto, leggero, un banalissimo bacio, eppure ricco di significato e importanza, più di quanto lo siano stati molti altri prima di lei e dopo quel momento.

Era capace di far sembrare straordinaria qualunque cosa, anche ciò che avevo fatto centinaia o forse migliaia di volte nel corso dei secoli.

Si portò le dita alle labbra, rossa di imbarazzo e con li occhi sgranati di meraviglia. Aveva il respiro ansante e il cuore che le batteva veloce. Un'altra al posto suo sarebbe passata già a baci ben più peccaminosi e si sarebbe tirata su le gonne implorandomi di prenderla subito, lei invece mi fissava attentamente, provando a leggere attraverso i miei occhi i sentimenti e le mie sensazioni.

Sorrisi divertito, scivolando con la mano sui suoi fianchi e sentendo le mie stesse labbra bruciare dalla voglia di quel contatto. «Scusami, ma non potevo più resistere, ti avevo avvisato che non fossi un brav'uomo» scherzai per dissipare un po' di quella tensione che sentivo avvolgerla.

«Non mi avevano mai baciata prima» ammise lei. Stava per morire arsa viva senza sapere neanche cosa fosse un bacio, neanche il peggiore tra i demoni avrebbe posto fine alla vita di una fanciulla che ancora non aveva scoperto nulla del mondo.
Mi sorrise accarezzandomi il viso con tenerezza, come lei sola sapeva fare. «Come posso volere qualcuno che non sia tu?» chiese, non so se a me o a sé stessa.

«Potrei essere il diavolo in persona e mi vorresti lo stesso?» domandai sarcastico per quanto quella domanda fosse più vera che mai.

Rise, era meravigliosa quando rideva. «Se tu sei il diavolo allora, che Dio mi perdoni, l'Inferno non deve essere così male.»

Ridacchiai della sua blasfemia per poi attirarla a me di nuovo e stringerla divertito. «Che eresia» sghignazzai.

«Cosa ti aspettavi da una strega, se non che possa amare il suo signore?» ridacchiò, ma sapevo che l'episodio ancora la tormentava e che cercava solo di sdrammatizzare e cacciar via dolore e paura.

«Onestamente non lo so, non ho mai conosciuto una strega, saresti la prima che incontro»

«Oh, beh, non ci tengo a essere processata di nuovo, una volta mi è bastata» valutò con tono fintamente serio. «Davvero vuoi sposarmi?» chiese ancora stupita dalla mia offerta.

«Sì. Non hai idea di quanti anni siano passati da quando mi sono sentito così vivo.» Circa quattrocento, ma glielo avrei detto solo in un secondo momento. «E tu davvero mi vorresti, anche se fossi l'angelo del male?»

«Sì» annuì lei con un sorriso. Ovviamente in quel momento pensava stessi esagerando e, se devo essere onesto, lo ha pensato per tutta la sua breve vita, non mentiva, avrei potuto essere anche Lucifero in persona e per lei non avrebbe fatto differenza. Sara vedeva l'angelo dietro il demonio, non importava di che colore fossero le mie ali e la mia anima. «Vorrà dire che le accuse del processo sarebbero più vere di quanto avessi potuto immaginare.» Stavolta fu lei a posare le labbra sulle mie in un più che casto e rapido bacio che la fece arrossire.

«Mhhh... inizi a diventare impudente» osservai assottigliando lo sguardo. «Di questo passo rischi che mi venga voglia di farti mia prima del matrimonio, lo sai?» sussurrai malizioso sulle sue labbra.

«Non te lo permetterei.» Si stava divertendo, al sicuro dal mondo e dal suo male. «Per il bene della tua anima farai le cose come si deve.»

«La mia anima è già abbondantemente dannata, te lo garantisco» sussurrai suadente, assottigliando lo sguardo. «Davvero non me lo permetteresti? Dubito che ci riusciresti se facessi sul serio» ridacchiai, scivolando con le labbra lungo il suo collo, come se volessi dare maggior enfasi alle mie parole.

«Volete mettere alla prova la mia fede, eccellenza?»

«Attenta, piccola strega, potrei davvero metterti alla prova»

Se ci avessero sentiti ci avrebbero messi entrambi al rogo all'istante, ma casa nostra era un luogo sicuro e protetto dove poter essere se stessi senza paure o conseguenze.

«Sono felice, Low» mi disse con dolcezza. «Non c'è cosa che desideri di più al mondo che vederti restare e avere la possibilità di restare al tuo fianco per renderti felice.»

«Non hai idea di quanto tu lo stia già facendo» confessai accennando un sorriso spontaneo. «Ma hai un mese per ripensarci» la provocai, anche se ero dubbioso sul fatto di mostrarle la mia vera oscura natura.

«Non accadrà, ne sono certa.» Mi diede un altro bacio leggero prima di spostarsi da me e indicare la tavola imbandita. «La cena si sarà freddata di nuovo.»

«La possiamo riscaldare, anche perché onestamente adesso ho fame di te» le risposi assottigliando lo sguardo con aria maliziosa.

«Tutto questo non mi sembra vero: ero in una cella a chiederti di realizzare il mio ultimo desiderio e ora sono qui con te. Sei sicuro che io sia ancora viva e che questo non sia già il Paradiso?» Non poteva esserlo perché io non avrei mai potuto stare con lei al di là del cancello dorato; per me quella porta non si sarebbe mai aperta. Potevo stare con Sara solo su questa terra, ma ne sarebbe valsa la pena, anche se solo per poco tempo rispetto all'eternità non avrei potuto fare a meno di lei.

«No, non è il Paradiso, ma ti assicuro che sarà molto meglio» promisi accarezzandole il volto per poi sospirare. «Che dici, ceniamo?»

Iniziò a instaurarsi una certa complicità tra noi: iniziai a insegnarle a leggere, a riconoscere le erbe e a preparare infusi, impacchi e decotti.

Una settimana dopo, il reverendo venne a prenderla per riportarla a casa dei suoi genitori. Non potevamo vivere insieme e ormai stava abbastanza bene da non aver bisogno delle mie cure se non ogni paio di giorni.

Lei accettò la situazione senza protestare, non che avesse scelta, ma non perdeva occasione per venire da me con il suo buon umore. Mi portava da mangiare e aveva iniziato a sistemare l'orticello di quella che sarebbe diventata casa nostra. Lasciava che la istruissi e che la conducessi in giro per il paese o per i boschi alla ricerca di erbe. Riuscivo sempre a rubarle un bacio prima che tornasse a casa sua, lontano da occhi indiscreti.

Fu proprio in quel periodo che iniziai a capire quanto fossi diventato dipendente dalla sua presenza, quanto avessi bisogno di vederla, di toccarla, di sentire la sua voce e la sua fresca risata. Ogni volta che andava via lasciava vuoto e silenzio, un vuoto e un silenzio che un giorno sarebbero diventati la mia tortura e dannazione, la punizione per i miei numerosi peccati.

Oramai il mese che le avevo concesso per cambiare idea su di me era agli sgoccioli e non sembrava affatto aver cambiato la considerazione che aveva nei miei riguardi, che anzi sembrava addirittura migliorata, al punto che iniziavo a sospettare la presenza di un sentimento ben più forte della semplice stima o dell'affetto tra di noi.

Dopo un mese tutto ciò che sapevo era che volevo averla al mio fianco. Quel legame era talmente forte che mi aveva fatto totalmente perdere ogni pensiero riguardo Kora, l'immortalità e chi fossi veramente, ma non potevo rimandare per sempre il momento in cui avrei dovuto dirle la verità sul mio conto. Avevo bisogno che lei sapesse, che potesse accettarmi per quello che ero, che potesse amarmi nonostante quello che fossi.

Se Sara mi avesse accettato sul serio sarei riuscito a credere che magari ciò che lei vedeva fosse reale, che forse in me c'era davvero ancora un po' di luce e una possibilità di salvezza, ma al tempo stesso avevo terribilmente paura di quale sarebbe stata la sua reazione.

Le avevo dato appuntamento la sera, verso il tramonto, di fronte a un piccolo specchio d'acqua, troppo piccolo per essere un lago, ma bellissimo nei colori durante quel momento della giornata. La stavo aspettando, poggiato a uno degli alberi, gustandomi la brezza fresca della primavera e di quelle giornate che diventavano sempre più calde, cercando di ignorare la fastidiosa ansia che mi strisciava dentro come un serpente.

Era uscita di casa con la scusa di portarmi la cena. Non le piaceva mentire, ma per una ragazza era assurdo aggirarsi da sola per i boschi per incontrare un uomo; lo aveva fatto solo perché ero io, perché credeva nelle mie buone intenzioni e alle mie promesse.

La vidi arrivare, bella come sempre, e sperai non fosse l'ultima volta. Si guardava intorno, chiedendosi cosa diavolo ci facevamo lì a quell'ora. «Low, volevi vedermi?» Aveva paura, consapevole che potesse accadere qualcosa di terribilmente spiacevole.

«Sì» risposi accennando un sospiro e chinando il capo. «Io... Ti avevo detto una cosa un mese fa, te lo ricordi?»

«Che mi avresti mostrato la tua natura e che se fossi stata in grado di accettarla mi avresti sposata» ripeté lei cercando di capire dove volessi andare a parare. «Perché siamo qui?»

«Lo hai appena detto» confermai avvicinandomi a lei. «Ti voglio mostrare la verità. Ho cercato di dirtelo spesso, ma tu non mi hai mai creduto, hai sempre pensato che scherzassi, ma non è mai stato così. Quando ti ho detto che ero un mostro non ti ho mentito» le spiegai con tono basso. «Non posso sposarti senza che tu sappia la verità, non è giusto nei tuoi confronti. Voglio stare insieme a te solo se mi accetterai davvero per ciò che sono» spiegai quasi a fatica, prendendo un altro lungo respiro. «In caso contrario farò quello che vuoi, me ne andrò, sparirò dalla tua vita come se non ci fossi mai stato» promisi in tono più grave senza però toglierle gli occhi di dosso.

Il suo rifiuto mi avrebbe divorato completamente, spazzando via quell'umanità che era riuscita a far nascere e crescere in me. Se mi avesse abbandonato mi sarei sentito definitivamente distrutto.

«Low, mi stai spaventando.» Eravamo in un posto isolato e io le stavo dicendo che volevo mostrarle di essere un mostro. «Ho visto ciò che sei, ti ho detto che non mi importa cosa fossi prima di venire a Salem. Ho avuto del tempo per conoscere l'uomo che sei e mi piace ciò che ho visto, non devi cercare di convincermi a tutti i costi di essere una cattiva persona.»

«Ma tu devi sapere la verità su di me: non sono un uomo qualsiasi, non sono un essere umano come te» dissi avvicinandomi a lei. «Le armi non mi feriscono, non invecchio, per centinaia di anni il mio compito è stato quello di mietere anime e portarle all'Inferno e questa volta non ti sto mentendo. Se tu non mi accetti per ciò che io sono davvero, non posso accettarmi io stesso, perché continuerei a chiedermi se tu vorresti stare con me se sapessi la verità.»

«Low, che stai cercando di dirmi? Che significa che le armi non ti feriscono, che non invecchi e che mieti anime?» Mi guardava come se avesse davanti un folle, forse temendo avessi mangiato per sbaglio qualche fungo allucinogeno.

Sospirai scuotendo il capo e iniziando a fare qualche passo indietro. «Sono quattrocento anni che vado in giro a mietere anime da portare all'Inferno. Anime come quella di Parris, anime dannate che meritano solo di essere tormentate per l'eternità dai loro stessi peccati. Sono anni che cerco esseri umani da corrompere, figli di esseri umani e angeli che non possono andare in Paradiso perché considerati aberrazioni» spiegai snervato e frustrato. Stavo confessando tutto quanto e sicuramente pensava fossi impazzito, ma io sentivo il disperato bisogno di sfogarmi, di vomitare fuori quella verità che mi stava facendo dannare e che, dopo un'eternità che tenevo tutto dentro, sentivo scalpitare per venire alla luce. «Sono un mostro, te l'ho detto, sono un demone dalle ali nere e non bianche e candide come quelle di un angelo» dissi tornando a guardarla. «Sei sicura di voler stare ancora con me adesso?»

«Sei sicuro di non aver mangiato niente di strano?» insisté ancora, incapace di credere a tutto ciò che le avevo confessato.

Aveva inteso la questione di mandare i malvagi all'Inferno per fargli avere ciò che meritavano, ma riguardo ai quattrocento anni di vita, i figli degli angeli e le ali non poteva credermi. Per quello che sapeva lei gli angeli non hanno figli, i demoni hanno corna a punta e coda e non ali e lei non vedeva nulla dietro la mia schiena.

«Se mi racconti queste cose per non sposarmi e poter andartene via allora ti rassicuro sul fatto che non ce n'è alcun bisogno, preferisco che tu mi dica la verità.»

Sospirai frustrato, scuotendo la testa e voltandomi a guardare lo specchio d'acqua per un attimo, cercando la forza di fare quanto necessario affinché lei potesse credere. Trattenni il fiato mentre afferravo i lembi della camicia per togliermela con un unico gesto mostrandole la mia schiena nuda. Fissai lo sguardo su quell'acqua cheta tinta di arancio dal tramonto ed espirai piano mentre le mie ali corvine si spiegavano dinanzi ai suoi occhi increduli.

Non ebbi il coraggio di voltarmi per vedere la sua reazione, me ne restai lì immobile a fissare l'acqua, cercando in me quella stessa calma che vedevo in quell'enorme distesa crepuscolare.

Non emise un suono, si limitò a guardare la mia schiena con la bocca spalancata, senza distogliere lo sguardo.

Rimasi così qualche istante, fino a che non trovai il coraggio necessario per poi voltarmi a guardarla, restando in silenzio senza ritrarre le ali nerissime e luccicanti alla luce del tramonto.

Mi fissava con gli occhi sgranati e il respiro accelerato, completamente impossibilitata a muoversi, tramortita dalla verità che le avevo appena mostrato.

Ritirassi le ali, per poi distogliere lo sguardo. «Io te lo avevo detto.»

«Sei un angelo...» mormorò lei cercando di riscuotersi.

«Non... proprio un angelo» dissi inclinando la testa di lato. «Non come lo intendi tu almeno» specificai.

Non riusciva ad articolare le frasi, il colpo era stato molto forte. La sua mente da ragazzina del 1600 cercava a fatica di dare un senso a quello che aveva visto. «Sei... sei... hai... tu hai...»

«Sì, ho le ali e sono immortale. Devo mostrarti che non posso ferirmi?» dissi inarcando un sopracciglio nervosamente, indeciso se avvicinarmi a lei o meno.

«Eri davvero qui per scacciare il demonio...» stava riflettendo, stava rianalizzando tutto quanto accaduto sotto questa nuova ottica.

Era arrivato un angelo che aveva affrontato il male e lo aveva sconfitto salvandola dalla morte e curandola. Paradossalmente, la vista di un angelo all'epoca non era proprio così scioccante come ora, credevano in molte cose e avevano un importante traffico di reliquie tra cui anche le finte ali di un angelo. Sarebbe stato molto diverso se avesse visto un demone, ma ai suoi occhi restavo comunque l'angelo che l'aveva salvata e aveva liberato la città dal male.

«Sì, ma non sto lavorando per Dio, lavoro per l'Inferno. Sono... una sorta di angelo della morte, se vogliamo metterla così» dissi avvicinandomi a lei lentamente. «La cosa non ti spaventa» osservai circospetto «o meglio, non quanto mi aspettassi.»

Ero abituato al fatto che chiunque mi vedesse come il mietitore scappasse urlando o impazzisse completamente, come era accaduto con Parris, ma la reazione di Sara mi lasciava sorpreso. Come tutti era incredula e faticava a razionalizzare quanto avesse visto, ma non ne era spaventata, solo sorpresa. Forse la differenza con gli altri era che fino a quel momento chiunque mi avesse visto con le mie vere sembianze aveva un qualche motivo di temermi, conscio che rappresentassi una punizione per una vita di peccati. Lei invece era fatta di luce e non temeva la mia natura perché non aveva nessun crimine sulla coscienza che potesse farmi risultare ostile. Tutti vedevano il diavolo, il demone, il maligno, l'oscuro signore, la morte, lei invece vedeva solo l'angelo dietro la falce.

«Lavori per l'Inferno? Non sei un angelo?» chiese un po' più timorosa.

La possibilità che fossi una creatura maligna non l'aveva neanche sfiorata fino a quel momento, ma era comunque una rivelazione spaventosa che non poteva ignorare, al punto che arretrò di un passo vedendomi avvicinare.

«È difficile da spiegare: ero un umano, ma mi è stata data una possibilità, molto tempo fa, quando la mia vita giunse al termine. La scelta era morire ed essere punto per i miei peccati per l'eternità, o diventare un angelo caduto e portare all'Inferno le anime corrotte o i Nephilim, creature nate da un angelo e da un'umana» spiegai fermandomi e guardandola attentamente. «Una volta portato all'Inferno un numero sufficiente di anime avrei avuto indietro la mia vita.»

«Quindi tu accompagni all'Inferno i malvagi?» Questa cosa era decisamente più accettabile dal suo punto di vista. «Per questo eri a Salem, per accompagnare Parris all'Inferno?» Era difficile per lei, doveva digerire un'informazione alla volta.

«Più che altro per mandarcelo. L'unico modo per farlo è ucciderli prima che si pentano dei loro crimini» spiegai, sempre tenendomi a distanza. «L'inquisizione ha ucciso un sacco di innocenti e uno dei miei compiti è stato di impedire che queste morti continuassero. Ho avuto lo stesso ruolo in centinaia di guerre e di battaglie, solo per uccidere uomini spietati e crudeli che continuavano a fare a pezzi poveri innocenti.»

«Fermi i malvagi...» rifletté. «Per questo hai le sembianze di un essere umano, per poterli fermare.» Sarebbe stato assurdo girare con le ali, ma lei certo non poteva sapere che le creature celesti potessero assumere sembianze mortali. «Non credevo che gli angeli potessero mascherare la loro natura per camminare tra gli uomini.» Le venne in mente qualcosa e si portò le dita alle labbra. «Ho baciato un angelo...» non sapeva se esserne sconvolta o felice, per cui nel dubbio fissava un punto qualsiasi davanti a sé.

«Stai per sposarlo l'angelo, se lo vuoi ancora» dissi inarcando un sopracciglio.

«Ma sono solo un essere umano, non sono degna, e poi gli angeli non si sposano mica, non è riportata testimonianza in nessuna scrittura che gli angeli contraggano matrimonio.» Per gli umani esistevano le spose del diavolo ma non riuscivano a concepire la sposa di un angelo, come se fosse una cosa impossibile. Persino Dio aveva avuto un figlio e questo loro lo sapevano eppure si sconvolgevano sempre quando venivano posti dinanzi alla possibilità che non tutto quello che leggevano nelle sacre scritture fosse reale. «Perché io? Non sono speciale.»

«Lo sei eccome o io non sarei qui» risposi prendendo un piccolo fagottino di seta grezza giallo oro, grande meno di un pugno. «E con me io non voglio nessun'altra, sempre che lo voglia anche tu.»

Era dubbiosa, faceva ancora fatica ad accettare la situazione. «Cosa c'è di diverso da prima? A parte che hai le ali intendo.»

«Assolutamente nulla, tranne che tu sai la verità» spiegai inclinando il capo di lato.

Annuì. «Quindi sei la stessa persona che ho conosciuto?»

«Sì, sono sempre io» risposi titubante, senza capire effettivamente a che stesse pensando.

«Allora va bene. Se sei sempre lo stesso uomo non mi importa che tu abbia le ali, dopotutto a te non importa cosa ho io sulla schiena» affermò lei seria.

«Allora accetta questo» le dissi porgendole di nuovo il fagottino che tenevo in mano.

Guardò me e poi il sacchetto che le tendevo, con espressione corrucciata, chiedendosi cosa contenesse e perché glielo stessi offrendo. Allungò la mano dubbiosa per poi prendere ciò che le stavo porgendo. «Che cos'è?»

«Aprilo e vedrai» dissi inclinando il capo di lato.

Come lo aprì ci trovò dentro un piccolo anello che si fece scivolare sul palmo della mano. Era un insieme di fili d'oro e argento intrecciati tra loro. Lo guardò imbambolata per qualche momento, senza sapere bene cosa dire.

«È bellissimo...» poi sollevò lo sguardo su di me. «È per me?» domanda retorica, aveva già gli occhi lucidi per la felicità.

Mi gettò le braccia al collo, praticamente appendendosi a me visto che era uno scricciolo e io molto più alto e grosso di lei. Si strinse a me forte, quasi temesse volassi via da un momento all'altro e io ricambiai quell'abbraccio, stringendola a me con egual forza, sentendo finalmente scivolare via tutta la tensione e la paura avuta un istante prima. Avevo temuto che urlasse, che inveisse contro di me e che scappasse, abbandonandomi lì, invece aveva visto in me l'angelo e non il demone. Aveva visto la parte buona, come se il mio lato oscuro per lei non esistesse, giustificando la mia natura con ciò che davvero facessi.

«Sei stata una delle prove più difficili che abbia mai affrontato» mormorai al suo orecchio stringendola ancora di più a me.

«Il solo pensiero che non ti avrei più rivisto mi stava spezzando il cuore. Ho solo una vita da vivere e voglio viverla con te.» Si sentiva fortunata per il fatto che l'avessi scelta nonostante fosse indegna e segnata, ancora di più perché sono un angelo.

«Ti prometto che cercherò di darti tutto» le assicurai chinando il capo e dandole un bacio sulle labbra. «Voglio solo renderti felice.»

«Ci renderemo felici a vicenda» promise baciandomi come non aveva mai fatto fino ad allora, dimenticandosi completamente di tutto, delle ali, degli angeli, dei demoni. C'eravamo solo noi e la vita che avevamo davanti.

Ci sposammo pochi giorni dopo, con la sorpresa di gran parte della comunità di Salem, anche se in realtà molti già sospettavano che ci fosse qualcosa, soprattutto grazie al fatto che mi ero fermato così tanto. Fu una cerimonia semplice, senza fronzoli, fatta direttamente nella piccola chiesa di Salem e tenuta dal reverendo. Avevo fatto arrivare l'abito per lei e ancora ricordo come le stava, quasi lei stessa fosse un angelo e mai, mai avrei creduto di sentirmi così fortunato ad averla vicino. Non ho mai visto un sorriso più radioso di quello che aveva il giorno delle nostre nozze, era splendida.

Poi arrivò la sera, dove finalmente la potei portare in quella che ormai era la nostra casa.

Era stata in quel posto tante volte e vi aveva anche abitato per un paio di settimane quando mi prendevo di cura di lei, ma adesso era nostra e la sentiva diversa. Appena oltrepassò la porta si fermò a guardarsi intorno, la osservò come se la vedesse per la prima volta e sospirò felice.

«La nostra casa.» Mi guardò con occhi traboccanti di amore e di pura e semplice gioia.

«La nostra casa» confermai sorridendole a mia volta, mentre le afferravo la mano e la avvicinavo me. Mi sentivo felice come non lo ero mai stato. In quel momento tutti i miei dubbi e i miei pensieri erano svaniti e soprattutto riuscivo finalmente ad accettare chi ero, come se il fatto che fossi il mietitore, l'angelo della morte, mi avesse permesso di trovare lei. «Adesso puoi finalmente essere mia» mormorai accarezzandole la gola con le dita.

Avevo aspettato quel momento per quasi un mese ed era stato davvero difficile trattenermi dal saltarle addosso, esattamente come lo era allora.

Sara era una donna di altri tempi, non era mai stata con nessuno, io ero il primo e non vedevo l'ora di poterle finalmente insegnare quei piaceri che da quel momento avremmo condiviso. Per le donne dell'epoca l'unione carnale era un qualcosa di peccaminoso, concessa solo per procreare, a patto che il loro piacere fosse escluso e che l'atto venisse consumato il più in fretta possibile, senza trasporto e in modo decoroso, ma io non ero il tipico uomo dell'epoca, al contrario, ero il messo del diavolo e l'incarnazione del peccato.

Lei mi seguì, sorridente e fiduciosa come sempre, ricordava quei pochi momenti che c'erano stati tra noi in cui ci eravamo spinti un po' più in là di quanto consentito dal pudore, ma non aveva idea di cosa la aspettasse, immaginava solo fosse piacevole, visto che sarebbe stato con me. Nessuno le aveva mai detto niente, era un argomento di cui non si faceva parola, un argomento proibito e, anche se non aveva idea di cosa potesse accadere, lei aveva cieca fiducia in me. La vidi nei suoi occhi quando sollevò lo sguardo su di me, ma per la prima volta scorsi anche qualcosa di nuovo, un sentimento che tra noi stava crescendo.

Sospirò quando le accarezzai la gola e attraverso la pelle sottile riuscivo a percepire il suo battito che aumentava di intensità, in reazione alla mia vicinanza.

Iniziai a slacciare tutto il suo abito. All'epoca non era come adesso che si indossano una maglietta e un paio di Jeans. Soprattutto per gli abiti femminili vi erano lacci e laccetti di ogni sorta con tanto di bustini e corsetti. Un vero inferno per le donne, ma non per me, visto che in quel momento rendeva solo più eccitante l'attesa.

Rimasi in silenzio, senza staccarle gli occhi di dosso e prendendomi ogni istante per godermi a pieno quel momento. Ero stato con così tante donne da aver perso il conto, senza contare che in più di un'occasione ero stato persino con Kora. Eppure lei era diversa, quello che sentivo e provavo era differente, non legato solo al semplice appagamento personale, ma sentivo proprio la il forte bisogno di appagare lei, condividere quel piacere che per anni avevo cercato solo per me, disinteressandomi del resto. Volevo insegnarle tutto, sentirla fremere tra le mie mani e anche solo quel pensiero mi faceva impazzire come mai prima.

Nonostante la fretta dettata del mio desiderio, fui lento a toglierle gli abiti, fino a farla rimanere solo in sottoveste. L'avevo già vista così centinaia di volte quando l'avevo curata ma ora la situazione era completamente differente

Rimase con gli occhi su di me mentre la svestivo, cercando di vincere l'imbarazzo e il fatto che non avesse idea di cosa fare, né di cosa aspettarsi.

«Immagino di dover fare lo stesso con te» disse esitante, allungando le dita verso la mia giacca e iniziando a slacciarla, cercando di capire quale fosse la prossima mossa.

Mi liberò della giacca e del fazzoletto e passò alla camicia. Quando me la tolse si fermò a guardarmi, mi aveva già visto al lago, quando le avevo mostrato le mie ali, ma stavolta era diverso. Mi guardava come fossi la cosa più bella che avesse mai visto. E quello sguardo mi dava sensazioni mai sentite, difficili persino da spiegare, eppure così vere e reali, tali da farmi perdere il poco controllo che avevo se non avessi avuto la forza di volontà di trattenermi.

Le presi una mano e la poggiai sul mio petto, lasciando che mi toccasse e mi sfiorasse, come a suggerirle di accarezzarmi mentre scioglievo il nodo della sua camicia sullo scollo dell'abito, così da allargarlo abbastanza da farglielo semplicemente scivolare addosso e lasciarla nuda.

Il suo respiro divenne più pesante, mi sfiorò, accarezzandomi e seguendo con le dita leggere la linea dei muscoli. Trattenne il fiato quando sentì la sottoveste scivolare denudandola dinanzi a me, prima di espirare pesantemente ed arrossire, ma non distolse lo sguardo. Era nervosa ma non voleva sottrarsi, voleva andare fino in fondo.

Le presi la mano e indietreggiai fino al letto mantenendo il contatto con i suoi occhi e un sorrisetto arrogante sul volto, conscio di quello che stavo facendo. Mi fermai solo prima di sedermi per togliermi i pantaloni di dosso, sentendomi decisamente eccitato quanto, in un certo senso, nervoso.

Lei non era come le altre, era mia moglie, mai stata con nessuno tranne che con me e quella sarebbe stata la prima volta. C'era una tensione diversa da parte di entrambi, non solo mia, ma anche sua, c'era aspettativa e curiosità legate al mistero di quello che entrambi sentivamo l'uno per l'altra.

Mi stesi sul letto e l'attirai a me, accarezzandole il collo fino alla nuca completamente perso da lei in una maniera tale che non ero mai stato per nessuna.

Non sapeva bene cosa fare, ma si lasciò guidare e cercò di essere quanto più spontanea possibile. Mi baciò accarezzandomi il viso, le spalle e il petto, cercando di dimenticare l'imbarazzo e il pudore e di concentrarsi solo su ciò che sentiva e provava per me. Era la prima volta che vedeva un uomo nudo e cercava di evitare il contatto visivo con le mie parti intime, concentrandosi sul mio viso. Era davvero buffa così imbarazzata e impacciata e allo stesso tempo assolutamente deliziosa ed elettrizzante. Non dovevo prenderla per corromperla, in quanto mietitore, ma volevo farla mia in quanto mia moglie, per stabilire tra noi un legame, per condividere quell'atto con la persona che al momento era la più importante e preziosa della mia vita.

Mi girai con lei, portandola sotto di me, accarezzandole il collo per poi baciarlo e morderlo con delicatezza. Le accarezzai lentamente il seno, quasi in maniera esasperante, scivolando con la mano sempre più giù fermandomi all'addome per giocandoci con le dita, quasi a solleticarla.

Mi restituì un risolino, un po' meno tesa per poi tornare a guardarmi.

«Farà male, mi hanno detto che è molto doloroso» mormorò con le labbra arrossate.

Risi divertito per la sua espressione lievemente corrucciata. «Il contrario semmai, se fatto bene» dissi baciandole il collo, continuando ad accarezzarle l'addome, scendendo con le dita su una gamba, baciandole poi il petto. «Per molte donne è doloroso perché i loro mariti non sono capaci di dar loro piacere. Inoltre ci si mette anche la chiesa che vede questo atto a uso esclusivo per la procreazione, ma non è solo questo. È decisamente molto di più. Questo è il massimo contatto che hai con l'altra persona. Metti a nudo te stesso...» sussurrai mordicchiandole il petto. «E ti lasci completamente andare all'altra persona.» Alzai quindi lo sguardo su di lei. «In un certo senso è la prima volta anche per me. Non sono mai stato con una donna che per me fosse così importante e soprattutto che volessi così tanto» mormorai malizioso accarezzandole l'interno coscia.

Rabbrividì con il respiro ormai alterato. «Voglio stare con te, Low, voglio essere tua» mi disse muovendo le mani sul mio corpo. «Anche io ti desidero.»

«Tu sei con me, ma devi avere un po' di pazienza, non voglio farti male e soprattutto voglio che sia il meglio per tutti e due e so che posso dartelo.» Risalii alle sue labbra baciandola con avidità mentre le mie dita si spostavano sulla sua parte più intima.

Non volevo che le facesse male, volevo che lei mi volesse, sempre e in ogni occasione che avremmo avuto a disposizione, non desideravo che si sentisse obbligata a compiacermi per via del suo ruolo di moglie. Volevo che fosse stordente e incredibile come non lo era mai stato per nessuna, perché lei era tutto ciò che in quel momento desiderassi e non avevo mai avuto. Ero al limite e non riuscivo più a trattenermi, certo da un lato che fosse pronta. Mi mossi piano, delicatamente e cercando il suo sguardo mentre finalmente la facevo mia.

Trattenne il fiato e stinse le dita su di me, cercando di non lamentarsi. Quella sensazione le durò solo qualche attimo, poi iniziò a gemere sotto di me, iniziando a sentire quello che avrebbe dovuto e che volevo sentisse. Era stordita da quello che le stavo facendo provare, credo non l'avesse mai neanche immaginato come ci si sentisse a stare con chi si ama e lo stesso valeva per me, mai avrei previsto che potesse essere così forte e appagante. Era una questione di chimica, ma non solo, era qualcosa di più, che veniva dal profondo e che univa due anime legandole saldamente e inesorabilmente.

Era terribilmente diverso da tutti gli altri rapporti che avessi mai avuto, e la sola cosa che rendeva speciale tutto quanto era lei. Non pensavo minimamente al mio piacere, ma volevo solo che per lei fosse bellissimo, che godesse di ciò che io le stavo facendo, muovendomi in lei come se fossimo una cosa sola.

L'avevo desiderata così tanto che solo in quel momento mi ero reso conto di quanto il tempo potesse essere importante per dare valore a qualcosa, che si trattasse dei momenti che si trascorrono con la persona amata o degli attimi che mancano prima di rivederla. In quel momento, pur essendo immortale, capii l'importanza che avesse il tempo e più tardi quello stesso tempo lo detestai e lo maledii per non averne avuto abbastanza, o meglio, che a lei non gliene fosse stato concesso per permettermi di salvarla.

Mi amò e lasciò che l'amassi, che quel legame che c'era tra noi si saldasse e definisse. Cercava i miei occhi, ne aveva bisogno, voleva assicurarsi che fossi reale. Accarezzava con le dita leggere il mio viso, i capelli, il mio corpo trasmettendomi lo stesso desiderio che avevo di lei. Un desiderio che aveva poco a che fare con la lussuria, peccato a lei completamente estraneo, ma più con l'amore e in quel momento vidi la sua luce brillare più forte. Io che portavo solo morte stavo proteggendo e intensificando la sua luce, lasciando che lei accendesse in me una scintilla. Quella notte tutta la mia vita acquistò significato, tutto fu chiaro. Le guerre, l'Inferno, le anime, tutto doveva accadere per farmi arrivare a lei, per far sì che salvasse la mia anima. In quel momento mi fu chiaro che una sola vita non mi bastava, non avrei potuto rinunciare a lei dopo una vita mortale, avrei dovuto pensare a qualcosa per tenerla con me e invece non ci fu tempo, scivolò dalle mie dita, incapaci di proteggerla, ma quella notte tutti i pensieri negativi erano lontani, c'era solo lei e quello che provavamo. Lei cercò le mie labbra, ansimando e gemendo per quello che le facevo, perdendo rapidamente la lucidità. Era così bella con il viso arrossato e lo sguardo confuso dal piacere che la davo. C'era così tanta dolcezza e tenerezza in quello che stavamo facendo.

Dopo un tempo che non avrei saputo calcolare lei si inarcò sotto di me chiudendo gli occhi, scossa da una sensazione liberatoria e appagante che non aveva mai provato in vita sua, e io feci lo stesso, lasciandomi andare a quel piacere enormemente più forte e travolgente del solito.

Avevo avuto la regina degli Inferi e mai avevo pensato di trovare qualcuno che sessualmente mi appagasse quanto lei, ma in quel momento capii che non era nulla a confronto del perdermi in Sara.

Mi lasciai sfuggire gemiti di piacere raggiungendo l'apice un istante dopo di lei, poggiando ansimante la fronte sulla sua per poi lasciarle un leggero bacio sulle labbra. Credevo che quello fosse solo l'inizio di una vita migliore che mi avrebbe permesso di ricostruire con lei qualcosa, una nuova opportunità. Mai avrei creduto che in realtà quella poca gioia mi sarebbe stata portata via senza che potessi fare nulla.

Hope mi guardava, avendo ascoltato in silenzio tutta la storia, anche se sul suo volto non vi era nulla che mi lasciasse decifrare i suoi pensieri.

"Ti amo, Low" questo mi aveva detto Sara ad occhi chiusi e con il sorriso sulle labbra mentre tenevo la mia fronte poggiata alla sua. Fu la prima volta che diede una definizione a quello che c'era tra noi e se all'epoca quelle parole mi avevano scaldato il cuore, poi quel sentimento sarebbe diventato la mia maledizione, il mio tormento per quattrocento anni, fino a consumarmi.

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