Capitolo 34: Il fiore dell'aldilà


The Arena - Lindsey Stirling


Il fuoco infastidì il cane che si bloccò, tergiversando: era evidente che non avesse nessuna voglia di azzannare una spada ricoperta di fiamme angeliche. Tuttavia, non era disposto a demordere così facilmente, al contrario mi studiava, cercando un punto da cui potermi sbranare.

Ero talmente tesa per il pericolo che stavo fronteggiando da non rendermi neanche conto delle lingue di fuoco avviluppanti l'arma, stretta convulsamente tra le mie dita.

Un ringhio basso e minaccioso vibrava all'unisono dalle gole delle tre teste che si stagliavano minacciose dinanzi a me, frustrate dalla presenta di quell'ostacolo che le separava dal mio corpo mortale.

Il fetore di zolfo appestava l'aria, facendomi stringere lo stomaco ancora di più in una dolorosa morsa, mentre iniziavo a indietreggiare lentamente, guardinga.

La bestia fece scattare le potenti fauci verso di me, sperando di prendermi alla sprovvista per disarmarmi: mi stava accerchiando e spingendo con le spalle al muro, cercando di mordermi dai lati e frontalmente. Io paravo o mi tenevo in difesa, provando ad usare gli insegnamenti di Low per mettere quanta più distanza possibile tra noi senza cedere terreno, anche se, vista l'enorme differenza di mole tra me e la bestia, era praticamente impossibile non indietreggiare e, soprattutto, non tremare compulsivamente dal terrore.

Quella spada, nell'assurdo, era stata la mia salvezza.

La bestia iniziò ad infastidirsi per tutti i tentativi andati a vuoto, diventando sempre più nervosa e aggressiva nei movimenti offensivi che andavano diventando più casuali e poco prevedibili.

Il cane fece uno scatto sul lato destro, costringendomi a voltarmi e a lasciare scoperto il fianco sinistro, di cui subito approfittò per assestarmi una poderosa zampata che mi scaraventò a terra. La spada volò lontana spegnendosi all'impatto col suolo, tornando a essere solo freddo metallo inanimato e facendoci ripiombare nel buio opprimente di quella notte.

Il dolore che sentii a seguito dell'impatto con quegli enormi artigli fu terribile, al punto da togliermi il fiato.

Per fortuna le ali attutirono il colpo, ma al contempo sentii chiaramente una di esse spezzarsi per via della violenza dell'urto contro il terriccio compatto.

Non riuscì a emettere neanche un suono che manifestasse l'intensa sofferenza che stessi sperimentando in quel momento e dovetti concentrare tutte le mie energie per evitare di perdere i sensi e finire divorata.

Il dolore lancinante che stavo provando da quell'ala mi stordì a tal punto da impedirmi una qualsivoglia reazione difensiva; l'unica cosa che il mio corpo fu disposto a fare per proteggersi fu raccogliersi su sé stesso, raggomitolandosi a terra e schermandosi con le ali spezzate.

Chiusa in quel fragile e vulnerabile involucro, mi ero distaccata dalla realtà che mi circondava, perdendo completamente la coscienza degli altri e delle loro azioni: il mio mondo si era ridotto a quell'angusto spazio buio sotto l'illusoria protezione delle mie piume, saturo dell'odore rivoltante dello zolfo che sembrava impastarsi al mio dolore, tanto da sobillare ciò che restava della cena nel mio stomaco.

Il cane guaì e la voce di Low penetrò nel mio rifugio da un punto dinanzi a me.

«STAI INDIETRO, BESTIA INFERNALE!»

Il mostro, sentendo quel tono minaccioso e imperioso, indietreggiò di qualche passo, lamentandosi.

«Non ti azzardare ad avvicinarti!»

L'enorme e spaventosa bestia si accucciò a terra, nell'assurdo continuando a piagnucolare. Pochi secondi dopo io, Low e Cerbero sparimmo per riapparire in un luogo completamente diverso e desolato.

Riuscii a vedere il volto confuso del mio salvatore scrutare nervosamente la prateria priva di alberi in cui ci trovavamo: non era stata opera sua quel repentino trasferimento, che anzi sembrava spiazzarlo e preoccuparlo al contempo. Ciò nonostante, mise rapidamente da parte le sue perplessità per far fronte tempestivamente a questo nuovo imprevisto, disseppellendomi delicatamente dal groviglio disarticolato e dolorante di piume che erano le mie ali.

«Hope, come stai? Rispondimi.»

«Mi fa male la schiena.» risposi tra i singhiozzi, tenendo gli occhi chiusi e tremando. «Credo che mi abbia spezzato un'ala, mi fa malissimo.»

Low mi rimise prudentemente in piedi, prima di controllarmi la schiena per capire cosa fosse successo.

«Dannazione, è rotta!» constatò con tono chiaramente nervoso «Non ti preoccupare, cerca di resistere, te la rimetterò a posto, ma adesso dobbiamo andar via.»

«Di già?» La voce cristallina di una donna risuonò alle mie spalle.

Non l'avevo mai sentita prima, ma non dimenticherò mai lo sguardo spaventato del mietitore nel sentire quel tono divertito e leggermente sarcastico, neanche il mastrino infernale e l'Arcangelo Michele lo avevano fatto sussultare in quel modo.

Sollevò il capo per scrutare oltre le mie spalle e si raggelò.

«Neanche un "grazie per averci salvato da morte certa"?» insisté lei, fintamente offesa. Solo una persona in tutto il creato poteva esercitare quel potere sull'angelo della morte: la sua stessa creatrice.

Provai a voltarmi, ignorando il dolore che come una fitta mi attraversò tutta la schiena, per scrutare le fattezze della donna a cui era dovuto parte di tutto quel putiferio e da cui tutti mi avevano sempre messo in guardia.

La temibile Dea dell'Inferno non era altro che una ragazza pressappoco della mia età, con lunghi capelli neri ondulati e profondi occhi scuri, che ci sorrideva maliziosa. Indossava un paio di pantaloni neri aderenti e una canotta della medesima tinta, con una profonda scollatura che le arrivava all'ombelico, coperto solo da un velo, anch'esso scuro, che lasciava intravedere la pelle chiara sottostante.

Il respiro di Low divenne irregolare, con il cuore che prese a martellargli nel petto come impazzito, quasi volesse venir fuori a forza, attirato da un oscuro potere magnetico.

«È stata solo colpa tua quello che è successo.» le sibilò contro, con i lineamenti del volto distorti dall'odio.

«Mia? Vuoi forse dire che non sei felice di vedermi?» Non smise di sorridergli e di guardarlo come se avesse voluto spogliarlo, cosa che lo stava solo irritando ancora di più.

«Hai mandato Cerbero ad attaccarci, che cosa credevi di fare?» l'aggredì rabbioso e fremente dalla rabbia.

Io mi limitai a guardarla, ancora troppo scossa e sconvolta per tutto quanto, senza contare il dolore lancinante che mi stava letteralmente facendo impazzire. Non avevo mai provato una sofferenza simile.

«Cosa ti fa credere che lo abbia mandato io?» domandò lei, assottigliando lo sguardo, ma continuando a sorridere. «Se non sbaglio, far sì che non scappi è compito tuo, ma non mi sembra di averti visto fare il tuo lavoro di recente.» Rivolse quindi un'occhiata a me. «Forse eri troppo distratto od occupato.»

La guardai stranita, senza riuscire a capire e con la mente completamente altrove. L'unica cosa su cui riuscivo a sentire con chiarezza era il fortissimo odore di fiori che proveniva da quel campo. Non avevo mai visto quel tipo di piante e non ne conoscevo il nome, ma non potevo fare a meno di focalizzarmi su di loro.

Il dolore era talmente stordente da confondere la realtà che mi stava attorno e, soprattutto, da rendermi difficile seguire il dialogo tra Low e quella donna appena apparsa.

Non so perché, invece, riuscivo benissimo a vedere con nitidezza quei boccioli che stavano attorno a noi, lievemente mossi da una leggera brezza. Probabilmente la mia mente stava cercando un dettaglio o un particolare a cui aggrapparmi per restare cosciente.

«Sai benissimo cosa stessi facendo. Il tuo cagnolino era incatenato agli Inferi. Dubito si sia liberato da solo e che, stranamente, si sia trovato sulla nostra stessa strada.» sibilò indignato.

«Eppure, tu meglio di tutti dovresti sapere che le bestie infernali trascurate tendono a spezzare la catena, è per questo che sei finito a lavorare per me.» Gli rammentò il momento della sua morte terrena mentre ci girava intorno senza staccarci gli occhi di dosso. «Piuttosto, non gradisco che si maltratti il mio cucciolo. Non è vero, tesoro mio dolce?» enfatizzò, rivolta al gigantesco mastino a tre teste con un'aria dolcissima. Quella bestiaccia sembrava felice di vederla, scodinzolava addirittura, frustando l'aria con la massiccia coda con cui avrebbe potuto sradicare un albero senza problemi, continuando a piagnucolare. «Cosa c'è? Ti hanno fatto la bua, piccolino? Quegli angeli cattivi se la sono presa con te?» Allungò la mano per guarire il taglio sulla zampa di Cerbero e tutte le ferite che si era fatto durante lo scontro, dopodiché si mise a grattare i tre musi bavosi che la cercavano con insistenza.

Guardai lei sconvolta, per poi lanciare un'occhiata a Low che la stava fissando sempre più rabbioso. «Che cosa vuoi? Perché ci hai portati qui?» domandò secco.

«È sempre così scontroso anche con te?» mi chiese sorridente, prendendo ad avvicinarsi a noi. «Fossi in te abbasserei le penne, mietitore, perché senza il mio intervento sarebbe finita molto male, sia per te che per il tuo pulcino ferito.» replicò con tono gentile, per quanto il suo sguardo fosse affilato come una lama. «Vedi, non ho potuto fare a meno di notare che ultimamente mi stai evitando e mi chiedevo il perché? Insomma, prima scappi di corsa dall'Inferno senza dare spiegazioni, poi ti nascondi in un villaggio indiano per una settimana e dopo ancora ti trovo a viaggiare su un'auto ricoperta di rune per impedirmi di visualizzarti. Sai, una Dea arrivata a un certo punto inizia a farsi delle domande.»

Guardai Low confusa e anche un po' spaventata dalla donna che ci girava intorno, capace di controllare con tale facilità sia quel mostro che lo stesso ragazzo che mi stava vicino, il quale non smetteva di fissarla in cagnesco. «Non credo proprio che sarebbe finita male, Kora. Il perché non torno all'Inferno, poi, sono affari miei.»

«Ti sbagli.» tuonò lei. «Tu sei mio e quello che fai sono affari miei. Ogni volta che mi hai voltato le spalle e mi hai esclusa è finita male. Credevo che arrivati a questo punto tu avessi capito che non è saggio avere dei segreti con me.» Sorrideva, ma era palesemente infuriata. Cercò di calmarsi tornando a rivolgersi a me. «Che maleducata, non mi sono ancora presentata, sono così abituata a essere evocata che spesso dimentico le buone maniere.» enunciò con tono più mite, per poi avvicinarsi noi ondeggiando i fianchi, in modo da ostentare le forme sinuose del suo corpo. «Sono Kora, Dea dei morti e Regina degli Inferi. È un piacere conoscerti, Hope. Ho sentito molto parlare di te.»

La guardai sgranando gli occhi: prima Cerbero, poi Michele, Mark e Joan, e adesso lei. Scossi il capo, ridacchiando sarcastica e rasentando l'isteria. «Come?» domandai, chiaramente scombussolata e con la voce che mi uscii stridula e acuta dalle labbra, ma Low mi si parò di fronte, fronteggiandola.

«Che cosa vuoi, Kora?» domandò gelido, fissandola a un soffio dal suo volto, per nulla intimidito da lei, ma palesemente furioso quanto la stessa Dea che aveva di fronte.

«Non è ovvio?» chiese con un'alzata di sopracciglia. «Voglio sistemare i tuoi pasticci e rimettere tutto al proprio posto.» Tese la mano verso di me. «Vieni da me, Hope.» mi parlava come se avesse di fronte una bambina spaventata. Aveva una voce dolce e affettuosa che per un attimo mi lasciò intontita, ma il gesto rapido di Low mi fece tornare in me all'istante.

Le aveva afferrato il polso di scatto osservandola con rabbia. «Lasciala stare. È mia, questi sono gli accordi.»

«Gli accordi sono che sarai libero di tornare al tuo mondo quando avrai spedito all'Inferno il centesimo Nephilim e non ho nessuna intenzione di sottrarmi agli accordi. I patti sono vincolanti per una Dea.» gli rispose lei strattonando il polso. «Tuttavia, tu non hai nessuna intenzione di fare ciò per cui sei ancora in vita, visto che dopo tutto questo tempo le sue ali sono bianche e spezzate; non ho nessuna intenzione di vederla cancellata solo perché sei un idiota. Lascia che vi aiuti, senza di me non avete speranza.»

«E in che modo vuoi aiutarci?!» sibilò, palesando con il suo tono il fatto che non le credesse affatto.

Non era possibile, iniziavo seriamente a credere che fosse tutta un'illusione della mia mente. Stavo impazzendo, non c'era altra spiegazione.

«Innanzitutto guarendo le sue ali, immagino le facciano male ridotte così e poi facendo un nuovo patto.» Sorrideva, un po' meno infuriata di prima.

«Tu non farai nessun patto con lei!» tuonò Low in risposta, livido per la collera.

«Di che patto parli?» domandai invece io, sofferente.

«Magari lei è più ragionevole di te.» Gli fece una smorfia, sorpassandolo per avvicinarmisi.

Lo vidi espirare con forza per il fastidio facendola passare, mentre io mi limitavo a guardarla incerta e con sospetto.

Quando mi fu abbastanza prossima si accovacciò per accarezzarmi il viso, visto che lo stato delle mie ali mi rendeva troppo doloroso starmene in piedi.

«Penso tu abbia capito che Michele non ti lascerà andare a Salem con Low.» Voltò il capo nella direzione del mietitore per essere sicura che il messaggio arrivasse anche a lui, con chiarezza. «Credevi davvero che non lo avrei capito? Andiamo, Low, potevi essere un po' più originale di così.» Gli rivolse un sorriso sicuro e sfrontato, certa di avere tutta la situazione sotto il proprio controllo. «A quanto pare il mietitore non ha intenzione di corromperti e mandarti all'Inferno, ma è indubbio che quello sia il posto più sicuro per te. Per cui io ti propongo di venire con me: farò uno strappo alle regole e aprirò il nero cancello per farti attraversare il confine che separa il regno dei vivi da quello dei morti sotto il mio dominio. Una volta lì troveremo il modo di annerire le tue belle ali bianche.» Mi accarezzò guancia e zigomo con il dorso della mano, con una dolcezza che non immaginavo potesse associarsi alla Signora del Male, voltandosi poi verso il mietitore per illustrargli cosa aveva previsto per lui. «Per quanto riguarda te, invece, il nostro accordo resterà valido, prenderai il prossimo Nephilim e sarai libero.»

«Se ti dicessi che quello che mi offri non mi interessa?» domandai guardandola.

«È incorruttibile, Kora.» Rispose cupo Low.

«Solo perché non hai avuto il coraggio di fare ciò che andava fatto. C'è un metodo e lo sai, ma inizio a pensare che tu non voglia corromperla.» Aveva tenuto l'attenzione su di lui e solo in quel momento tornò a rivolgersi a me. «Sai cosa succede ai Nephilim, Hope, io posso proteggerti, tenerti al sicuro da chi vuole cancellarti... e posso farti rivedere il tuo amico Matt e anche Luke, se lo desideri, vuoi rivederli, no? Posso portarti da loro.»

A quelle parole strinsi le labbra e chinai il capo, ancora troppo confusa per razionalizzare bene cosa mi stesse dicendo. Sospirai distogliendo lo sguardo e fissando Low. «Mentirei a dire di no.» risposi, combattuta. «Che succede se non riesci a corrompermi neanche tu?»

«Sono la Dea degli Inferi e se c'è qualcuno che possa corromperti, quella sono io.» mi rispose melliflua, accarezzandomi di nuovo il viso.

«Toglile le mani di dosso, non la porterai da nessuna parte, Hope non venderà mai la propria anima, quindi tornatene da dove sei venuta. Il tuo è solo uno sporco trucco, come sempre: fai promesse che poi non mantieni, ti fingi gentile solo per usare gli altri a tuo piacimento.» Low era furioso.

«Mi lusinghi, mietitore.» Lo sguardo della Regina Nera era diventato di ghiaccio. «Ma ti converrà offrirmi qualcosa per le sue ali perché è vero, non faccio niente che non mi convenga e la terrò in vita solo se le sue ali si scuriranno. Quindi, se vuoi che le restino bianche, dovrai darmi qualcosa in cambio, ma se non sei disposto a pagare un prezzo allora le cose stanno così: o viene con me o finisce dagli angeli per essere cancellata. Sai bene chi le dà la caccia e perché, sei folle se pensi che la risparmierà.»

«Il patto che vuoi fare è con me, non con lui.» intervenni, digrignando i denti a causa della stilettata di dolore che mi attraversò la schiena quando provai senza successo ad alzarmi, costringendomi ad accasciarmi di nuovo con le ali abbassate e dolenti. «Voglio sapere una cosa però, Regina degli Inferi» le dissi a fatica «Luke è sceso all'Inferno e non è più tornato: non è caduto, vero? Lo stai tenendo prigioniero?»

«Non è caduto, non lo farà finché non lo farai anche tu, non vuole vivere in un mondo dove non ci sei.» rispose con il tono mellifluo di chi sta raccontando la trama di un film romantico. «Vieni con me e starete insieme per sempre.»

«STA ZITTA!» tuonò Low. «Tu sei solo una bugiarda! Hope, non darle ascolto!»

«Oh, la gelosia, adorabile. Hai paura che non scelga te? Dimmi, Low, come ci si sente?» Non era di buon umore, l'atteggiamento del mietitore la irritava.

Guardai lui e poi di nuovo lei. «Se scelgo di venire con te, lascerai libero Luke?»

«Ma certo che lo farò.» Mi sorrise. «Siamo pur sempre parenti io e te, abbiamo lo stesso sangue che ci scorre nelle vene e per me sarà quindi un piacere aiutarti.»

«No, Hope, ti prego.» Low mi si parò davanti, scansando la sua regina. «Non darle retta, troveremo un modo.»

«Parenti? Di che cosa stai parlando.» domandai perplessa, guardando poi a labbra strette il ragazzo che mi stava di fronte. «Ti ho seguito perché volevo liberare Luke dall'Inferno, sapevo che se fossi caduta non sarei più tornata indietro, ma volevo salvare lui, lo sapevi.» spiegai, forzando appena il sorriso. «Se saprà poi che sono stata con te non credo che tornerebbe neanche a cercarmi.»

«Sei la figlia di un angelo, proprio come me, siamo cugine.» mi interruppe Kora, sorridendomi affabile, per poi girare intorno a Low.

«Allora, mietitore, pensavi davvero di portarla a Salem e sostituirla a tua moglie? Pensavi davvero che ti avrebbe amato e avrebbe vissuto con te una felice vita mortale? Come ci si sente? Come ci si sente ad essere usati, essere messi da parte per qualcun altro?» Fece una pausa, quasi a voler dare più enfasi alle sue stesse parole. «Benvenuto nel mio mondo, mietitore.» Tese poi la mano verso di me. «Andiamo, Michele e quegli altri due patetici pennuti stanno arrivando.»

Low non rispose. Le mie parole, quelle di Kora, o di entrambe, lo avevano colpito e in quel momento non stava guardando più nessuna delle due, tendendo la testa bassa e le mascelle contratte dalla rabbia e dalla frustrazione.

«Low...» mormorai, ignorando Kora e avvicinandomi a lui a fatica. «Non mi fraintendere: non ho alternative e non posso girare le spalle a Luke, non posso abbandonarlo.» sussurrai a fatica, rendendomi conto che, in un certo senso, stavo abbandonando anche lui.

«La vita è fatta di scelte, Hope. A volte è necessario sacrificare qualcosa per ciò che amiamo davvero. Vieni, è inutile perdere altro tempo.»

La regina mi tese la mano vittoriosa, mentre il mietitore abbassava di nuovo lo sguardo, sconfitto, sforzandosi di regolare il respiro che risultava sempre più alterato.

«Io non sto scegliendo.» puntualizzai tornando a guardarla. «Voglio che Luke sia libero e che possa tornare a casa. Lui non vorrebbe che io cadessi, ma non posso lasciarlo nei guai, non posso semplicemente girarmi dall'altro lato. Accetto di venire con te, a patto che lui non cada per colpa mia. Lo voglio salvo, non corrotto.» spiegai, tornando poi a guardare il mietitore, sperando che riuscisse a capire il mio punto di vista. «Low...»

«Il mio patto è chiaro: se vieni con me, tu resti e cadi mentre lui sarà libero di andare.» rispose, gesticolando per sottolineare il concetto.

«È una trappola, Hope.» intervenne Low, senza guardarmi e parlando a voce bassa. «Se cadi, lui non ti lascerà lì sotto. Ti ha offerto la sua libertà solo perché sa che non dovrà rinunciare a nessuno dei due.»

«Ma non posso neanche lasciarlo all'Inferno senza fare niente.» gli risposi, cercando di tenere gli occhi su di lui, vista la mia impossibilità di avvicinarmi.

«Sì, certo, siete molto carini e tormentati, ma adesso andiamo.» Kora si stava innervosendo.

«Troveremo il modo.»

Il mietitore la ignorava, cercando un qualunque appiglio per convincermi a restare con lui.

«Non esiste il modo, Low. Lascia che le cose vadano come devono.» La Regina Oscura andava decisamente di fretta, non voleva trovarsi nella condizione di dover affrontare Michele e non faceva altro che continuare a guardare il prato ricoperto da fiori bianchi, forse il dolore mi stava confondendo le idee ma avrei giurato che alcuni di essi avessero cominciato ad appassire.

«Vuoi chiudere quella boccaccia?!» le ringhiò contro lui, cercando di contenere l'ira per non fare sciocchezze.

Lo osservai a lungo, combattuta tra i miei sentimenti contrastanti, con il dolore che mi rendeva poco lucida e la paura dell'Arcangelo alle nostre calcagna che mi metteva forse un po' troppa fretta nel prendere la decisione giusta, che avrebbe influenzato il resto della mia esistenza, forse.

«Va bene, Low.» risposi prendendo un grosso respiro. «Non accetto il patto.»

«Cosa?» La padrona degli Inferi sgranò gli occhi. «Aspetta, aspetta, devo aver sentito male.»

«Hai sentito benissimo, Kora, vattene!» le sibilò Low, rianimato dalla mia scelta. «Non verrà con te.»

«È una follia! Hai visto cosa è successo, hai visto cosa è successo alle sue ali e sai chi è. Non può restare qui, deve venire con me e poi cosa pensi che accadrà quando il suo tempo sarà scaduto? Ti rendi conto che con quelle ali bianche finirà davanti alle porte del Paradiso? La stai condannando alla cancellazione con il tuo cieco egoismo.» abbaiò contro il suo araldo.

Si voltò poi a guardarmi, cambiando completamente espressione e tono. «Hope, mia cara, sono certa che non abbandoneresti mai Luke all'Inferno, lui ci rimarrebbe davvero male non vedendoti tornare.» provò a prendermi le mani, ma il mietitore estrasse prontamente la spada oscura e tese il braccio di lato per puntargliela alla gola.

«Ho detto: vattene!» le disse a denti stretti.

«Oh, per favore, stai diventando ridicolo.» rispose Kora, oltremodo indignata.

«Low ha ragione, sarebbe un sacrificio inutile il mio. Luke tornerebbe a cercarmi e avrei fatto un patto per nulla.» indietreggiai, ma non riuscii a ignorare la sua ultima obiezione. «Luke ci rimarrà male se resterò con il mietitore, ma non vorrebbe mai che cadessi e non è tanto sciocco da credere alle tue parole se false.»

«Pensi che preferirebbe vederti con lui?» mi chiese nervosa.

«No, ma non credo che preferirebbe vedermi cadere all'Inferno. Troverò un'altra soluzione per riportarlo a casa.» risposi risoluta, scuotendo il capo.

«Non c'è un'altra soluzione e non dovresti rifiutare la mia offerta con tanta leggerezza. Hai pur sempre alle calcagna l'arcangelo Michele e i suoi tirapiedi. Vieni con me, sarai salva e potrai tornare dal tuo Luke, costruire insieme il futuro di cui fantasticavate.» Scansò la spada del mietitore per afferrarmi le mani e cercare di sedurmi con la sua offerta e i suoi modi complici e comprensivi.

«Stai perdendo il tocco, Kora, stavolta ci stai lasciando troppo vivi.» la provocò Low con un sorrisetto.

Lei lasciò andare le mie mani, piccata.

«Troppo vivi dici? No Low, io non intervengo mai quando le persone sono troppo vive, dovresti saperlo: se sono qui a farvi un'offerta significa che il vostro tempo su questa terra è ormai agli sgoccioli. Non vuole venire con me? Molto bene, non rivedrà mai più Luke e Matt, verrà uccisa da Michele e tu lavorerai per me per sempre. Ora che ci penso la prospettiva non è proprio così negativa.» Si allontanò da me, in direzione del mastino infernale che ci aveva osservato curioso per tutto il tempo, accucciato a terra.

Mi morsi il labbro nervosamente, scuotendo il capo e guardando Low. Avevo paura per ciò che quell'affronto alla regina del male potesse comportare e per gli angeli che ci stavano braccando quasi fossimo animali.

«Non credevo che all'Inferno si potesse tenere prigioniero qualcuno.» mormorai, sentendomi venir meno per il dolore alle ali e alla schiena. «Non posso accettare che Luke cada per colpa mia.»

«L'Inferno è stato strutturato proprio per tenere dentro la gente.» mi rispose lei con un sorrisetto prima che potesse farlo Low. «E no, non è mio prigioniero. Dopo che il mietitore lo ha preso e conciato per le feste è stato sbattuto in una cella, ma vedi cara, all'Inferno nessuna porta è chiusa o sorvegliata, si può uscire quando si vuole. L'unico impedimento sono i propri peccati e sensi di colpa, sono quelli a tenerti dentro e, credimi, Luke ne ha un bel po' sulla sua coscienza.»

«Se fosse vero non saresti qui a tentare di convincerla.» Low aveva tutta l'aria di uno che voleva farla a pezzi. «Non ti lascerò portare via anche lei.»

«Ancora con questa storia? La peste era un male terribile, ma non è stata opera mia, fattene una ragione.» Si fermò per poi tirare fuori un sorrisetto compiaciuto. «Mio caro Low, ti ho sempre detto che il tuo problema è che ti innamori degli umani e loro sfortunatamente sono mortali, ma stavolta potrebbe essere diverso. Lei ha il potenziale dell'immortalità, potreste passare una vita eterna insieme, senza mai essere costretti a rinunciare l'uno all'altra; non dovresti mai più veder morire la donna che ami.»

«Non capisco cosa tu voglia. Mi stai dicendo di venire con te per stare con Luke, ma al contempo dici a Low che potrebbe stare con me.» osservai sospirando. «A me non interessano le vostre guerre, non mi interessano gli angeli né i demoni, né Inferno né Paradiso.» spiegai dubbiosa verso di lei.

«Ti sto dicendo che la morte non è il capolinea, ma è un punto di partenza. Avrai salva la tua eternità e molto tempo davanti per decidere con chi vuoi passare la tua vita immortale, se con il mietitore o con Luke. Il tuo mezzo caduto ti vedrebbe sana e salva, al sicuro, potrebbe stringerti ancora una volta. Per gli angeli non saresti più un problema, non più degli altri caduti almeno, smetterebbero di braccarti e il nostro amato Low avrebbe tutta l'eternità per conquistare il tuo piccolo cuoricino confuso, senza il terrore che tu possa spegnerti tra le sue braccia da un momento all'altro. Vinciamo tutti.» sorrise accattivante. «Venite con me, torniamo a casa, Low.» Ci tese le mani ancora una volta ma lui non accennò a muoversi.

«Non è proprio una bella prospettiva.» dissi seria e ancora dolorante. «Se c'è un'altra soluzione per tirare fuori Luke allora continuerò ad avere fede e sperare, non sono disposta a essere la causa della nostra dannazione.»

«Oh, ma certo. Supponiamo che sia possibile, e non lo è, poi cosa intendi fare? Forse non hai capito il punto: non ci sono Nephilim in Paradiso.» Era piuttosto infastidita e scocciata dalla mia resistenza e dall'inesorabile scorrere del tempo che ci separava dall'arrivo di un infuriato Arcangelo. «Magari avete bisogno di essere un po' più vicini alla cancellazione prima di capire il valore della mia offerta.» Sollevò la mano, pronta a schioccare le dita per tornarsene a casa. «A proposito, Low, non credo di doverti ricordare che le ali spezzate non possono essere ritratte, o forse sì?» rise, divertita dalle conseguenze inevitabili delle nostre scelte. «Bhè, divertitevi con Michele. Se rivaluti la mia offerta sai cosa fare, ma non metterci troppo, potrei perdere interesse in voi due.» Schioccò le dita e sia lei che il cane sparirono così come erano comparsi.

Sospirai, sentendo le forze mancarmi mentre il dolore minacciava di farmi perdere i sensi da un momento all'altro, al punto che dovetti poggiandomi al tronco che avevo a fianco per evitare di rovinare a terra. Ero scossa da tremori e sudavo freddo, sentendo il respiro mozzarmisi nel petto. «Spero che ci sia davvero un'altra soluzione.» mormorai.

Low mi fu vicino in poco, silenzioso e preoccupato come non mai. Valutò le mie condizioni, consapevole che non sarei arrivata lontano con quella menomazione e lui non poteva usare ancora a lungo i suoi poteri di telecinesi per spostarci rapidamente, visto che sembrava stremato ed era anche ferito.

«Per fortuna le fratture sembrano nette e te le sei fatte in modo naturale, così sarà più semplice sistemarti l'ala senza farti male.» Si spostò alle mie spalle e iniziò a trafficare.

Non riuscivo a vedere cosa stesse facendo ma mi sembrava piuttosto improbabile mettere a posto delle ossa rotte senza far soffrire al paziente le pene dell'Inferno. Sentii un piacevole calore avvolgermi che mi portò ad uno stato di torpore, quasi una semi incoscienza accompagnata da un benefico senso di rilassatezza di tutti i miei muscoli. Mi appoggiai con il busto e il viso al tronco dell'albero, sospirando di beatitudine, mentre il calore che lui generava scioglieva tutto il dolore e lo lavava via. Aveva ragione: non mi stava facendo del male, anzi, più il tempo passava più iniziavo a sentirmi meglio.

«Ho bisogno di riposare.» mormorai chiudendo gli occhi, lasciandomi stordire dalla stanchezza e dalla messa in opera dei poteri del mietitore, mi sentivo stremata.

«Mi dispiace, ma non è possibile adesso, dovrai resistere.» Aveva un tono alquanto freddo e distaccato a cui non riuscii a dare importanza, a causa dell'enorme difficoltà a concentrarmi.

«Che cosa vuoi fare adesso?» mormorai stancamente.

«Guarire la tua ala e metterti addosso delle rune, poi spostarci da qui il più in fretta possibile.» Era bravo a prendersi cura degli altri, bisognava riconoscerglielo.

«Va bene.» sussurrai chiudendo gli occhi per assopirmi qualche minuto mentre lo lasciavo fare.

Non ci mise molto a finire e sebbene quel poco tempo non fosse stato sufficiente a rigenerarmi, mi aveva comunque permesso di riprendere un minimo di forze, cosa a cui aveva senz'altro contribuito anche la scomparsa del dolore.

«Prova a ritrarre le ali.» mi chiese spostandosi dinanzi a me.

Alzai lo sguardo su di lui, i segni scuri che contornavano i suoi occhi sembravano essersi accentuati, segno di quanto gli fosse costato in termini di energia l'avermi aiutata. Annuii alla sua richiesta e provai a farle sparire.

«Sei arrabbiato o deluso?» domandai. Adesso che la mia mente era tornata a funzionare con un po' più di lucidità, non potevo fare a meno di notare una sorta di cambiamento in lui, lo sentivo distante e qualcosa si era interposto tra noi dall'arrivo di Kora.

Non mi rispose, ma fece apparire un piccolo pugnale di oscurità. «Adesso ti farò molto male, se non resisti svieni, è inutile che cerchi di restare lucida, mi renderesti solo il lavoro più difficile e correrei il rischio di esser poco preciso.» mi ordinò lui. «Dove vuoi che ti incida la runa di occultamento?»

«Sulla schiena.» mormorai stanca e con un sospiro, rabbrividendo leggermente nell'immaginare la punta della lama affondare nella mia carne.

Sollevai la maglietta e lui si portò alle mie spalle, spingendomi delicatamente in modo che poggiassi busto e viso al tronco.

Mi sfiorò la schiena liscia e perfetta con le dita e sospirò rammaricato al pensiero di doverla sfigurare. Ritrasse la mano e senza aspettare che gli rispondessi poggiò la lama oscura sulla mia pelle iniziando a incidere.
Il dolore che provai fu assurdo e non paragonabile a niente che avessi mai provato: sembrava fosse più intenso di quello che avrebbe causato un normale coltello, proprio a causa della lama oscura.

Le ferite, sia di angeli che dei demoni, tendevano a guarire in fretta e a non lasciare nessuna traccia, fatta eccezione per le ferite causate dalle armi della fazione nemica che impiegavano molto più tempo a rimarginare, andando spesso in suppurazione e senza guarire mai completamente, lasciando alla fine una cicatrice, a monito di chi si fosse lasciato ferire.

Gridai e non so con quale forza riuscì a non svenire. Piansi e versai lacrime dal dolore, sempre più stanca fisicamente, emotivamente e psicologicamente, mentre il sangue caldo mi colava lungo la schiena in sottili rivoli.

Quando finì avevo il respiro spezzato, la vista appannata e non mi reggevo più in piedi. Se Low non avesse avuto il buon senso di farmi sostenere all'albero sarei rovinata a terra da un bel pezzo, invece me ne stavo con la guancia accaldata e umida per le lacrime incollata alla corteccia.
Lui Tamponò il sangue e mi fece una fasciatura di fortuna che avrebbe resistito ben poco, visto il tipo di ferita e la lama con cui era stata procurata. Ben presto mi sarei ritrovata la maglietta zuppa del mio sangue e l'incisione che minacciava di infettarsi. In quel frangente la tempestività era tutto.
Mi prese al volo per evitare che scivolassi a terra e mi sollevò rapidamente tra le braccia in modo da allontanarci in fretta.

Gli passai le braccia intorno alle spalle per reggermi e poggiai la testa sulla sua clavicola, chiudendo di nuovo gli occhi, conscia di dipendere del tutto da lui in quel momento.

Gli avevo affidato tutto, finanche la mia stessa vita nonostante quello che era successo, nonostante chi fosse davvero, nonostante le parole e gli ammonimenti di Kora e Luke.

Arrivammo a un motel, un posto non proprio elegante, ma ottimo per nascondersi e metter su un piano per raggiungere Salem. Avevamo perso sia l'auto che i bagagli, eravamo feriti e braccati, dovevamo curarci, riprendere le forze e procurarci i mezzi per poter raggiungere la nostra destinazione.

Entrò in quella che doveva essere la reception con me in braccio, chiedendo una stanza. L'uomo ci guardò incuriosito dalle mie condizioni, standosene però zitto. Doveva aver visto cose ben più strane.

Il mio compagno gli porse una banconota piuttosto sostanziosa e lui ci allungò una chiave senza fare domande né chiedere documenti, sperando forse di non ritrovare il mio cadavere abbandonato nella vasca da bagno.

Il mietitore prese la carta magnetica per l'ingresso della porta, dopodiché mi portò in camera, adagiandomi subito sul letto.

Lo lasciai andare per poi raggomitolarmi su me stessa, preda del bruciore logorante, aprendo appena gli occhi e voltandomi a guardarlo con la vista appannata. La fasciatura di fortuna aveva iniziato a inzupparsi e anche la maglietta iniziava a bagnarsi.

Dopo aver chiuso a chiave la porta della stanza andò rapidamente nel bagno, dove lo sentii frugare fino a quando non tornò con un kit di pronto soccorso, con il quale ripulì e fasciò a dovere la ferita. Mi somministrò anche antibiotico e antidolorifico e si stese al mio fianco, aspettando che iniziassero a fare effetto.

Circa mezz'oretta dopo, quando vide il mio respiro tornare regolare mi riscosse dal dormiveglia nel quale ero piombata. «Ce la fai a evocare il pugnale di luce?»

«Penso di sì.» borbottai con la bocca impastata. «Ma preferirei che non fosse necessario.»

«Non te lo chiederei se non lo fosse.» mi aiutò a mettermi a sedere in modo che potessi richiamare l'arma nella mano destra.

«Cosa devo fare?» Non sarei stata capace di sopportare altro dolore.

«Non preoccuparti, limitati solo a non farlo sparire, al resto penso io.» si tolse la maglia e si sedette sul letto a torso nudo di fronte a me. Mi afferrò la mano con il pugnale. «Non sei obbligata a guardare, ma è necessario che lo faccia, la runa che ho già potrebbe non essere abbastanza forte per ingannare un Arcangelo e le creature infernali.»

Avvicinò il pugnale e iniziò a incidersi il fianco, già ferito e sanguinante, con il fiato spezzato e serrando la mascella. Stava sopportando un dolore che mi aveva quasi fatto perdere i sensi, mentre i rivoletti di sangue che sgorgavano dalle ferite disegnavano una ragnatela rossa sulla sua pelle abbronzata.

Alzai lo sguardo su di lui e lo fissai per tutto il tempo, incapace di sopportare quella vista e sentendomi il cuore stretto in una morsa per la sofferenza a cui si stava sottoponendo a causa mia e delle mie decisioni. Mi dispiaceva vederlo in quello stato, ma sapevo quanto fosse necessario quel gesto.

Sentivo ancora la mia runa bruciarmi la schiena e sapevo benissimo che dolore lui stesse sopportando. «Mi dispiace, Low.»

Strinse i denti respirando a fatica, ma non emise neanche un suono fino alla fine. Tenne il mio polso serrato tra le dita, imprimendomi i segni della sua presa, lasciandomi andare solo quando ebbe finito, chiudendo gli occhi e abbassando leggermente la testa, puntando le mani sul letto nel tentativo di regolarizzare il respiro e non crollare privo di sensi, conscio che non sarei stata capace di occuparmi delle sue ferite. Il petto e l'addome scolpiti e tatuati si sollevavano pesantemente alla ricerca di aria.

Feci sparire la lama di luce per poi distogliere lo sguardo, stendendomi di nuovo sul letto; non riuscivo più a sopportare quella vista.

Quando finalmente si sentì nuovamente padrone di sé stesso si alzò dal letto e, afferrato il kit medico, andò a sedersi vicino alla finestra per prendersi cura delle sue ferite.

Sollevai lo sguardo su di lui senza dire nulla, conscia che, dopotutto, non c'erano parole che potessero suonare adeguate: tutto era cambiato a una velocità impressionante e molte verità nascoste, di certo non piacevoli per entrambi, erano venute a galla.

Forse era un bene che fossimo tutti e due stremati dalle vicende e assolutamente non in vena di discutere di quanto accaduto.

Mi rigirai nel letto, voltandomi di schiena, cercando di non pensare a tutto quello che ara successo e a ciò a cui saremo andati incontro.

Mi sentivo tradita da coloro che avevo chiamato amici per tutta la vita, braccata, distrutta in ogni parte di me e continuavo a chiedermi se la scelta che avessi fatto fosse quella giusta.

Lui, al pari di me, era chiuso nei suoi pensieri ed io, cullata dai miei, mi addormentai pesantemente, troppo esausta, sconvolta e maltrattata per restare sveglia.

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