Capitolo 28: Il lago
Crystallize - Lindsey Stirling
Rimasi di fronte la sua porta per qualche minuto. Vedergli fare quel gesto mi aveva stretto il petto in una morsa dolorosa e in quell'istante mi ero sentita di nuovo sola.
Con la stessa vitalità di uno spettro avevo raggiunto il mio letto e, non appena mi lasciai cadere sopra, mi crollò tutto addosso. Luke e la sua scomparsa, ma anche Low e quella maledetta porta chiusa che si era interposta tra noi per tenerci separati.
Non capivo se il bisogno di averlo vicino fosse un palliativo per l'assenza dell'uomo che amavo o il sintomo di qualcosa che non riuscivo a spiegarmi e che non volevo accettare.
L'unica certezza era ciò simboleggiava quella porta chiusa: un muro gigantesco e insormontabile contro il quale io non potevo fare nulla, né per distruggerlo né per scalarlo.
Iniziai a piangere, senza fermare i singhiozzi, solo per sfogare la rabbia e il dolore accumulato fino a quel punto.
Se per un attimo mi era parso di aver trovato la pace, era bastato ancora meno per strappar via da me quell'illusione.
Dopo un tempo indefinibile, in cui c'era solo il rumore dei miei pensieri e dei miei singhiozzi a farmi compagnia, sentii un fortissimo schianto provenire dalla stanza di Low, poi la sua porta si aprì di nuovo.
Mi affrettai ad asciugare le lacrime, mettendomi seduta a guardare la porta, sorpresa quanto spaventata. Sentire quel muro divisore venir meno, almeno per un attimo, aveva riacceso in me una scintilla di speranza, quasi fosse l'unica cosa che sperassi e che davvero desiderassi.
Lo sentii trafficare nella stanza comune, in silenzio.
Aspettai che venisse da me, ma resami conto che non lo avrebbe fatto, seguii l'istinto che mi urlava a gran voce di andare da lui. Mi alzai, affacciandomi titubante alla porta per capire cosa fosse successo.
Low aveva afferrato uno straccio o qualcosa di simile e proprio in quel momento stava uscendo di casa. Non feci fatica a notare delle macchie di sangue sul pavimento.
«Sei ferito?» Domandai cercando di raggiungerlo prima che uscisse.
Si fermò sulla porta. «Sto bene. Tornatene a dormire.» Non si voltò ma lo straccio che aveva in mano era chiaramente intriso del suo sangue, formando macchie rosse che andavano lentamente allargandosi, era ovvio non fosse vero.
«Non stai bene! Lascia che ti aiuti, per favore!» Risposi risoluta, avvicinandomi a lui. «Sei arrabbiato, di nuovo, e ho la sensazione che sia per colpa mia.»
Non disse niente per qualche attimo, ma non varcò la porta, lasciando che mi avvicinassi. «Non è colpa tua. È tardi, torna a letto. Mi farò curare dallo sciamano.»
«Non ho sonno e non dormirei.» mormorai poggiandogli una mano sulla spalla. «Dai, lasciami dare un'occhiata, senza che vai a disturbare il vecchio a quest'ora.»
Si voltò a guardarmi, riflettendo sul da farsi. Non era una grande idea tirare giù dal letto un uomo di quell'età. Forse non era neanche mai stata davvero quella la sua vera intenzione. Probabilmente avrebbe solo atteso che le ferite si richiudessero da sole grazie alla sua straordinaria capacità di guarigione.
Più per la mia espressione preoccupata che per la reale necessità di cura, sospirò e mi mostrò la mano. Non era grave ma neanche stava benissimo. Aveva diversi tagli ed escoriazioni. Se uno come lui si era ridotto così, non osavo immaginare come fosse ridotto l'oggetto che aveva colpito. Era un miracolo se la sua camera avesse ancora le pareti.
«Siediti! Non sono un'esperta, ma vedo cosa posso fare.» dissi, andando a prendere dell'acqua e delle garze che avevo visto nel piccolo bagno.
Quando tornai, era seduto al tavolo, guardando davanti a sé con estrema calma e tranquillità. Sembrava non sentire dolore o forse vi era talmente avvezzo da non farci più caso.
Non dissi nulla, sedendomi di fronte a lui e iniziando a pulirgli la ferita con delicatezza e attenzione, senza alzare lo sguardo. Quello che stavo facendo era perfettamente inutile. Sapevo che le sue ferite si sarebbero richiuse in poco, senza lasciare nessuna traccia né conseguenze, ma sentivo la necessità di occuparmi di lui tanto quanto lui sembrava sentire il bisogno che io lo facessi. Credo gli piacesse l'idea che anche una piccola e fragile creatura mortale potesse occuparsi di un essere perfetto, potente ed eterno.
Finito di ripulire iniziai a mettergli le garze. «Non chiudere più la porta, per favore.» mormorai senza guardarlo.
«La porta?» mi chiese lui, ritornando dai suoi pensieri e guardando l'ingresso confuso.
«La porta di camera tua, non tenerla chiusa se siamo in due stanze diverse.» precisai, finendo il bendaggio, senza sollevare lo sguardo. «Fatico a dormire ma il sentirti vicino mi aiuta. Quando hai chiuso la porta... vabbè lascia stare, mi sento un'idiota!» mormorai con un sorriso amaro.
Riportò lo sguardo su di me iniziando a capire, ma continuando a tenere un'espressione quanto mai incredula alle mie parole. Di tutte le cose orribili che aveva fatto e che potevo giustamente rimproverargli, gli stavo contestando di aver chiuso la porta della sua camera. Non di aver tagliato un'ala a Luke e averlo fatto quasi cadere, non di aver ucciso e cancellato centinaia di angeli e Nephilim o di aver teso una trappola all'uomo che amavo, probabilmente condannandolo a morte, né di avermi mentito e cacciata. Gli stavo rimproverando di aver frapposto una porta tra noi.
La sua espressione sgomenta diceva chiaramente che le mie parole avevano cancellato il suo nervosismo come un colpo di spugna. Aveva visto tante cose nel corso della sua lunga vita eppure stava dimostrando di riuscire ancora a stupirsi e meravigliarsi per una semplice richiesta.
«La lascerò aperta... quando saremo in due camere diverse.» mormorò con un tono ormai del tutto scarico da tensioni e malumori, accennando quasi una nota di dolcezza.
Sorrisi stanca, annuendo. «Buonanotte allora. Cerca di non distruggere qualcos'altro.»
Mi rialzai accingendomi a tornare a letto.
Quando gli passai vicino, allungò il braccio non ferito e mi cinse la vita, tirandomi verso di sé e poggiando il viso sulla mia schiena, senza parlare e restandosene seduto.
Rimasi per un attimo immobile, a mia volta confusa da quel cambio di umore e da quel gesto così inatteso.
Stava soffrendo, ma non ne sapevo il motivo ed ero certa che non me lo avrebbe comunque detto se glielo avessi chiesto.
Mi voltai verso di lui, tornando ad averlo di fronte a me, passandogli quindi una mano dietro al collo per accarezzargli i capelli.
«Dormi con me stanotte.» proposi dolcemente, senza nascondere la timidezza.
In risposta mi strinse forte, nascondendo il viso contro il mio addome per qualche attimo, perso in chissà quale fantasia o ricordo. Poi si alzò con un grugnito, tirandomi su in spalla con un solo braccio, per portarmi di là.
Lo lasciai fare, accennando un sorriso stanco e aggrappandomi a lui. Non capivo il perché, ma mi era venuto istintivo dirgli di passare assieme quella notte e lui aveva accettato.
Passammo la notte nella mia camera, giacché la sua era distrutta. Ci addormentammo in poco e tutti i problemi della nottata sembrarono sparire nel nulla. Sentivo il suo calore e il senso di calma e sicurezza che emanava.
Era assurdo e incoerente il mio bisogno di lui, ma l'averlo vicino mi faceva notevolmente stare meglio, come una sorta di ancora di salvezza. Il perché mi facesse quell'effetto, ancora non riuscivo a capirlo. Avevo disperatamente bisogno della sua presenza e del suo calore e ciò che suonava ancora più strano era che anche lui sembrava avere la mia stessa necessità, quasi il corrompermi non fosse più una sua priorità, quasi fossi una risposta a tutta la morte, la solitudine, il dolore e la sofferenza con cui aveva dovuto fare i conti nell'arco della sua lunga vita.
Non riuscii a fare a meno di riflettere sul suo atteggiamento sempre diverso e scostante. Prima non si era mai avvicinato, né mi aveva sfiorata, mentre negli ultimi giorni mi ero ritrovata fin troppo spesso tra le sue braccia.
Mi risvegliai stretta nel suo abbraccio, ancora a occhi chiusi. Sembrava un gesto automatico, fatto in quel momento che precede il risveglio, in cui ancora si confondono i sogni e la realtà. Non potei fare a meno di chiedermi se nella sua mente stesse stringendo me o qualcun'altra, ma poco importava, ero avvolta da una tale sensazione di benessere da non pormi neanche il problema.
Lo so, non era giusto e dovevo smetterla di avere con lui momenti simili d'intimità, consapevole che il fuoco con cui stavo giocando non mi avrebbe solo scottata, ma poteva ridurmi letteralmente in cenere. Ma non potevo. Non riuscivo a imporre alla mia mente di tenerlo a distanza, stavo bene e mi sentivo tranquilla e felice.
Era sbagliato, sbagliatissimo. Dovevo sentirmi così tra le braccia di Luke e non di Low, non dell'uomo che doveva corrompermi e poi uccidermi, che aveva fatto così tanto male all'uomo che amavo e ai miei amici. Eppure era più forte di me, stare con lui, lì abbracciati, e sentire che stava bene era idilliaco.
Facemmo tardi ad alzarci quella mattina, tergiversando in caste effusioni e carezze, sguardi languidi e talvolta maliziosi, assieme promesse che non sapevamo se fossero o meno possibile mantenere.
Quell'uomo era incredibile, mi stavo completamente lasciando andare e senza accorgermene i ricordi che avevo di Luke stavano confondendosi con i suoi. Low, di fatto, mi stava corrompendo ma in maniera totalmente diversa.
«Non c'ero più abituato.» disse poi, a un certo punto, tenendo un braccio sulla mia schiena, sfiorandomi leggermente con le dita e guardando verso il soffitto, quasi stesse parlando più con se stesso che a me.
«A cosa? A stare bene?» Ridacchiai. «Ci sono tante cose nella vita che possono farlo!»
«Di solito il concetto di morte e quello di felicità non vanno molto d'accordo.» Giocava con le dita sulla mia pelle, in una sorta di lenta e piacevole tortura. Evitava, come suo solito, le spiegazioni, tenendo per sé segreti e pensieri appartenenti a un tempo che sembrava lontano ma ancora troppo vivido nella memoria. «Ora sto bene.» Ammise. «Ma so che questo momento non potrà durare.»
Rimasi in silenzio a quell'affermazione, schiantandomi contro quella verità che iniziava a farmi male.
«Hope, va bene così.» mi disse lui. «Ho capito come stanno le cose e sono rassegnato da secoli ormai.»
«Rassegnato a cosa?» Domandai, inclinando il volto di lato e accigliandomi.
«A essere solo.» Tenne gli occhi fermi sul mio viso, avido di ogni mia espressione.
«Low... » iniziai a dire, ma lui mi mise un dito sulle labbra, come a volermi suggerire di stare in silenzio.
Come suo solito, non gli piacevano quei discorsi e alla fine era persino probabile che s'indignasse.
Accettai la sua silenziosa richiesta, poggiando il capo sul suo petto con un sospiro, restando però con la mente avvolta da una tempesta di pensieri.
Lentamente caddi in una sorta di torpore, tra il suo abbraccio e le sue carezze. Non mi addormentai ma sentii come se cadessi in una sorta di limbo, tranquillo e rilassante. Era piacevole stare lì e, se il brontolio del mio stomaco non mi avesse ridestata, sarei rimasta volentieri in quella condizione con lui per tutto il giorno.
«Credo che tu abbia fame.» mormorò lui, con le labbra a un soffio dal mio collo e il respiro caldo contro la mia pelle.
Per un attimo la mia mente si confuse tra il ricordo di Luke e quello di Low, visto che stavamo abbracciati e avvinghiati l'uno all'altra.
«Finisce male se continuiamo così, lo sai!» risposi, alzando il volto verso il suo.
Appena lo guardai lui assottigliò lo sguardo, sempre con quel sorrisetto impertinente e sarcastico stampato in faccia che andava affilandosi sempre di più, mentre con un gesto repentino si spostava sopra di me.
«Devo spostarmi?» Mi chiese la mia personale tentazione, con un tono sarcastico a un soffio dalle mie labbra.
Rimasi in silenzio, tra il desiderio e il senso di colpa che facevano a pugni, con gli occhi fissi nei suoi. Incapace di rispondergli.
«Chiedimelo, Hope. Chiedimi di spostarmi.» Intanto lui deviava l'attenzione dai miei occhi alle mie labbra.
«Non è quello che vorrei.» Mormorai appena, con un filo di voce.
«E cosa vorresti?» incalzò, sempre più sensuale e tentatore.
Mi morsi le labbra con il respiro accelerato, per poi spostare il capo di lato, chiudendo gli occhi. «Ciò che non posso avere!»
«E cosa sarebbe?» Mi chiese con voce suadente, poggiando le labbra sul mio collo, reggendosi sui gomiti.
Insisteva, non si stava fermando. Sembrava volerlo fare apposta per vedere fino a che punto sarei arrivata. Non capivo se per lui fosse un gioco o se semplicemente mi stesse mettendo alla prova.
«È... complicato... complicato e difficile!» Risposi, alzando il volto per lasciargli libero il collo. «Sono combattuta e confusa.»
«Magari posso aiutarti a fare chiarezza.» Mi baciava il collo e la gola alternando questi a piccoli morsi, fino al mio mento.
«No... Fermati Low...» Mormorai a fatica e con il respiro irregolare. Ogni volta fermarlo mi costava sempre più difficoltà e in quell'istante me ne resi conto.
Non sarei riuscita a resistergli in eterno. Per quanto amassi Luke, stare con lui stava mettendo sempre più in ombra i miei sentimenti per il mio angelo.
Mi accarezzò i capelli, fermandosi con un sospiro frustrato per il mio ennesimo rifiuto prima di riportare due tranquilli occhi grigi nei miei.
«Scusami, so che non è bello sentirsi rifiutati.» Mormorai in imbarazzo.
«Non importa. Andiamo a fare colazione.» Era tranquillissimo, stranamente, a differenza delle volte precedenti.
Lo osservai perplessa mentre mi rialzavo. Le altre volte aveva reagito male ma ora invece sembrava totalmente indifferente. «Sicuro che vada tutto bene?»
«Certo, abbiamo gli allenamenti.» Si diresse verso la piccola cucina. «Parleremo del tuo peccato un'altra volta.»
Dopo un pranzo frugale, lasciammo la casa per recarci al luogo che aveva scelto. C'erano pochi alberi ma eravamo ancora nel territorio Sioux. «Evoca la spada di luce.» Mi chiese materializzando quella oscura.
Richiamai la spada tra le mani, come ormai avevo imparato a fare. Non ci misi molto a farla apparire, e per un brevissimo istante mi fissai a guardare la lama luminosa di un bianco azzurro, brillante e freddo, quasi fosse di ghiaccio.
Mi voltai poi a guardarlo con attenzione, soffermandomi sulla sua spada. «La tua è diversa dalle altre.»
«Sì. La mia è diversa. Le spade degli angeli sono fatte di anima, una volta che s'impara a controllarla la si può plasmare a piacimento, facendole assumere la forma che si confà di più a noi.» Mi spiegò. «Rilassati, sei troppo rigida. Immagina che sia un archetto e non un'arma.»
Cercai di rilassarmi, ascoltando le sue parole e ricordandomi lo scontro che avevamo avuto notti fa contro i demoni, poco dopo la sparizione di Luke.
«Il tuo dono è la musica, Hope. Ascolta la vibrazione della mia anima e cerca di percepire la musica che emette, concentrati su quella.» mi disse lui. «Reagisci ai miei attacchi, prova a pararli. Non ci andrò giù pesante. Per riuscirci però devi sintonizzarti sulla mia anima.»
«Come faccio a sentire questa vibrazione? Su cosa dovrei concentrarmi di preciso?» Domandai confusa.
«Non so bene come funzioni, è il tuo dono e non è uguale per tutti. Prova a concentrarti come hai fatto quando hai affrontato i demoni. Ascolta i rumori, il suono della mia voce, il mio respiro, il vento che muove i miei vestiti, concentrati sui suoni.» Mi spiegò lui.
Annuii, poco convinta e lievemente a disagio. Non mi piaceva combattere, di certo non era la mia più grande passione, ma feci ugualmente come mi aveva detto. Cercai di concentrarmi su di lui, sul suo respiro ritmico e pensai al suo cuore e ai suoi battiti scanditi lentamente. Ascoltai i fruscii e le voci del bosco, in contrasto con la presenza di Low. Sentii il suono del vento tra gli alberi e il lieve fruscio dei suoi vestiti ai suoi movimenti e al passaggio dell'aria che aleggiava attorno a noi, come se volessi connettermi a tutto ciò che mi avvolgeva e si delineava attorno a me e attorno a lui.
C'era una vibrazione sotto, ogni cosa aveva il proprio suono proprio come aveva detto lui, ed era in armonia con il resto e anche ciò che sembrava stonare in realtà era in perfetto accordo. Era una sinfonia, una musica fatta di suoni e vibrazioni che mi circondavano e avvolgevano, di cui io stessa facevo parte e se mi concentravo, potevo sentirla. No, non sentire ma percepire, e se potevo percepire la musica allora potevo interagire con essa come avevo sempre fatto, usando il mio dono, connettendomi ad essa e manipolandola, influenzandola e lasciandomi influenzare a mia volta.
Percepivo la mia spada di luce che emetteva la stessa musica che emettevo io, e poi c'era la sua, potevo percepirne le emozioni. Sentivo la sua rabbia, la sua frustrazione, il dolore della perdita, la paura di perdere ancora, la rassegnazione, la stanchezza e poi in fondo a tutto quel buio una piccola e impercettibile luce, una minuscola fiammella di speranza che non si era ancora estinta.
«Ora proverò ad attaccarti. Concentrati su di me e prova a fermare il mio colpo.» mi disse lui. «Non ti farò del male.»
Iniziò il suo attacco e la musica di sottofondo cambiò, seguendo come uno spartito che mi sembrava di conoscere, ma nel quale ero certa mancasse qualcosa. Non c'era il violino, eppure sentivo che doveva suonare, sentivo il punto in cui sarebbe dovuto entrare e feci l'unica cosa che l'istinto mi suggerì, suonai il violino. Mossi la mano che impugnava la spada, inserendo la mia melodia in quella canzone e parando l'attacco. Non so come feci e se avessi voluto rifarlo, non avrei saputo ripeterlo, eppure c'ero riuscita in maniera perfettamente naturale.
«Molto bene, Hope.» mi disse lui. Era stato lento e prevedibile ma era stato comunque assurdo riuscire a bloccare quel colpo. «Piano piano sarà più semplice.»
«Mi sembra tutto impossibile!» gli risposi, mentre cercavo di concentrarmi sulla musica che mi circondava, anche se quelle emozioni che sentivo provenire da lui mi avevano profondamente colpita.
Low non se ne rendeva conto, ma stavo ascoltando la sua melodia, la sua canzone: triste, desolata e piena di solitudine. Per un attimo valutai di perdermici, come a volerla sentire e decifrare. Ma durò un attimo prima che riprendessi coscienza e decidessi di nuovo di continuare con quello scontro.
«Continuiamo, Low!» lo incalzai, accennando un sorriso, meno intimidita e titubante di prima.
Mi sorrise soddisfatto, anche se quel sorriso mi sembrava stonasse con quello che si portava dentro e che ora riuscivo a percepire con estrema chiarezza, ma non per questo lo ritenevo meno vero.
Riprendemmo gli allenamenti, durarono per tutto il giorno e lui era sempre più veloce e più aggressivo.
Arrivai la sera distrutta e sfiancata, lasciandomi cadere seduta a terra poggiandomi a un albero. «Sei un insegnante molto esigente, Low!» lo schernì, ancora ansante, guardandolo e sorridendo divertita. «Ma come al solito sei il migliore che conosca!»
«Quanti ne conosci?» Scherzò lui, lasciandosi cadere a terra, disteso. «È ovvio che io sia esigente, c'è in gioco la tua vita, anzi, sarebbe più corretto dire la tua esistenza.»
«Già!» dissi euforica, girandomi verso di lui, ancora con il fiatone. «E non potrei avere migliore insegnante.» Sorrisi sincera. «Credi che incontreremo qualcuno lungo il viaggio?»
«Fossi in te, spererei di no.» si mise le braccia dietro la testa. «Ho decisamente bisogno di un bagno.»
«Peccato che non ci sia una doccia o un bagno qui dai Sioux.» La casetta era vecchia e non aveva tutti i confort più moderni. «Come fanno a stare senza lavarsi? O per caso fanno il bagno nei fiumi e laghi?»
Mi diede un'occhiata divertita. «Loro hanno le docce e le vasche da bagno, è la nostra casetta a essere, come dire, folkloristica.» Si accarezzò il pizzetto. «Però, ora che mi ci fai pensare, da questa parti dovrebbe esserci un laghetto, potremmo approfittarne.»
«Non credo sia il caso!» Per un attimo mi passò per la mente la sua immagine in acqua e mi voltai dalla parte opposta, rossa in viso.
«Se vuoi ti accompagno a casa e poi torno qui. Non devi venire per forza.» propose tranquillo con un'alzata di spalle, come se ci stesse davvero pensando.
Sospirai, incerta su cosa fare. Da un lato volevo andarci, ma dall'altro non era per niente una buona idea.
«So già che me ne pentirò!» valutai, lanciandogli un'occhiata.
Avevo bisogno di un bagno quanto lui, ma non avevo assolutamente idea di come farlo. D'altro canto, entrare nuda in un lago assieme al mietitore era decisamente rischioso.
«Di cosa hai paura?»
«Di cosa posso avere paura? Sei fisicamente... quello che sei! Credi di non farmi nessun effetto?» Domandai accigliandomi.
«E cosa cambia tra il lago e il bagno di casa o la mia camera? Anche lì ho lo stesso aspetto e sono nudo.» La faceva facile lui.
«Eh... complicato da spiegare. Non credi sia un po', imbarazzante fare il bagno assieme?» Domandai scuotendo il capo. «No, certo, perché per te dovrebbe esserlo!» Borbottai voltandomi di nuovo.
«Se ti metto a disagio, puoi anche non guardarmi.» Spostò l'attenzione verso il cielo. «Possiamo anche fare il bagno nello stesso posto senza farlo assieme. Il lago è abbastanza grande.» Ancora quel tono distaccato.
«Si può fare!» ammisi annuendo. «In due parti distanti del lago va bene. Giusto per avere la mia intimità!»
«Sia mai che la tua virtù venga attentata.» Era serio. «Ad ogni modo non devi preoccuparti di me. Non ho intenzione di fare assolutamente niente, non avrebbe senso.» Anche se, onestamente, quella mattina mi aveva fatto sospettare del contrario.
«No, infatti!» dissi tra me e me. Il problema non era lui in quel frangente, ero io che trovandomelo vicino, nudo, avrei potuto avere qualche problema. Però effettivamente un bagno non mi sarebbe dispiaciuto per niente. «Vada per il lago.»
Si tirò su in piedi. «Allora andiamo, prima che si faccia troppo tardi e l'acqua diventi troppo fredda.»
Mi alzai e lo seguii, mentre effettivamente il sole iniziava a calare. «Oh, proprio al tramonto andiamo a farci un bagno.» Osservai sarcastica.
«Preferivi andarci di notte?» domandò, ironico a sua volta.
«Potrebbe essere interessante anche di notte, ma temo il freddo!» Ridacchiai tirandogli un colpetto.
«Sì. Credo che ti ammaleresti e se sentisti freddo, non potrei neanche venire a scaldarti, dovresti cavartela da sola.» disse con indifferenza.
«Perché tu vorresti venirmi a scaldare in acqua?» Domandai lanciandogli un'occhiata maliziosa.
Perché continuavo a stuzzicarlo? Sarebbe finita malissimo! Mi veniva naturale e appena lo facevo mi rendevo subito conto dell'enorme cazzata appena fatta. Lo provocavo, per poi tirarmi indietro all'ultimo. Non era neppure tanto corretto da parte mia.
«No, ma di sicuro non ti lascerei morire congelata con quelle alucce pallide che ti ritrovi.» Scherzò, sarebbe venuto più che volentieri a scaldarmi, ne ero sicura.
«Immagino! Non mi vorrei trovare neppure io a essere un ghiacciolo!» Scherzai di rimando. «Quanto dista il lago?»
«Dieci minuti di cammino, se ricordo bene. Ci manco da anni.» era molto calmo e rilassato, come se non stessimo andando al lago, da soli, al tramonto, a fare il bagno, completamente nudi.
Ed io ci stavo anche andando. Dovevo pensare al mio ragazzo, pensare a un modo per peccare e andare da lui e invece ero lì con l'uomo che odiava, flirtando e scherzando con lui, andando a farci il bagno assieme.
Luke non mi avrebbe mai perdonata.
Dopo dieci minuti arrivammo al lago, era veramente molto bello e piuttosto grande, ai piedi della montagna, dove il corvo doveva aver combattuto con l'uccello di fuoco. Una sorgente riversava acqua fresca e pulita direttamente nel lago.
«Bellissimo!» Mormorai gustandomi ogni parte di quello spettacolo panoramico. «Viene proprio voglia di tuffarcisi dentro!» Ridacchiai tornando a guardarlo.
«Beh io vado, cerca di non cacciarti nei guai!» Iniziò ad allontanarsi verso un punto più lontano del lago.
«Buon bagno allora.» risposi euforica dirigendomi nella direzione opposta alla sua per cercare un posto adatto.
Mi fermai accanto ad alcuni alberi che davano direttamente sulla riva e iniziai a spogliarmi, scrutando attorno guardinga. Non c'era nessuno nei paraggi, ma mettermi a nudo in un posto sconosciuto e entrare in un lago mi metteva alquanto a disagio. Sperai non fosse stata una pessima idea mandare via il mietitore.
Finito di spogliarmi lasciai tutto su una delle rocce lungo la riva per poi entrare lentamente nell'acqua, rabbrividendo per la temperatura. Sembrava tutto tranquillo, si sentivano solo i rumori della natura che mi circondava. Lui era lontano ma riuscivo comunque a vederlo. Era di spalle e si stava togliendo la maglietta.
Affondai nell'acqua e ne approfittai per osservarlo senza che lo sapesse. Anche a quella distanza potevo vedere i tatuaggi che gli decoravano la schiena, le spalle e le braccia. Alla luce del sole che tramontava, sembrava risplendere di una luce giallo dorata.
Era davvero uno spettacolo.
Se ne stava di spalle. Non voleva crearmi disagio eppure era molto difficile non esserlo anche a quella distanza. Quando s'iniziò a slacciare i pantaloni, mi voltai sospirando a guardare verso il cielo, muovendomi appena nell'acqua per cercare di pensare ad altro e smaltire il calore che la sua vista mi aveva acceso.
Sentii lo sciabordio dell'acqua, segno che si fosse tuffato. Mi girai appena in tempo per vederlo riemergere fino alla vita. Era voltato nella mia direzione e si stava passando le mani tra i capelli bagnati. Quei tatuaggi erano bellissimi.
«Cazzo!» Mormorai voltandomi di schiena e affondando in acqua del tutto, per poi riemergere di nuovo.
Mi sentivo quegli occhi cinerei addosso. Aveva un fisico pazzesco, era un bene che se ne stesse dall'altra parte del lago.
Non sembrava umano, forse neppure lo era. Era troppo perfetto in ogni suo dettaglio per sembrare reale. Luke era a sua volta bellissimo e in quanto angelo era perfetto anche lui, per me fisicamente insuperabile. Tranne che da Low, lui era davvero il meglio che avessi mai visto, neanche fosse stato fatto apposta per essere lui stesso una tentazione. Senza contare che il sentirmi osservata da lui mi dava i brividi.
Quando sbirciai di nuovo nella sua direzione, era completamente distratto, guardava in un punto verso gli alberi con cipiglio serio, ma non sembrava preoccupato. Mi soffermai a guardarlo con più attenzione qualche istante prima di voltarmi e iniziare a uscire di nuovo dall'acqua.
Inutile che stessi lì dentro a tergiversare e pensare a lui. Oltre al fatto che era sbagliato. Eppure non riuscivo a farne a meno.
Finì di lavarsi con calma, ignorandomi. Si decise a uscire solo quando fui completamente vestita.
Cercai di sistemare alla bene e meglio i capelli mentre tornavo verso di lui, ancora umida dall'acqua del lago e iniziando a sentire freddo, visto che il sole era ormai scomparso. «Beh... è stata comunque un'ottima idea, no?»
«Sì. Torniamo a casa.» rispose sbrigativo rimettendosi la maglietta e iniziando ad avviarsi.
Lo osservai per un po' mentre lo seguivo, per poi avvicinarmi a lui. «Va tutto bene?» domandai pensierosa.
«Sì, certo.» Era piuttosto distaccato. «Tu stai bene?»
«Sì, mi sento come rinata!» Esordì affiancandolo.
Aveva cambi repentini di umore che non riuscivo a spiegarmi e non mi consentivano di capirlo. Eppure il fatto che fosse distaccato era come se mi attirasse ancora di più. Dopo l'allenamento poi, nel quale avevo percepito le sue emozioni praticamente per tutto il tempo, era diventato ancora di più un mistero.
«Dopo una bella cena dormirai come un sasso.» osservò lui. «Passiamo per il villaggio a prendere da mangiare.»
«Vuoi dormire fuori? Come ieri?» Domandai ridacchiando. «Fa freddo stasera.»
«No. Meglio se stasera restiamo a casa. Sei ancora bagnata.» Mi diede appena un'occhiata.
«Anche tu!» Osservai, non riuscendo ad evitare di alzare una mano per toccargli i capelli.
«Allora sarà meglio affrettarci al villaggio, rischi di raffreddarti.» Accelerò il passo, quasi sottraendosi al mio contatto.
Lo guardai stranita senza aggiungere nulla. Sembrava sovrappensiero e nervoso per qualcosa. Cominciai a chiedermi se poco prima, durante il bagno, non avesse visto qualcosa tra gli alberi della foresta di cui non voleva parlarmi per non farmi preoccupare.
Dopo un po' raggiungemmo il villaggio.
«Io inizio a preparare, se tu vuoi andare a prendere qualcosa da mangiare.»
«Come vuoi.» mi disse sbrigativo prendendo la direzione che portava al centro del complesso indiano.
Gli lanciai un'occhiata e rientrai in casa. Il suo comportamento era davvero assurdo, ma decisi di ignorarlo e non lasciarmi rovinare la serata da lui. Mi sistemai i capelli e iniziai a preparare la tavola accendendo qualche candela per avere un po' di luce, per poi aspettare che tornasse.
Era già un bel po' che era fuori, di solito non ci metteva così tanto per prendere la cena. Iniziavo a preoccuparmi, soprattutto visto il suo repentino cambio di umore dopo aver visto qualcosa nella foresta vicina al lago.
Finalmente bussarono alla porta. Scattai in piedi e andai ad aprire senza nascondere il mio entusiasmo.
«Hei...» Entusiasmo che si smorzò in fretta, visto che mi ritrovai davanti la bellissima nipote del Capotribù.
«Ciao... scusa, non volevo disturbare.» Si giustificò lei con tono gentile.
«Che cosa succede?» Domandai incerta osservandola, per poi spostarmi dalla porta per farla entrare.
«In realtà niente... non vi ho visto per tutto il giorno e sono venuta a informarmi.» Si torceva le mani, sembrava nervosa. «Sei sola? Tuo marito non c'è?»
«No, Low non c'è. Stai bene?» Domandai assottigliando lo sguardo. «Sembri nervosa.»
«Io... certo, sto bene.» Mi sorrise, sembrava essersi rilassata sentendo che lui non fosse in casa.
«Low è fuori a prendere da mangiare. Siamo stati via tutto il giorno per... cose nostre.» Spiegai, facendole cenno di sedersi. «Tutto bene comunque.»
«Posso... posso chiederti una cosa?» Si accomodò senza togliermi lo sguardo di dosso. «Non vorrei che mi considerassi una sfacciata, sono solo curiosa.» Si affrettò ad aggiungere.
«Certo, dimmi!» Ero perplessa e mi si leggeva in faccia.
«Gli indiani hanno delle regole.» iniziò lei. «Se una donna va a vivere sotto lo stesso tetto di un uomo, allora diventa a tutti gli effetti sua moglie. Però so che i visi pallidi hanno regole diverse dalle nostre, quindi mi chiedevo... Il demone grigio è davvero tuo marito?»
«Beh... No, non è mio marito.» Ammisi guardandola. «È complicato, lui...» Sospirai, come se faticassi a trovare le parole giuste.
Che cosa era Low per me? Qualcuno a cui tenevo o solo un mezzo per raggiungere Luke?
«Che cosa è lui per te?» Insisté lei sulla mia stessa scia di pensieri, con una certa ansia nella voce.
«Perché me lo chiedi? Non capisco.» Domandai, inarcando un sopracciglio. Quella conversazione iniziava a non piacermi e a insospettirmi.
«Ecco...» Si torceva le mani. «Gli abitanti del villaggio hanno notato comportamenti discordanti tra voi e alcuni di loro si sono chiesti se voi due foste liberi o se formaste una sorta di coppia.»
«Che cosa è successo?» Domandai incrociando le braccia al petto. «Parla chiaro, per favore.»
«Niente, niente!» Si affrettò a difendersi alzando le mani e agitandole in aria. «Stavo solo chiedendo. Insomma siete due che si fanno notare. Se foste una coppia, nessuno direbbe niente, ma se non lo foste, potreste ricevere qualche offerta.»
«Perché lui ha ricevuto qualche offerta o t'interessa fargliene una?» Domandai inarcando un sopracciglio e sorridendole divertita e al tempo stesso infastidita. «T'interessa il demone grigio?»
«Sono solo un'ambasciatrice, non fraintendermi.» Eppure sembrava un bel po' a disagio da quando era entrata.
«Ambasciatrice per cosa?» Domandai incerta scuotendo il capo. «Non capisco.»
«Senti, mi dispiace, non sono affari miei ciò che c'è tra te e lui.» Si alzò. «Scusa per il disturbo, fa finta che non ti abbia chiesto niente.»
«Aspetta, ma di cosa stai parlando. Non c'è nulla tra me e Low se vuoi saperlo.» Spiegai alzandomi a mia volta. «Per favore, spiegati o, conoscendomi, passerò tutta la notte a tormentarmi su cosa volevi dire.»
«Alcune donne sono interessate al demone grigio, così come alcuni uomini lo sono a te. Se non siete una coppia, potreste ritrovarvi dei corteggiatori. Volevo solo che lo sapessi.» disse in fine, prima di dirigersi alla porta in fretta, come se temesse che Low potesse tornare da un momento all'altro.
«Capisco.» mormorai osservandola mentre usciva e accompagnandola alla porta. «Grazie di avermelo detto!» Risposi più seria di quanto volessi, mentre mi affacciavo verso l'esterno.
Mi aveva dato fastidio, mi dava fastidio.
Ma era ovvio, lui era da solo, bellissimo e appetibile per qualsiasi donna, era ovvio che molte ragazze lo volessero e non mi sarei dovuta stupire.
Inoltre lui ci stava mettendo davvero un sacco di tempo a tornare, facendo nascere in me un qualcosa che non credevo di poter provare nei suoi confronti: gelosia.
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