Jacebastian

Essere rinchiusa in casa ha ritirato fuori una parte di me che credevo perduta: quella che scrive fanfiction lunghe. Vi giuro, l'ultima ff con più di 1000/2000 parole che ho presente di questa raccolta è la Frerard, che ho pubblicato almeno 9 mesi fa.
Per la verità ho scritto altre due ff prima di questa, ma già che vengono cagate di meno, approfitto di questa. Dovrei anche scrivere una seconda jacebastian con l'input simile ma la trama diversa, quindi meglio anticipare.
Questa fanfiction è un alternative universe, ergo ho dovuto radicalmente cambiare un sacco di cose, e probabilmente troverete Sebastian, Jace e anche Clary OOC... spero non troppo però
Beh, enjoy

-💙-

Categoria: Alternative Universe
Fandom: Shadowhunters: TMI
Personaggi: Jace e Sebastian
Rating: Verde
Spoiler: Qualcosina di città di vetro, se non sbaglio. Rapporti di parentela, poco di più. Il resto lo è solo se sapete la trama dei libri successivi
Scritta con l'aiuto di: martymar01
Dedicata a: Lisa_Senatore_0105 (non ricordo se eri tu ad avermi chiesto la versione Jacebastian della ff "Sweet but Psycho"; nel caso, non è questa, ma arriverà spero a breve anche lei)

-💙-

Sebastian stava camminando sull’erba, schivando grosse pietre sparse in mezzo ad essa. Tutti i suoi sensi erano all’erta, una mano in tasca e una appoggiata su Fosforos; non era certo sarebbe potuta servire a qualcosa, ma lo faceva sentire più sicuro.

Si stava dirigendo verso le rovine di una vecchia chiesa, stata un tempo lontano un istituto poi abbandonato perché troppo isolato dalle grandi città. Quello era il luogo dell’incontro.

Era ormai da una settimana che Clary era uscita dall’istituto senza mai tornare indietro. Sebastian l’aveva cercata ovunque, insieme a Isabelle e Alec, ma non c’era stato verso di trovarla, finché non aveva trovato una lettera in camera sua con scritto luogo e ora dell’incontro per riavere Clary, firmato Jonathan Morgenstern, noto a tutti come Jace.

Non che fosse davvero un Morgenstern, ma era stato Valentine a crescerlo, così come aveva cresciuto anche Sebastian, che al contrario di lui era davvero suo figlio.

L’unica certezza che aveva era che la firma di Jace non prometteva mai niente di buono, così aveva avvisato Isabelle ed era partito verso l’ex istituto.

Non fu difficile trovare la chiesa: era l’unico edificio nel raggio di chilometri. Era mezzo diroccato, probabilmente era stato colpito da una bomba durante qualche guerra; l’entrata era scomparsa con il muro che la conteneva, mentre il fondo della chiesa era ancora miracolosamente intatto.

Superò quello che un tempo doveva essere stato l’ingresso e sentì un incantesimo rompersi: fu a quel punto che poté vedere Jace accanto all’altare. Aveva tra le braccia Clary, perfettamente ferma a causa di una spada angelica puntata contro la sua gola.

“Ah, Sebastian. Sapevo saresti arrivato”, disse il biondo con un sorriso.

“Cosa vuoi da noi, Jace? Non ti abbiamo infastidito finora, mi sembra”, disse il ragazzo tenendo a freno la preoccupazione. Clary stava bene, a quel che poteva vedere, anche se la vedeva stanca.

“Se lo aveste fatto, non avresti trovato della tua sorellina nemmeno le ossa. Quello che voglio? Voglio te”.

Era stato così diretto che Sebastian ci mise un momento per elaborare la sua risposta. “Non capisco”.

“La sorella per il fratello. Libererò Clary se tu giuri di venire con me senza provare a fuggire”.

Sebastian era certo ci fosse un trucco. In qualunque momento avrebbe potuto fuggire, una volta messa in salvo Clary. Forse era anche lì l'inganno, in effetti.

“D’accordo. Lasciala andare”, disse.

“Prima ti devi fare avanti tu, Sebby”. Un soprannome che solo Jace usava e che Sebastian non sopportava.

Il ragazzo avanzò lentamente, gli occhi fissi su Jace e Clary, finché non fu così vicino che sollevando un braccio avrebbe potuto toccare la sorella con facilità.

“Sono qui”, disse fissando attento il biondo, che sorrise.

Sebastian sentì la presenza dei demoni ancora prima che questi comparissero e disse: “Non te ne fai nulla di tutti e due”.

“Questo lo vedremo. Tu mi servi, lei per quel che mi riguarda può anche morire”.

Sebastian fu rapido a sguainare la spada e altrettanto rapido e a spostare la lama della spada angelica di Jace dal collo della sorella, tutto in un solo, calcolato movimento, poi si preparò ad affrontare i demoni.

Essi stavano già puntando Clary, evidentemente incapace di difendersi, ma Sebastian non aveva intenzione di vederla morire. Si buttò nella mischia ancora prima che Jace potesse impedirglielo.

Presto la rossa fu libera da seccature. Il fratello sfilò lo stilo dalla cintura e glielo lanciò, urlando: “Vai, Clary!”.

La ragazza esitò un istante prima di arrancare via alla ricerca di un posto su cui fare un portale. Nel mentre Sebastian uccise tutti i demoni che gli si avvicinarono, finché non si ritrovò Jace davanti, armato di quella che sembrava essere proprio Eosforos.

Il biondo lo attaccò subito, veloce come solo qualcuno allenato da Valentine poteva essere; questo fu il motivo per cui l’altro riuscì ad intercettarlo ed evitò un colpo che lo avrebbe ammazzato o messo K.O. come minimo.

I colpi successivi furono parati con successo, finché Sebastian non riuscì a bloccargli l’arma a terra. I demoni erano spariti, lasciandoli soli.

“Potevo acconsentire sul serio a venire con te in cambio di Clary, se tu non avessi deciso di volerla uccidere”, disse il nephilim riprendendo fiato.

“L’accordo è cambiato. O tu vieni con me spontaneamente, o ti uccido e mi porto dietro il tuo cadavere”. Sebastian era convinto non volesse davvero ucciderlo, ma la serietà con cui disse quella frase gli fece venire qualche dubbio.

“E cosa ti fa pensare che io ora verrò?”.

“Suvvia, Sebby, vuoi affrontare ancora decine, centinaia, volendo anche migliaia di demoni, oltre che il sottoscritto? Non credo, e poi io so che a prescindere verrai con me. Non senti nulla?”.

Ora che l’adrenalina stava un po’ venendo meno, Sebastian si rese conto che i suoi sensi erano attutiti. Le braccia caddero lungo i suoi fianchi senza che riuscisse a fermarle e la sua mano abbandonò Fosforos; il suono della lama contro la pavimentazione lo sentì a stento.

“Avevo previsto sarebbe potuto succedere questo, quindi mi sono armato di veleno… sapevo sarebbe potuto servire”, disse la voce di Jace al suo orecchio. Le sue mani e le sue braccia erano l’unica cosa che ancora lo reggevano in piedi, e il suo volto fu l’unica cosa che vide prima di perdere conoscenza.

-

Sebastian si svegliò in una stanza che non conosceva e su un letto comodo. All’inizio non ci badò, poi gli eventi precedenti al suo svenimento riaffiorarono nella sua mente.

Balzò a sedere sul letto, il che gli provocò un mal di testa tale da farlo sdraiare di nuovo immediatamente, massaggiandosi le tempie. Appena la stanza smise di girare provò di nuovo a sedersi, stavolta più lentamente, poi osservò il luogo in cui era.

Era in una stanza piuttosto grande, con i muri coperti da arazzi che non aveva mai visto prima. C’erano un paio di finestre sbarrate da cui si poteva intravedere un panorama desolato che a Sebastian non piacque per niente.

Lui stesso era su un letto a due piazze, unico mobile della stanza insieme ad un armadio e ad una scrivania, entrambi vuoti. C’era anche una sedia su cui era stata riposta la sua giacca di pelle.

Guardandosi, il nephilim si rese conto che qualcuno lo aveva spogliato e rivestito con abiti puliti. Non c’era da chiedersi il motivo, visto che gli altri erano coperti di sangue di demone, ma l’idea che qualcuno lo aveva cambiato non gli andava molto a genio.

L’idea che poteva essere stato Jace non gli andava per niente a genio.

Con prudenza provò ad alzarsi dal letto, poi si guardò intorno.

L’armadio era pieno di vestiti tutti della sua taglia, tutti di tonalità scure. All’interno di una delle ante trovò uno specchio, in cui riuscì a darsi un’occhiata.

Il suo volto aveva quasi lo stesso colore dei suoi capelli, con due occhiaie terrificanti che gli erano venute nella settimana di ricerca di Clary. Le ferite che si era fatto nella lotta nella chiesa erano sparite; sul suo avambraccio “splendeva” un iratze.

A distrarlo dal suo riflesso fu il suono di una serratura che si apriva. Chiuse lentamente l’anta dell’armadio e rimase con lo sguardo fisso verso la porta, finché essa non si aprì e la soglia non fu superata da Jace stesso.

Per un momento regnò il silenzio, durante il quale Sebastian valutò di cercare di fuggire e ci ripensò subito dopo. Era disarmato e non in forma, ed era in territorio nemico.

Alla fine Jace ruppe il silenzio e disse: “Il bagno è qua di fronte, se ti serve. Sei qui da almeno un giorno, quindi credo tu abbia anche fame... “.

Sebastian in quel momento di fame proprio non ne aveva, ma in bagno ci sarebbe andato più che volentieri. Non ebbe nemmeno bisogno di articolare la domanda che il biondo si fece da parte per farlo passare.

Quando ne uscì, dopo essersi preso qualche minuto per darsi una svegliata, trovò di nuovo Jace ad attenderlo, immobile come una statua.

“Non siamo nel nostro mondo”, disse Sebastian. Non era neanche una domanda, anche nel bagno c’era una finestra e aveva potuto osservare un paesaggio che non aveva niente a che fare con quelli terrestri che aveva presente.

“No, non siamo nel tuo mondo, Sebby. Siamo in un altro mondo altrettanto interessante… ma ti vorrei spiegare strada facendo”.

Jace iniziò a camminare lungo il corridoio senza neanche aspettarlo. Sebastian lo guardò per un momento, poi iniziò a seguirlo, restando a distanza quanto possibile.

Venne condotto nella sala da pranzo più grande che avesse mai visto, grande anche più della maggior parte delle sale in cui fosse mai stato, in effetti. Era difficile anche abbracciarla tutta con un unico sguardo.

Jace si girò a guardarlo e sorrise. “Ti piace quel che vedi?”.

“È qui che hai tenuto Clary finora?”.

“No, lei l’ho tenuta nelle prigioni, ma non ti preoccupare, è stata bene. Non c’è molto freddo in questo posto”.

“E perché a me hai riservato una camera vera e propria?”.

“Quella camera è la mia, Sebby. Anche i vestiti che indossi lo sono, e sebbene non ti rendano figo come il sottoscritto fanno comunque un bel lavoro”.

Sebastian lo guardò un momento prima di aprire di nuovo bocca: “Mi sarei aspettato avesse più armi che mobili, la tua stanza”. Evitò di chiedere se nel suo letto ci avesse dormito da solo o meno, non voleva davvero saperlo.

“Di solito è così, ma l’ho svuotata apposta per il tuo arrivo. Non prenderla sul personale, ma non mi sembrava il caso di lasciare lo shadowhunter più forte della generazione con qualche arma a portata di mano”, disse Jace fissandolo con attenzione, forse per anticipare sue eventuali mosse.

Sebastian non fece nulla, se non commentare: “Non posso dire di esserne felice, ma anche io avrei fatto lo stesso, quindi non dovrei lamentarmi”.

“Questo perché siamo più simili di quanto tu non creda. Tu mi capisci, ragioni come me, poco importa se nelle tue vene scorre sangue di angelo e nelle mie quello di demone”.

“Siamo stati cresciuti dalla stessa persona, non c’è da sorprendersi”.

“Bisogna vedere fino a che punto Valentine c’entra in questa storia… Non c’entra molto con me, io credo. Di certo non è per merito suo che ho questo palazzo… Lui non è mai venuto in Edom, del resto”.

“In Edom?”. Sebastian si era impegnato a restare impassibile mentre pensava a qualche via di fuga e si riprendeva dal veleno che ancora gli scorreva nelle vene, ma a quel nome raggelò abbastanza da perdere quella maschera.

Jace sorrise soddisfatto e disse: “Qua è difficile essere disturbati, non trovi? In effetti potrei ridarti indietro Fosforos, tanto anche se mi uccidi dubito potrai andare lontano”.

Se metà della mente di Sebastian era convinta mentisse, l’altra metà si sentì fottuta. Il nephilim decise a malincuore che avrebbe dovuto attendere prima di agire, e che avrebbe anche dato retta a quel maledetto biondino fino ad allora.

“Comunque siediti pure, mangia qualcosa”, disse Jace togliendogli finalmente gli occhi di dosso e sedendosi a capotavola.

“Non ho fame”, fece Sebastian. Non ne aveva proprio per nulla.

“Allora fammi compagnia”.

Il nephilim si sedette sulla sedia alla sua destra controvoglia e osservò i dolci sul tavolo davanti a lui. Più li vedeva, più sentiva chiudersi il suo stomaco.

“Comunque non temere, non dovrai passare notti di supplizio nel mio letto insieme a me, per quanto sarebbe per me divertente. Per stasera ci sarà una camera apposta per te”.

“Per stasera?”, chiese Sebastian.

“Si sta formando, non può apparire con uno schiocco di dita. Sebbene io qui sia piuttosto potente, non sono uno stregone, né un demone superiore”.

Nulla di quello che diceva dava a Sebastian possibilità di fuga, e la cosa non gli piaceva per nulla.

“Mi verranno a prendere. Lo sai, vero?”.

“So che tua sorella e i vostri amici sono testardi, ma non riusciranno a venir qui, neanche con le rune, neanche se Clarissa sa di questo posto perché ci è stata. Neanche con i portali ci riusciranno, troppo rischioso. No, dubito verranno a prenderti, così come dubito tu te ne potrai andare. Resterai qui, Sebby. Non te ne puoi andare via da me questa volta”.

E quella frase suonava come una condanna.

-

La concezione del tempo lì in Edom pareva non esistere. Sebastian aveva idea fossero passati quattro giorni solo perché quattro volte si era ripetuta la stessa scena: Jace che lo svegliava, colazione, noia, pranzo, noia, cena, tornare a dormire.

Avrebbe volentieri passato il tempo vuoto ad allenarsi, ma non aveva accesso alle armi - non aveva ancora trovato dove fossero - e si sentiva sempre debole e stanco.

Non era un mistero perché si sentisse così, Sebastian sapeva benissimo che Jace lo stava drogando. Non poteva che mangiare quello che gli veniva dato dal biondino stesso, era ovvio che ci fosse dentro qualcosa per tenerlo sottomettibile. Aveva confermato quell’ipotesi quella mattina, perché la colazione e il pranzo stavolta lo avevano rigenerato.

In quei giorni aveva esplorato il palazzo e aveva scovato una terrazza su cui si poteva rifugiare per guardare quel mondo estraneo senza essere disturbato. Anche quel giorno era lì, carico di energie che voleva spendere in qualcosa, che fosse anche solo saltare per i muri di quel posto.

“Ti stai annoiando?”, chiese una voce alle sue spalle. Si girò e guardò Jace, appoggiato alla porta che portava lì.

“Non ho niente da fare, mi sto annoiando a morte”, rispose.

“Beh, oggi c’è da fare e se invitato a venire con me”. Gli lanciò qualcosa che Sebastian afferrò al volo.

La sua spada. Sorrise, felice di avere tra le mani qualcosa di conosciuto,

“Dei demoni di altri mondi vogliono venire qui e sto andando a combatterli e rispedirli indietro. Ci stai?”.

“Solo perché mi annoio”, rispose Sebastian. Era vero, ma era ben più lieto di poter combattere contro dei demoni di quanto desse a vedere; non poteva staccare la testa di Jace di netto, poteva almeno staccarla a loro, sempre se ne avevano una.

Nel giro di dieci minuti stavano camminando sul terreno brullo uno accanto all’altro, dirigendosi verso un posto che Sebastian non conosceva ma che voleva raggiungere al più presto.

“Ti ho già visto combattere al nostro primo incontro, credo che combatteremo bene insieme”, affermò Jace.

Sebastian non ricordava mai volentieri il loro primo incontro. Si era presentato come un normale Shadowhunter ad Idris e avevano fatto amicizia, finché non era saltato fuori chi era davvero e avevano combattuto tra di loro. Aveva vinto Jace quella volta ed era riuscito a fuggire e il biondo platino era rimasto nervoso per almeno una settimana dopo quell’evento.

“Non ti mangio se parli, sai”.

“Non ho niente da dire”. Sebastian aveva da dire parecchio, ma preferiva tenerle per sé.

“Ti rode che ti sono sfuggito quella volta, eh?”, lo provocò Jace, “O ti rode che prima eravamo amici?”.

Sebastian si fermò e gli puntò Fosforos contro. Lo fissò e disse: “Senti, biondino, vedi di stare attento a quello che dici, perché ti potrei decapitare e fregarmene se poi resto qui a morire da solo”.

Jace si limitò a sorridere come a dire “Voglio proprio vederti provarci”. Sebastian abbassò poi l’arma e riprese a camminare, tenendosi però a distanza.

Si riavvicinò a lui solo quando iniziò a percepire dei demoni nelle vicinanze. Lo guardò e chiese: “Sono vicini?”.

Jace annuì. “Alcuni sono già sopra di noi, ma stanno aspettando di agire quando loro saranno in netta maggioranza… Senza sapere che hanno contro noi due”.

“Mi hai tenuto annoiato per farmi dare il meglio di me oggi?”, chiese Sebastian.

“Solo come effetto collaterale. Ora preparati, tra poco si comincia”, disse Jace passandogli il suo stilo. Sebastian si fece le rune e le fece al volo anche al biondo, poi si preparò alla battaglia.

I demoni li attaccarono appena li videro e Sebastian scattò, voglioso di darsi da fare e sfogare la noia e il nervosismo dei giorni appena trascorsi.

Si divertì. Quei demoni non dovevano aver mai visto uno shadowhunter, perché erano terribilmente facili da battere, e Sebastian aveva voglia di abbatterne tanti. Abbatté con gioia anche quelli che avrebbero probabilmente ferito anche Jace, e i suoi sensi erano così all’erta che schivava qualunque cosa, che fossero artigli, denti o lame di spade, come quando il biondino quasi lo decapitò mentre affettava un paio di demoni.

Quelli in volo decisero di non scendere, ma Sebastian era carico e balzò su tutte le sporgenze della catena di gallerie accanto alla quale si trovavano per arrivare lassù e combattere anche loro. Li aggredì, scovandoli così che Jace potesse occuparsene da terra.

Una volta fatti volare tutti si buttò su uno di loro per planare a terra. Lo uccise in volo, si fece almeno cinque metri in caduta libera e atterrò con poca eleganza per terra. Subito si alzò e tornò a combattere.

I demoni smisero di comparire dopo che centinaia dei loro simili erano stati sconfitti con facilità, e a quel punto Jace disse: “Okay, direi che abbiamo finito”.

Sebastian era coperto di sangue di demoni da testa a piedi, ma solo in quel momento iniziò a sentire dolore, appena l’adrenalina iniziò a diminuire. Nonostante ciò si sentiva addirittura gioioso.

“Torniamo indietro, meglio darsi una lavata”, disse Jace facendogli cenno di tornare indietro. Il nephilim attese un momento e lo raggiunse poco dopo, correndo e intanto osservando il soffitto come per stanare altri demoni volanti

“Non ce ne sono più di vivi o lo sentirei”, disse Jace guardandolo, poi aggiunse: “Sei stato bravo, te lo concedo”.

“Me lo concedi? Sono saltato fino al soffitto e ho tirato giù i demoni volanti come fossero stati pipistrelli, ti ho salvato il culo almeno cinque volte e ho fatto fuori centinaia di demoni, sono stato bravo senza concessioni”.

Sebastian sentì Jace ridere e lo ignorò, poi si levò la maglietta e la mise a cavallo della spada. Per fortuna sembravano non esserci danni, non seri almeno.

“Posso almeno tenermi la spada ora? Non ti ho nemmeno ucciso ora che potevo, un po’ di fiducia me la sono guadagnata”, chiese ignorando come Jace lo stesse fissando interessato.

“Penso di potertelo concedere”, rispose alla fine il biondo distogliendo lo sguardo.

L’acqua corrente tolse poi dal corpo di Sebastian sangue di demone, sangue suo e l’adrenalina rimasta. Sebbene sapesse che probabilmente il cibo era di nuovo drogato, mangiò un sacco e andò poi diretto a dormire, prendendo sonno non appena toccò il cuscino.

-

Sebastian era steso sul suo letto e stava fissando il soffitto, in attesa.

Jace aveva effettivamente ripreso a drogare il suo cibo in dosi anche maggiori dei primi giorni - probabilmente era il prezzo da pagare per potersi tenere Fosforos -, ma così facendo era più o meno riuscito a calcolare quanto tempo durava l’effetto della droga. Cinque o sei ore, questo era il risultato.

Di giorno doveva rispettare gli orari di Jace, ma di notte aveva tra le sei e le nove ore per agire e fare qualcosa nel pieno delle sue forze o quasi. Tolte quelle per smaltire la droga, facevano comunque tra una e quattro ore disponibili per andare in giro liberamente.

Attese sveglio su quel letto per quella che gli parve un’eternità. Ogni parte del suo corpo lo supplicava di dormire, ma lui non voleva farlo. Quel giorno aveva trovato girovagando per il castello una porta chiusa a chiave. Tutte le altre erano aperte, e se chiuse avevano almeno una targhetta che indicavano il contenuto, come quella dell’armeria. Non c’era però nulla su quella, quindi era qualcosa che probabilmente avrebbe dovuto scoprire da solo.

Alla fine si stancò di aspettare. Si alzò dal letto e afferrò la spada; appena la sentì pesante più del solito, capì che avrebbe dovuto attendere ancora.

Non lo fece. Sfilò una vite dal letto e forzò la serratura della porta della sua camera - era tenuta rigorosamente chiusa a chiave durante la notte; per fortuna il bagno era annesso alla camera -, un trucchetto che aveva imparato da Simon, il migliore amico di Clary. Di solito usava le forcine, ma non le portava in giro né le indossava, quindi doveva arrangiarsi.

La serratura scattò e la porta si aprì senza un suono. Il ragazzo uscì quindi in corridoio, controllò che non ci fosse in giro Jace, infine iniziò a camminare verso la sua meta cercando di fare meno rumore possibile. Non aveva uno stilo per farsi le rune che gli servivano, quindi doveva contare solo su sé stesso.

Non fu difficile trovare la via per la stanza che cercava, in quel posto c’era sempre luce, anche di notte. Quando la trovò, iniziò a forzare la serratura.

La porta già aperta si aprì di uno spiraglio. Si infilò la vite in una tasca dei pantaloni ed entrò con cautela.

La stanza che si trovò davanti era immensa, grande quanto la sala da pranzo. Una parte di essa era sopraelevata, e in cima c’erano due troni.

Una sala del trono era quella, quindi. Sebastian non capiva che ci facesse lì, non davvero.

Avanzò lentamente, guardandosi intorno di continuo per beccare Jace nel caso fosse lì con lui, ma i suoi occhi continuavano a tornare su quei troni.

Erano giganteschi, e più gli si avvicinava, più diventavano macabri da vedere.

“Meravigliosi, non trovi?”.

Sebastian fece un salto e si girò di scatto, trovandosi Jace dietro di lui. Sembrava fresco come una rosa, al contrario di come si sentiva il nephilim, e stava sorridendo.

“Non volevo vedessi questa stanza così presto, sapere che ero un re avrebbe potuto non piacerti molto. Però ecco la verità, Sebby. Il tuo vecchio amico è diventato un re… Re di Edom”.

Sebastian lo fissò, a corto di parole. Lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso il suo trono, poi disse: “I troni sono due”.

“Chi ha fatto questi troni prevedeva ci fosse una coppia regnante. Asmodeo e Lilith, in teoria”.

“Non capisco. Avevi Clary-”.

“A me Clarissa non interessava. A me interessavi tu”.

Sebastian lo rimase a guardare mentre si sedeva su uno dei due troni e si rivolgeva a lui. “Sì, Clarissa è una bella ragazza, gene di famiglia suppongo, ma non era lei che mi interessava. Non metto in dubbio che le donne siano forti, ma pensa ad avere al tuo fianco un ragazzo. Pensa se io avessi te al mio fianco, Sebby. Saremmo la coppia più potente di sempre, nessuno potrebbe sfiorarci con un dito, nessuno potrebbe opporsi a noi. Hai visto anche tu come collaboriamo bene, Sebby, sai anche tu che funzionerebbe. Non sarebbe meraviglioso?”.

Il nephilim sapeva benissimo che aveva ragione. Sapeva bene che loro due sarebbero stati imbattibili insieme. Ma c’erano molte cose che non gli piacevano di tutto quello.

“Io non voglio fare del male a nessuno, Jace”, disse alla fine, “Unirmi a te significherebbe quello. Significherebbe sottomettere e fare del male. Non intendo fare questo”.

La sua mano strinse Fosforo con forza. Non aveva le rune, avrebbe dovuto dare il meglio di sé.

Attaccò Jace, che con un unico gesto della mano lo buttò contro il muro dall’altra parte della sala. Sebastian si rialzò a fatica, raccogliendo la sua arma e mettendosi in posizione di difesa.

“Tu non capisci, Sebby. Tu non capisci il potere che ti potrei dare!”, urlò Jace scendendo dalla zona sopraelevata e andando verso di lui, poi aggiunse: “Così come non capisci che tutto questo è inutile. Non sono passate neanche tre ore da quando hai mangiato, credi davvero di potermi battere?”.

Un gesto e la spada finì lontano da Sebastian. Il nephilim corse a prenderla, ma una forza invisibile lo buttò all’indietro, scaraventandolo di nuovo contro il muro. Tentò di alzarsi, ma con un altro colpo si ritrovò bloccato contro il muro, incapace di muovere anche solo un dito.

Jace gli andò davanti, tanto che i loro volti quasi si toccavano.

“È ammirevole il tuo tentativo, ma totalmente inutile. Non mi potresti mai battere qui, ma sei avvantaggiato perché non ti voglio uccidere. Non voglio uccidere nessuno, in effetti. Hai detto che non vuoi unirti a me perché vorrebbe dire “fare del male”, ma chi ha mai detto che io voglio fare del male?”.

Sebastian deglutì e lo guardò mentre Jace appoggiava l’avambraccio accanto alla sua testa e gli si avvicinava ancora di più. “Per te posso lasciare in pace la tua famiglia e i tuoi amici, Sebby. Lo posso fare. Non mi importa niente di loro, ciò che voglio è averti al mio fianco”.

Sebastian sussurrò: “E se dicessi di no?”.

“Resteresti qui come prigioniero fino alla fine dei tuoi giorni, senza avere mai più un solo contatto umano… nel caso migliore”.

Sebastian sentì la disperazione travolgerlo. Non voleva unirsi a lui, ma sapeva di essere l’unico elemento che poteva impedire ai nephilim di subire un’altra sanguinosa guerra.

“Mi prometti che non toccherai mai più i nephilim, me escluso?”, chiese allora, la voce che tremava lievemente.

“Te lo prometto”.

Un respiro profondo prima della condanna. "Allora siamo d’accordo”.

Jace sorrise e lo baciò, un bacio che suggellava il loro patto. L’incantesimo che teneva Sebastian immobile svanì e lui cadde tra le braccia del biondo, che lo accompagnò verso i due troni.

Per salire sul suo trono venne aiutato da Jace, che lo fece ben volentieri, poi anche lui lo imitò e gli strinse una mano.

Quello era un nuovo inizio.

-💙-

FINALE ALTERNATIVO

“Io non voglio fare del male a nessuno, Jace”, disse alla fine, “Unirmi a te significherebbe quello. Significherebbe sottomettere e fare del male. Non intendo fare questo”.

“Possiamo non farlo. Perché andare a cercare i nephilim quando abbiamo un regno tutto nostro? Potremmo semplicemente combattere i demoni, vivere qui insieme, non è chiedere molto”.

“A me stai chiedendo tutto, Jace. Non posso semplicemente restare qui, senza mai più vedere tutte le persone che amo”, affermò Sebastian. Se davvero Jace era potente come aveva lasciato intendere, era il caso di essere prudenti.

“I metodi per comunicare con il tuo vecchio mondo ci sono. Due lettere non sono poi così difficili da mandare”, disse scrollando le spalle.

Sebastian non seppe che dire e Jace fu di nuovo in piedi: “Non credo tu sappia cosa ti posso offrire. Ti posso offrire il potere quasi assoluto… perché è lo stesso che possiedo anche io”.

Fece un gesto le la spada di Sebastian finì dall’altra parte della stanza. Un secondo e finì in ginocchio, senza riuscire ad alzarsi, le braccia ferme lungo i suoi fianchi.

Jace si inchinò davanti a lui e gli prese il mento. I loro volti erano così vicini che Sebastian poteva sentire un suo respiro in faccia.

“Io posso offrirti questo potere. Posso lasciare in pace i tuoi amici e anche permetterti di comunicare con loro, se ci tieni. Ciò che voglio è averti al mio fianco”.

Sebastian deglutì e disse: “Solo se prometti che lascerai in pace tutti i nephilim… me escluso”.

“Non c’è nulla di loro che mi interessi. Lo prometto”.

Sebastian non voleva dire quello che doveva, ma non vedeva altre vie di fuga. Non vedeva altre vie e basta. Chiuse un momento gli occhi e disse: “D’accordo”.

Si ritrovò le sue labbra sulle proprie, un bacio che suggellava un patto pericoloso. Poi le mani di Jace presero le sue e lo fece alzare, per poi condurlo fino al trono.

“Saremo la migliore coppia regnante di sempre”, disse Jace sorridendogli.

Sebastian guardò il trono inquietante e, con una certa fatica, si sedette su di esso, quasi arrampicandosi per farcela. Jace fece lo stesso sul suo e gli strinse la mano.

Quello era un nuovo inizio.

-💙-

Sto scrivendo anche un piccolo extra di questa storia, un po' più spinto (sì, forse torno in pista anche in quel senso)... vi interessa?

-Aly

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