Frerard (parte 2)
Giuro che il capitolo originale non doveva venirmi così lungo da essere diviso in due. Giuro
-💙-
Categoria: Alternative Universe
Fandom: My Chemical Romance
Personaggi: Frank e Gerard
Rating: Giallo (per presenza di scene di autolesionismo)
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Il giorno seguente Frank raggiunse Ray nel loro solito bar con almeno un quarto d’ora di ritardo. Appena si sedette di fronte all’amico, chiese “il caffè più forte che avete” e lo attese con la testa appoggiata al tavolo.
“Frank, ti senti bene? Sembri distrutto. Non ti chiedo del perché tu abbia un foulard sul collo perché posso immaginarmi da solo il motivo per cui te lo sei messo”, chiese l’amico toccandolo con un dito come se potesse improvvisamente morderlo.
“Lo sono. Sono fisicamente distrutto”, rispose Frank ignorando il commento sul suo foulard.
“Ed è una buona cosa?”.
“Per te lo sarà sicuramente”, rispose Frank tirando su la testa e soffiando via un ciuffo di capelli che aveva davanti agli occhi. Lo guardò e disse: “Mi sono dovuto subire qualcosa come quattro round filati di sesso senza interruzioni, e anche se io sono stato costretto a non fare letteralmente nulla, sono a dir poco esausto. Tutto quello che potevo avere io nelle palle ora ce l’ha lui”.
“Direi quindi che vi siete dati alla pazza gioia stanotte”.
Il caffè venne portato e Frank se lo scolò tutto d’un fiato. Il bollore del liquido lo svegliò completamente.
“Non ho più l’età per fare queste cose, se si ripete nel giro di due giorni, gli muoio sotto gli occhi”, disse tenendosi la testa.
“Ti è piaciuto almeno?”, chiese Ray con un lieve sorriso. A sentire quelle cose dall’amico era ormai abituato, per quanto lo imbarazzasse sentire tutti i dettagli.
“È stato fantastico”, rispose dopo un momento, arrossendo.
“L’importante è quello. E Gerard?”.
“L’ho lasciato dormire. Non so se lo troverò ancora lì quando torno”.
“Frank, tu in casa hai i documenti”, disse Ray improvvisamente serio.
L'uomo lo guardò senza capire.
“I tuoi documenti medici”.
Frank guardò un momento il tavolo, poi disse: “Beh, magari non li trova”.
“E se li trova e ti chiede qualcosa? Quei documenti dovrebbero essere riservati”.
“Ray, non è che sono pazzo od ho ucciso qualcuno. Sono documenti su… quello e basta”, disse Frank esitante.
Ray non era convinto e glielo si leggeva in faccia. Guardò l’orologio e disse: “È ora di andare. Pago io, tu non preoccuparti, vai e basta”.
Il corvino, seppur contrariato, si alzò e se ne andò a lavorare, tenendo a mente che avrebbe dovuto ringraziarlo di nuovo.
Quando Frank tornò a casa, l’appartamento era vuoto. Il letto di Gerard era stato rifatto, la sua roba era sparita, era rimasto solo un post it attaccato al tavolo.
-Torno a casa. Ci vediamo
G.W.
Frank lo trovò piuttosto freddo e lo mandò anche a Ray per tenerlo informato.
Tu che ne pensi?
Non so, Frank. Secondo me li ha letti quei fascicoli
Quanto può essere grave, se così fosse?
Non lo so. So che Gerard non è uno che va sul profondo, non so come potrebbe effettivamente reagire a questa cosa
Dici che dovrei chiederglielo?
No. Al massimo andiamo a trovarlo stasera al locale, insieme, e vediamo se dice lui qualcosa
Giusto
Dici che riuscirò mai a sdebitarmi per tutti questi aiuti che mi stai dando?
No, ma per tua fortuna lo faccio gratis
Ora dormi, se stasera qualcosa andasse storto è necessario che tu sia riposato così da non svenire sul posto
L’uomo si stese sul suo letto. Avrebbe dovuto pranzare, ma aveva lo stomaco chiuso per l’ansia.
E se davvero sapeva del suo passato?
E se davvero non lo avesse accettato?
Quando quella sera si ritrovò fuori dal locale con Ray, gli parve di non aver affatto dormito. Stava tremando dall’ansia, aveva paura che potesse succedere qualcosa che non voleva.
“Frank, se tremi ancora un po’ quella sigaretta non resterà intatta a lungo”.
“Ray, sono terrorizzato da cosa potrebbe succedere”.
“Ci sono anche io. Per quanto amico suo possa essere, tu resti il mio migliore amico, se ti fa qualcosa gli spacco il naso”.
Entrarono e videro subito Gerard in mezzo alla folla. Era alto, e i capelli rossi spiccavano su tutti.
Ray prese Frank per un braccio e lo trascinò in mezzo alla pista, ballando e intanto camminando con lui in mezzo alla folla. L’uomo dal canto suo ebbe una sensazione di claustrofobia che non faceva che aumentare.
“Ray, non sono sicuro di sentirmi bene”, disse Frank, ma l’amico non lo sentì.
Raggiunsero Gerard, che stava ballando con una donna che era anche più magra di quanto lui non fosse.
“Ciao, Gerard!”, urlò Ray toccandogli una spalla. Il rosso si girò e gli rivolse un caloroso sorriso e un abbraccio, poi vide Frank e il suo sorriso si congelò.
“Che ci fai qui, Frank?”.
Non ci fu bisogno di urlarlo. Frank lo sentì nitidamente e sentì anche il tono freddo con cui lo disse. Il suo cuore si fermò.
Gerard si rivolse a Ray e disse: “Non ti vedo mai qua a ballare, Ray. Sono certo che sei un ballerino provetto”.
“Non è per ballare che sono venuto qui. Sono con lui”.
Gerard guardò Frank come se vedesse un microbo e da lì capì tutto.
“Tu li hai letti”.
“Sì, li ho letti. Ho il diritto di sapere con chi scopo, non ti pare? Avrei dovuto sapere subito che stavo andando a letto con un malato mentale!”.
“Non sono un malato mentale”, disse solamente Frank mentre sentiva le lacrime agli occhi.
“Eppure è quello che io ho visto lì. Voglio che tu esci dalla mia vita. Io con te non voglio più avere niente a che fare”.
Frank perse il contatto con la realtà da lì. La claustrofobia, l’ansia, il dolore che quelle parole gli causarono, era troppo.
A posteriori, seppe da Ray che era diventato pallido come un cencio e che l’amico lo aveva subito dovuto portare fuori. Lì aveva rimesso quel poco che aveva mandato giù a cena e lì era rimasto, in preda alle convulsioni.
Si riprese nel suo letto, un dolore sul petto che gravava come un macigno.
C’era un motivo per cui solo Ray e il suo dottore sapevano della sua depressione. Perché era così che era sempre finita quando qualcuno lo aveva scoperto, e Frank si era ritrovato ogni fottuta volta in quelle condizioni.
Pianse e pianse e pianse. Non voleva più uscire di lì, non voleva più vedere nessuno.
Non voleva più vivere. Non ne poteva più di ritrovarsi in quel modo, in quelle condizioni.
Quel che fece dopo lo fece senza neanche rifletterci. Frugò nel cuscino e ritrovò la lametta di un temperino. Si era ripromesso di usarla al massimo come arma di difesa contro eventuali ladri, ma alla fine era sempre per sé stesso che la usava.
Un taglio. Il familiare dolore della lama parve assorbire una piccola parte del dolore che provava dentro.
Un taglio. Frank adorava come bastasse così poco a risolvere quel problema, come bastasse del semplice dolore fisico per sfogarsi per davvero.
Un taglio. Frank odiava come bastasse solo quello. Come davvero bastasse solo quello. Come lui era ceduto di nuovo.
Un taglio, due, tre, quando smise di farsene fu perché sull’avambraccio non aveva più spazio libero per farsene altri.
Rimase lì a guardarli, a guardare le gocce di sangue macchiare le lenzuola. Non si era neanche tagliato la vena principale, era stato bravo. Con quella sarebbe morto di sicuro, con quei tagli… erano tanti, ma non usciva abbastanza sangue.
Non per una morte rapida come avrebbe voluto.
Strinse la presa per farsene un ultimo, ma prima di riuscirci ricevette uno schiaffo così forte che quasi volò anche giù dal letto.
“Porca puttana, Frank, io giuro che ti ammazzo!”, disse la voce di Ray, nitida, reale e assolutamente furiosa.
L’uomo fu trasportato in bagno e ficcato nella vasca da bagno. L’acqua iniziò a scorrere e Ray gli piantò il braccio sanguinante direttamente sotto il getto.
Frank urlò di dolore e cercò di divincolarsi, ma l’altro gli urlò contro, tenendolo fermo: “Era il dolore che volevi?! Beh, questo è il dolore che cercavi, razza di cretino!”.
La lotta nella vasca durò per almeno dieci minuti, quanto bastava perché le ferite si pulissero e il pianto di dolore del corvino si trasformasse in un singhiozzo continuo, nemmeno tutto dovuto al dolore.
Ray spense il rubinetto e, con un asciugamano pulito, gli tamponò tutto l’avambraccio. Lo buttò nella vasca, ormai zuppo di sangue, e prese dall’armadietto delle bende con cui gli fasciò le ferite. Frank guardò tutto, le lacrime che continuavano a scendere e si univano al lago rosso che si era formato attorno a lui.
Quando finì, Ray si appoggiò contro la vasca, accanto a lui, e respirò profondamente. Fu così che Frank si accorse che anche lui era sporco di sangue.
“Sei ferito anche tu”, mormorò indicando una ferita sanguinante sotto il suo occhio.
“Già, beh, tu eri più urgente”, rispose Ray facendo per alzarsi.
“No, faccio io”, disse Frank alzandosi. La testa gli girò per qualche secondo, ma riuscì a riprendersi e ad uscire dalla vasca da bagno. Andò fino agli armadietti e prese disinfettante e cerotti, poi si sedette davanti a lui.
Ray non potè non notare quanto il braccio bendato gli stava tremando, per non parlare di quanto sangue era già visibile nonostante i vari strati di bende, ma nonostante ciò Frank si occupò delle sue ferite, disinfettando e mettendogli cerotti dove le ferite erano più gravi.
“Fatto”, disse mettendo apposto gli strumenti e sedendosi accanto a lui.
Nessuno dei due parlò per un lungo momento, poi Ray disse: “Sono andato a parlargli. Speravo di farlo ragionare, ma è stato irremovibile, così abbiamo litigato. A combattere sembrava una checca isterica, non ha piazzato un solo pugno come si deve”.
Frank guardò i suoi vestiti coperti di sangue e disse: “Mi ero preso una cotta di nuovo… e non aver iniziato ha fatto anche più male”.
“Domani ti ispeziono tutta la stanza. Non voglio più vedere lamette nel tuo appartamento, sono stato chiaro?”.
Frank annuì e guardò il pavimento.
“Dopo dovremo pulire”.
“Tu devi dormire e basta. Sul divano, dove posso controllarti a vista. Informo io il tuo capo che domani stai a casa”.
Ray si alzò e iniziò a preparare il necessario per permettere a Frank di dormire tranquillo. Intanto il ragazzo buttò tutto ciò che era sporco di sangue nella vasca, poi andò in camera e si mise dei vestiti comodi e nuovi. Si stese poi sul divano e guardò Ray mentre telefonava al suo capo.
Alla fine, vinto dalla stanchezza e dalla debolezza, si addormentò.
***
“Gerard è scomparso”.
Frank guardò Ray e disse: “Quindi?”.
Era passata circa una settimana da quell’episodio. Frank si era ripreso, sebbene le ferite fossero ancora lì e le bende che le coprivano pure. Ray si era praticamente trasferito a casa sua, tornando a casa propria solo ogni tanto per assicurarsi che tutto andasse bene.
L’uomo lo avrebbe anche lasciato stare là, ma sapeva che Ray voleva tenerlo d’occhio. Non aveva tutti i torti, lo sapeva bene.
“Beh, pensavo ti interessasse”.
Frank scrollò le spalle, poi tornò a scopare il pavimento della sala.
Sentendo lo sguardo di Ray sulla sua schiena disse: “D’accordo, dimmi che è successo”.
“Ho chiesto al bar. Dopo la nostra scazzottata pare che Gerard sia tornato lì e che se ne sia andato con due uomini. Da lì non è più stato visto, quei due sono stati arrestati per sequestro di persona e hanno confessato di averlo… beh, stuprato, oltre che pestato a sangue 'perché era un frocio di merda'. Non sapevano dove fosse però”.
“Aspetta. Hanno stuprato Gerard?”, chiese Frank bloccandosi.
“Che c’è? Anche gli uomini possono essere stuprati, e poi non è che è meno stupro solo perché Gerard troieggia alla grande”.
“Lo so, ma non avrei mai pensato che proprio lui…”.
I due si guardarono, poi Frank disse: “Secondo te posso azzardarmi ad uscire?”.
“L’unica persona pericolosa sarebbe Gerard, ma se è ancora vivo dubito ti potrà fare qualcosa”.
“Allora andiamo a cercarlo”.
Poco dopo si ritrovarono a girare per tutta la città, alla ricerca del ragazzo dai capelli rossi. Nessuno dei due aveva idea di dove potesse essere, ma Frank, nel suo pessimismo, iniziò subito a cercare nei posti dove era più semplice suicidarsi. Ce li aveva tutti registrati a mente, dal periodo in cui di ragioni di vivere ne aveva ancora meno di zero.
Avrebbe dovuto scordarseli, ma se lo avesse fatto non lo avrebbe mai trovato.
Gerard era uscito dalla città ed era andato nei boschi, raggiungendo l’unico ponte abbastanza alto da garantire la morte una volta spiccato il volo. Frank andò là solo per verificare che era stato troppo pessimista, ma al suo posto trovò proprio l’uomo.
Quasi non lo riconobbe. Gerard aveva i capelli rasati a zero, una maglietta grigia e dei pantaloni decisamente larghi addosso, per non parlare dei piedi totalmente nudi. Era appoggiato alla ringhiera del ponte e stava guardando giù.
Avvicinandosi, Frank si accorse di cose peggiori. Le botte sparse sulla pelle che poteva vedere, i tagli sulle braccia, che non ebbe difficoltà a riconoscere come autoinflitti.
“Non pensavo di trovarti qui”.
Gerard si girò di scatto. Un occhio era tumefatto e sotto c’era una ferita piuttosto grave.
“Frank…”.
“Un tempo venivo qui a passeggiare. Mi ha sempre impressionato vedere quanto fosse profonda la valletta che si crea sotto al ponte. Poi è diventato uno dei posti in cui potenzialmente mi sarei potuto suicidare. Non l’ho mai fatto, mai ne ho avuto il coraggio, anche perché quando ci ho provato Ray mi ha riempito di sberle finché non si è reso conto che mi stava mandando all’altro mondo lui”.
“Frank, perché sei qui?”.
“Perché un uccellino mi ha detto che tu eri sparito e, purtroppo, mi sono affezionato allo scomparso”.
Gerard annuì lentamente e tornò a guardare giù dal ponte.
“Non è la soluzione”, disse Frank avvicinandosi.
“Come fai a dirlo? Tu non sai nulla di me”.
“È vero, so di te quello che tu mi hai mostrato. So che adori sembrare una donna. So che odi qualunque malattia mentale. So che ami la vita. Non so molto di più. Però conosco me stesso, e io non ho mai amato la vita. Eppure sono ancora qui. Quindi non penso possa essere la soluzione, nemmeno per te”.
“Tu non capisci cosa provo. Tu non sai cosa si prova a… a sentirsi sporchi dentro. A sentirsi usati e basta. A sentire così tanto dolore. Tu non lo sai”.
“Oh, temo proprio di saperlo invece. Sono anni che continuo a provarlo, e fidati, le ferite fisiche non fanno male come quelle psicologiche”.
Gerard si girò di nuovo verso il fondo e disse: “Come hai fatto a continuare a vivere?”.
“Sono un codardo e non ho avuto il coraggio di buttarmi giù”.
“Io sarò comunque codardo. Addio, Frank”.
Gerard si buttò giù di slancio, gli occhi chiusi, aspettando la morte. Frank strinse gli occhi e, con una rincorsa, si buttò giù a sua volta.
L’altezza gli permise di raggiungere Gerard mentre era ancora in caduta libera. Con un calcio secco nella schiena, riuscì a spingerlo via, verso gli alberi. Sentì le sue urla, segno che qualcosa lo aveva colpito, o meglio, lui aveva colpito qualcosa.
Frank si rese conto che era lui ora ad essere in via di morte. Tentando il tutto e per tutto, si levò le bende dal braccio e le usò come lazo.
Uno strattone, un dolore tremendo alle braccia, il dolore che gli attraversava tutto il corpo.
Infine, l’oblio.
***
Bip. Bip. Bip.
Frank aggrottò la fronte. Non ricordava quand’era stata l’ultima volta che aveva sentito quel suono incredibilmente fastidioso.
Aprì gli occhi, o meglio ci provò, riuscendo ad aprirne di fatto solo uno. Sopra di sé vide il soffitto azzurrino di un ospedale.
Perché era finito in ospedale?
I ricordi lo travolsero come uno tsunami. Lui e Gerard sul ponte. Lui e Gerard che cadevano. L’impatto con il suolo.
Era sopravvissuto ad una caduta di forse cento metri. Una fortuna del genere non gli sarebbe mai più capitata, ne era certo.
Nel suo campo visivo comparve un uomo sfocato, che identificò come Ray per via dei capelli che gli facevano da aureola. L’uomo vide che era sveglio e gli si sedette accanto, guardandolo scuotendo la testa.
“Sei un idiota”.
“Sono vivo”.
“Sei un idiota vivo, allora. Meglio che un idiota morto”.
“Dov’è Gerard?”.
La voce di Gerard rispose alla domanda.
“Frank?”.
Il corvino provò a sollevarsi, ma un dolore indicibile lo paralizzò e lo fece ricadere sul letto con un gemito. Poco dopo entrò nel suo campo visivo anche Gerard, che era coperto di bende e, per quel che poteva vedere, era anche ingessato.
“Frank, tutto apposto?!”, chiese preoccupato, sedendosi accanto a lui.
“No, non direi. Mi fa tutto dannatamente male”.
Ray lo guardò e disse: “Vorrei ben vedere, dopo una caduta di cento metri nel vuoto il fatto che tu sia vivo è di per sé incredibile. Hai costole rotte, ferite da perforamento a causa dei rami, molte altre cose fuori posto… Insomma, se fossi morto probabilmente ti sentiresti molto meglio”.
“Questo dovrebbe consolarmi?”.
“Vedi tu”.
Frank accennò ad un sorriso, poi guardò Gerard.
“Tu come stai, aspirante suicida?”.
“Tu mi hai tirato un calcio in volo per salvarmi la vita. Sei quasi morto per salvare me. Perché qualcuno dovrebbe arrivare a tanto?!”.
“Per amore? Oserei dire per questo, anche se non sei tipo da sentimenti”.
Per un momento regnò il silenzio, poi Gerard disse: “Non sono più sicuro di questa cosa. Voglio dire...".
Ci fu una pausa che lasciò Frank col fiato sospeso, tanto che i bip della macchina aumentarono di colpo. Alla fine Gerard sussurrò: “No, non so cosa voglio dire”.
Ray sussurrò: “Vi lascio soli. Devo andare al lavoro”.
I due rimasero da soli. Per un po’ non parlarono, poi Gerard disse: “Ray mi ha spiegato ogni cosa. Non riesco a capacitarmi di come tu mi abbia salvato nonostante… io ti abbia ferito così tanto”.
“Già, beh, nemmeno io mi capacito di essermi buttato giù da quel ponte. E di essere sopravvissuto, siamo tipo gli unici su migliaia”.
“Non credo di esserne così scontento. Io… mi dispiace, Frank. Non avrei mai dovuto trattarti in quel modo, solo che… io e i sentimenti non andiamo d’accordo. L’idea di dovermi sentire con qualcuno di cui poi dovrei anche prendermi cura... mi fa paura. Non so se capisci quel che intendo”.
“Sì, lo capisco, non sei il primo che fa questo ragionamento. Almeno me lo hai detto in faccia. Ti capisco se per questo non vuoi… stare con me. L’unico che mi è stato accanto è stato Ray, e ho perso il conto di quante volte mi abbia salvato. Lo… lo capirei, sì. Spero di non chiedere troppo però, nel chiederti di restare in contatto con me”.
“Frank, io non ho detto che non voglio stare con te”.
Frank lo guardò con un sopracciglio alzato, poi li alzò tutti e due, infine li abbassò confuso.
“Ci ho pensato, mentre tu eri svenuto. Sono stato uno stronzo e penso che tu uno come me non dovresti meritarlo. Tuttavia… mi sono accorto anche io che, per la prima volta, qualcosa c’è. Dopo che mi sono svegliato qui l’ho capito. Mi restavi nella mente anche prima, ma non avevo… capito il motivo. Insomma…”.
“Quindi vuoi stare con me”.
“Sì, voglio stare con te”.
Frank sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi. Gerard lo fece e si chinò su di lui, dandogli un dolce bacio sulle labbra che si trasformò in uno più passionale, ma ben lontano dai primi che si erano scambiati.
Finalmente tutto si era sistemato.
***
“Buongiorno, Frank. Come stai?”.
L'uomo sorrise e si sedette al solito tavolo con Ray.
“Continuo a rabbrividire nel vedermi allo specchio. Credo non mi abituerò mai nel vedermi con una benda sull’occhio, anche se Gerard dice che il look da pirata mi dona”, disse mentre il cameriere gli metteva davanti un bicchiere di latte con una brioche. Ray doveva aver ordinato per lui.
“Come va con Gerard, invece?”.
“Bene, direi. Credo che oggi vada dalla psicologa, poi andiamo insieme a fare shopping. Sono terrorizzato all’idea di cosa potrebbe prendere e di cosa potrebbe farmi provare. Penso si conterrà, comunque, ha detto che viene con noi anche suo fratello”.
“Oh, allora vengo anche io. Voglio conoscere Mikey da tempo”.
“Mikey?”.
“Il fratello di Gerard. Si chiama Mikey, ai tempi ne parlava come se fosse un dio perennemente incazzato. Sono curioso”.
Frank ridacchiò, lasciando sul tavolo i soldi e uscendo con lui.
“Tu quando vai dalla psicologa, invece?”.
“Domani, anche se forse salto. Ora va meglio, voglio dire, sono passati due mesi”.
“Shht. Non dirlo. Non gufartela così. Vacci, è meglio, fidati. Comunque, ci vediamo oggi pomeriggio, okay?”.
Frank annuì e andò al lavoro, sereno come non lo era da tempo.
Quel pomeriggio si ritrovò fuori dal centro commerciale con Ray, ad aspettare Gerard e Mikey. Era agitato, tanto che aveva fatto passare il suo portafoglio e le sue chiavi venti volte prima di mettere tutto apposto, prendere una sigaretta e portarsela alla bocca.
“Avevi detto che avresti smesso”, disse Ray guardandolo storto.
“Lo so, solo che sono ansioso”.
“Per cos’è che avresti ansia, Frankie?”.
La sigaretta gli fu levata dalla bocca. Gerard la osservò, poi la buttò nel cestino e gli mollò un pugno sul braccio.
“Abbiamo detto di no”.
“Sì, scusami, Gee”.
“Se la piantate di flirtare, io potrei anche presentarmi”.
L’uomo che aveva parlato era alto, quasi come Ray, parecchio slanciato e dai capelli biondi corti. Gli occhiali da sole accrescevano l’aria di bulletto del quartiere che aveva dimostrato a parole.
“Ray, Frankie, lui è Mikey. Mikey, loro sono Frank e Ray”.
“Piacere di conoscervi”, disse tendendo la mano ma conservando la faccia mortalmente seria.
“Se ve lo chiedete, mio fratello non sorride praticamente mai, ma ha un cuore d’oro. E mi ha sopportato per anni, quindi anche se non si direbbe è come me”.
“Non esagerare, io sono etero e non mi vesto da donna”, precisò il ragazzo.
“Dillo alla foto di te con il tutù”.
(Questa foto)
Ray scoppiò a ridere, beccandosi un cazzotto da parte di Mikey, che però, intravide Frank, stava sorridendo leggermente.
Entrarono tutti insieme nel centro commerciale e i due più alti andarono direttamente al reparto videogiochi, mentre la coppia andò in un negozio di vestiti.
Gerard sparì nel reparto donna, dando il tempo a Frank di dare un’occhiata nel reparto uomo. Prese una giacca di pelle e un paio di jeans strappati, che andò a provare nei camerini. Lì incontrò il suo fidanzato, che aveva con sé una ventina di vestiti.
“Te li farò vedere tutti. Lo sai, vero?”.
“Certo che lo so”.
Gerard si fece vedere con una quantità di vestiti assurda, tutti tremendamente da donna e tutti tremendamente aderenti e sexy, tanto che Frank si ritrovò con del sangue che gli usciva dal naso dopo il decimo outfit.
“Mi sta meglio questo nero o quest’altro?”.
“Sei bellissimo con tutti e due, fidati”.
Alla fine Gerard li prese tutti, prosciugando il conto corrente del fidanzato. Per fortuna Gerard di soldi ne aveva anche più di lui, sebbene fossero in contanti e non legati al bancomat.
Quando ritrovarono gli altri due, li trovarono che chiacchieravano allegri. Anche loro avevano comprato qualcosa, probabilmente videogiochi.
Tutti insieme andarono a farsi un giro, finendo per svaligiare il negozio di Lush (“Mica ho la pelle così liscia naturalmente!”, aveva detto Gerard) e un negozietto di candele (“Le mie figlie le adorano!”, aveva detto Ray, invece). Quando uscirono, dopo una lunga attesa dal parrucchiere dato che Gerard si era rifatto la tinta rossa, capirono che avrebbero fatto prima a vendere un rene per rientrare dei soldi spesi.
“Frank, stasera vorrei tu mi facessi un vero e proprio set fotografico con questi vestiti. Tutto per la discoteca, ovviamente”.
Frank annuì e guardò Ray e Mikey, che ancora stavano chiacchierando. Tossicchiò e disse: “Ragazzi, noi andiamo”.
“Buona serata”, disse il più alto, mentre il biondo salutò i due con un cenno della mano.
La casa di Gerard era stravagante quanto il suo proprietario: dannatamente colorata e caotica, per non parlare del fatto che ci fosse un'ala dedicata interamente alle fotografie di sé stesso e ad un set fotografico.
"Bene. Tu mi devi solo fare le foto, ci penso io al resto. Va bene?".
Frank annuì e per l'ora successiva si dedicò a fare il fotografo, con un'unica interruzione durante la quale si ficcò un fazzoletto su per il naso per fermare il sangue dal naso che continuava a scendere. Gerard era veramente stupendo vestito da donna e incredibilmente sexy.
E infame, dato che continuava a fare dei gemiti per scherzo che il piccolo Frank sentì perfettamente.
"Dopo te la faccio pagare", sibilò il proprietario con un sorrisetto.
"Non aspetto altro", disse Gerard gemendo di nuovo. Frank si mise una mano sulla faccia, cercando di ignorare quanto i pantaloni gli stessero sembrando stretti.
"Domani voglio fare anche a te qualche foto. Scommetto che staresti benissimo vestito da coniglietto assassino".
"Gerard, i tuoi vestiti mi stanno larghi".
"Questo lo dici tu", disse sedendosi sulle sue gambe e appoggiando una mano sull'erezione.
Frank si alzò con lui il braccio e disse: "Adesso il mio coniglietto verrà punito per essere uno stronzetto".
"Non aspettavo altri, Frankie", disse Gerard leccandosi le labbra.
I due andarono nella loro camera, dando il via ad una nuova sessione che di fotografico non aveva nulla.
Finalmente avevano ottenuto il loro lieto fine.
-💙-
Vi lascio allegate alcune foto rubate su insta che fanno da set fotografico perfetto.
E infine Frank in stile coniglio assassino
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