Architorn

Devo smetterla di illudermi che quando saltano fuori ship gay io non scriverò qualcosa su di loro
Questa non volevo davvero scriverla, ma mi è stata richiesta quindi I had no choise (?)
Enjoy

-💙-

Categoria: Alternative Universe
Fansom: L'attraversaspecchi
Personaggi: Thorn e Archibald
Rating: Giallo
Richiesta da: AnnabelleFangirl (se non ho sbagliato il nome)

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Un detto che esiste dalla notte dei tempi dice che il diavolo cammina sulla terra, contagiando di peccati capitali chiunque incrociasse il suo sguardo, gli passasse accanto o lo pensasse anche solo per errore.

Circa giusto. Non è il diavolo a camminare sulla terra, ma uno dei suoi sottoposti, di un fascino incredibile, in grado di ammaliare donne e uomini con la sua sola presenza. Allo stesso tempo, anche un angelo camminava sulla terra, inviato per salvare i peccatori e condurli di nuovo sulla retta via.

Il demone, Archibald, sapeva che l’angelo era lì, e aveva tutta l’intenzione di far peccare anche lui, sia per acquistare punti agli occhi del suo capo, sia perché l'idea di provarci con un angelo e di piegarlo al piacere lo ispirava. Al contrario, l’angelo Thorn non sapeva che il demone era lì, anche se lo sospettava.

Non sapeva però che aspetto avesse, così non lo riconobbe quando lo incontrò in un parco di una piccola cittadina anonima, una domenica mattina.

“Buongiorno monsieur, bella giornata, non trova?”.

Thorn osservò dai suoi due metri abbondanti d’altezza colui che gli aveva parlato. Era un uomo basso, di cui intravedeva solo gli abiti eleganti e il cappello da moschettiere.

Lo ignorò finché non vide che aveva sollevato il volto così da vederlo in faccia. “È sordo?”.

“È con me che sta parlando?”, chiese confuso l’angelo dedicandogli non più di uno sguardo.

“Con chi altro dovrei parlare, monsieur? Il parco è vuoto”.

Thorn non rispose. Aveva visto per non più di un secondo il volto dell’uomo accanto a lui e ci aveva visto in esso una bellezza che trascendeva l’umano; i suoi pensieri si erano concentrati su quello come una calamita.

“Non l’ho mai vista da queste parti, eppure conosco molto bene tutti gli abitanti. Intimamente, oserei dire”.

“Sono di passaggio”.

“Posso permettermi di tentarla con un appuntamento? Sa, mi dispiacerebbe non conoscere qualcuno”.

Thorn non era stupido. Ingenuo, forse, ma non stupido. Accennò ad un sorriso e disse: “Tu devi essere un demone inviato dall’inferno per corrompere il genere umano. Non ero certo ce ne fosse effettivamente in giro qualcuno, ma ora ne ho la conferma”.

“Ero convinto che tutti gli angeli fossero stupidi e ingenui. Non sono sicuro di essere triste della smentita. Comunque rimarco la mia offerta. Posso tentarla con un appuntamento?”.

“No”.

“Perfetto. Stasera alle otto?”.

“No”.

“Nemmeno fratennizzare con il nemico ti alletta?”.

“Perché dovrei?”.

“Avresti l’opportunità escusiva di conoscere il demone più sexy di tutti gli inferi”.

Thorn lo guardò con i suoi occhi glaciali e disse: “A maggior ragione, no. E poi non ho bisogno del cibo umano”.

“Come dice il nostro signore, la gola è il più gratificante dei peccati. Dovresti provare, la pizza è squisita”.

I due si guardarono. L’angelo accennò ad un sorriso quando si accorse che il demone per riuscire a guardarlo in faccia come si deve era salito su una panchina.

“Perché ho il sospetto che non mi lascerai in pace finché non ti dico di sì?”.

“Perché è quello che ho intenzione di fare”.

Thorn sospirò e disse: “Non intendo mangiare, ti faccio solo compagnia… se ne ho voglia”.

Archibald sorrise mentre lo guardava andare via. Lo aveva indirizzato verso le proprie grinfie.

-

Archibald alle sette e mezza si presentò e si sedette al tavolo per due che aveva prenotato. Attese l’arrivo dell’angelo fino alle otto, poi decise di ordinare la sua classica pizza margherita. Proprio quando la finì, il suo rivale lo raggiunse.

“Sei in ritardo, ma almeno sei venuto”, disse con un sorriso allegro.

“Non ti ho mai detto che potevi darmi del tu, demone”.

“Ma se lo stai facendo anche tu! Siediti pure, il posto è per te”.

L’angelo lo fece e finalmente Archibald lo poté vedere bene in faccia, sebbene fosse ancora una ventina di centimetri sopra di lui.

“Stamattina non ci siamo presentati. Io sono Archibald, demone specializzato nel peccato della lussuria. Tu?”.

“Questo dice già molto su cosa hai intenzione di fare con il sottoscritto. Io sono l’angelo Thorn, generalmente occupato a gestire le entrate di anime nel paradiso e qui perché si è registrato un aumento di peccatori a cui bisognava porre rimedio. Immagino sia merito tuo”.

“Molto probabile, anche se l’uomo naturalmente preferisce peccare che starsene buono. Colpa mia solo in parte, quindi”.

Archibald lo guardò negli occhi e si sentì scrutato nell’anima. Allo stesso tempo, la cosa quasi lo eccitò. Adorava le sfide e quella lo era.

“Non so se la cosa ti interessa, ma si vede che sei eccitato”.

Archibald abbassò lo sguardo, sorpreso di non essersene accorto, poi guardò l’angelo, che aveva detto quelle parole impassibile e che aveva la stessa espressione indefinibile anche ora.

“Non sei imbarazzato? Neanche un po’?”.

“Sono reazioni fisiche normali per chiunque ne sia munito e non abbia disfunzioni specifiche, di cosa dovrei imbarazzarmi? Che sono io a causartelo? Hai pessimi gusti, ma quello è problema tuo”.

“Ti sottovaluti, Thorn, non sei brutto”.

“Dillo a questa cicatrice”, disse indicando una cicatrice che gli attraversava un occhio, “e a tutte le altre”.

“Caratterizzano una persona, umana o non. Se io ne avessi le porterei con orgoglio”.

“Tutti i demoni ne hanno una. Quella da cui è stata asportata la fede, e resta la cicatrice che chiude il luogo in cui si trovava”.

Archibald lo guardò senza rispondere. Il cameriere raggiunse il tavolo e il demone ordinò da bere. Guardò poi Thorn e iniziò a bere. Bevve, e bevve, sotto lo sguardo indifferente dell’angelo.

Le prime parole sensate le disse a mezzanotte circa: “Quante possibilità ci sono che io riesca a rubarti il cuore o la verginità?”.

“Molte poche, soprattutto se sei ubriaco. Dov’è che abiti, che ti porto lì?”.

Archibald biascicò un indirizzo e Thorn, dopo aver pagato, lo portò là, mollandolo a letto e andandosene.

Al suo risveglio, Archibald ebbe da rimediare da sé alle sue voglie e ai suoi dolori post sbornia, ma un sorriso regnò sul suo volto tutto il tempo.

Lo aveva già avvicinato. Era un buon inizio.

-

Quel giorno Thorn non si vide da nessuna parte, così come nei giorni successivi. Archibald bevve più di quanto aveva mai fatto, soprattutto per compensare un bisogno fisico che, per motivi nemmeno a lui chiari, non riusciva e non voleva sfogare con le sue solite amanti.

Ad un certo punto si costrinse a farlo, almeno per mantenere la facciata. Il giorno successivo a quella serata, mentre si trovava nel parco sdraiato su una panchina nel tentativo di farsi passare il mal di testa, una figura gli coprì il volto dal sole e una voce familiare disse: “Hai un aspetto peggiore del mio”.

Archibald aprì gli occhi e guardò con una certa difficoltà l’individuo che aveva davanti. Essendo controluce, si affidò all’altezza incredibile per riconoscere il suo interlocutore.

“Thorn…?”.

Un dito gli toccò la fronte e il mal di testa scomparve, facendolo sospirare di sollievo. Guardò poi l’angelo e chiese: “Che ci fai qui? Vuoi divertirti a vedere le mie condizioni?”.

“C’è stato un brusco aumento di redenzioni e il numero stava già calando ieri sera. Il mio lavoro di angelo è anche controllare che tu non porti gente dalla tua parte”.

“Se ti offrissi tu come amante non avresti questi problemi”.

Lo aveva detto senza pensarci, e quando se ne accorse si piantò in volto una maschera di pietra per nascondere la sua voglia di fuggire. Il pensiero lo lasciò incredulo; non era mai scappato da qualcuno per cose del genere.

“Le politiche angeliche sono chiare sul rapporto con i demoni: niente contatti. Già parlandoti sto trasgredendo, e i miei superiori ne verranno a conoscenza a breve”. La risposta di Thorn fu così professionale che Archibald dovette prendersi un momento per capire ciò che aveva detto.

“Vuoi dire che se non fosse per le politiche angeliche ti offriresti?”.

“Ah, no, non lo farei lo stesso, non ho un debole per gli uomini e di certo non ce l’ho per i demoni. Ti parlo ancora più per pena che per altro”.

“Devo essere messo davvero molto male, allora”.

“Vedila così, sarebbe legale se tu tornassi in paradiso”.

“Lo so, ma non c’è gusto, e poi sto bene qui. Potresti cadere tu”.

Non ci fu risposta, ma Archibald sapeva che Thorn lo stava fissando con entrambe le sopracciglia alzate.

“Credo non ci sia accordo su questo punto. Posso comunque invitarti a cena anche stasera? Magari non mi ubriaco, per il mio fegato demoniaco non sarebbe male”.

“Se non ho impegni, forse ci sono”.

“Perché, voi angeli avete anche degli impegni?”.

“Anche tu stai lavorando, no? Io sto ripulendo il tuo casino”.

Thorn se ne andò senza aggiungere altro, lasciando Archibald ad un palmo di naso. Fissò il vuoto per diversi secondi, poi si mise le mani sul volto con un sospiro.

“Sei un idiota, Archibald. Un completo idiota”, borbottò. Aveva davvero abbandonato i suoi doveri di demone per un angelo che ora stava vanificando tutti i suoi sforzi?

Doveva rimediare e si mise subito al lavoro.

Quando tornò alla pizzeria del primo incontro con Thorn, era reduce da un pomeriggio trascorso in balia della lussuria. Era da quando era arrivato in quel posto che non si dava così da fare, tanto che quando raggiunse il suo tavolo era stanco morto, sebbene decisamente soddisfatto. Il suo fondoschiena non la pensava allo stesso modo, ma lo ignorò come aveva sempre fatto; si era decisamente divertito.

Thorn stavolta si presentò puntuale e per pura cortesia prese un bicchiere d’acqua.

“Non pensavo cedessi alla gola in questo modo”, scherzò Archibald.

“È acqua, non una torta o una pizza. Basta che la santifico. Tu, piuttosto, mi hanno informato che qua oggi c’è stato parecchio movimento. C’entri qualcosa tu?”.

“Chi altro potrebbe darsi da fare a questo modo?”, disse con un ghigno.

“Non ti ci avrei mai visto in una gang bang se non lo avessi appena affermato”.

Archibald fece per dire qualcosa, ma richiuse la bocca preferendo non aggravare l’idea che l’angelo poteva avere di lui. Si limitò a mangiare la propria pizza in silenzio mentre Thorn benediva la propria acqua e la beveva, guardandosi intorno.

“Che sapore ha?”.

Al demone quasi andò di traverso la pizza alla domanda. Lo guardò confuso e lui aggiunse: “La pizza. Stai parlando con un angelo”.

“Ha… sapore di buono. Prova”, disse offrendogliene una fetta.

Thorn non la prese, semplicemente la studiò con lo sguardo. Archibald decise allora di mangiarla e finire così la sua pizza, poi allungò le gambe sotto al tavolo, stiracchiandosi. “Mi ci voleva, ho consumato tante energie oggi”.

L’angelo aprì la bocca come per rispondergli, poi la richiuse e disse dopo qualche secondo: “Non ne dubito. Si sono divertiti ad essere… specifici nel comunicarmi che è successo”.

“Mi sento monitorato, per Satana”, sbottò il demone.

“Non sanno chi ha fatto queste cose, e penso che da te saranno solo felici di sapere ciò che hai combinato”.

Archibald lo fissò e disse: “Come fai ad essere così serio a parlare di queste cose? Sei un angelo”.

Per la prima volta, Archibald poté vedere sul suo volto un sorriso, sebbene appena accennato. “Solo perché non esprimo emozioni, non vuol dire che non le provi. Sono solo professionale”.

“Vorrei dire tante cose in questo momento e per ognuna di esse potresti tirarmi in faccia dell’acqua santa”.

“Non hai comunque peli sulla lingua. Non so se ammirarlo”.

“Vi posso portare il conto?”.

Thorn tese al cameriere una banconota senza neanche guardarlo. L’uomo ne fu sorpreso, ma mai quanto Archibald. Appena l’uomo se ne fu andato, sussurrò: “Avevi i soldi pronti? Così?”.

“Se non partecipo alla cena, partecipo almeno pagando il conto”.

Il cameriere gli portò il resto, permettendo ai due di andarsene.

“Non riesco proprio a capirti. Davvero, non ti capisco!”, esclamò quando furono di nuovo nel parco.

“Non farlo, allora. Io non capisco perché sei così voglioso di sesso creativo, quindi ho deciso semplicemente di non pensarci”.

“Il sesso è stupendo, ti porta direttamente alle porte del paradiso passando per la via sbagliata. Dovresti provare, magari saresti meno rigido”.

“Considerando come stai camminando, credo lo sarei di più”.

Archibald sbuffò e disse: “Non era programmato”.

“Non mi interessa, so solo che sembri un pinguino e che sei buffo”.

Thorn si sedette sulla panchina sulla quale aveva trovato il demone quella mattina e lo osservò. “Se vuoi ti agevolo sulla guarigione”.

“E perché dovresti farlo? Cosa vuoi in cambio?”.

“Al contrario di voi demoni, noi angeli facciamo del bene gratis”, disse l’angelo mettendogli una mano sul petto. Il dolore gli scomparve come se non ci fosse mai stato e Archibald riuscì finalmente a rilassarsi.

“Molto meglio. Ora, perché lo hai fatto? Non ripetermi quella frase”.

“Perché mi stai simpatico, e mi sento peccatore solo a pensarlo, ma non mi starai antipatico lo stesso quindi poco importa”.

Il demone si sentì insolitamente felice e disse: “Nel tuo essere rigido come un tronco ghiacciato, anche tu sei simpatico”.

Dopo una frase del genere Archibald avrebbe subito baciato il suo interlocutore, ma Thorn lo bloccò con uno sguardo. “Non ci pensare nemmeno”.

“A fare cosa?”.

“A baciarmi. So che sarebbe il tuo successo, ma sarebbe la mia rovina e io non ne ho voglia”.

“Okay, okay”, disse alzando le mani in segno di resa.

Rimasero in silenzio, poi Archibald disse: “Ci possiamo vedere anche domani?”.

“Solo se non ho impegni”.

“Non mi sembra tu ne abbia troppi, sei sempre qui”.

“Se vuoi ti dimostro il contrario sparendo fino al giorno dell’apocalisse”.

“No, no, non serve”.

Thorn poco dopo si alzò e disse: “Devo andare. Ci vediamo domani”.

Sparì, lasciando Archibald a fissare il vuoto.

Si era affezionato, l’unica cosa che non doveva succedere.

-

Nei giorni successivi i due riuscirono a vedersi ogni mattina e ogni sera. Archibald aveva ripreso il suo ritmo di tentatore di fanciulle e fanciulli, mentre Thorn continuava a sistemare i problemi da lui creati. Ci mise forse due o tre giorni ad accorgersi che l’angelo stava temporeggiando, evitando di eliminare la radice del male.

Quale motivo lo spingesse a farlo gli era oscuro, ma gli fu di consolazione pensare che forse era perché voleva passare più tempo con lui.

Non poteva sapere che aveva ragione. Anche l’angelo era rimasto sorpreso nell’accorgersene, ma vedere Archibald gli rallegrava la giornata.

Nessuno dei due però si accorse che le forze oscure stavano tramando nell’ombra. Thorn non poteva saperlo a prescindere - in tempi normali lo avrebbe sospettato e sarebbe stato in guardia, ma l’aveva abbassata nei suoi incontri con il demone -, mentre Archibald se ne sarebbe potuto benissimo accorgere se fosse stato attento. Nessuno però se ne accorse, così non riuscirono ad evitare la trappola.

Archibald e Thorn si incontrarono come al solito al parco. Quel giorno non era però vuoto; altri tre uomini passeggiavano in mezzo al verde. Nessuno dei due li guardò per più di una frazione di secondo.

“Quindi ci stai a provare la pizza stasera?”, chiese Archibald con un sorrisetto compiaciuto. Far peccare di gola un angelo era comunque un buon risultato.

“Se offri tu ci posso pensare”.

“Certo che offro io, se in cambio c’è il farti peccare non vedo perché non dovrei!”, esclamò il demone.

Stava per alzarsi quando accadde.

Una colonna di fuoco avvolse l’angelo, sul cui volto vide la stessa sorpresa e preoccupazione che c’era sul proprio.

Guardò i tre uomini. Gli occhi rosso fuoco, che lui aveva mascherato per passare inosservato, brillavano come le fiamme che aveva davanti.

“Voi!”.

“Grazie di averlo tenuto impegnato, Archibald. Catturare un angelo è proprio ciò che voleva il nostro signore. Ti ricoprirà di onori”.

“Io non-”.

“Oh, non fare il modesto. L’angelo Thorn è un serafino, Archibald. Questo è un colpaccio”.

I tre si avvicinarono verso la colonna di fuoco, che si era ristretta tanto che l’angelo ci stava a malapena. Sul suo volto non c’era traccia di sofferenza, ma il suo sguardo era un misto di emozioni devastanti, tutte rivolte verso il demone.

Sapeva come decifrare quelle emozioni. Era delusione, era tristezza. Era tradimento.

Solo che lui non ci aveva niente a che fare. Cercò di farglielo capire, ma prima che i suoi occhi potessero trasmettergli il proprio sgomento, i quattro scomparvero.

Il demone rimase un momento a fissare il sentiero bruciacchiato, poi corse verso il suo appartamento. Aveva poco tempo.

All’inferno il tempo scorreva in modo diverso rispetto alla terra. Per ogni ora che stava lì, era un giorno di permanenza di Thorn là sotto, e se era certo di una cosa era che tutti i demoni erano di principio sadici e quindi che gli sarebbe potuto succedere di tutto.

Si chiuse nella sua stanza e tracciò un pentagramma sul pavimento. Disse la formula di passaggio tra i due mondi ed entrò nel disegno. La temperatura cambiò drasticamente, così come ciò che aveva intorno. Era bastato chiudere gli occhi per vedere quel cambiamento.

Uscì dagli ascensori interdimensionali, trovando la sala vuota. Appena sentì dei passi si nascose, non voleva essere visto. Avrebbe già avuto un sacco di problemi senza essere visto.

Senza perdere tempo corse verso le prigioni. Si trovavano nella parte più bassa degli inferi, ed era il luogo più inquietante per chiunque vivesse lì: in quel posto venivano puniti umani e demoni che avevano commesso terribili crimini, ed essendo immortali subivano le torture peggiori per sempre.

Passò attraverso il quartiere del mercato. Con disinvoltura rubò un cappello elegante che gli coprisse il volto, poi rubò un giornale e ne lesse la prima pagina.

Thorn era stato presentato a tutti ed era stato condannato. Vederlo chiamato come “L’arma per scatenare la guerra” lo fece irritare, così come vedersi chiamato “Il demone del secolo”. Guardò su un calendario il giorno: erano passati due giorni, quindi decretò che il loro signore doveva essere particolarmente contento, tanto da far accelerare il tempo.

Mise via il giornale e si diresse alle prigioni. Per entrare doveva passare dalle guardie che c’erano all’ingresso e tutte quelle che c’erano, oppure doveva materializzarsi direttamente nella cella di Thorn. Nessuna delle due lo entusiasmava, ma la seconda opzione avrebbe di certo causato meno problemi.

L’unica problema era che doveva aspettare la pausa notturna, sempre se la concedevano, quindi doveva sentire le urla fino a quel momento.

Furono ore che lo fecero sentire male. Archibald era un demone, ma aveva sempre ritenuto che se era stato mandato sulla terra era perché non era abbastanza cattivo. Quella ne fu un’ulteriore conferma.

Quando finalmente le urla si interruppero definitivamente, Archibald si sentì tornare alla realtà dopo il peggiore degli incantesimi. Respirò profondamente, poi si nascose in uno dei ripostigli per non farsi notare dalle guardie. Chiuse gli occhi, cercando di focalizzare al meglio la figura di Thorn. Ricordava il suo aspetto, la sua aura, il suo profumo… non sarebbe dovuto essere difficile trovarlo.

Sussurrò l’incantesimo e sbatté gli occhi; dal ripostiglio finì in una cella che aveva un odore di sangue intenso abbastanza da fargli venire il voltastomaco.

Non fosse stato per la carnagione pallida, Archibald non lo avrebbe riconosciuto. I capelli erano stati tagliati a zero e la testa era coperta di sangue, così come il resto del suo corpo, tutto completamente esposto.

Archibald aveva desiderato vederlo nudo, ma non in quel modo. Con uno schiocco di dita tutte le catene scomparvero e il corpo privo di sensi dell’angelo si accasciò sul pavimento.

Non poteva trasportarlo senza essere visto fino agli ascensori. Doveva collaborare almeno essendo cosciente.

“Thorn”, sussurrò. La voce risultò rotta anche alle proprie orecchie.
Il corpo non si mosse.

“Thorn, sono io, Archibald”, aggiunse dandogli un colpetto.

La violenza con cui fu sbattuto contro il muro per poco non fece perdere i sensi a lui. Si ritrovò davanti il volto sfigurato dell’angelo, che era se possibile più spaventoso delle urla che aveva sentito fino a poco prima.

“Con che coraggio ti fai vedere qui dopo avermi tradito?!”, ringhiò.

“Io non ti ho tradito, non sapevo fossero venuti a prenderti, lo giuro”, disse mentre l’aria presente nei suoi polmoni si esauriva.

“Non ti credo”.

“Ti voglio portare fuori. Thorn, non respiro”.

“Come? Non si può uscire di qui”.

Archibald cercò di allontanare il braccio coperto di sangue dal suo collo quando bastava per prendere l’aria necessaria per rispondere. “I demoni possono”.

Thorn lo lasciò solo per accasciarsi a terra con lui. Il demone prese fiato e disse: “Ho bisogno che collabori con me, i miei poteri non sono abbastanza per poter arrivare agli ascensori nemmeno quando sono solo”.

“Vuoi sfruttare i miei poteri”.

“Sì, per tirarti fuori. Non è un bluff, lo giuro”.

L’angelo non si fidava, ma probabilmente decise che era meglio provarci che restare lì. “Come si fa?”.

“Ti mostrerò telepaticamente il posto da raggiungere. Insieme diremo la formula del trasporto mentre pensiamo a quel luogo, e se il potere è sufficiente arriveremo lì”.

“E se non è sufficiente?”.

“Spero tu sia o leggero o in grado di correre, perché dovremo andarci a piedi. Ora, dov’è che posso toccarti senza farti male?”.

Thorn gli mise le mani al collo e disse: “Focalizzo io, tu mostrami”.

Archibald gli mostrò con la mente il posto da raggiungere, poi gli prese delicatamente le mani. Gli indicò la parola da dire e la dissero.

A metà del loro spostamento scattarono tutti gli allarmi. Il demone bloccò lo spostamento appena prima di riapparire nel punto di partenza e, in un momento adrenalinico, prese in braccio l’angelo e si mise a correre verso gli ascensori con una determinazione che non sapeva di avere.

Là già c’erano demoni, ma Archibald fu così veloce che pochi lo riconobbero. Lasciò andare Thorn solo quando furono agli ascensori.

“Quello porta al paradiso”, disse l’angelo indicandone uno. Il demone lo lasciò nel cerchio benedetto corrispondente mentre le guardie arrivavano.

“Io vado al mio appartamento, non salirò in paradiso-”.

Thorn lo attirò a sé in un bacio che lasciò il demone senza parole. Proprio quando le guardie li stavano per prendere, in un battito di ciglia, si ritrovarono in paradiso.

La luce ustionò Archibald come se fosse acqua santa, ma tirò comunque fuori l’angelo. le cui ferite si stavano già in parte rigenerando. Thorn perse però i sensi e al demone non rimase che urlare un “Aiuto” prima che perdesse i sensi a sua volta, certo questa volta di morire.

-

Archibald si risvegliò nella sua stanza umana. Quasi non la riconobbe, tanto era confuso.

Richiuse gli occhi, godendosi il calore delle coperte, finché non mosse un braccio e si rese conto che era bendato.

Era effettivamente totalmente bendato, da testa a piedi, e ci mise un momento a ricordarne il motivo. Provò ad alzarsi, ma un paio di braccia lo fermarono prima che potesse cadere a faccia in giù sul pavimento.

“Occhio, sei ancora ferito”.

“Thorn?”.

Il demone venne messo di nuovo sul letto, il che gli permise di vedere in faccia l’angelo. Aveva delle cicatrici nuove, ma sembrava in forma, anche se vide che una delle lunghe gambe era stata bloccata così che non potesse muoversi. La cosa che più lo rassicurò fu il suo insolito sorriso sul volto.

“Un demone altruista non lo avevo mai conosciuto”, disse sedendosi a terra accanto a lui.

“Come ho fatto a sopravvivere? Gli angeli possono sopravvivere all’inferno, ma i demoni dovrebbero essere ridotti in cenere all’istante per la luce divina”.

“Sia io che gli altri serafini abbiamo solo teorie a riguardo. La più plausibile è che ti ferisce solo esternamente senza uccidere, ma quella che a me sembra più probabile è che a dispetto della tua fazione, tu abbia un animo buono e che quindi la luce abbia solo scalfito la superfice”.

“Il disonore di tutti gli inferi quindi”.

“Mi hai tirato fuori, se non ti hanno bandito ti verranno a cercare”.

Archibald lo abbracciò di slancio e sussurrò con le lacrime agli occhi: “Mi dispiace tantissimo, non sapevo sarebbero venuti, avrei impedito che tu venissi preso”.

“Archibald, lo so. L’ho capito. Non mi avresti condannato e poi tirato fuori, anzi, eri pronto a morire lì per me. Non lo avresti fatto. E poi ho studiato i tuoi pensieri mentre eri in convalescenza. Hai ascoltato urla per ore, quella è una tortura quanto la mia”.

“Non è vero, quello che hanno fatto a te-”.

Come all’inferno, Thorn lo fece tacere appoggiando le labbra sulle sue. Stavolta il demone ricambiò, rischiando di cadergli addosso.

“Credo tu mi abbia conquistato lo stesso, Archibald, anche senza le tue seduzioni”.

Il demone ne fu così contento che gli cadde addosso e disse: “Sai vero che voglio farti cedere alla lussuria questa volta?”.

“Lo so e potrei anche permettertelo”.

Thorn non avrebbe mai pensato di perdere la testa proprio per un demone, ma capì mentre si amavano in quel modo così poco santo che non gli importava di essersi sbagliato. Non gli importava che Archibald fosse un demone, che lo avesse tentato fino a quel momento, gli importava solo di lui in quanto persona che gli aveva salvato la vita e a cui sentiva di voler davvero bene.

Archibald pensò solo che essere fottuto da un angelo era qualcosa di divino, soprattutto perché la regola della L non era stata per niente rispettata con Thorn e questo lo aveva soddisfatto in qualunque senso. Era felice, felice che fosse tutto finito e di poter finalmente baciare quell’angelo con passione e con amore. Un amore che non credeva avrebbe mai provato, e di certo non per un angelo.

Un amore che li unì quel giorno e che li tenne legati fino alla fine dei tempi.

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