Recensione - Sex Education: la serie che insegna ad essere adolescenti
Sfido chiunque ad affermare di non aver mai visto Il bambino col pigiama a righe: tutti noi ne conosciamo almeno un fotogramma. E, per quanto sia difficile togliersi dalla testa le immagini del povero ebreo da cui il film prende nome, è altrettanto arduo dimenticare gli occhioni azzurri del bimbo tedesco. Ebbene, proprio quel bimbo, all'anagrafe Asa Butterfield, è ora cresciuto e con lui i suoi occhi di ghiaccio, e dopo diverse significative apparizioni al cinema – tra cui ricordiamo Ender's Game, dall'omonimo famosissimo libro, e Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali, anche questo tratto da un romanzo – è finalmente approdato dove tutti i migliori attori sembrano convergere in questo periodo, ossia sui piccoli schermi, e più precisamente sull'ormai universalmente conosciuta piattaforma di streaming Netflix. Qui, affiancato da un cast giovane e frizzante e dalla veterana Gillian Anderson – la Scully di X-Files – ha vestito i panni di Otis, imbarazzato e imbarazzante figlio di una sessuologa, alle prese con l'adolescenza e con i relativi problemi, propri e altrui. La serie ha avuto un impatto mondiale stupefacente, tanto da essere rinnovata per una seconda stagione meno di un mese dopo la sua messa in onda. E con tutte le ragioni.
Innanzitutto, Sex Education è vera. È genuina. Certo, il media attraverso cui è distribuita impone che alcuni aspetti siano romanzati, ma ciononostante nulla di tutto quello che avviene a Otis e ai suoi coetanei sembra falsato o artificioso. Voglio dire, in confronto a quel fantoccio di serie che è Riverdale o il suo spin-off Chilling Adventures of Sabrina (ma chi li ha scritti quei dialoghi? Seriamente credono che noi ragazzi parliamo così? P.S. It's my opinion, don't @ me) qualsiasi cosa assumerebbe una connotazione positiva, ma anche – e forse soprattutto – se presa da sola Sex Education fa la sua bella figura.
La serie discute argomenti spinosi e controversi come l'aborto e il cyberbullismo, dichiara l'importanza del consenso, mette in luce la necessità di conoscere i propri piaceri e i propri bisogni, insegna a curare il corpo e la mente e a non lasciare che l'uno vinca sull'altro, mostra i personaggi nella loro individualità e intimità e nei loro rapporti sociali e familiari. L'ambientazione quasi idillica, le magistrali interpretazioni dell'intero cast, la stupefacente colonna sonora e la sottile patina di quell'humour tipicamente britannico contribuiscono a creare un prodotto insieme semplice e leggero e fortemente significativo, capace sia di allietare il suo pubblico sia di mandare i giusti messaggi. E allora ritornano le parole di Lucrezio, che si proponeva di addolcire la filosofia con il dolce miele delle Muse per farla digerire alle masse, o di Orazio col suo precetto del miscere utile dulci: Sex Education, apparendo sotto finto travestimento come il classico teen drama che va tanto di moda al momento e in fondo è solo spazzatura, risulta in realtà un romanzo di formazione, adattato nella forma e nel mezzo più congeniale alla comunità del terzo millennio. Da adolescente, ritengo che Sex Education sia quello di cui la mia fascia di età in primis, ma la società in generale, abbia bisogno.
È una serie per figli e genitori, per adulti e adolescenti, per alunni e professori, per maschi e femmine, per chi sa già tutto e per chi vuole sapere, per chi vuole ridere e per chi vuole piangere, per chi vuole guardare qualcosa di non impegnativo e per chi invece vuole il contrario. Insomma, è da vedere. È da vedere da soli o in compagnia – ma, in seconda analisi, forse è meglio da soli: l'inizio di ogni episodio è... particolare, in parole povere. (C'è gente che scopa. Con successo o meno). È da vedere di giorno o di notte, con o senza popcorn o caramelle o cioccolatini per accompagnamento. Ed è da vedere assolutamente non doppiata, per non perdersi gli accenti British e per godersi il soprannome di Eric nell'originale inglese (Tromboner è tutta un'altra cosa rispetto a Trombarzotto, che in tutta onestà non so da dove si siano tirati fuori).
Per me ne è senza dubbio valsa la pena: mi è piaciuta, mi sono divertita un sacco e ho anche avuto modo di fare qualche riflessione, cosa – la spinta a meditare, intendo – che credo sia uno degli elementi che più apprezzo in serie, film, libri e nella vita in generale. Mi auguro che sia lo stesso per voi!
E nulla, concludo qui. Fosse per me mi dilungherei ulteriormente, ma non voglio fare spoiler o dire troppo; preferisco che siate voi a trarre le vostre conclusioni senza essere influenzati dalla mia opinione. Quindi, vi va di farmi sapere cosa pensate della serie, se l'avete vista, o se avete intenzione di vederla? Come vi è sembrato questo secondo tentativo di recensione, che peraltro ho quasi riportato pari pari da un articolo che ho scritto per il giornalino del liceo?
Nell'attesa di sentire i vostri pareri vi saluto!
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