Recensione - Percy Jackson, o perché ho scelto il liceo classico
Mia madre, fisioterapista, ha sempre avuto questa capacità quasi sovrannaturale di piacere alle persone. L'apprezzamento dei suoi pazienti, in particolar modo, va spesso ben oltre il piano professionale, al punto che con diversi di loro ha stretto amicizie - o comunque rapporti extra-lavorativi - che durano ancora oggi dopo anni. Uno di questi pazienti è, o, meglio, era il signor Primo, di Fondi, che tra le altre cose si affezionò moltissimo a me e a mio fratello - anche se lui all'epoca era ancora piccolino - e nel tempo mi regalò un numero considerevole di libri, così tanti che non riesco a ricordarli tutti con precisione. Per questo motivo sono sicura soltanto al cinquanta percento che tra questi ci sia anche il primo libro della saga di Percy Jackson - Il ladro di fulmini - scritta da Rick Riordan; sono certa, però, di averlo letto quando avevo otto anni, ossia ormai dieci anni fa: è stato allora che, per quanto in maniera non ancora esplicita e con largo anticipo rispetto al temuto momento della scelta della scuola superiore, ho capito di voler andare al liceo classico.
La genesi della saga Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo si colloca all'inizio degli anni 2000, quando Haley Riordan, figlio del professore di scuola media Rick, chiese al padre di raccontargli delle storie della buonanotte basate sulla mitologia greca, avendola studiata a scuola. Rick accettò, ma non ci volle molto perché avesse già finito di raccontargli tutti i miti greci, perlomeno quelli più comuni. Fu allora che Haley gli suggerì di intrecciare quelle storie già esistenti con delle nuove trame e dei nuovi personaggi: così nacque Perseus "Percy" Jackson, figlio di Poseidone, che all'età di dodici anni - la stessa di Haley al tempo - scopre di essere un semidio e di essere destinato a salvare il mondo o a distruggerlo.
Letti tra gli otto e i dieci anni, i primi quattro libri della saga - Il ladro di fulmini, Il mare dei mostri, La maledizione del Titano, La battaglia del Labirinto - mi parvero avvincenti. Dei, semidei, Titani, creature mitologiche, leggende, battaglie, profezie, tutto scritto in prima persona dal punto di vista di Percy e condito con il suo particolarissimo humour. Per ragioni che ancora oggi non comprendo, però, mi fermai lì: per anni, non conclusi la serie leggendo il quinto libro - Lo scontro finale - e non mi tenni aggiornata sulle nuove pubblicazioni, ossia la pentalogia Eroi dell'Olimpo. A posteriori, però, mi rendo conto che avere un po' più di maturità sulle spalle nel momento in cui sono ritornata sulla seconda pietra miliare della mia infanzia mi ha giovato non poco.
È difficile, da bambini, riuscire a comprendere appieno l'ambiente in cui vive Percy prima che scopra di essere un semidio. Sua madre, ben consapevole di essersi innamorata di un dio e di aver avuto un figlio da lui, prende una decisione che definire ardua sarebbe un eufemismo e sceglie come compagno un tale Gabe, soprannominato da Percy "il Puzzone", il quale - per inciso - puzza a tal punto da mascherare il forte odore di Percy e lo tiene nascosto dai mostri che altrimenti lo avrebbero tormentato per tutta la vita. E questo è il lato positivo. Il lato negativo, però, è che Gabe di ripugnante non ha solo il corpo, ma anche l'animo.
Leggendo tra le righe - anzi, nemmeno tanto tra le righe: alcuni passaggi sono molto espliciti - si nota come Gabe sia psicologicamente e fisicamente abusivo nei confronti della madre di Percy, Sally, e di ciò Percy stesso non viene certo risparmiato.
Gabe è un alcolizzato che beve regolarmente di fronte a Percy, insulta Sally quando Percy è presente, costringe Percy a dargli dei soldi per il gioco d'azzardo - «Lo chiamava il nostro "segreto tra uomini"», dice Percy a tal proposito - e butta le bottiglie di birra vuote e la cenere delle sigarette nella camera da letto di Percy. Percy arriva addirittura a dire che preferirebbe vivere per strada o unirsi all'esercito piuttosto che continuare a vivere con Gabe.
Due scene in particolare mostrano quanto sia grande il risentimento di Percy nei confronti di quest'omuncolo: nella prima, poco dopo l'inizio de Il ladro di fulmini, Percy indirizza a Gabe un antico gesto di scongiuro che ha visto fare alle Parche e il gesto funziona, in un chiaro segno di quanto Gabe l'abbia traumatizzato; nella seconda, quasi alla fine, non appena rivede Gabe dopo mesi Percy allunga d'istinto la mano verso Vortice, la sua spada. La sua spada.
Per fortuna, la nefasta parentesi di Gabe si conclude presto, e in un modo che mi è rimasto impresso: mentre Gabe e i suoi compagni di gioco d'azzardo sono immersi in una partita a poker, Sally mostra loro la testa mozzata di Medusa che Percy le ha spedito - lunga storia - e li trasforma tutti in pietra, per poi vendere il gruppo statuario a una collezione d'arte e ricavarne il denaro per iniziare una nuova vita.
Ripensandoci a distanza di tutto questo tempo, la scena, per quanto posta da Riordan su un piano umoristico, risulta macabra e a dir poco inquietante, ma ben rappresenta la giusta vendetta compiuta da Sally e Percy contro l'uomo che li ha abusati per anni.
Naturalmente, tutta questa situazione ha condizionato anche il carattere di Percy. Percy è sarcastico, un tratto spesso sviluppato dalle vittime di abusi perché funzionante come meccanismo di difesa; è leale: non farebbe mai del male a qualcuno a cui vuole bene, né fisicamente né a livello emozionale; e, cosa più importante, è terrorizzato da se stesso, dai suoi poteri, da tutto ciò di cui è capace, per paura di ferire le persone che ama e diventare come Gabe, a tal punto che esita a uccidere, persino se si tratta di nemici.
Un altro punto fondamentale del personaggio di Percy è la sua somiglianza a Haley: come Haley, Percy soffre di disturbo da deficit dell'attenzione - volgarmente detta iperattività - ed è dislessico. Riordan, infatti, ha scelto di caratterizzare ogni semidio greco come iperattivo e dislessico e di mostrare come, in realtà, l'iperattività sia la messa in atto di quell'istinto di battaglia comune a tutti i guerrieri, mentre la dislessia derivi dal fatto che il cervello dei semidei è "settato" sul greco antico, non sull'inglese, rendendo quindi queste dis-abilità vere e proprie abilità.
A dirla tutta, in Percy si ritrovano elementi non solo di Haley, ma anche di diversi studenti di Riordan: la sua posizione di professore di scuola media in primis gli ha consentito di avere un primo pubblico al quale proporre le idee per i suoi libri, in secundiis gli ha fornito un'ampia gamma di caratteri e un gran numero di esperienze variegate su cui basare eventi e personaggi. Un esempio è Nico, figlio di Ade, presentato ne La maledizione del Titano ma esplorato e approfondito poi in Eroi dell'Olimpo, il primo personaggio omosessuale, o più in generale queer, introdotto nei libri di Riordan - almeno, ciò è valido se si vuole ignorare l'evidente parallelismo Achille e Patroclo/Clarisse e Silena ne Lo scontro finale, ma questo è un altro discorso.
Parlando del quadro complessivo, è d'obbligo sottolineare l'approccio innovativo adottato da Riordan nella scelta, nell'uso e nella rielaborazione dei miti greci.
Innanzitutto, per giustificare l'ambientazione americana, Riordan spiega come l'Olimpo abbia seguito lo spostamento dell'epicentro del potere: dalla Grecia a Roma - infatti saranno introdotti, in Eroi dell'Olimpo, i semidei romani e le incarnazioni romane delle divinità - e, in tempi moderni, da Roma agli Stati Uniti d'America, riprendendo il concetto già espresso da Neil Gaiman in American Gods. Inoltre, l'autore adatta figure, elementi e motivi della mitologia greca a questa nuova ambientazione: per dirne qualcuna, l'elmo dell'invisibilità di Ade è un berretto di una squadra di baseball, il carro del sole di Apollo è o una Maserati o uno scuolabus a seconda delle circostanze, Chirone si spaccia per insegnante di latino facendo uso di una sedia a rotelle magica per nascondere la sua metà inferiore equina e - personalmente la mia preferita - nel terzo libro di Eroi dell'Olimpo, Il marchio di Atena, il dio Tiberino e Rea Silvia appaiono ai semidei con le sembianze di Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze romane. Questo espediente è usato anche per criticare la società americana, come quando Ares dichiara di adorare gli Stati Uniti per l'alto tasso di violenza, dicendo: «Amo questa nazione. Miglior patria dai tempi di Sparta».
Bisogna menzionare anche l'ampio bagaglio di materiale originale che grazie all'abilità di Riordan ha trovato il suo posto nelle due saghe: non solo i poemi omerici e l'Eneide, ma anche i poemi del ciclo troiano, le Argonautiche, le opere dei tre tragici e dei tanti poeti, primo tra tutti Esiodo con la sua fondamentale Teogonia. A tal proposito, si nota come nei libri si passi da una situazione iniziale in cui regnano gli dei al rischio che ritornino al potere prima i Titani e poi i Giganti, in un rovesciamento della tradizionale successione "Giganti (Urano e Gea) - Titani (Crono e Rea) - Dei (Zeus ed Era)".
Questa purtroppo è solo una visione parziale dello straordinario mondo creato da Riordan, che non si ferma alla mitologia greco-romana ma accorpa anche quella egizia con la trilogia The Kane Chronicles, quella norrena con la trilogia Magnus Chase e gli Dei di Asgard, quella degli indiani d'America con il personaggio di Piper McLean e quella cinese con il personaggio di Frank Zhang, e questo è solo ciò che mi viene in mente sul momento; inoltre, una citazione da Magnus Chase fa intuire che forse, in futuro, sarà introdotta anche la mitologia azteca. In più, Riordan è da citare per aver dato spazio a personaggi "diversi", come il già citato Nico Di Angelo, omosessuale; Leo Valdez e Reyna Avila Ramírez-Arellano, latinoamericani; Hazel Levesque, creola; Frank Zhang, cinocanadese; Piper McLean, cherokee; Magnus Chase, pansessuale; Alex Fierro, genderfluid e transgender; l'elfo Heartstone, sordomuto; la valchiria Samirah Al-Abbas, musulmana. Sono elementi, questi, che non si ritrovano in tutti i libri "per ragazzi", e a Riordan ne si deve rendere conto.
In tutta onestà, non so se avrei ugualmente scelto il liceo classico senza Percy Jackson che avesse generato in me quella passione per la mitologia e, in generale, per la società greco-romana - la quale, devo dirlo, complice il percorso di studi che sto seguendo, oggi si è anche rafforzata. Forse avrei preso comunque questa decisione in circostanze diverse, o forse Percy Jackson è stato davvero il punto di inizio di questo mio cammino al liceo che, ormai, sta per concludersi. E, come Percy Jackson ha rappresentato un punto di svolta per me, così lo ha rappresentato anche per molti, molti altri.
Riordan ha confermato la validità di una formula che già aveva provveduto a dimostrare Tolkien con Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli: come semplici favole della buonanotte possano diventare veri libri, anzi intere saghe, e incantare generazioni e generazioni di bambini che vogliono diventare grandi e adulti che vogliono tornare bambini. Come, insomma, le storie migliori siano quelle che sentiamo più vicine al cuore.
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