U n o

La musica nel club era alta e penetrante, la sentiva ribollire all’altezza della gola, come se una delle casse fosse sepolta in profondità nel suo stomaco.

Chan si portò alla bocca il bicchiere, rabbrividendo quando il freddo materiale entrò in contatto con le sue labbra calde.
Il liquido trasparente gli invase subito i sensi con il suo sapore amaro e pungente, seguito subito dalla devastante ondata di calore che portava con sé.

Si sentiva in stand-by, spossato ed abbagliato dalle luci del locale, che man mano gli apparivano sempre più basse e sfuocate.
Gli facevano pulsare le tempie per il mal di testa.
Ma perché non le spengono, pensò tra sé e sé poggiando bruscamente il bicchiere sul bancone del bar, portandosi una mano a massaggiare la fronte dolorante.

«Potresti smettere di bere, almeno per un istante? - domandò al suo fianco l’amico BamBam, che lo osservava con aria preoccupata – Stai bevendo senza una pausa da quando siamo entrati».

Il thailandese osservò dubbioso il modo scomposto in cui l’amico era seduto sullo sgabello del locale, sdraiato parzialmente sopra il bancone lucido, dove aveva abbandonato – ormai vuoto – l’ennesimo bicchiere che il barista gli aveva servito, pure lui un po' incerto.
Chan trasalì a quelle parole, ricordandosi in quel momento di non essere da solo nel club.

«Per me è già molto complicato occuparmi di te quando sei nel pieno della tua cieca gelosia, se in aggiunta sei pure ubriaco, non sono certo di riuscire ad essere molto d’aiuto» sbuffò guardandosi intorno.

Quella sera erano finiti in quel locale, solo ed esclusivamente per controllare una persona: Jeongin.
L’australiano osservò il bicchiere vuoto, con sguardo vacuo e assente, voltandosi poi verso l’amico.
«Io non sono geloso» mormorò a bassa voce.

In un istante di incredulità, BamBam si domandò se fosse per non farsi sentire – da chissà chi poi, tenendo conto del volume assordante della musica – o se avesse ormai la lingua intorpidita dal troppo alcool.
La verità era che Chan sapeva bene di essere patetico, suonava tale persino alle sue stesse orecchie, figurarsi per gli altri.

Jeongin.

Il suono del suo nome – anche se pronunciato solo tra i suoi pensieri – aveva la capacità di tagliare abilmente le sue viscere come una tra le lame più affilate, per poi lambire quelle ferite e guarirle con dolcezza ed attenzione.
Era per lui condanna e redenzione.

Le precedenti settimane erano state un turbinio di emozioni, ripide e movimentate come una montagna russa.

Aveva passato giornate intere a crogiolarsi nella preoccupazione legata agli insoliti atteggiamenti di Jeongin – che tutti nel loro gruppo sembravano comprendere, tranne lui – e domandandosi come mai la sola idea che il minore stesse frequentando qualcun altro, gli facesse rivoltare lo stomaco sottosopra.

Quando aveva infine avuto la conferma che i suoi sospetti fossero reali, aveva per un infinito istante temuto di impazzire – o peggio – fare qualche cazzata che avrebbe portato Jeongin ad odiarlo.
Non avrebbe mai potuto permetterlo.

Si era rifiutato per tanto tempo di dare un nome a quell’emozione, e continuava a non riuscire a superare quel blocco.

Una risatina di scherno al suo fianco – non appartenente al thailandese – attirò la sua attenzione annebbiata.

Un paio di occhi neri come il catrame lo inchiodarono al proprio posto.
«Se non fossi geloso, e un idiota incapace di ammettere i propri sentimenti anche con se stesso, probabilmente staremo impiegando il nostro sabato sera a fare altro, non a farti da babysitter – sbottò la voce roca e graffiante di Changbin, mentre il ragazzo si portava alle labbra la birra fresca – E non dirmi che hai solo una fraterna preoccupazione per Jeongin, perché nessuno crede più alle tue stronzate, nemmeno lo sgabello su cui sei seduto!» proseguì con voce leggermente più alta.

Felix era seduto al suo fianco – come sempre – con la testa abbandonata contro la sua spalla; una delle sue mani era intrecciata a quella del suo ragazzo, mentre con l’altra era impegnato ad accarezzargli in modo dolce e affettuoso l’interno del polso del maggiore.

Stava facendo il possibile per far sentire a Changbin la sua presenza e per tenerlo tranquillo.
Temeva che potesse scoppiare una lite tra i due da un momento ad un altro.

Tra Changbin e Chan non scorreva per niente buon sangue, anzi.
Chan e Felix si erano frequentati, qualche tempo prima, provando a vedere se tra loro potesse nascere un vero e proprio interesse romantico, ma questo tentativo era tristemente naufragato quando nella noiosa vita di Felix – grazie al proprio migliore amico Minho – era entrato Changbin.
Le cose erano totalmente cambiate.

Felix aveva visto in lui il ragazzo che da sempre avrebbe desiderato al proprio fianco – innamorandosi perdutamente di lui fin dal primo incontro – sapendo che non sarebbe più riuscito ad uscire con Chan, fingendo di non provare sentimenti per un altro ragazzo.

Aveva interrotto dopo qualche tempo la frequentazione con Chan, che si era trasformata in una bella amicizia – fortunatamente nessuno dei due provava dei sentimenti veri e propri nei confronti dell’altro – e con il tempo, aveva scoperto che i suoi sentimenti per Changbin erano ricambiati, senza alcuna riserva.

Era sostanzialmente questo il motivo che aveva portato i due a conservare questo spesso velo di rivalità ed antipatia, principalmente alimentato da Changbin.

Chan non si era offeso o arrabbiato quando Felix l’aveva scaricato per un altro, e a distanza di un anno da all’ora a mala pena ricordava la sensazione delle labbra del minore posate sulle sue; era assolutamente certo che tra loro non avrebbe funzionato, e anche se mai l’avrebbe ammesso ad alta voce, pensava davvero che Felix e Changbin fossero fatti per stare insieme.
Ma, a tutto c’è un ma.

E quella sera il suo “ma” era l’alcool in circolo che lo rendeva spossato e confuso, la rabbia e la disperazione dei precedenti giorni, che lo facevano sentire sull’orlo dell’esaurimento, e si aggiungeva a tutto questo la consapevolezza – che aveva da qualche parte nel profondo del suo essere – che proprio quella sera avrebbe visto per la prima volta Jeongin con il suo appuntamento.

Di solito – essendo il più grande – ignorava volutamente i tentativi di discussione di Changbin, ma quella era una sera diversa.

«Ti preferivo nettamente di più quando stavi con me, Felix» sbottò Chan, affrontando con sguardo di sfida Changbin, che decisamente non aspettava altro da mesi.
«Ed io ti preferivo quando stavi in Australia, lontano da lui!» ringhiò Changbin inferocito, scattando in piedi.

Chan lo seguì a ruota, molto meno sobrio dell’altro, rischiando di stramazzare al suolo quando le gambe lo tradirono, afflosciandosi.
BamBam lo accolse tra le sue braccia, reggendolo in piedi.

«Vedete di darvi una calmata, ho raggiunto il limite!» disse il più grande, con voce decisa e categorica.
Changbin tornò a sedersi, in silenzio.

«Tu dovresti darti seriamente una calmata Changbin – lo redarguì subito BamBam, con sguardo che non ammetteva più repliche – Vorrei ricordarti che è stato lui ad essere scaricato per te, non il contrario, quindi visto che Felix non ha il coraggio di dirtelo, lo faccio io: hai rotto il cazzo con queste scenate. Cresci!».

«E per quanto riguarda te – aggiunse poi, guardando negli occhi il ragazzo tra le sue braccia – Anche se nel modo sbagliato, Changbin ha detto la verità; siamo qui per evitare che tu ti faccia arrestare facendo qualche stronzata» disse facendolo ricadere di nuovo – e poco delicatamente – sullo sgabello.

«E ricordati, quando vedrai Jeongin con Dongmin, che sei stato tu a spingerlo tra le sue braccia con la tua completa incapacità di ammettere i tuoi sentimenti per lui e non essere riuscito ad amarlo come meritava».
Chan stramazzò pesantemente sullo sgabello, tentando faticosamente di reggersi sul bancone del bar, scivoloso ed improvvisamente insormontabile.

Strabuzzò gli occhi con fatica, notando come a stento riusciva a mettere a fuoco i suoi amici – e Changbin – davanti a lui.
La tua completa incapacità di ammettere i tuoi sentimenti per lui.

Quelle parole erano state dolorose e precise come una freccia che gli perforava l’addome.

Difficilmente BamBam dava la sua aperta opinione in merito alle situazioni – a meno che non gli venisse espressamente chiesto – perché di norma sapeva che le sue parole avevano la stessa delicatezza di una mannaia.

«Di cosa stai parlando?» domandò Chan, tenendo lo sguardo fisso e serio sul thailandese.

Fu Changbin a parlare – sorprendendo tutti – a sua volta ancora tramortito dalle parole del maggiore, che non gli aveva rivolto più mezzo sguardo.
Felix tremò, sperando che Changbin non dicesse nulla di male.

«Onestamente Chan io non so che tipo di rapporto abbiate tu e Jeongin, non so in che momento è nato e soprattutto come si è sviluppato per arrivare a questo punto – disse con voce atona ma tranquilla, senza nessun giudizio o critica – Ma di sicuro posso dirti come appare agli occhi di due persone che vedono tutto questo dal di fuori – due persone come me e Minho – e la prima cosa che è impossibile ignorare, è il fatto che tu ti vergogni di lui».

Cadde per un istante il silenzio tra i quattro ragazzi,
«Io non mi vergogno di lui» mormorò Chan, con espressione perplessa.

Felix scosse la testa, parlando a sua volta.
«Ho perso il conto di tutte le volte in cui l’ho visto cercare di prenderti per mano, e tu prontamente la allontanavi, o delle volte in cui cercava di baciarti e ti giravi dall’altra parte – disse Felix, in quanto loro amico da anni, le sue parole erano molto preziose – So da sempre quanto tu dia particolare importanza alla differenza d’età che c’è tra voi, ma arrivati a questo punto il problema è tuo, non di Jeongin» concluse guardando negli occhi il ragazzo con cui – per mesi – aveva progettato un possibile futuro.

In quanto amico – di entrambi – era per lui terribilmente difficile non poter far nulla per aiutare, vederli sofferenti ed infelici ma sapere di non aver il minimo potere decisionale per cambiare le cose.

Chan accusò l’ennesimo colpo, mandando giù il groppo che gli si era bloccato al centro della gola.
Felix aveva centrato il punto? Assolutamente sì.
Non aveva neanche reso la pillola più dolce.

Aveva usato le parole più dolorose – per lui – che avesse mai potuto usare, e aveva spinto la pillola giù per la sua gola, piena di spine e chiodi.

Chiuse gli occhi, stringendoli forte, e sentendo la testa girargli.
Cosa pensava di fare andando in quella discoteca?
Si sarebbe semplicemente fatto del male, vedendo Jeongin ballare e magari baciarsi sulla pista con il suo attuale appuntamento.
Non avrebbe risolto nulla, anzi.
Probabilmente Jeongin si sarebbe arrabbiato per la sua presenza lì, e questo l’avrebbe ulteriormente spinto tra le braccia di Dongmin.

Sospirò.
Aprì le labbra, con una fatica immane, pronto a chiedere agli amici di portarlo a casa sua, ma BamBam bloccò ogni suo pensiero di resa.

«È appena entrato Jeongin».
Il cuore di Chan sprofondò lontano, negli abissi del suo corpo.
Era troppo tardi per tornare indietro.

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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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