D u e
«Va tutto bene».
Era un sostegno soffocato, Chan a malapena era riuscito a capire chi l’aveva pronunciato e da quale recondito angolo del locale proveniva.
Probabilmente si trattava di uno dei suoi amici, ma non ne era certo.
Non gli importava neanche.
L’alcol nel suo stomaco, la testa pesante, la musica alta e le luci forti rendevano tutto così confusionario, così difficile da assimilare per una mente ubriaca come la sua; ma la mano che Dongmin aveva “gentilmente” appoggiato sul sedere del più giovane, mentre lo guidava verso una zona meno affollata lontano dall’ingresso del locale … cazzo, quella mano l’aveva vista fin troppo bene.
Nitida e distinta, così come la voglia che aveva di prenderlo a pugni fino a rendere il suo volto irriconoscibile persino alla madre.
«Fai un respiro profondo – gli mormorò all’orecchio BamBam – posandogli una mano sulla fronte e una sulla schiena, accarezzandola con premura – Inspira dal naso e espira dalla bocca, rilassati».
Se non fosse stato per l’amico, Chan non si sarebbe neanche reso conto di esser quasi sul punto di vomitare.
Gli sarebbe piaciuto, chissà se oltre all’alcool il suo stomaco avrebbe cacciato fuori anche tutto quel dolore che sentiva bruciargli le viscere al centro del petto.
Era un miscuglio di mille emozioni, e quando Chan aprì la bocca per prendere un po' d’aria temette quasi che l’avrebbero soffocato, bloccandosi al centro della sua gola.
C’era rabbia, amore, dolore, gelosia, paura e una pesante dose di odio che stava lentamente mangiando tutto ciò che trovava sul suo percorso.
Sentì i brividi lungo le braccia e le mani tremare.
Quello poteva essere solo il prologo della prima delle tante stronzate che avrebbe – potenzialmente – potuto fare quella notte.
Calmati – si ripeté debolmente, tra sé – Jeongin ci odierà.
La necessità di farsi largo tra la folla e strappare il suo Jeongin dalle braccia di quel viscido, che sembrava usarlo semplicemente come trofeo da mostrare ai suoi amici, diventava più forte di qualsiasi altra cosa.
Lui è mio.
Un’ombra comparve davanti al suo campo visivo facendolo sussultare, ma si trattava solo di Changbin.
Gli occhi neri del minore, leggermente ombreggiati dai ciuffi di capelli scuri, lo studiavano con estrema attenzione.
Sembra quasi che gli interessi di me.
«Dobbiamo portarlo via da qui – disse voltandosi a guardare qualcuno al suo fianco, Chan non riusciva più a ricordare chi altro ci fosse con loro – È ubriaco e in aggiunta si sta facendo del male da solo, non ha più senso stare in questo posto».
«Hai ragione, adesso chiamo il bar- ».
«Cosa diavolo ci fate qui?».
Chan spalancò gli occhi verso il pavimento.
Non si era neanche reso conto di aver abbassato il capo, mentre li ascoltava parlare.
Non importava cosa – di tutto ciò che poteva circondarlo in quel locale, e non solo – , avrebbe riconosciuto la sua voce e il suo profumo ovunque.
Avevano lasciato un’impronta infuocata nel suo cuore, molto tempo prima.
Quando sollevò il volto, incontrando gli occhi arrabbiati di Jeongin, quel doloroso nodo al centro del petto parve attenuarsi.
Il suo Jeongin.
«Siete davvero incredibili, lui i primis – sbottò indicando Chan – Ma anche voi che siete venuti qui insieme a lui, non siete da meno!» ringhiò rabbiosamente Jeongin.
Non sembrava neanche il ragazzo che tutti loro conoscevano.
Era fuori di sé, ma solo chi lo conosceva bene – come Felix – sapeva che era più sofferente e dispiaciuto, che arrabbiato.
«Non rendere le cose più difficili – sbottò BamBam poco gentilmente lanciandogli un'occhiataccia, riusciva a sentire le emozioni di Chan fluire attraverso le carezze che gli stava facendo sulle spalle – Stavamo per andarcene, e fino a prova contraria sei stato tu ad avvicinarti da noi, non il contrario!» continuò facendo un cenno verso Changbin, spingendolo a voltarsi ed osservare Dongmin e i suoi amici poco lontani da loro.
Studiavano la situazione con espressione indecifrabile, parlottando tra di loro.
Erano in sei.
Se la situazione fosse peggiorata, sarebbe stato costretto a chiamare anche Minho, rifletté Changbin.
Il più piccolo ignorò totalmente le parole del maggiore.
«Cosa pensavi di fare venendo qui? - proseguì rivolgendosi direttamente al ragazzo di cui, pur non volendo, era ancora innamorato – Non hai fatto nulla quando potevi, quando ero proprio lì tra le tue braccia, e pensi di poter fare qualcosa adesso che sto con un altro?» la voce andò a sparire.
Felix sentì il suo cuore spezzarsi.
Era vero, proprio Chan aveva creato quella terribile situazione – aveva letteralmente spinto Jeongin tra le braccia di un altro ragazzo – ma non poteva star lì ad assistere, mentre per punirsi si spezzavano il cuore a vicenda.
Due persone innamorate – indipendentemente dal movente – non sarebbero mai dovute arrivare a quel punto.
«Smettila Jeongin» sussurrò accostandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla, sembrava lo stesse consolando o sostenendo, ma in verità lo stava gentilmente spingendo indietro, lontano dall’altro.
«Lasciami andare» sbottò Chan improvvisamente, scansando poco gentilmente le mani dell’amico e superando velocemente – ma un po' goffamente, a causa della sbornia – la figura di Changbin.
Jeongin si irrigidì sentendo il cuore iniziare a battere all’impazzata, pensando che Chan si stesse accostando proprio a lui, ma così non fu.
Lo superò senza neanche guardarlo, come se fosse semplice aria.
Faceva male, ma non poteva far diversamente.
Non voleva scatenare una discussione, in cui avrebbe trascinato - a causa della sua stupidità - anche i suoi amici.
«A breve torneremo a casa – annunciò il maggiore tra i due australiani – Ma prima voglio uscire a prendere un po' d'aria fresca e schiarirmi le idee. Voglio stare da solo» precisò poi, arrancando faticosamente in mezzo a quel mare di persone che senza rendersene conto lo spingevano da un lato all’altro del locale.
Dopo quella che gli parve un’eternità – tra persone barcollanti con i drink in mano, e ragazze che avevano tentato di approcciarlo – finalmente superò i bodyguard all’ingresso del locale e si trovò catapultato nel parcheggio quasi vuoto.
L’aria gelida di inizio marzo gli sferzò crudelmente le guance arrossate, riportando a galla quella lucidità che temeva di aver perso.
Il freddo era l’unica soluzione istantanea all’alcool.
Camminò senza una meta seguendo il perimetro del locale, per poi sedersi senza troppi problemi o riflessioni, su un muretto a malapena illuminato dalla debole luce di un lampione.
Era quella la fine della serata per lui?
Si sentiva così stupido in quel momento, non ricordava neanche più quali erano state le sue intenzioni a inizio serata.
Non ricordava più cosa l’aveva spinto ad andare lì, a rendersi ridicolo.
Pensava che Jeongin – una volta notata la sua presenza – si sarebbe buttato tra le sue braccia mandando al diavolo le ormai settimane di frequentazione costante con Dongmin?
Gli saliva il vomito solo sentendo quel nome pronunciato nei suoi pensieri.
Mantenne gli occhi prepotentemente puntati sull’asfalto del parcheggio, anche quando sentì dei passetti veloci raggiungerlo e un respiro pesante che gli sembrava familiare.
Non gli serviva alzare lo sguardo.
Il suo profumo lo raggiunse subito.
«Perché sei venuto qui stasera?» chiese la voce bassa e un po' infreddolita, che tremava facendogli battere un po' i denti.
Chan sorrise.
C'era davvero un gelo in quel parcheggio.
«Mi sorprende che il tuo cane da guardia ti abbia fatto uscire per venire a parlare con me» scherzò con voce per niente divertita, sollevando lo sguardo sul minore.
Era così bello.
Jeongin arricciò il naso.
«Piuttosto, dovresti essere sorpreso che i tuoi cani da guardia mi abbiano permesso di raggiungerti».
Il maggiore si sollevò dal muretto, mettendosi in piedi davanti a Jeongin e sovrastandolo totalmente con la sua figura.
Jeongin tremò, e non era certo che fosse per il freddo.
«Non scordarti, indipendentemente da chi sarà il ragazzo che alla fine avrà il tuo cuore, che i miei cani da guardia sono anche tuoi amici Jeongin – disse accostandosi a lui, con passi lenti e calcolati – Sei arrabbiato con me, non con loro, non dimenticartene!» proseguì.
Quando fu ormai ad un passo da lui, Jeongin si sentì morire.
Sarebbe stato in grado di allontanarlo da sé, nel caso in cui avesse tentato di baciarlo?
Come se non lo volessi – pensò, schiaffeggiandosi mentalmente.
Chan si sfilò di slanciò la giacca con un movimento fluido, e ad un soffio dal suo volto – che desiderava baciare, come mai aveva desiderato – gliela appoggiò delicatamente sulle spalle esili.
Non importava cosa, si sarebbe sempre preso cura di lui.
Jeongin sarebbe sempre stato la sua unica e sola priorità.
«C’è troppo freddo per te qui fuori, torna all’interno del locale dal tuo ragazzo, noi non abbiamo niente di cui parlare» disse chiudendo gli occhi per un momento.
La testa gli girava e le fitte intense alle tempie stavano lentamente diventando più forti.
Voglio tornarmene a casa.
Il cuore di Jeongin saltò un battito di troppo, e il suo stomaco si arricciò dolorosamente sentendo il profumo del maggiore che veniva sprigionato dalla sua giacca.
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Perché Chan continuava a non lottare per lui?
«Se non abbiamo nulla di cui parlare, perché sei qui? - domandò con voce che vacillava, a causa del bisogno che aveva di piangere – Perché ti sei ubriacato in questo modo vergognoso e ti comporti come se fossi la cazzo di vittima delle circostanze, eh!» urlò portando le mani al petto del maggiore, dandoci una pesante botta sopra con entrambi i palmi aperti.
Chan, anche se ubriaco, non si spostò di un millimetro, ma l’obbiettivo del minore era quello di farlo reagire.
Una reazione, sicuramente arrivò.
Nella sua mente assonnata e confusa, Chan riuscì a distinguere un solo pensiero, forte e distinto.
Voglio baciarlo.
Jeongin riuscì subito a comprendere i suoi pensieri, come sempre.
O probabilmente era il modo in cui gli occhi del maggiore si erano illanguiditi, osservando le sue labbra.
«Non mi bacerai mentre sei ubriaco fradicio, Bang Chan!» sbottò Jeongin con fermezza – o almeno ci provava – posando due dita sulla labbra del maggiore per impedirgli l’avanzata verso il suo volto.
Se se lo fosse trovato leggermente più vicino di quanto già non fosse, non era sicuro di essere in grado di allontanarlo da sé.
Chan si fermò immediatamente.
Non importava quanto alcool potesse esserci nel suo corpo, non avrebbe mai osato fare a Jeongin qualcosa che non desiderava anche lui.
Non avrebbe mai osato fargli del male, nonostante per ironia della sorte fosse stato proprio lui a spezzargli il cuore.
Si immerse in quei grandi ed espressivi occhi castani, circondati da stupende e lunghissime ciglia scure, e iniziò a depositare dei piccoli baci sulle dita che il minore gli aveva appoggiato sulla sua bocca, sfregandoci contro le calde labbra carnose.
Jeongin si sentì illanguidire.
Ingoiò a vuoto la saliva.
Era da sempre incredibilmente sensibile alle attenzioni di Chan, e temeva che quella cosa non sarebbe cambiata mai.
Ogni volta che il maggiore lo inchiodava con quello sguardo intenso e magnetico, Jeongin sentiva il suo corpo salire man mano di temperatura, lambito da feroci lingue di fuoco che lo avvolgevano come dentro ad un caldo abbraccio rassicurante.
Per lui Chan era esattamente questo.
Sicurezza, protezione, rassicurazione, amore …
«Smettila di giocare sporco con me!» disse allontanando la mano dalle sue soffici attenzioni, guardandolo con sguardo ferito.
Il suo bellissimo viso appariva leggermente sfuocato agli occhi ubriachi del maggiore.
«Sono io che gioco sporco oppure quell’idiota che hai deciso di prendere per il culo? - disse con sguardo mortalmente serio – Ti palpa come se fossi un oggetto!» gli fece notare, arcuando un sopracciglio.
Quella mano sul suo fondoschiena, era stata marchiata a fuoco nella sua mente.
Non sarebbe mai più riuscito a dimenticarsene.
Se solo avesse potuto gliel’avrebbe mozzata di netto, senza il minimo senso di colpa.
Jeongin strinse forte i denti tra loro.
«Sto uscendo con lui, ci stiamo frequentando e ci baciamo, ha tutto il cazzo di diritto di toccarmi se vuole!» urlò rabbiosamente.
In realtà non era per niente così, dentro di sé si sentiva morire ad ogni singola parola pronunciata, ma era talmente arrabbiato con Chan che gli veniva spontaneo dire quelle cattiverie; sperava di vedere un cenno nei sui occhi, qualsiasi cosa che gli facesse capire che ci teneva davvero.
A lui sarebbe bastata davvero qualsiasi cosa, anche la più piccola attenzione, per mollare tutto e tornare correndo tra le sue braccia.
Chan era l'unico di cui era innamorato.
Era un povero illuso.
Il maggiore sentì l'aria mancargli.
Ci baciamo.
Se avesse deciso di tirargli un pugno, Chan ne era certo, avrebbe fatto meno male di quelle parole.
Si sentiva un dannato idiota, era chiaro che lo facessero, ma per tutto quel tempo aveva finto che così non fosse.
Quell’idea – il solo immaginarlo – gli faceva corrodere gli organi come se avesse appena bevuto dell’acido.
Prese un respiro profondo, nella speranza che l’aria gelata placasse le fiamme della gelosia che sentiva ardergli lo stomaco.
Fece un passo indietro per guardare meglio la figura del minore, sembrando anche parecchio più lucido e sobrio di qualche istante prima; probabilmente il dolore e la rabbia provocata da quelle parole, avevano annullato l’alcool in circolo nel suo corpo.
Jeongin percepì un feroce tremore corrergli lungo la schiena, mentre osservava l'amico con espressione preoccupata. Forse aveva esagerato.
Non gli piaceva affatto lo sguardo dentro gli occhi di Chan.
Il maggiore rimase bloccato davanti alla figura di Jeongin, come in stato di trance.
Non riusciva più a sentirsi, a percepirsi.
Si era totalmente dissociato dal suo corpo e dal suo essere.
Si guardava dall'esterno, e non gli piaceva per niente ciò che vedeva.
Poi scoppiò.
Proruppe in una risata forte e amara, che rimbalzò attraverso il parcheggio buio e freddo del locale.
Era terrificante e carica di un dolore talmente tangibile che anche i pochi che si erano voltati, attirati da quel suono, impiegarono pochi istanti a spostare nuovamente l'attenzione altrove carichi di disagio.
La risata si esaurì velocemente, lasciandogli la gola nausata dal sapore amaro della bile.
«Fa freddo, vattene dentro» ripeté il maggiore, con le guance rigate da due lacrime che erano sfuggite al suo controllo.
Posò le mani sulle spalle di Jeongin, sistemandogli meglio la giacca posata su di esse, per poi superare la sua figura e allontanarsi attraverso il parcheggio.
Jeongin fu quasi sul punto di scoppiare in lacrime, e chinarsi al suolo per raccogliere i cocci del suo cuore infranto e anche quelli di Chan.
Gli tornò alla memoria la notte delle stelle cadenti, quando Felix aveva introdotto nel loro gruppo sia Changbin che Minho.
Lui e Chan avevano passato tutta la notte abbracciati sotto il candido manto di stelle, a baciarsi.
Come poteva la situazione esser precipitata, in modo così veloce.
Si voltò. Chan era ormai al centro del parcheggio.
Non stava tornando dentro il locale, dai loro amici.
«Dove diavolo stai andando?» gli urlò dietro Jeongin, sentendo l'eco della sua voce seguirlo.
Tutto parve bloccarsi nel tempo di un battito di ciglia.
Un attimo prima Chan era in piedi e camminava con movimenti traballanti, l'attimo dopo, era a cavalcioni sulla sua moto e si stava infilando il casco.
Jeongin avvertì appena un giramento di testa colpirlo, quando realizzò.
Se ne stava andando, da solo e ubriaco fradicio.
Non si rese neanche conto del momento in cui aveva iniziato a correre nella sua direzione, urlando a perdi fiato il suo nome.
La giacca di Chan sfuggì dal suo corpo - così come il suo proprietario - e si depositò in modo scomposto sull'asfalto umido e sporco.
Fu solo un attimo.
Chan non era più in quel parcheggio.
____________________________________
2
➥
Lascia una stellina e un commento se ti è piaciuto il capitolo, in modo che la storia possa crescere e arrivare ad altrx STAYS che potrebbero apprezzarla.
Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top