𝗱𝗼𝗻'𝘁 𝘁𝗲𝗹𝗹 𝘆𝗼𝘂𝗿 𝗺𝗼𝘁𝗵𝗲𝗿
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Mi sposto.
Quando quell'unico raggio di Sole che riesce a fare capolino dalle tapparelle abbassate decide di adagiarsi esattamente sopra i miei occhi, col lento riaffiorare della coscienza, la prima cosa che faccio è spostarmi.
Mugugno qualcosa, aggrotto il viso, mi giro da un fianco all'altro nel tentativo di fuggire dalla luce e immergermi di nuovo nella pacifica sensazione del sonno.
Atterro su qualcosa di poco familiare.
Non è la prima volta che dormo con qualcuno ma era da un po' che non succedeva e se per un microscopico istante il mio corpo s'irrigidisce di spavento perché è ancora offuscato e confuso, quando i ricordi mi riaffiorano alla mente mi rilasso, mi spalmo sulla pelle nuda dell'altra persona a letto con me e mi accoccolo contro la fonte di calore.
È che i miei vestiti non gli sarebbero mai entrati.
Non è colpa mia se ha dovuto dormire in mutande.
Atterro con la faccia contro il suo fianco. Come se reagisse alla mia presenza pur non avendo dato altri segni di vita muove le braccia, mi tira a sé, si sposta per infilare una gamba fra le mie e stringermi più saldamente, il mio viso sorride e i miei occhi rimangono chiusi.
Profuma.
Un po' di qualsiasi cosa si sia messo ieri, un po' di tabacco, un po' di se stesso, di qualcosa di buono, che non saprei descrivere.
La pigrizia e la lentezza del sabato mattina – presumo sia mattina, nonostante la violenza del Sole fuori dalle finestre potrebbe suggerire che ormai sia un po' tardino – mi avvolgono come una coperta, respiro piano, ascolto il battito del suo cuore, percepisco contro di me il petto che si alza e abbassa.
Miseria, Yūji Terushima.
Prima fai ribollire il mio sangue come se fossi fuoco, calore puro, poi mi rilassi al punto che qualsiasi pensiero io possa anche solo formulare mi sembra tanto distante da non sfiorarmi nemmeno.
Come fai?
Qual è il tuo segreto?
Tu sei...
– Sveglio? –
Ha la voce più bassa, un po' roca, impastata dal sonno. Mi coglie di sorpresa ma non sobbalzo, l'avevo sentito prendere fiato.
– Un po'. Tu? –
– Idem. –
Con più consapevolezza, ora, più decisione, sento le sue mani scorrere sul mio corpo e premerlo di nuovo contro il suo. Mi scivola con le dita sulla schiena, sopra al tatuaggio, verso le cosce, sui fianchi, mi stringe a sé, s'incastra meglio col mio corpo.
– Potrei abituarmici, cazzo. – borbotta, quando sembra aver trovato un punto comodo dove appoggiare la testa.
Gli accarezzo distrattamente la schiena, le mie unghie sono corte e sfiorano appena la superficie tatuata.
– Mmh, davvero? –
– Davvero. –
Il mio sorriso si fa più ampio, so che lo sente aprirsi contro il suo petto e le sue mani si fanno più dolci di rimando, navigo nella sensazione di averlo così vicino, i miei muscoli sembrano farsi di burro.
– Vuoi dormire ancora un po'? – mi chiede poi, la voce sempre bassa, sempre un po' rauca, questa volta però più sussurrata.
Annuisco.
– Un pochino. Tu? –
– Anche io. Quando mi tiro su ti faccio la colazione. –
– Sai cucinare? –
– Io so fare tutto, Tadashi. –
Ridacchiamo all'unisono, il rumore è piacevole, insonnolito, rotola piano nell'aria ferma della mia stanza.
Continuo a muovere la mano sulla sua schiena, lui stringe le dita sul mio fianco, per un secondo siamo così vicini che non so dove finisca lui e dove inizi io.
È...
Una sensazione piacevole, così piacevole, quella di essere così rilassato, così liquefatto da mischiarmi con quel che mi circonda al punto da essere irriconoscibile.
Mi fa sentire leggero.
Mi regala una pace che non credevo di essere in grado di provare.
Yūji piega il capo verso il mio, infila il naso fra i miei capelli, lo sento baciarmi piano la testa fra le ciocche scure e poi inspirare forte come se cercasse il mio odore.
Il suo cuore batte un po' più forte, forse lo fa anche il mio.
– Voglio dormire qui per il resto della mia vita. –
– Qui inteso il posto o qui inteso con me? –
– Con te. –
Le mie guance si scaldano, lo stomaco si stringe, la felicità che le sue parole mi provocano è lenta e pigra come me questa mattina, scorre nelle mie vene con calma, senza fretta.
Si sposta piano per rimettersi sulla schiena, mi trascina con sé portandomi per metà sopra il suo corpo, con la testa appoggiata sul suo sterno, le gambe intrecciate alle sue, le braccia strette attorno al suo petto.
Sembra che sia fatto, non saprei come altro spiegarlo, dell'esatta misura giusta per poter stare addosso a lui. Sembra avere il corpo delle dimensioni perfette perché ogni parte di noi s'incastri perfettamente assieme a comporre il puzzle di questa mattina così calma e pacifica.
Percorre la mia spina dorsale con i polpastrelli.
Il brivido che mi percorre è puro piacere.
– Dormi, torna a dormire. – mugugna, poi, le labbra di nuovo nascoste fra i miei capelli.
– Mmh, sì, adesso... –
– Ssh, dormi, dormi. –
Le palpebre ancora chiuse diventano improvvisamente più scure, più pesanti, s'incollano fra loro. Il mio respiro diventa più calmo, così l'alzarsi ed abbassarsi del suo petto contro il mio viso.
L'ultima cosa che sento prima di tornare a dormire è la sua mano sulla mia schiena, delicata, dolce, paziente.
Che sei fuoco e sei fiamme, sei incendio che divampa, ma sai anche essere tepore e focolare, Yūji Terushima.
Non è vero che sei solo quello che sei quando suoni sbronzo alle tre del mattino a casa mia e cerchi di mangiarmi.
Sei anche quello che sei ora.
E non so come spiegare come ognuno dei lati che ti vedo scoprire verso di me mi paiano sempre e comunque uno più perfetto dell'altro.
La seconda volta che mi sveglio, a letto, sono infelicemente da solo. Spaparanzato a stella marina, la faccia premuta contro il materasso e la maglietta tirata su fin sopra le scapole, questa volta decisamente a corto di sonno, mi ritrovo arruffato e confuso nel mio letto vuoto a tentare di tirarmi su.
Il rumore delle pentole della cucina rilassa la parte di me che aveva urlato "è scappato" nell'istante in cui ho aperto gli occhi, il profumo del cibo fa gorgogliare la mia pancia, lentamente e con calma cerco di svegliare uno per uno ognuno dei miei arti per potermi tornare a muovere come una persona normale.
È un processo lento, non secolare ma lento più di quanto dovrebbe esserlo, quello che mi porta a rotolarmi di schiena, stiracchiare le braccia e le gambe in aria e trascinarmi pigramente fuori dal letto.
La prima cosa che faccio è andare in bagno.
Senza pensarci, d'istinto, di riflesso, come faccio tutte le mattine.
Quando esco sono decisamente più sveglio, decisamente più cosciente, decisamente più pronto ad affrontare qualsiasi cosa stia succedendo nella mia cucina.
Mi sistemo la t-shirt sulle cosce, lego distrattamente i capelli indietro e lascio che le mie gambe si muovano da sole, l'appartamento non è esattamente enorme e ci metto giusto qualche secondo.
Col sorriso che mi spande sul viso mentre mi avvicino, mi viene istintivamente anche da pensare che quest'uomo la parola "vergogna" proprio non ce l'ha nel vocabolario, perché sta facendo saltare una – suppongo – crêpe su una delle mie padelle con addosso solo le mutande come se fosse esattamente a casa sua.
Mi nota con la coda dell'occhio, lo vedo reciprocarmi il sorriso, ma l'attimo dopo mi sta dando le spalle per girare non so cosa sul fornello.
– 'Giorno. – borbotto, con le ginocchia che ancora un po' ballano dal sonno, mentre mi avvicino ad una delle sedie sistemate sotto al tavolo della cucina.
– Buongiorno a te, splendore. – risponde, ridacchiando piano e girando il viso giusto per rivolgermi quel suo sguardo strafottente di sempre.
Mi siedo, incastro una gamba sotto al sedere e appoggio la testa sulla mano.
– È tanto che sei sveglio? –
– Una mezz'oretta. Dieci minuti li ho spesi a cercare di non svegliarti alzandomi. –
Giusto per riconoscere gli sforzi, non mi sono effettivamente accorto di niente.
Porto gli occhi di nuovo verso di lui.
– Fai la colazione a tutti quelli che ti porti a letto? – lo provoco.
Ride di risposta.
– No, di solito no. Di solito però nemmeno rimango a dormire, quindi... –
– Devo essere davvero speciale. –
– Oh, ragazzo dei fiori, lo sei. –
Adagia una crêpe, la seconda, sul piatto a fianco del fornello.
Lascio che il mio sguardo vaghi su di lui ancora un po'.
– Allora è proprio vero che hai tatuaggi dappertutto. – mormoro, fra me e me, le pupille che cercano, bevono, divorano ogni dettaglio che riescono a carpire.
È pieno pieno.
Ci sono due pugnali sul retro delle sue cosce, un serpente corre sul polpaccio sinistro, la stessa trama di occhi e lacrime fitta e scura che ha sul braccio decora la gamba destra.
Sulla schiena il tatuaggio è uno solo, minuziosamente composto, un quadro che immagino, a questo punto, abbia fatto Bob.
– Che c'è, non ti piacciono? –
– Credi che non mi piacciano? –
Versa qualcosa sulle crêpe, prende il piatto e lo porta verso di me.
– Ieri sera mi pareva che ti piacessero. –
– Cosa te lo fa pensare? –
– Non riuscivi a togliermi gli occhi di dosso. –
Dalla mia parte atterra una crêpe e un piattino più piccolo pieno di verdure che ha un profumo inaspettatamente delizioso, dalla sua la stessa identica cosa.
Inarco le sopracciglia.
– Ohitashi per colazione? –
Annuisce, mentre si siede, sorride.
– Quando ho detto a mia madre che volevo diventare vegetariano era letteralmente l'unico piatto che le veniva in mente da farmi per colazione quindi ci ho preso l'abitudine. Se non ti piace lo mangio io, però. –
– No, no, è solo... strano. Non sapevo fossi vegetariano. –
– No? Non te lo aspettavi? –
Capitolo annuendo.
– Avrei dovuto. –
Lo osservo prima di mangiare.
Sposta le verdure cotte sopra la crêpe con le bacchette, poi con delicatezza e metodo, come se fosse una cosa che fa ogni singolo giorno della sua vita, arrotola i lembi di pasta attorno al condimento, lo tira su con le mani e prende un bel morso.
Sì, mi sembra un'ottima tecnica.
Lo imito.
– Allora, com'è? –
Com'è?
È...
Sorrido con cibo in bocca, mando giù prima di parlare e annuisco piano.
– Buono, buonissimo. Miseria, c'è qualcosa che non sai fare? –
– Diverse, in effetti. Ma sono un ottimo cuoco. –
– Sei proprio da sposare, tu, eh? –
Ridacchia.
– Decisamente, sono la definizione enciclopedica di buon partito. –
Storco il naso.
– Mia madre avrebbe da ridire su questo. –
– Dici? –
Prendo un altro morso, faccio sì con la testa.
– Le verrebbe un infarto. Mi direbbe che sei il tipo che ti porta sulla cattiva strada e che dovrei starti lontano perché un bravo ragazzo come me non deve rischiare. –
Le sue palpebre si abbassano un po', così le sopracciglia, il sorriso sul suo viso si affila, quando finisco di parlare.
– Un "bravo ragazzo come te"? Tua madre crede davvero che tu sia un bravo ragazzo? –
– Perché, non lo sono? –
– Dimmelo tu, se lo sei o no. –
Mando giù il boccone successivo, ci penso un secondo. Poi allungo una gamba giusto per strofinargli la caviglia sul polpaccio nudo.
– Io sono assolutamente un bravo ragazzo. È solo che potrei avere un piccolo punto debole per i ragazzacci, diciamo. –
– "Piccolo punto debole"? –
Piego la testa e faccio spallucce.
– Un'inclinazione, tutto qui. –
Sento la sua voce girare attorno a me in una mezza risata, la sua espressione non è cambiata, è sempre la stessa, affilata, strafottente, curiosa.
– Oh, e come mai quest'inclinazione, se posso permettermi di chiedere? –
– Non mi piacciono le cose noiose. Mi piacciono le cose movimentate. –
– E non credi che un bravo ragazzo possa darti qualcosa di movimentato? –
Scuoto il capo.
– Per esperienza personale il ragazzaccio tatuato che si porta a letto la qualunque è molto più divertente del tipo serioso con gli occhiali che passa tutto il giorno a leggere. –
– Oh, davvero? –
– Davvero. –
Si lecca le labbra e intravedo il metallo del piercing quando lo fa, mi guarda negli occhi per qualche altro istante, pupille nelle pupille, poi lascia cedere lo sguardo, sento la mia pelle raffreddarsi alla perdita di contatto.
Ricomincio a mangiare.
– Quando poi avrò finito con te glielo chiediamo, a tua madre, se pensa ancora che tu sia un bravo ragazzo, Tadashi. – dice dopo un attimo.
Sento il sangue salirmi alla faccia come una vampata.
– Eh? –
– Quando ti avrò fatto tutte le cose che voglio farti e quando ti sarai fatto fare tutte le cose che vuoi farti fare dovremmo chiederle cosa ne pensa. Credo che potrebbe cambiare idea. –
– Di che cosa stai... –
– Oh, non fare il finto tonto, sai di cosa sto parlando. –
Sbatto le palpebre, poi sospiro piano e mi rilasso.
– Ok, forse lo so. Ma sono curioso di sapere nello specifico che cosa intendi quando parli di "tutte le cose che vuoi farmi". –
– No, quella è una sorpresa. Perché dovrei svelare i miei trucchi in anticipo? –
– Mmh, ha senso. –
Finisco la mia crêpe che lui ha di fronte a sé solo il piatto vuoto, indugio qualche altro istante nel suo sguardo prima di alzarmi e prenderli entrambi per portarli nel lavandino.
Quando gli passo accanto, è lui che mi tira giù dal colletto della maglia.
È lui che mi bacia.
Lui che...
Raggiungo il lavabo che mi pare di pesare venti chili di meno.
Raduno tutte le pentole che ha usato e prendo il detersivo dallo scaffale sopra la mia testa.
Ci mette un secondo ad alzarsi e raggiungermi.
– Vuoi una mano? –
– No, no, tu hai cucinato, io lavo i piatti. Non ti preoccupare. –
– Sicuro? –
Il suo corpo si avvicina al mio, lo sento torreggiarmi dietro, le sue mani s'infilano oltre le mie appoggiandosi al bordo del bancone di fronte ai miei occhi, il suo profumo mi circonda.
– Sicurissimo. –
Mi tremano le dita quando mi sporgo per prendere la spugna e sento il suo sguardo bucarmi la pelle dall'intensità con cui me lo sta puntando addosso.
Maledetto, che cosa sta...
Mi tira su la maglietta da dietro.
– Mmh, il tatuaggio sembra guarito. Hai messo la crema stamattina? –
– Ah-ah, un attimo fa. –
Ci passa sopra la mano, tutto tranne che interessato allo stato di salute delle linee nere sulla mia pelle.
– Ti sta così bene che inizio a pensare di disegnartene un altro. Che dici? –
– Dove vorresti farlo, vicino a quello? –
– No, no, pensavo più qui. –
Le sue dita spazzano quell'area soda e piatta sotto l'ombelico, le mie ginocchia tremano, le tengo salde con molta più fatica di quanta ce ne vorrebbe normalmente.
– Hai una fissazione per i tatuaggi che mi costringono a mettere i pantaloni a vita bassa? – chiedo, intento in un lavoro sul quale non mi sto concentrando per niente.
– No, più per i tatuaggi che uno è costretto a vedere se ti spoglia e ti mette le mani addosso. –
– È il tuo modo di essere possessivo, Yūji? –
– Forse. –
Le sue dita s'inerpicano sulla mia pancia con calma, scalano con delicatezza, generandomi tutta una cascata di tremori uno dietro l'altro.
– Anche questo è un ottimo punto, sai. – mormora, i polpastrelli sul mio sterno.
– In mezzo al petto? –
Apre la mano, mi stringe la base del collo, riconosco la sensazione del suo viso che si avvicina al mio collo dai brividi che mi scendono dalle spalle.
– Fra le clavicole. Dove uno mette la mano per tenerti fermo mentre... –
– Mentre...? –
– Non farmi finire la frase, Tadashi, non andrebbe a finire bene per nessuno dei due. –
La tensione mi attraversa tutto il corpo come una scarica elettrica. Ogni angolo del mio corpo diventa più sensibile, più reattivo, la sua presenza già incombente su di me diventa quasi intollerabile.
Prendo fiato cercando di non tremare.
– Perché non dovrebbe finire bene? Nel caso non te ne fossi reso conto siamo a casa da soli e nessuno dei due lavora, oggi. –
– Mmh, no, no, prima dobbiamo uscire insieme. Non è questo l'ordine giusto delle cose? –
– Non credo che "l'ordine giusto delle cose", come lo chiami tu, preveda anche presentarsi sbronzo nel cuore della notte a casa di qualcuno. Sei tu che hai incasinato l'ordine per primo, non vedo perché non continuare su questa strada. –
Appoggia la fronte sulla mia nuca e il suo respiro mi batte contro il collo, di rimando sento la mia schiena farsi più indietro per aderire al suo petto.
Le sue mani vagano di nuovo, scorrono sui miei fianchi, sulla mia vita, mi afferrano per le spalle e mi tirano indietro verso di lui e mi toccano ovunque, come se non bastasse mai.
– Non riesci a resistere nemmeno un pochino? – chiede, il tono che mi prende in giro, come al solito.
Sorrido.
– Non sono io quello che non resiste, qui. Sto solo cercando di farti un favore. –
– Oh, dici sul serio? Davvero troppo gentile da parte tua. –
Le sue labbra si appoggiano sul retro del mio collo, poi verso l'orecchio, sul retro della mandibola, sulla guancia.
So che sente che tremo. Non posso farci niente, non posso dissimularlo in nessun modo.
– Se ti chiedessi di uscire stasera credi che potresti fare uno sforzo per me e aspettare un po'? –
– Dipende da cosa m'inviti a fare. –
Sorride contro la mia faccia, lo sento chiaramente nonostante non possa vedere la sua espressione.
– Il sabato sera io, Futa e Bob andiamo sempre nello stesso locale a bere qualcosa. So che non è esattamente un invito a cena, ma conosco un sacco di persone e il posto è carino, quindi... –
Giro la testa di lato per guardarlo negli occhi, lui ha il mento appoggiato su una delle mie spalle e le mani ancora spalmate su di me.
– Davvero? Il primo appuntamento in un posto strapieno di persone con cui sei andato a letto? –
– Che c'è, spaventato dalla concorrenza? –
Mi mordo l'interno della bocca e piego indietro il capo.
– Non particolarmente. Dovrei? –
– Beh, sono molto ambito, forse un pensierino dovresti farcelo. –
Strofino il palmo della mia mano sulla maglietta che indosso per asciugarlo, lascio perdere i piatti per un attimo e infilo le dita fra i suoi capelli per tirarlo dalla mia parte.
– Vai a casa degli altri a pregarli di farti entrare perché non riuscivi a smettere di pensare a loro, Yūji? –
– No, solo con te. –
– Allora non vedo di cosa dovrei preoccuparmi. –
I bordi delle sue labbra si alzano ancora, gli occhi scintillano di puro divertimento. Poi lo vedo piegarsi in avanti e non lo respingo, lascio che mi baci e lascio che mi tocchi mentre lo fa, lascio che mi apra la bocca con la sua e lascio che mi ricordi perché è qui e perché non voglio che se ne vada per nessun motivo al mondo.
Quando torno a lavare i piatti ho il fiato più corto, il cuore che mi martella le costole dall'interno e un sorriso un po' troppo grande stampato in faccia.
Yūji se n'è andato da casa mia un'oretta dopo aver fatto colazione. Ho provato ad accendere il telegiornale giusto per rendermi conto di che ore fossero e di cosa stesse succedendo nel mio angolo di mondo ma abbiamo finito con l'avvinghiarci di nuovo sul divano, poi però Futa l'ha chiamato per chiedergli di riprendersi casa sua – e il gatto, che a quanto pare era della vicina del piano di sopra – e dopo qualche altro bacio e qualche altra mano infilata in posti intimi si è rivestito ed è fuggito.
Il resto della giornata l'ho passato, come sto facendo anche ora, steso sul letto con la faccia immersa fra le righe fitte dei "Buddenbrook" di Thomas Mann che ok, è un bel libro, ma allunga la minestra davvero troppo perché non mi salga dallo stomaco quella sensazione così istintiva di uscire sul balcone e dichiarare il mio malcontento a chiunque passi di sotto.
Non è colpa mia se sono un criticone, ci sono nato. Criticare i libri, poi, è una fra le attività che preferisco.
Giro la pagina, all'ennesima invettiva fra fratelli incastro il mio segnalibro fra le pagine e chiudo il libro, lo schiaffo sul comodino e guardo il soffitto.
E no, miseria. E basta. Pietà, signore, pietà, mi sono davvero rotto i coglioni di leggere di questi due che battibeccano e ho capito che certe cose non si possono perdonare e che la condizione umana decadente della rovina ti porta a deprimere non solo te stesso ma anche tutto quello che ti sta intorno però che cazzo, un minimo di...
Dovrei ricominciare ad andare all'università.
Mi piaceva quel che studiavo.
Dovrei tornare a...
Però non voglio tornare a casa.
E non voglio lasciare il negozio di fiori, mi piace il negozio di fiori, anche se alle volte è noioso, anche se alle volte non succede niente, perché profuma ed è pacifico e calmo e riesco a vedere la vetrina sullo studio di Yūji e...
Mi giro di lato.
Non posso cambiare i miei piani sulla mia vita perché mi sono preso una cotta. Però è anche vero che non posso sempre bacchettarmi per rinchiudermi in una pretesa, in una scatola che piace agli altri, perché poi impazzisco come sono impazzito sei mesi fa e scappo.
Forse dovrei solo... riorganizzare i miei obiettivi.
Qui c'è l'università, potrei trasferire i miei studi. Potrei fare il part-time al negozio, invece del tempo pieno ogni giorno, potrei trovare qualcuno che mi aiuti. Potrei...
Mi piace la vita qui. Mi piace come vanno le cose. Mi piaceva la pace prima, anche se sapeva di solitudine, ma ora che oltre a quella c'è anche tutto il resto, non credo di volermene andare.
Forse ho davvero fatto a bene a prendere e lasciare tutto.
Non credevo di pensarlo, ma non sono le persone che ho lasciato là ad aver avuto fortuna a poter campare senza di me, sono io che l'ho avuta a poter campare senza di loro.
Forse davvero quello non era il posto giusto per me.
Forse davvero questo potrebbe esserlo.
Allungo il braccio per accendere lo schermo e guardare che ore sono. Non è tardi, ma forse dovrei alzarmi e iniziare prepararmi per uscire.
Mi rotolo ancora un paio di minuti fra le lenzuola.
Magari andrà malissimo, Tadashi, magari tutto quello che senti ora scomparirà nel giro di qualche settimana e vorrai scappare di nuovo, magari ti stai solo illudendo. Però magari no, magari sta andando tutto nel verso giusto, magari hai davvero trovato qualcuno che... che ti fa sentire...
Al settimo cielo? A tuo agio? Al centro dell'attenzione?
Un po' tutte e tre.
E poi anche bello, da come mi guarda, e coraggioso rispetto a quello che riesco a dirgli, interessante da come mi ascolta e meritevole di tutto tutto il tempo che mi dedica.
Non sono il tipo che salta nel vuoto.
Ma sto davvero saltando nel vuoto?
Mi tiro su dopo essermi stiracchiato a dovere la schiena e mi getto sotto la doccia senza pensarci troppo. Non so cosa voglio fare con la mia vita con chiarezza, non lo so, ma so dove andrò stasera e so che non ho nessuna intenzione di risparmiarmi su niente.
A questo punto che senso avrebbe?
Quando esco dalla doccia mi avvolgo nell'accappatoio come se in casa mia ci fossero dieci gradi, prendo il phon e mi asciugo i capelli alla bell'e'meglio che tanto so che li legherò e non ho bisogno di starci troppo dietro. Poi, un po' riscaldato dall'aria calda, mi spoglio, mi spalmo addosso decisamente più crema di quanta dovrei – profuma, voglio profumare, non è un crimine anche se questa roba costa davvero troppo – e aspetto una decina di minuti fermo come uno spaventapasseri che si asciughi.
Fumo una sigaretta in cucina in mutande prima di vestirmi, giusto perché mi va, bevo un po' d'acqua perché ho la sensazione che qualsiasi cosa entrerà nel mio stomaco d'ora in poi tutto sarà tranne che quello, mi sposto verso l'armadio per cercare di capire cosa mettermi.
Niente di elaborato, è un locale casual, non voglio sembrare un cretino, ma nemmeno qualcosa di sciatto perché alla fine della fiera il mio intento è quello di piacere alla persona che sarà con me, quindi...
Ah, al diavolo.
Tiro fuori il paio di jeans a vita bassa più a vita bassa che possiedo. Li infilo con calma, tiro giù il bordo delle mutande quanto basta perché non spuntino dall'orlo e mi guardo allo specchio.
Non mi stanno male. Certo non credo che siano la cosa che mi sta meglio nel mondo ma Yūji pare pensarlo, quindi...
Prendo il top più corto che ho – che sembra una maglietta corta perché non sono mai stato un patito di cose più appariscenti – e infilo la testa fra il chilo di giacche di jeans comprate al mercatino dell'usato per trovarne una dello stesso colore dei pantaloni.
Quando ho finito di vestirmi, mi prendo un attimo per guardarmi allo specchio.
Con la giacca indosso è carino, niente di allucinante. Senza...
Sì, credo di iniziare a capire cosa intenda.
Ho la fortuna di avere la pancia piatta e di corporatura sono sempre stato alto e longilineo, s'intravede la linea che attraversa la pancia, la forma della vita, l'ombelico, chili di lentiggini e il tatuaggio, là in bella vista, giusto sopra il bordo dei jeans, che invita a guardare da quella parte.
Ok, mi piace.
Mi piace, mi piace, mi piace.
Guardo il cellulare.
Sono un po' in ritardo, ma non di tanto, quindi...
Apro la chat con Yūji, lascio che le mie dita scrivano un veloce e rapido e decisamente non ragionato "scusa sono un po' in ritardo spero ne varrà la pena" e ridacchio al "ne vale sempre la pena" e decido di lasciar perdere l'idea di truccarmi e semplicemente uscire di casa.
Infilo le Converse, quelle nere con la suola alta che scompare sotto i jeans troppo larghi per le mie gambette magre, chiavi di casa nella tasca, cellulare, sigarette, accendino e una manciata di banconote che non ho voglia di contare e sono per strada, a cercare di orientarmi per capire dove andare.
Io e Yūji abitiamo relativamente vicini. Quando ho deciso di trasferirmi il proprietario del negozio di fiori, che non vedo praticamente mai se non per sporadici messaggi e qualche mail di pagamento ricevuto per la busta paga, mi ha detto che affittava il suo vecchio appartamento a qualche isolato di distanza, e pur non essendo esattamente una reggia ho accettato, perché era comodo, costava poco e non avevo bisogno di tanto spazio vivendo da solo. Yūji, invece, abita sopra allo studio, due piani di scale, e so per sentito dire che casa sua è ben più grande perché prima che si trasferissero viveva con Futa e Bob tutti e tre assieme.
Il locale, quindi, che è "sotto casa sua" è decisamente anche sotto casa mia.
Mi sbrigo cercando di non perdermi.
Dio, non so cosa aspettarmi.
So che ci sarà casino, e so che ci sarà alcol e so che ci saranno una marea di persone che conoscono Yūji e lo conoscono in un senso che io ancora non ho avuto il piacere di provare, ma lui, lui fuori... com'è? È arrogante, è gentile, è appiccicoso, è distante, è...
Non ne ho idea.
Zero.
Ci sono tante persone che sono adorabili quando ci si sta in solitudine e diventano insopportabili nel momento in cui compare qualcun altro e per quanto io sia piuttosto convinto che Yūji non diventerà insopportabile non ho nemmeno la certezza di sapere che non lo diventerà e...
No, sto pensando troppo.
Troppo ad una cosa inutile.
Lo conosco. Non come il palmo della mia mano, è presto per crederlo, ma abbastanza per sapere che tipo di persona è e di certo non è qualcuno che diventa insopportabile in pubblico.
Non devo farmi prendere dal panico.
Non devo...
Riconosco il locale non tanto dal nome o dall'insegna, di fatto non lo conoscevo, ma dal rumore. Ci sono persone che ridono, che urlano, e quelli accanto non sono così rumorosi, non così appariscenti.
Entro senza nemmeno ragionarci su.
Dove potrebbe essere, Yūji Terushima, se non nel posto più rumoroso, che cattura di più l'attenzione, che fa più casino?
Come sento la porta aprirsi sotto il peso della mia mano, cerco di tirare un grande respiro.
Come mi saluterà?
Siamo di fronte a tante, tante persone che lo conoscono, che sono sicuramente andate a letto con lui, che potrebbero volerlo fare, siamo di fronte ad una platea di persone che lo vorranno mettere su un piedistallo come credo sinceramente si meriti.
Lui cosa farà?
È davvero pronto, lui che non l'ha mai fatto, a dire che...
Che è...
Lo vedo e lui vede me nello stesso istante.
È seduto al bancone, dà le spalle ai baristi e ha i gomiti appoggiati sul legno dietro di sé, tiene un bicchiere in una mano e attorno a lui sono sparse un paio di persone, sorridenti, concentrate, sicuramente attratte, con cui sembra chiacchierare senza problemi.
Per un secondo mi si gela il sangue nelle vene.
E se...
E se non volesse...
E se avesse cambiato idea?
Se...
Poi vedo come mi guarda.
Vedo la sua espressione rilassata rimanere ferma e poi cambiare, vedo il suo sorriso farsi più interessato, più malefico, vedo i suoi occhi scorrermi addosso e le sue dita stringersi sul bicchiere e per un attimo mi sembra di saperla, la risposta a tutte le mie domande.
Non ha senso farti prendere dal panico, Tadashi.
Questo non è un uomo che fa perché deve, è uno che fa perché vuole, e se sei qui, se lui era là stamattina, se ogni secondo che abbiamo passato insieme è andato in un modo specifico, è solo ed unicamente perché lui voleva fare quello che ha fatto.
Quindi 'fanculo a chiunque pensi di poterci fare qualsiasi cosa stasera.
È lui che ha scelto.
Io mi avvicino e sorrido, lui dice qualcosa – credo dica "scusa", ma non sono sicurissimo – alle persone accanto a sé, fa per alzarsi.
Vedo con la coda dell'occhio l'appendiabiti al mio fianco e colgo l'occasione per togliermi la giacca.
Il modo in cui si morde l'interno della bocca è tutto dire.
Che c'è, non ti aspettavi i pantaloni a vita bassa?
Forse non ti aspettavi la maglietta così corta.
Beh, sai, qualche volta posso anche io vestirmi per attirare l'attenzione.
Non ci sono mezze misure, quando mi si avvicina, non una briciola del controllo che mi è balenato per la mente avrebbe potuto esercitare, solo esattamente quel che vuole fare e quel che voglio fare io.
Mi avvita le mani sui fianchi, io appoggio le braccia sulle sue spalle, lui china appena la testa, io tiro su la mia, ed è dichiarare al mondo che per stasera lui è occupato con me baciarci in mezzo al locale che ho la sensazione ci stia fissando.
Sorrido, mentre le sue labbra e le mie si fondono assieme.
Mi stringe forte e la sento, la tensione che trema attorno e fra di noi.
Cosa non mi fai, stronzo.
Cosa non mi fai.
Si stacca per primo e appoggia la fronte contro la mia come a riprendere fiato, tengo gli occhi chiusi per un attimo prima di riaprirli per trovare i suoi che mi scavano la pelle.
– Scusa per il ritardo. Mi perdoni? – mormoro, ad un viso che pare volermi dire che qualsiasi cosa io possa aver fatto, un omicidio, una strage che sia, mi perdonerà senza pensarci due volte.
Annuisce.
– Perdonatissimo. Dio, Tadashi, quanto sei bello. –
– Ti piaccio? –
– Troppo perché sia normale. –
Stringo i polsi dietro al suo collo, lo spingo verso di me perché mi senta mentre parlo con un tono di voce appena più basso.
– E non mi hai ancora visto senza vestiti addosso, pensa tu. –
– Vuoi uccidermi? –
– Forse. –
Le punte dei nostri nasi si toccano, per un istante ci guardiamo e basta.
– Tadashi? –
– Dimmi. –
– Pro o contro al sesso al primo appuntamento? –
Sbatto le ciglia, sento una risata risalirmi la gola al modo diretto in cui l'ha detto senza pensarci due volte.
– Dipende dalla situazione. Se me la sento. –
– Stasera te la senti? –
– Vediamo come ti comporti. –
– Suvvia, lo sai che sono un gentiluomo, Tadashi. –
– Chi ha mai detto che voglio un gentiluomo? –
I bordi delle sue labbra si alzano, percepisco la strafottenza arrivarmi addosso come un'onda, gli occhi gli brillano.
– Vero, vero. –
Si avvicina di nuovo e lo imito, le nostre labbra s'incontrano una volta ancora, mi piace il sapore del fumo, mi fa impazzire il metallo freddo del suo piercing contro la mia lingua.
– Sento i rumori dei cuori dei tuoi spasimanti che si spezzano da qui. – commento, poi, gli occhi che fuggono dai suoi per guardare oltre le sue spalle la pletora di persone con cui pareva parlare un attimo fa che ci fissa.
– Gliel'ho detto, che stavo aspettando qualcuno, colpa loro per non averci creduto. –
– Beh, sai com'è, hai una reputazione. Ci avranno sperato. –
Yūji alza un sopracciglio, ridacchia. Lascio che una delle mie mani si arrampichi sul suo petto per stringergli il viso fra le dita, lo bacio appena, più per scena che per altro.
– Quasi mi sento in colpa a rubarti da loro per tutta la sera. –
– Nah, non ti senti in colpa. –
– No? –
Scuote la testa, una ciocca di capelli chiari gli cade sulla fronte e colgo l'occasione per rimetterla a posto.
– Te li presento, così vediamo quanto ti dispiace. –
– Giusto per sapere, con quanti di loro hai già fatto sesso? –
Yūji alza le spalle, scuote la testa.
– La metà? – tiro a indovinare.
– Più tre quarti che la metà, ma non so dirtelo con esattezza. –
– Dio, sei proprio uno che si diverte, tu. –
– Lo ero, sì, è un problema? –
– Lo "eri"? –
– Prima che la mia testa decidesse che un bel faccino e qualche lentiggine sono l'unica cosa in grado di passarmi per la mente. –
– Oh, sono solo questo, per te? "Un bel faccino e qualche lentiggine"? –
Incastra la lingua fra i denti, scuote la testa, si avvicina al mio orecchio.
– In realtà hai anche un gran bel culo. –
Lo spingo indietro ridendo, ride anche lui, la sua faccia che ride è così attraente, cazzo, e lui è così...
Lo spingo di nuovo.
– Andiamo, cretino, ho bisogno di bere se devo ascoltarti tutta la sera. –
– Prego, fai strada. –
– Eh? –
Fa spallucce.
– Tanto che ci sono vorrei dare un'occhiata al tatuaggio, sai com'è. –
– Scemo. –
– Colpevole. –
Lo spingo un'altra volta, giusto per dargli fastidio, ma poi faccio quel che mi dice, aspetto che si sposti e faccio strada verso il punto da dove l'ho visto alzarsi qualche istante fa.
Lo so, che mi guarda il culo mentre cammino, lo so.
Ma che lo guardi, miseria, che lo guardi quanto gli pare.
Quando arrivo al bancone, lo sguardo di chiunque prima stesse parlando con Yūji piantato addosso come una lama, mi siedo dov'era seduto lui senza chiederglielo e aspetto che si avvicini.
Sono com'era messo prima, spalle al bancone, gomiti sul legno.
Eccomi, ci sono, voglio partecipare anch'io alla conversazione.
Sempre se...
– Scusate se mi sono alzato così di fretta prima. Ve l'avevo detto che stavo aspettando qualcuno. – dice Yūji, mentre si avvicina, le mani sulle mie ginocchia e lo sguardo che cerca disperatamente di scappare dal mio per rivolgersi a tutti gli altri fallendo miseramente.
Sorrido alla platea.
– Ciao, io sono Tadashi. –
Sento un mormorio unanime che interpreto come un saluto.
– Bob e Futa? Alla fine non sono venuti? – chiedo poi, giusto per non lasciare che il silenzio ci circondi e per non sentirmi il cretino di turno che ha interrotto la conversazione.
– Oh, no, ci sono. Forse sono di sotto a giocare a freccette. Futa mi ha detto di chiamarlo quando saresti arrivato, ora che ci penso. Ti spiace se ti lascio qua e vado a recuperarli? –
– Se vuoi ti accompagno. –
– No, no, non c'è bisogno. –
E lasciarmi qui in mezzo agli squali che non vedono l'ora di ripulirmi all'osso perché ho osato essere il tuo centro dell'attenzione della serata?
Mi vuoi morto, Yūji?
Forse sì, forse mi vuoi morto.
– Ok, allora. Se trovi un barista libero sulla strada mi prendi qualcosa da bere? –
– Cosa? –
– Non lo so, fai tu. Aspetta, ti do i sol... –
– Offre la casa. –
Alzo un braccio per potergli accarezzare la guancia. Quando lo faccio, Yūji mi vede allungare il collo e capisce cosa sto chiedendo, si china per premere le labbra sulle mie e sorride quando si stacca.
– Grazie. –
– E di che, per te questo ed altro. –
Si allontana un istante dopo, consapevole persino più di me che l'ho un po' usato per mettermi in mostra, in ogni caso soddisfatto anche di questo.
Quando mi risistemo sul bancone, con la sensazione di averlo accanto che svanisce poco a poco, riacquisto più lucidità nei confronti di quello che mi circonda e inizio a notare dettagli e dettagli e dettagli che prima per me semplicemente non c'erano.
Ok, mi stanno fissando.
Non tutti, ma quelli radunati qui accanto, sì.
Mi stanno decisamente fissando.
Cosa dovrei dire?
Devo cercare di fare conversazione o farmi i cavoli miei o...
– Come hai detto che ti chiami? –
Mi giro verso la voce, sulla destra, cercando di esibire un sorriso educato e di non far arrabbiare nessuno. Non so perché qualcuno dovrebbe essere arrabbiato con me, ma nel dubbio, offrirsi pacifico è sempre una scelta.
Ad aver parlato è una ragazza, ha un vestito corto, le gambe lunghe lunghe, i capelli scuri tirati su in una coda e un paio di occhiali rosa di fronte agli occhi.
– Tadashi. Tu sei... –
– Tu e Terushima state insieme? –
Sbatto le palpebre.
– Io e... –
– Tu e Terushima. State insieme? –
Deglutisco la saliva.
– No. Nel senso, mi ha invitato ad uscire e ci conosciamo da un po' ma non è il mio ragazzo. –
La vedo affinare lo sguardo.
– "No, non lo è" o "non ancora"? –
– Oddio, dovresti chiederlo a lui, io non so se... –
– Non dirmi stronzate, Tadashi. –
Il modo in cui impone la sua voce è aggressivo. Non è gentile, no, non lo è, è diretto, senza mezzi termini. Però non so se ce l'abbia con me o con la situazione, quindi le lascio in beneficio del dubbio e decido di moderare la mia risposta.
– Più probabilmente la seconda. Ma ripeto, devi chiederlo a lui che intenzioni ha con me, non è una persona facile da interpretare. –
Da dietro le lenti chiare i suoi occhi scuri mi squadrano.
– Relazione monogama o poliamorosa? –
Mi sta chiedendo se può farsi il mio ragazzo? Che non è il mio ragazzo, ok, però ci siamo capiti, insomma.
– Monogama. Perché lo chiedi? –
– Lo sai perché lo chiedo. Com'è che ci sei riuscito? –
– A fare cosa? –
– A prendertelo. Non ci riesce mai nessuno. –
È proprio senza filtri, la ragazza. Non riesco a capire se sia delusa o se sia triste o se sia solo aggressivamente curiosa, però...
Chissà cosa cerca di insinuare, eh?
– In realtà la domanda è un po' al contrario. È lui che c'è riuscito con me, non io che ci sono riuscito con lui. Ha fatto praticamente tutto lui. –
– Ha fatto tutto lui? In che senso? –
– Ripeto, dovresti chiederlo a lui. –
Vedo le sue sopracciglia scendere verso il basso, l'espressione farsi ancora più decisa.
– Stai dicendo che è lui che ci ha provato con te? E che è lui che ti ha chiesto di... –
– Esattamente quello che sto dicendo, sì. –
Scuote la testa, dalla gola le esce un rumore un po' graffiato, sembra una risata.
– Impossibile, dici un sacco di stronzate. –
– Possibilissimo e dico solo quello che è successo. Lui mi ha baciato per primo, lui mi ha chiesto di uscire, lui mi ha invitato qui stasera. Mi spiace se non è quello che volevi sentire. –
– Yūji Terushima non è il tipo da... –
– Oh, invece è decisamente il tipo. Devi solo sapere come... prenderlo, ecco. –
Vedo qualcosa sciogliersi nelle sue spalle, poi lascia che la testa cada in avanti e si accasci sulle braccia conserte sul bancone, sospira forte che il rumore supera la musica.
– Miseria, cazzo, 'fanculo, ragazzino. Da dove sei uscito? Chi ti ha dato il diritto? –
– Il diritto di fare cosa? Di rubartelo? Guarda che Yūji è una persona, non un giocattolo, non trattarlo come se fosse un oggetto. –
– Lo so che non è un oggetto, però... –
– Però niente. Libero arbitrio implica libere scelte. Ci sarà qualche altro bel ragazzo tatuato in città con cui consolarti, dai. –
– Un altro bel ragazzo tatuato che sa fare le cose che sa fare Terushima? Impossibile. Non ne fanno più come lui. –
– Quali cose? –
Schiaffa la guancia contro le braccia, i suoi occhi e i miei s'incontrano e la vedo respirare a pieni polmoni.
– Non ci hai fatto sesso? –
– No, ancora no. –
– No? –
Alzo le spalle.
– Stasera, probabilmente. Domani se ci addormentiamo come abbiamo fatto ieri. –
Stringe i denti, vedo l'invidia attraversarle la faccia come un'ondata.
– Quando ce lo farai saprai di che cose parlo. –
– Oh, ok, buono a sapersi. La prossima volta che ti incontro poi ti dico cosa ne penso a quel punto. –
– 'Fanculo. –
– Hey, cosa ti ho fatto? Non prendertela con me. –
Stringe i denti, inizio a credere che abbia bevuto un po' perché se no tanta confidenza così liberamente non si spiega, cerco di mantenere la calma perché davvero, rigirare troppo il dito nella piega sarebbe solo ed esclusivamente sadico.
– Credevo di essere sulla buona strada con lui e poi arrivi tu e sembra che chiunque altro ci sia per lui non valga più niente. –
– Credevi di essere sulla buona strada? –
– Sono stata a letto con lui più di una volta. –
– E credevi che quella fosse la buona strada? –
Alza le spalle.
– Immagino. –
– A quanto ne so però lui è piuttosto chiaro con le persone, ti ha detto per caso che aveva intenzione di... –
– No, mi ha detto che era solo sesso e che non aveva interesse in una relazione. Però ci ho sperato lo stesso, sai com'è. –
Sento una punta di veleno salirmi dalla gola verso la lingua e per quanto provi a mandarla giù, non riesco.
– No, non lo so com'è. –
Odio, percepisco l'odio puro e crudo.
– Ma lo fai apposta? –
– Questa volta sì, pardon, me l'hai servita su un piatto d'argento. –
– Bastardo. –
– Ogni tanto sì. –
Sospira di nuovo.
Io la guardo e basta, con un senso gorgogliante di vittoria che si fa strada nel mio petto ma che cerco di respingere perché non è una cosa corretta da provare, perché non è carino e perché...
– Boh, a questo punto resta da sperare che ti molli. – sputa fuori, poi.
Intravedo Bob con la coda dell'occhio.
Scendo dalla sedia, tasto i pantaloni per cercare il pacchetto di sigarette, prima di allontanarmi da lei mi concedo solo un altro secondo di cattiveria.
– Dopo che mi sarò fatto scopare per tutta la notte stasera glielo chiedo, quando ha intenzione di lasciarmi. Poi riferisco. –
– Vaffanculo, davvero, vaffanculo. –
– Vaffanculo tu, stronza. –
Sfilo una sigaretta dal pacchetto, infilo il filtro fra le labbra e mi allontano.
Faccio in tempo a vedere la sua espressione prima di buttarmi fra le braccia di qualcuno che mi aspetta con un drink in mano e gli occhi incollati a me.
Sì, quando mi lascia te lo dico.
Quando smette di guardarmi come se ci fossi solo io nella stanza, quando smette di scrivermi tutte le mattine per chiedermi come voglio il caffè, quando smette di pendere dalle mie labbra e di cercare il contatto fisico disperatamente, quando mi scolla gli occhi di dosso, quando smette di volermi.
Potrebbe volerci un po', però.
Mica è colpa mia, se si è preso una cotta per me.
Mica è colpa mia, se ha deciso che vuole me.
Mica è colpa mia, se mi sveglia nel cuore della notte perché non riesce a baciare nessuno che non sia io.
Lo so, che sono uno stronzo.
Mica è colpa mia, però.
No?
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
ok lo so che tipo tutte le mie note d'autore da sei mesi a questa parte iniziano così ma SCUSATE L'ASSENZA ho fatto gli esami poi mi hanno operata poi in convalescenza mi hanno tolto TUTTE LE MIE MEDICINE I MIEI PSICOFARMACI I MIEI TESSSSSORI e quindi niente ho sbroccato intinterrottamente per un mese diciamo che è stato un periodino simpaticino però sono sopravvissuta (credo?)
niente allora volevo dire che
1) ditemi se vi è piaciuto il capitolo non scrivo da quella che sembra una vita e mezza ditemi che non mi sono dimenticata come si fa vi prego <3
2) prossimo appuntamento mercoledì ma non so se con questa storia o un'altra di quelle che sto scrivendo perché NON SO COSA VOGLIA FARE LA MIA TESTA non la controllo più pls have mercy
3) vi mando un mega bacino per la pazienza che avete con me so che sono un disastro ma ecco quest'anno è stato davvero un casino però ci sono altri anni che verranno e SPERO DI RIMETTERMI A POSTO
niente un bacio ciao cuori ci vediamo presto <3
mel :D
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