𝗶'𝗺 𝗮𝗯𝗼𝘂𝘁 𝘁𝗼 𝗺𝗮𝗸𝗲 𝘆𝗼𝘂 𝗳𝗲𝗲𝗹
!! smut alert !!
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Yūji mi trascina su per le scale ridendo.
Il palazzo dove abita non sembra molto diverso dal mio, certo le scale sono un po' più ampie e l'androne un po' più pulito, ma nella foga e nell'euforia di corrergli dietro non sono riuscito a trovargli altre differenze.
Gli scalini si susseguono uno dietro l'altro, sono alticcio quanto basta per sentire quella pacifica sensazione di nervi sciolti ma non tanto da non reggermi in piedi, le sue dita sono strette e tatuate attorno al mio polso, cerco di stargli dietro.
Ci siamo messi insieme, no?
Ora stiamo insieme.
Quindi non c'è assolutamente niente di male se...
Ah, 'fanculo, non ci sarebbe stato niente di male anche se l'avessimo fatto prima di decidere che questa cosa non è una cosa ma una relazione. Ho vent'anni, cazzo, se certe cose non le posso fare io vorrei davvero sapere chi può.
Incastra le nostre mani, il palmo della sua entra a contatto col palmo della mia, il metallo freddo degli anelli è piacevole contro la mia pelle che sembra bollente, non gira sul pianerottolo, non prendere l'altra fila di gradini, va dritto verso una porta.
Mi strattona un po' più forte, mi prende le spalle, prima che possa metabolizzare mi ritrovo con la schiena piantata sul legno rigido a fianco del nome sul campanello, dita sul collo, viso piegato indietro, occhi nei miei.
Ridacchio.
Lo guardo e ridacchio.
– È davvero casa tua o non riesci a tenerlo più nei pantaloni e hai deciso che le scale del tuo condominio meritino di vederci nudi? –
– La prima, anche se la seconda sarebbe allettante, lo ammetto. –
– Allora se è casa tua perché non apri la porta? –
– Prendi tu le chiavi, Tadashi. –
La mia nuca tocca la porta dietro di me con un tonfo quasi percettibile, una delle sue mani s'inerpica fra i miei capelli, l'altra stringe un fianco, m'immergo nella sensazione di sentire il metallo del suo piercing raffreddare l'interno della mia bocca.
Mi dimentico in un attimo qualsiasi cosa m'avesse chiesto di fare e gli circondo il collo con le braccia, inarco la schiena, me lo tiro addosso.
Ha i capelli rasati, sulla nuca e ai lati del capo, e la sensazione di passarci i polpastrelli attraverso è dannatamente piacevole.
Sa di fumo ma so di fumo anch'io, il suo odore è buono, mi manda fuori di testa, la sua voce e la mia si piegano in suoni che non hanno nulla di articolato e rotolano su per la tromba delle scale, il cuore mi batte tanto forte che per un attimo credo esploderà.
Si stacca lui, per primo.
Sposta le labbra verso il mio collo.
– Le chiavi, Tadashi. –
– Le che? –
Lo spingo più forte contro l'incavo della mia spalla, sentire la sua bocca sulla mia pelle mi fa scendere un brivido di piacere giù dal principio della schiena, mi mordo il labbro per non gemere troppo forte.
– Le chiavi. Tasca destra dei jeans. –
Cerco di concentrarmi ma farlo è come riconoscere un minuscolo dettaglio in un vastissimo paesaggio naturalistico, le sue parole mi rimbombano in testa ma il modo in cui sento l'ombra dei denti contro di me mi rende impossibile obbedire.
Cos'è che devo fare?
Cos'è la destra?
Cos'è che...
Sposta il suo viso da una parte all'altra del mio collo.
Si tira su giusto il tempo di parlarmi all'orecchio.
Il sangue nelle mie vene sta praticamente bollendo.
– Se non prendi le chiavi giuro che faccio come hai detto tu prima e ti spoglio qui. A te la scelta, apriamo la porta o ti fai scopare sulle scale e facciamo un bel concerto per i vicini. –
Mi mordo forte, forte da ferirmi quasi, l'interno della bocca.
Devo...
Ci vuole più autocontrollo di quanto sembri.
Molto di più.
Allungo un braccio, tasto nella tasca destra dei suoi jeans e tiro fuori qualsiasi cosa ci sia dentro, sperando che sia la tasca giusta e di non doverlo rifare e che non smetta e che...
È la chiave.
Yūji me la strappa di mano e lo vedo con la coda dell'occhio centrare la toppa, la gira, io cado indietro ma lui mi regge e sono di nuovo contro la porta, questa volta dall'interno, quando la richiude alle nostre spalle.
Faccio in tempo giusto a buttargli un occhio, al suo appartamento.
È caotico, i mobili sono tutti diversi fra loro e tutti pieni di disegni fatti col pennarello indelebile sopra, ci sono fogli pieni di schizzi e bozze appiccicati al muro con lo scotch, una foto di Futa e Bob sulla cassettiera dell'ingresso, foto di ragazze che hanno lo stesso sorriso di Yūji accanto, lui da piccolo senza i denti davanti.
L'odore è il suo, fumo, qualcosa di speziato, qualcosa di caldo, il divano è storto, il tavolo da cucina più pieno di disegni che altro, il posacenere straborda.
È proprio casa sua, proprio...
Mi salta addosso di nuovo.
La mia coscienza si ritira come s'era ritirata prima, questa volta aiutata anche dal fatto che ora siamo effettivamente in casa e siamo effettivamente da soli.
Mi stringe forte i fianchi con le braccia, io incastro una coscia sulla sua vita, poi l'altra, mi lascio tener su dal suo corpo con la schiena ancora schiacciata contro la porta, la testa mi cade indietro quando con più intenzione morde la pelle sottile fra le mie clavicole.
Ho il livello degli occhi più in alto rispetto al suo, quando sento il bisogno di rivederlo in viso crescermi dentro, infilo le dita fra le ciocche decolorate dei suoi capelli e lo tiro indietro, cerco lo sguardo col mio.
Ha le pupille dilatate, quando mi guarda.
Io ho il fiato corto.
Mi chino per baciarlo senza dire nient'altro, lui non questiona, rimaniamo là a mangiarci a vicenda consapevoli che nessuno dei due ne sarà mai davvero sazio.
Un po' è che sono in astinenza, Yūji, lo ammetto.
Un po' è anche che tu sei così allusivo che ero dannatamente curioso di sapere come sarebbe andata quando questo sarebbe successo.
Però miseria, se anche queste due cose non fossero state vere, è proprio il modo in cui noi due c'incontriamo a metà che mi fa sentire come se il mio sangue stesse scoppiettando e il cuore fosse sul punto di saltarmi fuori dal petto.
Ci stacchiamo giusto per non morire asfissiati, fronte contro fronte, per qualche istante pare spandersi qualcosa di simile alla calma, fra noi due che tentiamo di ricominciare a respirare.
Tengo gli occhi chiusi.
Ad un certo punto lui ride piano.
– E chi l'avrebbe mai detto che comprare un mazzo di fiori mi avrebbe sconvolto l'esistenza. Dio, e io che volevo solo fare un bel gesto per un amico. –
– Che c'è, ti stai lamentando? –
Scuote il capo, preme le labbra sulle mie.
– Mai. –
– Sarà meglio. –
Stringe la bocca, ride di nuovo.
– E anche chi l'avrebbe mai pensato che il ragazzino carino che fa i bouquet in realtà fosse un tale sfrontato. –
– Tu che dai dello sfrontato a qualcuno è davvero una comica, Yūji. –
– Davvero? E come mai? –
Sposto una delle mani per potergliela ancorare sotto al viso, lo tengo fermo mentre di nuovo lo bacio sulle labbra.
– La terza cosa che mi hai detto, forse la quarta, era che avresti voluto togliermi i vestiti di dosso e fare Dio sa cosa nello sgabuzzino sul retro. –
– Non te l'ho detto, era uno scenario ipotetico. –
– Convinto? –
Guarda i miei occhi, la mia bocca, sorride col piercing incastrato fra i denti.
– No, mi sa di no. –
Gli pizzico una guancia, mi ruba un altro bacio, con calma sento le sue mani portarmi verso il basso e sgancio una gamba, poi l'altra, per rimettere i piedi per terra.
Le sue dita s'infilano fra me e la giacca di jeans, me la lascio sfilare di dosso, si volta per buttarla verso il divano mentre da solo mi levo il top di dosso, imitandolo e lanciandolo in un punto non ben definito alle sue spalle.
Quando torna con gli occhi su di me, me li scorre addosso senza la minima traccia di vergogna.
Poi allunga un braccio di lato.
Tasta un paio di volte il muro.
Accende la luce.
I miei occhi faticano ad abituarsi al lampo improvviso, sbatto le palpebre, apro la bocca per commentare ma mi precede.
– Se mi chiedi di farlo al buio piango, sappilo. – dichiara, assolutamente serio.
– Piangi? –
– Sì, piango disperato. Piegato in due e di profondo dolore. –
Ridacchio, sento i bordi delle mie labbra sollevarsi appena.
– E come mai? –
– Sei troppo bello perché io non voglia vederti mentre lo facciamo, Tadashi. –
– Sei così ruffiano con tutti o è un mio privilegio personale? –
– Non lo so, al momento non ho abbastanza sangue al cervello per ricordarmi una cosa del genere. –
Sorride, sorrido io, non do cenno di protesta nei confronti della luce accesa e lui non la spegne, mi guarda chiaramente, ora che può, mi studia il torso nudo e il viso.
– Porca troia, sei da togliere il fiato. –
– Io o le mie lentiggini? –
– Tu e le tue lentiggini, ragazzo dei fiori. –
Sento il mio viso scaldarsi, ma non è imbarazzo, non riesco a sentirmi in imbarazzo neanche se sono mezzo nudo di fronte ai suoi occhi, è più emozione, impazienza e un filo di eccitazione che inizia a diventare dolorosa.
Lo prendo dalle spalle.
– Neanche tu sei poi tanto male, sai? –
– Ah no? –
– No affatto. Compatisco i cuori infranti che dovranno sopportare questa vita senza poterti mettere le mani addosso. –
Sposta il viso, incastra il naso col mio, i nostri respiri si mescolano.
– Tutta colpa tua, prenditi le responsabilità di avermi rubato al mondo. –
– Non è la responsabilità che voglio prendere ora, Yūji. Forse dopo. Ora sono più orientato verso qualcos'altro. –
Si lecca le labbra, è un gesto veloce, istintivo.
Non mi guarda più negli occhi.
Ha le pupille ancora più dilatate.
– Allora avevo ragione. –
– Su cosa? –
– Sotto tutto quel modo di fare timidino e innocente, sei proprio una troia, Tadashi. –
Il mio viso sorride da solo.
Sento le palpebre abbassarsi, lo sguardo farsi più affilato, più onesto, il mio corpo trema da solo all'insulto che a tutto somiglia tranne che ad un insulto, inizio a sentirmi bollente nonostante la stagione sia fredda e io sia mezzo nudo.
– Forse lo sono, sì. Hai intenzione di fare qualcosa a riguardo? –
– Cristo, Tadashi, decisamente sì. –
Nel giro di un secondo prima mi bacia, poi mi prende dalle spalle, poi ancora mi gira di schiena, con le clavicole premute contro il legno della porta, la schiena inarcata dalla sua parte, gli occhi distanti da sé.
Vorrei girarmi a guardarlo ma tra la curiosità di sapere cosa intende fare e la foga di non riuscire nemmeno a respirare a pieni polmoni, non faccio altro che rimanere fermo.
Le sue dita raggiungono i miei pantaloni.
Slaccia il bottone come lo facesse di lavoro, i polpastrelli sono freddi contro la mia pelle quando li infila dentro l'elastico delle mutande, attende giusto un istante, prima di tirar giù tutto.
– Sicuro di volerlo fare? Cento per cento? –
– Sicuro, sì, sono sicuro, sono... –
– Tu mi dici no e io mi fermo, intesi? Qualsiasi cosa. Dimmi che hai capito. –
– Ho capito, giuro che ho capito, però ora muoviti, cazzo, muovi... –
Sento il tonfo sordo di qualcosa che si schianta al suolo dietro di me.
Quando le sue labbra si appoggiano sulla parte bassa della mia schiena mi rendo conto che è lui, quel qualcosa, e che si è messo in ginocchio alle mie spalle.
Vorrei dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma niente mi attraversa il cervello e allora rimango là, sull'ingresso di casa, a cercare l'aria come se qualcuno me la stesse rubando via da sotto al naso.
Mi abbassa i pantaloni e le mutande sulle cosce, mi tiene fermo dai fianchi, sento giusto un'intenzione dei suoi denti scorrere sulla pelle tinta dall'inchiostro.
– Merda, lo sapevo che era un'idea geniale quella di fartelo qui, questo cazzo di tatuaggio. – mugugna, le dita che mi spingono avanti il bacino solo perché inarchi di più la spina dorsale.
Rispondo con la voce che trema.
– Cosa vorresti dire, che l'hai fatto pensando a questo? –
– Diverse cose ho fatto pensando a questo, Tadashi. –
Ridacchia, io vorrei imitarlo ma non riesco, guardo in basso verso la mia pancia, una delle sue mani si sta inerpicando su per il mio addome.
Dio, se non fanno un bel contrasto le tue dita tatuate contro le mie lentiggini, Yūji.
Quasi vorrei fare una fo...
Si china.
Abbassa il viso, si china, la mano libera mi costringe a separare un po' le cosce, il suo respiro batte...
Cristo.
Oh, cristo.
Questa è una cosa che non ha mai fatto nessuno, credevo che esistesse solo nei libri, solo nei video online, non credevo che davvero qualcuno avesse mai intenzione di...
Porca troia, se quest'uomo non è davvero uno svergognato.
Non ha davvero il minimo grammo di pudore, non ha...
La mano sul mio addome si stringe attorno a me, la sensazione è quella di sollievo dall'eccitazione che fra le gambe iniziava a farmi quasi male, mi mordo il labbro per evitare di gemere troppo forte contro la porta di casa ma il tentativo è inutile, chiudo gli occhi, lo sento respirare di nuovo e...
La sua lingua è lì.
Esattamente lì.
Piercing e tutto, freddo del metallo e calore della carne, le mie ginocchia che tremano e la sua voce che rotola nell'aria come se stesse assaggiando qualcosa che davvero non vedeva l'ora di mangiare, mi schiaffo con non so quale forza una mano in faccia e stringo i denti sull'interno delle mie dita, il mio sangue evapora, dalle vene, tanto bollente lo rende questo stronzo sfrontato che non s'imbarazza di nulla.
È...
Strano?
Piacevole?
Incredibile?
È nuovo, è sicuramente nuovo, e se da una parte sento letteralmente la sua lingua dentro di me dall'altra la sua mano si muove piano, su e giù, con tutta la calma del mondo.
I versi che mi rotolano fuori dalle labbra nemmeno li riconosco.
Non è la mia voce, la mia voce non è così, non l'ho mai sentita così, forte e stretta nonostante cerchi di soffocarla contro le mie dita, e non so che cosa io stia dicendo e...
Mi tremano tutte le gambe.
Yūji mi tiene su senza smettere di fare quello che sta facendo.
Cazzo, conoscendolo sono sicuro come non sono mai stato sicuro di nient'altro che è andato a farsi fare il piercing alla lingua solo per questo. Convinto al cento per cento, quest'uomo che non sa cosa sia il ritegno ha pensato solo ed unicamente a questo mentre si faceva infilare un ago e una sbarretta di metallo da parte a parte.
Lui l'ha fatto per...
Muove più velocemente le dita su di me.
La sua lingua entra più a fondo, il rumore è umido, umidiccio, la sensazione di calore nel mio corpo si restringe e si concentra all'altezza della mia pancia, si contrae.
Lo sento ridacchiare, quando dalle mie labbra esce un "Dio santissimo" che non ricordo di aver detto, si stacca piano e credo mi osservi con le labbra umide di saliva e quegli occhi tanto sfacciati che fa quando parla di queste cose.
– Non solo sei carino e sei simpatico, Tadashi, hai anche un buon sapore. Le hai proprio tutte tu, eh? –
Apro la bocca per rispondere.
Vengo interrotto dal rumore di qualcosa che tintinna a terra.
Faccio appena in tempo a rendermi conto di cosa sia che nel momento esatto in cui i miei occhi si assestano sui suoi anelli che rotolano sul pavimento lui è di nuovo là, con la faccia contro di me che spinge le dita, ora libere, dove un attimo fa c'era la sua lingua.
È troppo.
Troppo.
Tra una mano che ancora non si è fermata e che ancora continua a muoversi sulla mia eccitazione, l'altra che affonda lentamente dentro al mio corpo, e la bocca che pare non avere alcuna intenzione di togliermi di dosso, io sento che è troppo.
Troppo, cazzo, troppo, io non sono abituato, sono fuori allenamento, nessuno mi ha mai fatto niente del genere e non so come reagire e...
Il braccio che mi tenevo contro il viso cade, le dita si aprono per reggermi contro la porta in un tentativo inutile, i denti mi si serrano contro l'interno di una guancia, il gemito che mi esce dalla bocca è palese, chiaro, forte e onesto.
Dio.
Oh, Dio.
Sei davvero un maledetto.
Sei davvero...
Non so nemmeno su cosa concentrarmi.
Non so se pensare al calore che sento di fronte, se sulle sue dita che si piegano dentro di me per raggiungere quel nodo di nervi che mi fa tremare i muscoli, se sullo strafottutissimo piercing che pare ghiaccio contro le mie pareti molto più calde, non so cosa pensare e...
Mi cederanno le ginocchia, di questo passo.
Cadrò a terra, me lo sento.
Non so come io ancora riesca a stare in piedi.
Non so come...
Il ritmo si fa più veloce.
I pensieri mi escono fuori dalla testa come se ormai non ci fosse più posto per loro là dentro.
Tutto quello che posso fare è continuare a gemere.
So che sto per...
Sto per...
Improvvisamente le dita strette su di me si stringono di più, più forte, e il centimetro che mi separava dal baratro diventa un chilometro, il piacere s'interrompe, sento l'orgasmo che stavo per avere cadere a pezzi di fronte ai miei occhi.
La prima reazione naturale sono le lacrime che fanno capolino sul bordo inferiore nei miei occhi.
La seconda è la mia voce che si piega.
– No, no, no, perché... –
La muove ancora, la mano dentro di me, ma così non riesce a buttami di là, mi fa solo sentire più bisognoso, più lagnoso, più disperato.
– Che c'è, fa male? –
– Sì, fa male, fa malissimo, perché... –
Ride.
Lo stronzo ride.
Io porto una mano dalla sua parte e a tentoni cerco i suoi capelli, cerco di spingerlo verso di me ma non si sposta nemmeno di un millimetro.
– Le cose belle le devi patire un po', Tadashi, non te l'ha mai detto nessuno? –
– No, non voglio patirle, non voglio, Yūji, per favore, per... –
– No? Non ti va più? Smetto? –
Mi esce dalla gola un verso così penoso, così disperato, che se davvero non stessi per mettermi a piangere me ne vergognerei all'inverosimile.
Però sto per mettermi a piangere.
E della vergogna non m'interessa davvero più niente.
Spiaccico la guancia contro la porta, giro la testa più che posso, lo cerco con lo sguardo.
Sorride.
C'è...
Cattiveria?
Forse strafottenza.
Mi lecca lo spazio dilatato dalle dita guardandomi fino in fondo alle pupille.
Gemo di un misto di piacere e dolore di fronte alla sua faccia.
– Come si dice, Tadashi? –
– Co... cosa? –
– Come si chiede? –
Mi tremano le gambe.
Sento una lacrima scendere sulla mia guancia.
– Per... per favore? –
– È una domanda o un'affermazione? Scusami, se non sei chiaro proprio non riesco a capirti. –
Sussulto a sentirlo stringermi più forte.
Altre lacrime si accodano a quella già caduta sul mio viso.
– No, no, sono sicuro, giuro, per favore, ti prego, ti prego, Yūji, ti prego, ti... –
A quanto pare vederlo pregarmi lo soddisfa.
Gli disegna proprio una bella espressione arrogante in volto.
Lo fa cedere.
Si stacca, si passa la lingua fra le labbra non come fa di solito, per bagnare le labbra secche, ma proprio come se avesse appena divorato qualcosa di delizioso, sbatte le palpebre, gli angoli della sua bocca si sollevano.
– Visto? Che dicevo, io? Troia. Sei proprio una troia. –
E mi viene l'istinto di rispondere ma non riesco, perché scioglie la pressione che stava facendo su di me, muove il polso un paio di volte e io smetto persino di vederci trascinato via da un piacere che mi fa tremare non solo i muscoli ma praticamente ogni singolo osso del corpo.
È ancora più destabilizzante del normale.
È un fuoco d'artificio dentro la mia cassa toracica, la miccia accesa dalla negazione che fino ad un attimo fa mi stava imponendo.
Mi sento cadere, immagino di farlo perché le mie ginocchia non sono più articolazioni ma gommapiuma, la mia voce si esibisce in qualcosa di osceno, l'appoggio che cerco con le mani aperte sul legno non lo trovo, si sente il rumore della pelle sudata che striscia in basso e poco più.
Torno, non dico in vita ma quantomeno dentro al mio corpo, col petto che si alza e si abbassa forsennatamente, le mani che vibrano, il retro delle cosce premuto contro i polpacci e le ginocchia a terra, il mio cuore batte ad una velocità che io non credo sia sana.
La cerco, l'aria, cerco il respiro, ma non riesco, non...
– Tutto bene? –
La sua voce mi arriva all'orecchio come se mi stesse parlando ad un centimetro di distanza.
– Dimmi che va tutto bene, su, così posso trascinarti di là. –
Trascinarmi di là?
No, non puoi trascinarmi di là, io avrò bisogno di almeno sei mesi di riabilitazione per riprendermi da questo, te l'ho detto che sono fuori allenamento e anche non lo fossi stato tu comunque sei una maratona a parte, io non so se...
– Respira, Tadashi, respira. –
Questa volta più che questionare, obbedisco.
Lascio che le sue mani mi portino verso di lui, che la mia schiena si appoggi contro il suo petto, guardo fisso di fronte a me, prendo aria cercando di calmarmi.
La sensazione delle sue labbra sulla mia tempia aiuta.
Anche le sue dita che mi tolgono definitivamente i pantaloni e le mutande, aiutano, che piegare le gambe incastrate nel tessuto non era facile, ora mi sento più libero.
Sento la vita ricominciare a scorrermi nelle vene poco a poco.
Ci metto un po' più del previsto, ad articolare delle parole di senso compiuto.
– Cazzo. – dico, e ottengo di risposta una mezza risata.
– Oh, almeno hai ricominciato a parlare. Credevo di averti rotto. –
– Mi hai rotto, per la miseria, sì che mi hai rotto. Ora avrò bisogno di stendermi per almeno due ore per... –
– Ma che stenderti, dove credi di andare? –
Ricomincia a stringermi la vita.
E non c'è più l'affetto, no, c'è...
– Io e te non abbiamo nemmeno iniziato. –
Di nuovo come prima, senza chiedere e senza questionare, mi sposta come un oggetto e fa di me quel che vuole. Si tira su in piedi, mi carica di peso, mi tiene in spalla come una conquista mentre marcia verso una delle porte.
– Yūji, non vorrai seriamente... –
– Certo che voglio. E fidati, lo vuoi anche tu. Smetti di far finta di no. –
– Ma io... –
– Ma tu cosa? Sei stanco perché sei venuto? Una volta sola? Sul serio? –
Sento il ponte del naso arrossarmisi appena.
– Dio, se non ti hanno abituato male. Ma non ti preoccupare, ci sono qui io per rimettere i tuoi standard dove devono stare. –
Gli pizzico la schiena.
– I miei standard vanno benissimo. –
– Sì, certo, come no. Li hai praticamente rasoterra, Tadashi. –
– Un orgasmo per serata non è rasoterra. –
– Lo è. Dammi un mese di relazione e alzeremo la tua tolleranza almeno a cinque. –
– Cinque? Ma sei fuori di testa? –
Sposta la mano sulla maniglia di fronte a sé, si ferma per accendere la luce, mi rendo conto che siamo in camera sua quando mi scarica sul materasso e mi guarda dall'alto, ancora in piedi, steso fra le sue lenzuola.
– Te lo farei vedere stasera ma inizio a temere che potresti creparmi d'infarto. – sentenzia.
– Ecco, hai ragione. Quindi non cinque. Assolutamente non... –
– Tre? –
– Due. –
Storce il naso.
– Detesto i numeri pari. –
– E io detesto gli attacchi di cuore. –
Appoggia una mano sul materasso, io mi spingo dalla sua parte con quel che rimane delle mie gambe, si china per baciarmi.
– Due più uno, il secondo ora, il terzo quando ci svegliamo domani mattina. –
– Andata, me lo segno. –
– Perfetto. –
I nostri nasi si sfiorano, le sue labbra e le mie si toccano, il calore che mi si era dissipato dal corpo ricomincia a farsi strada pian piano.
Mi godo le sue dita su di me, gli afferro le spalle, infilo le mani contro la sua vita, contro la sua cintura, contro i passanti dei jeans, ha caldo anche lui, lo sento anche solo toccandolo.
Ci stacchiamo piano.
– E tu? Tu quanti a serata, Casanova? –
– Sinceramente non m'interessa. Mi eccita più vederlo fare che farlo. –
– Wow, il tuo spirito di abnegazione è ammirevole. –
Sposta il viso, mordicchia il punto dove il mio collo s'interseca con la mandibola.
– Che ci posso fare, ci sono nato, altruista. –
– Forse più guardone. –
– Naah, preferisco altruista. –
Ridacchiamo insieme, poi mi lascio cadere indietro sul materasso, tenuto su dai gomiti e basta, lo colpisco piano su una delle gambe con la caviglia stesa.
– Su, bando alle ciance. Fuori la mercanzia, spogliati. –
– Cosa stai dicendo? Che vestito non vado bene? Mi stai oggettificando, Tadashi? –
Annuisco.
– Assolutamente. Quindi chiudi il becco e levati i vestiti di dosso. –
Ride, rido anch'io, si sveste in un attimo.
Non so se volessi vederlo farne uno show o cos'altro, so che alla fine della fiera mi soddisfa che ci metta poco, perché nonostante sia ancora col cervello fra le nuvole e il corpo intorpidito, dire che non voglio averlo addosso è una menzogna.
Si sfila la maglietta, la giacca l'ha lasciata per casa mentre mi portava qui, i jeans volano fuori dalla porta, qualsiasi altra cosa portasse fa la stessa ignobile fine, rimane alla fine solo in mutande, com'era stamattina nella mia cucina, di fronte al letto.
Per un momento ci guardiamo a vicenda.
Lui scorre con lo sguardo sul mio corpo completamente nudo, sembra volerne seguire ogni lentiggine, ogni curva, ogni linea, io immergo gli occhi dentro alla trama intricata dei suoi tatuaggi, a come si mescolino col colore caldo della sua pelle, a come si spostino piegati dalla forma dei suoi muscoli.
Porta le iridi sulle mie.
– Sei bellissimo, Tadashi. –
Sorrido.
– Anche tu. –
Poi le mie cosce si separano, lui ci si infila in mezzo e ricominciamo da dove c'eravamo fermati, io un po' più stanco, lui un po' più svestito.
Mi passa le mani ovunque, sui fianchi, sul petto, incastra le dita attorno ad un capezzolo, gemo nella sua bocca, ma poi passa oltre e mi tiene il viso, mi tira appena i capelli. Di rimando anch'io faccio lo stesso, le unghie che sfiorano le scapole tatuate, le ginocchia che gli si chiudono addosso.
Sì, forse due posso ancora farcela.
Dopo sarò da buttare, ma ho decisamente altra eccitazione da smaltire.
Inarco la schiena quando ferma le labbra di nuovo sul mio collo, la lascio cadere indietro, una mano vola in alto per aggrapparsi alla testiera del letto, lo stringo contro di me, muovo il bacino.
Dio, fa frizione contro di lui.
È piacevole, anche se c'è un po' di dolore al fondo per aver ricominciato così presto, è...
Si tira su da me, sulle ginocchia, gemo in protesta alla perdita di contatto, riapro gli occhi.
Lo vedo prima sporgersi verso uno dei comodini, poi gettare una bottiglietta di lubrificante fra le lenzuola, poi ancora fermarsi di fronte a me con l'espressione seria.
– Ho fatto il test all'ospedale lunedì. Sono pulito. Vuoi che... –
– Io due mesi fa e da allora non ho più visto manco l'ombra di un uomo. No, non serve. –
Sorride, annuisce.
– Perfetto. –
– Ok. –
Mi prende una coscia fra le mani e la stringe, cerca lo sguardo col mio.
– Possiamo andare avanti? Sei ancora con me? –
– Se non fossi con te non so dove altro potrei essere. –
Mi bacia un ginocchio.
– Sei adorabile. –
– Non ero una troia? –
– Dammi un secondo. –
Ride piano, strofina la guancia dove prima mi ha baciato, poi respira un paio di volte, si riprende e torna la persona che era un attimo fa sulla porta di casa.
Sa cosa deve fare, sa come farlo, non si fa assolutamente alcun problema.
Mi chiede di passargli un cuscino e mi tira su per appoggiarmelo sotto al bacino, prende il lubrificante fra le mani, me ne spreme un po' addosso e impiega giusto un secondo per preparare il mio corpo già pronto dalle cure di prima, poi incastra le mani contro le sue stesse mutande e tira giù.
Guardo perché non vedo perché non dovrei farlo.
E quando guardo mi cade la mascella e non è soltanto per le dimensioni.
Lui ha...
Ha...
Con la coda dell'occhio che di staccare lo sguardo proprio non se ne parla, lo vedo sorridere.
– Dai, non dirmi che non te lo aspettavi. Sarebbe stato più strano senza. –
Si versa un po' di lubrificante sul palmo di una mano, se la stringe addosso, muove le dita giusto un paio di volte.
– Che c'è, non ti piace? – aggiunge poi.
Io cerco la saliva dentro una bocca completamente secca.
Sbatto le palpebre.
Deglutisco con la sabbia nella gola.
Lui ha un piercing lì.
Lì.
Esattamente...
È folle.
Quest'uomo è completamente folle.
E svergognato, e sfrontato e sfacciato, e senza pudore, e...
– Mi piace. –
– Ti piace? –
Annuisco inebetito.
Lui ridacchia.
– Dai, un'altra volta ti faccio pure sentire che sapore ha. –
Poi, prima che io possa imbarazzarmi o strozzarmi con la saliva, mi prende il retro delle ginocchia, mi sistema la schiena, mi spalanca le cosce sul letto e si avvicina a me.
Stringo forte le dita sulla testiera di metallo.
Cerco di rilassare i muscoli.
Quando entra lo fa lentamente.
Un centimetro alla volta, e non sono pochi, fino a fondo nel mio corpo.
Sento caldo e sento il mio cuore che mi rimbomba nelle orecchie, il metallo è freddo ma la sua pelle è bollente, quella punta di gelo nella sensazione straziante mi fa un effetto particolare, quasi mi concentra, mi permette di provare tutto senza lasciar andare nemmeno un dettaglio.
L'angolazione è perfetta, il suo corpo raggiunge il mio, per qualche momento si ferma, mi cerca, specchia gli occhi nei miei.
Non so se vorrei dirgli di muoversi.
Non so se vorrei dirgli di rimanere immobile com'è.
So che per un intervallo di tempo indefinito stiamo là, a guardarci, tra le luci elettriche e il disordine dei nostri vestiti disseminati per casa.
Yūji, porca miseria.
Tu davvero non sai che cosa mi fai, come mi rendi.
Ho passato una vita intera a pensare troppo e a fare qualsiasi cosa col peso dell'ansia sulla mia trachea, ho passato una vita intera a tenermi strette le redini del mio carattere cercando di nasconderlo a tutti, sperando che nessuno si accorgesse che non avevo niente del pacifico timido insicuro che facevo finta di essere.
Ero convinto che non sarei piaciuto a nessuno se fossi stato com'ero.
Ero convinto che per me ci sarebbe stato un posto solo se me lo fossi preso senza dire niente a nessuno, se mi ci fossi infilato senza disturbare nulla della quiete e della pace degli altri.
Ho vissuto vent'anni senza ridere troppo forte, senza dire chiaramente quello che volevo, senza impormi, senza urlare, senza litigare, senza mostrare fuori dal mio guscio nessuna emozione avesse davvero il diritto di definirsi tale.
Ma tu...
Tu...
Tu nemmeno mi ci fai pensare, che non ci sia un posto, e nemmeno mi ci fai pensare, che potrei non piacerti. Non riesco a farmene un dramma, con te, non riesco nemmeno a chiedermelo.
Me lo rendi così facile che non riesco a capire perché prima pensassi diversamente.
Mi fai sentire sicuro e protetto e amato, anche se invece di nascondermi m'immergo fino ai capelli nel riflettore dell'attenzione altrui.
Sono scappato di casa, mesi fa.
Ma non mi sento nostalgico, adesso.
Perché quella non era casa.
Tu sei casa.
Tu, Bob, Futa, i tatuaggi, i locali, i fiori, il viscido che vuole il mio numero, i pretendenti che mi taglieranno la gola perché ora tu stai con me, i cristalli e l'incenso, il tè, il latte di riso, i libri versione tascabile sul bancone del negozio dove lavoro, le chiamate la sera per sentire come stai, le tue dita su di me e le tue labbra sulle mie.
Voi siete casa.
E Dio quanto mi piace ora, poter dire che sono a casa.
Sciolgo le dita dalla testiera del letto, aggancio le braccia dietro al suo collo, lo spingo verso di me e apro le labbra.
M'incontra a metà strada.
Mescola la lingua con la mia, l'aria che respiriamo è la stessa, si muove piano sul mio corpo.
È dolce, all'inizio, come se volesse farmi abituare alla sensazione di non essere più l'unico dentro me stesso, mi appoggia la fronte su una delle tempie, mi accarezza, mi prende con calma.
Ci vuole un attimo perché mi rilassi completamente.
Quando lo faccio, qualsiasi cosa il mio corpo provasse diventa piacere, la mia voce torna a stringersi, il mio corpo reagisce, e Yūji sa che sono pronto a qualsiasi cosa voglia darmi.
Mi bacia di nuovo, poi torna su, distante da me, e mi guarda fra le mie gambe aperte col sorriso che da affettuoso è ora tornato sul malefico.
Si sporge oltre me.
Stringe una mano sulla testiera del letto.
Vedo i muscoli contrarsi, l'inchiostro soccombere alle pieghe che il movimento genera sulla sua pelle.
Mi apre le dita libere sul petto.
– Sì, il prossimo te lo faccio qua. Mi piace, qua. – borbotta, più per se stesso che per me.
– Ti piace vedermi qualcosa di tuo addosso quando sono senza vestiti? – rispondo, il fiato un po' corto ma ancora risparmiato dal ritmo dolce e lento.
– Oh, Tadashi. –
Mi spinge più forte, più forte contro il materasso, mi tiene fermo immobile, fa quasi male.
– Tutto quello che vedo quando sei senza vestiti è mio. Non ho ragione? –
Si ferma.
Io lo guardo.
– Sì, hai ragione. Hai ragione, Yūji. –
E poi quando si muove qualsiasi cosa ci fosse prima viene spazzata via dal rumore della sua pelle che sbatte contro la mia.
Improvvisamente non so più dove guardare, non so più cosa pensare, non so più dove mettere le mani.
Mi ritrovo incastrato fra la sua mano e il letto, immobile, sballottato dal suo corpo che esce ed entra dal mio, la testiera sbatte contro il muro, i miei ansimi si fanno gemiti, è così aggressivo che sento persino una punta di dolore farsi strada dentro di me.
Tiene la mascella stretta, mi fissa come se non volesse perdersi un istante, chiama il mio nome, di tanto in tanto, e amo che lo faccia perché mi ricorda che è qui con me per davvero.
Stringo una delle mani fra le lenzuola, l'altra avvolge il suo polso sul mio petto, la fatica di sentirmi agitato contro la mia stessa volontà mi spreme via le stesse lacrime di prima dalle ciglia, sento gli occhi lucidi, le labbra umide, il cuore in gola.
È che non mi dà nemmeno il tempo di rendermene conto.
Nemmeno il tempo e il suo corpo è dentro di me, nemmeno il tempo ed è fuori, e da capo.
Io non farò mai più sesso con nessun altro nella vita, dopo questo.
Spero abbia buone intenzioni con me, oppure...
La sua mano sul mio petto sale.
Supera le clavicole, s'assesta sul collo.
Non dice niente, ma aspetta.
Io annuisco forsennatamente.
Lui stringe.
Non mi taglia il flusso dell'aria, la pressione è ai lati del collo, è il sangue che fa fatica ad arrivare. Respiro, ma col cervello che inizia a fluttuare, la mia stessa voce nell'aria mi sembra distante anni luce.
Dio, Dio, Dio.
Ad ogni boccata d'aria che prendo il suo corpo dentro al mio me la strizza via dai polmoni.
Non credo che questo sia umano.
Non credo che...
Lascia andare.
I miei occhi tornano a concentrarsi.
Apro bocca per chiederne ancora ma non riesco a formulare le parole, lui però capisce e fa quel che desidero.
Sorride, una goccia di sudore scende dal suo viso sul mio, mi guarda come se mi adorasse e mi detestasse allo stesso momento, c'è affetto ma c'è anche tanta di quell'arroganza che si porta sempre dietro.
– Non riesci nemmeno a parlare ma sei già qui a chiederne ancora? Sì, sei assolutamente il bravo ragazzo che pensa tua madre. –
Vorrei rispondere ma i miei occhi sono vacui, le iridi rotolate indietro, la mia schiena disegna un arco nell'aria e le caviglie sono allacciate fra di loro dietro la sua vita per spingermelo più forte addosso.
– Proprio un bravo ragazzo, sì. – ripete, sciogliendo la presa e lasciandomi ad ansimare.
Non stringe una terza volta, ma mi prende il viso. Non è dolce, non delicato, m'impone di guardarlo.
– Tutti i bravi ragazzi si fanno scopare come fai tu, vero? Pregando di averne ancora come la peggiore delle puttane. –
Non so se vorrei parlare o cos'altro, so solo che il ritmo diventa più serrato, i suoi denti si stringono più forte, impreca un paio di volte sottovoce, come se non riuscisse a controllarsi tanto bene nemmeno lui.
– O sono io fortunato ad averne beccato uno un po' diverso? –
Annuisco come posso.
Annuisco.
Sì, sei tu, sei assolutamente, chiaramente, definitivamente...
Alzo le braccia per prendergli il viso, le mani mi scappano sulle sue guance perché mi sta sballottando troppo forte e una patina di sudore ricopre entrambi, però mi sforzo, mi...
– Solo tu, solo tu. – gli dico.
– Solo io? –
– Sì, solo tu. –
Sorride.
Pare per un secondo appoggiarsi su una delle mie mani.
Poi molla la testiera del letto, si tira su sulle ginocchia, mi stringe i fianchi con le mani e da lì, è tutto troppo veloce.
Con entrambe le mani su di me, con la stretta di metallo nello spazio dove la mia vita è più stretta, mi sposta da sé.
E i gemiti diventano così alti che il condominio intero ci ascolterà, perché non rallenta, non aspetta, e insegue qualcosa che porta anche me verso la direzione che volevo raggiungere.
Non so quando vengo, di preciso.
Non so nemmeno se sia soltanto una volta.
Per minuti interi sento soltanto questa euforia dilagante che mi intorpidisce il corpo, sento la sua voce un po' distante che mi chiama, sento il rumore umidiccio del sesso, mi lascio andare, annego nel piacere e lascio che faccia di me quel che vuole.
Lo sento, che anche lui finisce, perché lo sento dentro di me.
Ma...
Non sono più corporeo, per un po'.
Sono più in su, adagiato in un paradiso di cose meravigliose, completamente eroso dell'intelligenza e della razionalità mi godo la sensazione di Yūji che letteralmente mi scopa via il cervello dal cranio.
Oh, ora sì che capisco.
Siete tutti incazzati che non potete riaverlo più ora, eh?
Che ci posso fare.
Io ora che me lo sono preso, me lo tengo.
'Fanculo, cercatevene un altro, ammesso che esista.
Mi sento così contento e tranquillo e felice e rilassato spoglio del mio corpo che mentre mi riprendo mi viene da ridere. Rido piano, con la cassa toracica che trema, ricomincio a vederci chiaro e sento anche Yūji che ride, ancora in ginocchio, dentro di me, con l'espressione euforica e scioccata quanto me.
Ridiamo.
Mi lascia cadere sul letto che continuiamo a ridere.
Mi raggiunge per baciarmi che nessuno dei due smette.
Diventa più piena, la risata, poi si affievolisce, lo accarezzo piano quando mi bacia, lo guardo negli occhi.
Parla come se le parole che dice non fossero enormi, come se non avessero il peso che hanno, come se fossero tanto genuine da sporgergli fuori dalle labbra senza il timore di cosa significhino.
– Ti amo, Tadashi, lo sai? –
Annuisco.
– Lo so. Anche io ti amo. –
– Dici che i vicini domani mi cacciano dal condominio? –
– Dico che menomale che siamo da te e non da me, non vorrei essere io quello che non sa se avrà una casa domani. –
– Guarda che se mi lasciano a piedi vengo a vivere da te. –
– Col cazzo, dormi nella sala comune dello studio. –
Ride, rido anch'io.
Mi bacia piano.
– Dio, il mio ragazzo è davvero uno stronzo. –
Faccio "sì" con la testa.
– Lo è. –
Un mese dopo, i gomiti sul bancone del negozio, un tatuaggio nuovo in via di guarigione sul petto, un fidanzato nuovo di zecca che grazie al cielo non vive a casa mia, mi annoio.
Guardo lo scacciapensieri appeso alla cima della porta d'ingresso, sbuffo, e mi annoio.
Sto per morire di noia, davvero.
Non c'è nessuno che compra fiori a quest'ora e sono minuti interi che sto qui fermo come un cretino ad aspettare, la giornata che fino a stamattina sembrava decente ora è diventata un millennio viscoso che ci mette troppo a scorrere, i secondi non passano più, figurarsi le ore, mi sembra di cadere a pezzi.
Mi annoio terribilmente.
Tanto che potrei rimanerci.
Potrei avvizzirmi e seccarmi e diventare cenere e lasciarmi soffiare via dal vento di questa giornata infinita.
Potrei diventare un vegetale come quelli che mi circondano, mettere radici, farmi crescere le foglie e i fiori e i frutti, cristallizzarmi nell'attimo corrente che sembra non volermi lasciar andare mai più.
Dio, che noia.
Che noia.
Che...
Lo scacciapensieri tintinna.
La porta d'ingresso si muove.
La noia cede, anche se è così insistente, falciata via da jeans scuri, tatuaggi e unghie dipinte di nero.
– Amore, scusami, lo so che stai lavorando, ma Futa mi ha bandito dal negozio per mezz'ora e mi è venuto in mente che io e te dovremmo proprio andare a fare una conversazione sui massimi sistemi della vita nel tuo sgabuzzino per passare il tempo. –
Alzo le sopracciglia.
– Ti ha bandito dal negozio? –
– Ho detto che il suo incenso nuovo puzza di camera da letto di un uomo etero. –
– Si è incazzato che hai insultato il suo incenso? –
– No, non si può dire "etero" nello studio. Non senza chiedere il permesso. –
Mi allontano dal bancone, prendo le chiavi del negozio da uno scaffale sul retro.
Gliele lancio e le prende al volo.
– Chiudi la serranda, la nostra è una conversazione privata, non vorrai che qualcuno la ascolti. –
– Ecco, a proposito di ascoltare cose, hai ascoltato l'audio che ti ho mandato prima? –
Faccio spallucce, inizio a sbottonarmi la camicia che ho addosso.
– No, non mi ero accorto che me l'avessi mandato. –
Punta il telecomandino della serranda verso l'uscita e il rumore del metallo interrompe per un attimo la nostra conversazione.
Quando raggiunge la metà della vetrina lascia perdere, infila le chiavi in tasca, si sbottona i jeans.
– Domani mattina ho un appuntamento che è saltato, se vuoi possiamo fare quel tatuaggio di cui parlavamo l'altro giorno. –
Mi sfilo la maglietta, lui s'infila oltre il bancone.
– Non mi tatuerò il tuo nome sulle chiappe, Yūji, scordatelo. –
– Non quello, quell'altro. Le ortensie sulla pancia. –
– Ah, ok, allora va bene. Che ortensie siano. –
Chiude la porta dello sgabuzzino alle sue spalle.
Ci saltiamo addosso prima di dire qualsiasi cosa.
Mi batte forte il cuore, al pensiero che davvero domani mi tatuerà le ortensie.
E non perché siano un fiore che mi piace esteticamente.
Ma perché le ortensie, sono il fiore delle persone che si amano davvero.
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dico tutto nei ringraziamenti qui giusto un secondo per chiedere se vi sia piaciuto e niente see u in a minute
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