𝗶 𝗸𝗻𝗼𝘄 𝘄𝗵𝗮𝘁 𝘆𝗼𝘂 𝗻𝗲𝗲𝗱

!! mild SMUT ALERT (non c'è niente di esplicito ma il linguaggio è piuttosto grafico) !!

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

Strizzo gli occhi nel buio della mia stanza.

Perché mi sono svegliato?

Che ore sono?

È già mattina?

Cosa diavolo sta succedendo?

È stato un sogno? Un incubo? È stato...

La ferocia con cui la suoneria del mio cellulare m'inchioda aperte le palpebre mi sommerge come una doccia fredda.

Ah, ecco cos'era.

Era il mio telefono.

Il mio telefono che...

Squilla?

Nel bel mezzo della notte?

Perché squilla a quest'ora?

Qualcuno è morto? C'è un'emergenza? Sta andando a fuoco qualcosa, mi hanno licenziato, uno dei miei parenti ha fatto un incidente?

Sento i pensieri confusi nella mia mente iniziare a frullare dentro le pareti del mio cranio, il mio corpo è troppo intorpidito per seguire qualsiasi direttiva il mio povero cervello s'impegni a dargli, rimango per qualche secondo solo là, spaventato, incerto, decisamente rincoglionito, fermo ad ascoltare il ripetersi della mia suoneria che rimbomba ora, a quest'ora della notte, come campane a morto.

Potrei non rispondere.

Aspettare che smetta di suonare e tornare a dormire.

Sotterrarmi nella sabbia sottile dell'ignoranza e far finta di non vedere le onde infrangersi contro di me.

Potrei fuggire.

Potrei farlo.

Potrei...

Prendo il telefono dal comodino, neppure guardo il contatto che mi sta chiamando, scorro col dito sull'icona verde, appoggio lo schermo al mio orecchio.

– Pronto? Chi... chi è? –

– Tadashi, mi apri la porta? Sono sotto. –

Eh?

Sto sognando.

Sto sicuramente sognando.

Magari sono sonnambulo e invece di camminare come un normale sonnambulo mi sono fumato un chilo di crack mentre credevo di dormire e ora sto allucinando.

Più probabile la prospettiva del sogno, però, ecco...

– Tadashi, ci sei? Mi senti? –

Respiro.

– In che senso sei sotto? È tardi, e come fai a sapere dove abito? –

– Le tre di notte di sabato non sono "tardi" e ti ho accompagnato a casa la settimana scorsa. Dai, fa freddo, puoi aprire? Mi conosci, lo sai che non sono un malintenzionato, giuro che non rubo niente. –

– Giuri che non rubi nie... un attimo, ma che cosa ci fai qui? Perché sei qui? –

– Perché ho un'emergenza. –

– Un'emergenza? –

– Una grave, pericolosissima emergenza. –

– Stai male? È successo qualcosa? –

– Posso spiegartelo su? Dai, ti prego, ti prego, ti prego, ti preeee... –

Agito la testa per cercare di svegliarmi. È inefficace, l'unico effetto che ottengo è quello di sentirmi più rincoglionito. Strizzo gli occhi di nuovo, me li strofino con la mano libera.

– Ma sono in pigiama. –

– E allora non puoi farmi entrare? Cosa usi come pigiama, una maglia con su scritto "odio le donne e i froci amo la carne e le emissioni inquinanti delle multinazionali"? –

Mi scappa da ridere, lo faccio. Subito dopo sbadiglio, mi copro istintivamente la bocca con la mano nonostante sia da solo, mi stiracchio la schiena.

In effetti, non è che abbia tutti i torti.

E poi...

Sì, devo ammettere che lo scenario mi sembra ancora estremamente improbabile, e anche che sono sicuramente sorpreso, però... non c'è nessun motivo per cui non dovrei farlo salire. Domani nemmeno lavoro, per cui...

– Mmh, arrivo. Secondo piano, la prima porta a destra. Non far casino su per le scale che i miei vicini hanno dodicimila anni e poi mi bullizzano alle assemblee condominiali. –

– Dio, Tadashi, sei il migliore. Grazie. –

– E di che, figurati. –

La chiamata si stacca, mollo il telefono sul letto, con la flemma di un condannato a morte getto le gambe oltre il materasso e mi tiro su in piedi.

Da quando ci siamo baciati è passata una settimana.

Non ne abbiamo più parlato.

Abbiamo fatto entrambi finta che non fosse mai successo.

Non è stata una scelta dolorosa, non è uno di quei silenzi imbarazzati dove ti senti respinto e neghi qualcosa perché ti ferisce pensarci, non è questo.

È che...

Da una parte non ne abbiamo avuto modo, dall'altra... sono convinto che serva ad entrambi un po' di pazienza per mettere in chiaro le cose nella testa senza che vengano rimescolate costantemente dal presentarsi così insistente dell'attrazione sessuale.

Già non mi è facile capire cosa provo in generale, se poi ci aggiungo che quando mi ritrovo a guardarlo il mio cervello fa le valigie e si trasferisce verso sud, certo la situazione non è delle più ottimali.

Quindi, ecco, sicuramente un po' di calma è quel che mi serve.

E credevo pensasse la stessa cosa, ma sinceramente a questo punto non ne ho idea, visto che sono qui, ora, in questo preciso istante, ad aprirgli la porta di casa mia alle tre del mattino.

Dio, un giorno forse capirò cosa gli passa per la testa.

Domani, forse, dopodomani, fra un mese.

Sicuramente non oggi.

Con un po' di fatica mi oriento nel buio della casa, non voglio accendere le luci perché sento che i miei occhi non ce la farebbero a sopportarla, mi sposto a tentoni fino alla porta d'ingresso.

Premo il bottone per aprire l'ingresso principale, giro la maniglia, infilo la testa fuori verso l'androne del condominio in attesa che una faccia familiare mi si presenti davanti.

"Un'emergenza".

Immagino.

Considerato il tuo tono di voce e come le parole s'appiccicavano una con l'altra, immagino davvero.

Ma dopotutto ripeto, domani non lavoro, quindi non rovinerà la mia vita prestarmi una volta tanto a questo tuo essere così...

Caotico.

Vedo una mano spuntare sul corrimano, stretta come se potesse sfuggirgli, sento il fiatone di qualcuno che sui gradini ci ha lasciato almeno uno dei due polmoni, poi vedo un braccio tatuato, l'altro, i capelli decolorati, gli occhi, e...

– Cazzo, queste scale di merda girano. –

– Forse sei tu che dovresti bere di meno. –

– No, sono loro, giuro che sono loro! –

– Non urlare, è tardi. –

– Ah, già, i vicini. Scusa. –

Si arresta sul pianerottolo, il suo petto sale e scende in fretta, riempiendosi e poi svuotandosi dell'aria circostante, tiene per qualche istante la testa china.

Lo guardo attraverso le luci elettriche del mio condominio.

Festa?

Festa.

Ha lo smalto messo da poco, non sbeccato come gliel'ho visto stamattina, e ha i jeans quelli neri, quelli belli, quelli coi disegni di Bob sopra fatti con la vernice spray dei graffiti. Stringe un bicchiere in una mano, ha la matita nera colata sotto gli occhi, sento da qui l'odore del fumo mischiato con quello del suo profumo.

Riprende fiato.

Dopo qualche istante, riprende fiato.

Raddrizza la schiena, prende un sorso da qualsiasi cosa si sia portato dietro, alza lo sguardo verso di me.

Quando i suoi occhi incontrano i miei, gli vedo in viso...

Sollievo?

Sorride.

Qualcosa nel suo volto, nella sua postura pare sciogliersi, ammorbidirsi, allentarsi, come se stessi rimuovendo una qualche tensione da lui.

– Ciao, Tadashi. Grazie per avermi aperto, è stato molto carino da parte tua. –

Nascondo una mezza risata.

– Yūji, quanto hai bevuto? –

– Un po'. –

– Un po' quanto? –

– Un po' tanto. –

Spiaccica una mano sul muro, fa tentativamente un passo, si rende conto di avere più controllo del previsto sulla superficie piana e smette di reggersi, mi si avvicina.

– Mi fai entrare? –

– Dovrei? –

– Non lo so, ma so che potresti. –

Quando mi si pianta di fronte non indietreggio, solo alzo il viso per continuare a guardarlo negli occhi, quasi nemmeno tremo a sentire una delle sue mani appoggiarmisi fra il collo e la spalla, un po' per reggersi in piedi, un po', forse, anche solo per toccarmi.

– Ti presenti sbronzo alle tre del mattino a casa di tutti i tuoi amici, Yūji, o sono solo io il fortunato? –

Pare ignorare la domanda, invece mi si avvicina ancora, china la fronte, quasi tocca la mia.

– È tutta la sera che ti penso. –

Sento il mio fiato farsi più breve, il mio cuore iniziare a battere un po' più velocemente nel mio petto.

– E allora hai deciso di presentarti qui perché non ce la facevi più? –

– Esattamente. –

Lo sguardo mi cade sulle sue labbra per un attimo.

Sospiro.

Indietreggio staccandomi da lui, gli lascio spazio verso l'ingresso di casa mia e facendolo lascio scattare l'interruttore della luce.

– Allora prego, benvenuto nel mio regno. Togliti le scarpe che ieri ho passato lo straccio. –

Mi guarda con la mano ancora a mezz'aria, tesa verso di me, pare voler protestare, volermi chiedere di tornare dov'ero, ma poi non lo fa, solo entra in casa mia, si chiude la porta alle spalle e si sfila i Dr. Martens borchiati l'uno con l'altro mollandoli là dove sono senza pensarci.

– Posso sedermi sul divano? –

– È fatto per sedercisi sopra, Yūji, sì. –

– Reggi questo. –

Mi passa il bicchiere che ha in mano, mi rendo conto quando lo prendo in mano che non è di plastica come credevo, ma di vetro, e dopo essermelo portato vicino al viso qualsiasi ingenua ipotesi che il liquido trasparente fosse acqua vola giù dalla finestra del salotto.

Gin.

Questo ubriacone.

Si destreggia con un po' di indecisione fra il tavolino di fronte al divano e la poltrona che mi sono portato da casa quando mi sono trasferito, ha le gambe lunghe e l'appartamento dove vivo non è grande, i mobili sono molto vicini perché non c'è tanto spazio, ma alla fine ce la fa, riesce a sedersi.

Batte il cuscino al suo fianco non appena se ne rende conto.

Mi fa gli occhi dolci e il sorriso da scemo.

– Vieni qui con me. –

– E questo dove lo metto? – indico il bicchiere con lo sguardo.

– Sul tavolino, devo ancora finirlo. –

– Sicuro che poi non ti senti male sul mio tappeto? –

Mi guarda, batte di nuovo il cuscino.

– Sicurissimo. Dai, su vieni qui. –

Ridacchio e obbedisco, scuotendo la testa mentre mi avvicino.

Appoggio il bicchiere sul tavolino, m'infilo nello spazio fra il legno e il divano e mi lascio cadere sul tessuto morbido, dalla parte opposta rispetto a lui.

Mi squadra per un secondo.

Sembra volermi chiedere di avvicinarmi.

Poi cambia idea.

Si gira rivolgendomi la schiena, incastra il retro delle ginocchia sul bracciolo e si lascia cadere indietro, con la testa che atterra sulle mie cosce e un sorriso da idiota stampato in faccia.

Nemmeno m'irrigidisco, solo mi viene da ridere.

– Ora sei più comodo? –

– Mmh, comodissimo. Ti do fastidio? Vuoi che mi tolga? –

Affondo una mano fra le ciocche decolorate – e inaspettatamente morbide – dei suoi capelli, vedo i bordi dei suoi occhi stringersi un secondo in quell'espressione rilassata e istintiva di quando qualcuno fa qualcosa di particolarmente piacevole, gli angoli della sua bocca rimangono su, dov'erano.

– No, figurati. Sono comodo anch'io. –

– Ok, perfetto. –

– Perfetto. – ripeto, e per un attimo non dico altro, rimango zitto a guardarlo.

È sempre lui, sempre lui, la commistione di scemo e sfrontato. Di solito è più sfrontato che scemo, più sexy che idiota, più attraente che comico, credo però che al momento l'alcol abbia rimescolato le carte.

In ogni caso, al diavolo, rimane sempre e comunque qualcosa da cui non riesco a staccare gli occhi.

Prendo fiato con calma.

– Allora, pensi di dirmi prima o poi durante la serata perché ti sei presentato da me alle tre del mattino ubriaco? –

– Te l'ho detto, è stata un'emergenza. –

– Ho bisogno di qualche dettaglio in più per capire cosa intendi, temo. –

– Davvero? –

– Già. –

Sbatte le ciglia, tira su un braccio, appoggia una mano su una delle mie guance. Per un secondo mi guarda solo negli occhi, sembra pensare a qualcosa che non c'entra niente con quello che abbiamo appena detto, poi però passa.

– Sono scappato da una festa. –

– Scappato? –

– Sì, ho aspettato che nessuno mi notasse e sono fuggito via. –

Alzo lo sguardo verso il tavolino.

– E hai rubato il bicchiere di vetro? –

Schiocca la lingua e fa "no" col capo.

– Non l'ho rubato, non sono un ladro, la festa era a casa mia, scemo. –

Sento i miei occhi spalancarsi.

– La festa era a casa tua e tu sei scappato? –

– Ah-ah, è quello che ho detto. Allora, poi, dopo essere scappato... –

– Yūji, un attimo, un attimo, fammi capire. Tu sei scappato, quindi la festa era ancora in atto. È ancora in atto, adesso, ora. –

– Sì, Tadashi, sono scappato, non l'ho conclusa, te l'ho già detto. –

Sbatto le palpebre una, due volte.

– Scusami, ma se non ci sei tu a casa tua, allora... –

– Naah, non ti preoccupare, ci sono Futa e Bob, ci penseranno loro. Certo, ci penserebbero se gli avessi detto che andavo via, e non l'ho fatto, ma prima o poi se ne accorgeranno, no? –

– Sei scappato da una festa che tu hai organizzato a casa tua e non hai nemmeno detto a Futa o Bob di controllare che le persone che tu stesso hai invitato non distruggano tutto mentre tu non ci sei? –

Fissa gli occhi sui miei, perde un po' di quel sorriso che gli si è stiracchiato sulle labbra, ma lo riacquista subito dopo.

– È che ho avuto un'emergenza, te l'ho detto. Non potevo proprio fare altrimenti. –

– Dio, se non sei un cretino. Passami il telefono, il mio è in camera e non ho voglia di alzarmi. –

Raggiunge la tasca dei jeans con la mano, aggrotta le sopracciglia.

– Cosa vuoi farci? –

– Chiamare Futa per dirgli che sei da me. –

– Ah, sì, ha senso. –

– Lo so. –

Se lo piazza di fronte agli occhi, sblocca lo schermo, cerca l'app giusto quel po' di tempo di troppo che fa intendere che non sia proprio nella forma più smagliante. Quando trova Futa, salvato con qualcosa come dodici emoticon improbabili e una foto orrenda che mi fa ridere nonostante cerchi di non farlo, me lo passa.

Io avvio la chiamata e lo porto all'orecchio.

– Non lo so se risponde, magari sta facendo festa fortissimo e non si accorge che squilla. –

– Magari, ma fare un tentativo non guasta. –

– Potremmo provare a chiamare Bob se Futa non risponde, è ancora più improbabile che lo faccia, ma... –

La chiamata si apre.

La voce di Futa arriva avvolta da tutta una serie di rumori che sembrano il mischiarsi di musica, gente che parla e persone che si spostano.

– Yūji, cazzo, stavo per chiamarti io. Dove sei? Abbiamo finito la tequila, dov'è l'altra bottiglia? –

Mi schiarisco la voce e prendo un bel respiro.

No, neanche lui sembra intero.

Dio, ma questi che feste fanno?

– Non sono Yūji, sono... Tadashi. Ciao, Futa. –

Per qualche istante non ricevo risposta.

Poi...

– Tadashi? Perché stai chiamando dal telefono di Teru? E io che pensavo di aver fumato poco, cazzo, cosa c'era dentro quella merda che ha comprato Bob? Bob? Bob dove sei? Sono finito in un crossover in cui... –

– No, no, sono io per davvero. Nessun crossover. Yūji si è presentato sotto casa mia dieci minuti fa e volevo chiamarti per dirtelo. E anche per chiederti di controllare che nessuno gli faccia saltare in aria la casa, magari. –

Il rumore delle persone che urlano e della musica m'impedisce di sentire la risposta.

Chiedo di ripeterla, e questa volta credo che Futa si sposti per farmi capire meglio quello che dice.

– Ok, ok, nessun problema, figurati, ci penso io qui. Tanto ci avrei pensato in ogni caso, quella merda beve talmente tanto che poi alla fine devo raccogliere lui e tutto lo schifo in casa sua comunque. –

– Perfetto, Futa, grazie. Tu come stai? –

– Io? Una crema. Non mi sento più le dita dei piedi, non ho la minima idea di dove sia Bob, ci vedo un po' doppio e sto iniziando a pensare che dovrei imparare a suonare l'ukulele. –

Mi scappa da ridere.

– Sei messo una meraviglia. –

– Vero? Totalmente d'accordo. Oh, mi sa che ho trovato Bob... Bob! Sono qui, vieni... –

La voci di sottofondo lo sommergono, quando riemerge sento distintamente anche il tono di voce del suo ragazzo, che suppongo dev'essersi avvicinato anche lui alla cornetta.

– Futa, amore mio, luce dei miei occhi, sogno della mia vita. Mi sa che ho sboccato sul gatto di Yūji. –

– Tesoro, Yūji non ha un gatto. –

– Ah. Allora cos'era quello? –

Fisso gli occhi su Terushima, appoggiato con la testa sulle mie cosce, strizzo le labbra per non scoppiare a ridere. Non so se riesca a sentire, lo facesse farebbe la mia stessa fatica a trattenersi.

– Ok, ragazzo dei fiori, devo andare perché a quanto pare c'è un gatto a questa festa e non ho idea né di come sia entrato né di chi sia. Fate i bravi e usate le precauzioni. Scappo. –

Sento il sangue salirmi al viso, le mie guance scaldarsi.

– Grazie ancora, Futa. –

– E di che. Per te tutto, mia principessa. –

Poi stacca la chiamata, e io mi ritrovo col cellulare di Yūji in mano, a guardare nel vuoto, non so se più scioccato, divertito o confuso da tutto quello che è successo da...

Da quando mi sono svegliato nel cuore della notte.

Sono pazzi, questi tre sono pazzi.

Forse dovrei accettare uno dei loro inviti a queste fantomatiche feste.

Dio, se non sembrano una di quelle cose che non ti dimenticherai mai nella vita.

Lascio scivolare il cellulare sul tavolino, a fianco del bicchiere che a quanto pare non è stato rubato, torno con la schiena sul divano e con le mani fra i capelli di Yūji.

Prendo fiato.

Ok, ora pensiamo a quest'altro.

Che non ho di certo nulla di cui lamentarmi, ma domande, oh, di quelle ne ho parecchie.

– Yūji, sei vivo? –

– Vivo e vegeto. E anche in gran forma. Futa che ha detto? –

– Che ci pensa lui. –

Sbatte le palpebre un paio di volte.

– Ok, quindi ora sei tranquillo? –

– Assolutamente no, ma dopotutto è casa tua, sei tu che devi essere tranquillo. Tu sei tranquillo? –

Socchiude gli occhi, sorride di nuovo, strofina la testa contro le mie cosce ed emette un verso di pura soddisfazione.

– Tranquillissimo, adesso. –

– Meglio così. –

Mi rendo conto con qualche secondo di ritardo che anch'io, sto sorridendo, e che la sensazione d'intorpidimento che provo non è solo legata al fatto che sono stato tirato su alle tre del mattino da una chiamata che non mi aspettavo.

– Allora, l'emergenza. Qual era l'emergenza? – chiedo, per evitare di rimanere imbambolato come un coglione a fissarlo.

Aggrotta le sopracciglia.

– L'emergenza? –

– Sì, la fantomatica emergenza per cui sei scappato dalla festa e ti sei presentato qui, Yūji. –

– Ah, vero, l'emergenza. –

Strizza le labbra, si morde l'interno di una guancia, per un secondo pare voler guardare qualsiasi punto tranne me, riempie il petto d'aria, poi la lascia andare.

– Non riesco più a baciare nessuno. Mi si è rotto il cervello. Non ce la faccio. Ho bisogno che mi aggiusti. –

Qualsiasi speculazione la mia testa stesse cercando di fare, nel momento esatto in cui pronuncia queste parole, viene spazzata via.

Sento i miei occhi spalancarsi, il mio viso scurirsi, i miei pensieri scomparire uno dietro l'altro lasciandomi solo...

– In che senso? –

– Non mi piace più nessuno. Non riesce a piacermi più nessuno. Non mi era mai successo prima e... non so cosa fare. –

Quella che vedo nei suoi occhi, somiglia a genuina preoccupazione. Suppongo che l'alcol lo renda onesto, che lo renda disinibito più di quanto non sia di norma, quindi che la sua sia una spontanea reazione di confusione.

Aspetto che parli, perché al momento, sto vivendo una spontanea reazione di confusione anche io.

– Stasera c'era una ragazza, alla festa, sai. La conosco di vista, è molto carina, abbiamo parlato un paio di volte e ho pensato che... beh, sarebbe potuta essere un'occasione. –

– Per fare un po' di sesso occasionale? –

– Già. –

Qualcosa mi si avvita nello spazio fra le costole, mi stringe la trachea, ma lo ignoro.

– Allora ho pensato di andare a parlarle, le ho offerto da bere, siamo stati un po' là a chiacchierare perché volevo che fosse a suo agio, non volevo infastidirla, magari non le piacevo e voleva dirmi di no, ci può stare. –

– Non le sei piaciuto? Davvero? –

Un velo d'arroganza permea i tratti del suo volto.

– Certo che le piacevo. Io piaccio a tutti. –

– Scemo. –

– Realista. In ogni caso, mentre le parlavo, mi sono reso conto che... –

Torna con gli occhi sui miei.

– Che era lei a non piacere a me. Ma non perché fosse brutta, Dio, nessuno lo è, né perché fosse antipatica, ma perché... –

Alza un braccio, incastra una ciocca dei miei capelli fra le dita, me la sistema dietro un orecchio.

– Ho pensato che mi sarebbe piaciuta di più se avesse avuto le lentiggini. E non solo sulla faccia, ma su tutto il corpo. E se avesse avuto le ciglia più lunghe, se fosse stata più alta, se fosse stata vestita diversamente, se la sua voce avesse avuto un suono diverso, se... –

Adagia la mano sul mio viso.

– Se fosse stata te, Tadashi, mi sarebbe piaciuta di più. Se fosse stata te l'avrei voluta di più e mi sarebbe venuto più facile baciarla e scherzare con lei e cercare di sedurla e dirle quello che le volevo dire. Mi sentivo come se stessi facendo qualcosa di sbagliato, a provarci con lei, e qualcosa dentro di me mi diceva che se invece di lei ci fossi stato tu, allora non avrei avuto quella sensazione. –

Per un secondo, la prospettiva che mi si era presentata prima, quella di star sognando, mi pare la più plausibile.

Sto sognando, sto per forza sognando, sto sognando perché... perché...

– Quando mi ha chiesto di appartarci le ho detto di no, mi sono scusato e le ho detto di no. Mi sono alzato e mi sono seduto sul divano e ho passato un'ora, te lo giuro, un'ora a guardare chiunque ci fosse a quella stramaledettissima festa e a chiedermi se sarei riuscito a baciarli. E la risposta è stata che li avrei baciati, Tadashi, avrei voluto far sesso con loro solo se fossero stati te. –

Non è possibile che stia succedendo nella vita reale, non posso credere al fatto che stia succedendo nella vita reale, questo è un sogno, è chiaramente, palesemente, solo un sogno. Solo un...

– Allora mi sono detto che dovevo assolutamente capire che cosa fosse. E per capirlo intendo cercarti, vederti e chiedermi come mi stavo chiedendo con loro se con te ci fossi riuscito. Magari era solo che stasera non avevo voglia di quello, no? Magari non ero nel mood, magari non mi andava proprio. –

– Hai trovato una risposta? –

– L'ho trovata il secondo che mi hai aperto la porta di casa tua. –

Mi accarezza il viso, il mio cervello praticamente esplode per il modo diretto, onesto, genuino in cui mi guarda, sento la pelle formicolarmi d'impazienza, di curiosità ed euforia.

È un sogno.

Lo so che è un sogno.

Ma anche se lo fosse... sarebbe uno bello, no?

– Non è che non mi vada di fare sesso o di baciare qualcuno, Tadashi, è che non mi va di farlo con qualcuno che non sei tu. Non voglio. Non riesco. Io proprio non lo posso fare. –

Le sue dita approdano sulla mia spalla, poi scivolano verso il collo. Mi tira verso di sé, ma lo fa piano, come se aspettasse di sentire resistenza da parte mia.

Non ne sente, però.

Io non resisto.

Mi lascio trascinare verso il basso.

Incastra un gomito contro il divano, tira su il busto, sporge il viso verso di me.

– Ho bisogno che sia tu. Mi serve che sia tu. Se non sei tu allora non mi va bene. –

Per un attimo sento solo il rumore del sangue che mi scorre nelle vene, il battito del mio cuore accelerato dal calore che emana.

Poi però arriva il sapore dell'alcol, quello che lui ha bevuto, perché le sue labbra e le mie entrano in contatto.

Sono troppo stanco per pensare.

Troppo stanco per cercare di mettere su un'impalcatura di pensieri che regga qualsiasi cosa io stia facendo.

È delirante, allucinogeno, strano, è qualcosa che non mi aspettavo, qualcosa che di certo non mi sarei mai immaginato quando mi sono messo a letto stasera.

Però mi piace.

E allora lo faccio.

Sento il suo corpo spostarsi sul mio, le sue labbra sfiorare e poi toccare e poi aprire le mie, sa di gin, di fumo, di lui, sa delle sue mani che mi tengono fermo il viso, del metallo del suo piercing che scorre a contatto con la mia lingua.

Si tira su.

Si stacca, mi guarda con gli occhi velati di un'emozione istintiva, passionale, mi stringe la vita, mi sposta verso di sé.

Atterro con la schiena sul divano, apro le gambe e gliele avvolgo attorno alla vita, stringo forte le braccia dietro al suo collo, quando torna su di me le mie labbra sono già aperte, i miei occhi sono già chiusi.

Tutto di lui è bollente. La sua pelle, il suo modo di fare, il respiro che si mescola col mio. È caldo e mi fa sentire caldo, mi fa bruciare, infiammato da una sequela di sensazioni che non mi ero reso conto di voler provare.

Mi mancava il contatto fisico con qualcuno. Mi mancava che qualcuno mi toccasse, mi stringesse e mi abbracciasse, essere partito di punto in bianco sei mesi fa da casa mia per cambiare vita mi ha dato pace, ma anche tanta solitudine.

Però questo non è solo il realizzarsi di un bisogno che sentivo.

Questo non è indugiare nella sensazione che qualcuno si prenda cura di me.

Questo è molto di più, molto, molto di più.

È...

Si stacca dalle mie labbra e affonda il naso nell'incavo della mia spalla.

Inspira forte, come se volesse respirare me, non l'aria che ci circonda.

– Dio, come cazzo mi fai sentire. –

Mi ritrovo con le mani tremanti ad infilargli le dita fra i capelli, il mio cuore batte così forte che temo potrebbe formare lividi sul mio petto, l'atmosfera distante di questo momento mi fa sentire libero e in pace, perfettamente a mio agio.

– Come ti faccio sentire? –

– Completamente fuori di testa. –

Scivola con le labbra sulla mia mandibola, sul collo, traccia una linea di baci a metà verso il mio orecchio, continua a respirare me, la mia pelle, il mio odore.

– Come se non potessi sopravvivere lontano da te per più di un minuto. –

Sento una delle sue mani scorrere sul mio corpo, infilarsi sotto la maglietta lisa del mio pigiama, stringere forte la pelle nuda della mia vita.

– E lo sai qual è il problema? Lo sai? –

– Qual è il problema, Yūji? –

– Che per la mia sanità mentale vorrei dirti che sono solo uno schifoso pieno di ormoni e che è l'alcol che parla, ma non posso. Non posso. Non è l'alcol. –

– Cos'è, allora? –

– Sei tu, tu mi fai impazzire. –

Sento il suo peso calarsi di più sul mio, le labbra tornare sulle mie, la mia schiena inarcarsi per raggiungerlo meglio, per averne di più.

Bacia bene, Yūji, e non so se sia il modo in cui bacia tutti o il modo in cui bacia me, ma...

Sembra che sia disperato, sembra che abbia bisogno di farlo, bisogno di sentire il mio sapore e che io senta il suo, bisogno e necessità di fare questo con me.

Spalanca le mie labbra con le sue, lascia che le nostre lingue s'intreccino, mi tiene fermo e mi stringe, mi tasta, mi tiene fra le mani come se volesse ricordarsi per sempre com'è la sensazione di avermi così.

Cazzo, Yūji, cazzo.

Ho passato una settimana ad illudermi che avessimo bisogno di calma, che avessimo bisogno di pensarci, ho passato una settimana a dirmi che...

Che...

Si stacca per riprendere fiato.

Quando mi guarda tutto di me trema, le mie fondamenta, le mie certezze, ogni singola cosa renda me me si scuote e si scompone.

Sono io, quello ubriaco dei due? Non ricordavo fosse così, ma...

Il modo in cui mi guarda mi fa sentire come se avessi bevuto una bottiglia intera senza nemmeno staccarmi per respirare. Mi fa sentire con la testa piena di ovatta, ridotto ad un ammasso di bisogni corporei che urlano più forte di qualsiasi altro pensiero possa anche solo pensare di passarmi per la mente.

Mi fa sentire in grado di fare... di fare qualsiasi cosa.

Quando si avvicina di nuovo, scorro con la mano verso i suoi capelli e stringo forte, lo fermo prima che possa schiantarsi di nuovo sul mio viso.

Mi sento le palpebre pesanti, la pelle che brucia, il cuore in gola.

– Perché mi hai fermato, la settimana scorsa, perché ti sei fermato quando stavamo facendo esattamente quello che stiamo facendo ora? –

Salta con lo sguardo dalle mie labbra ai miei occhi.

Spinge la testa dalla mia parte, ma non lascio andare la presa, gli strattono i capelli tanto che gli è impossibile avvicinarsi.

– Non ne ho idea, Tadashi, non ne ho idea, ora... –

Ci riprova e fallisce di nuovo.

Si avvicina alle mie labbra ma non gli permetto di baciarmi.

Voglio che mi parli.

– Cosa ti dà il diritto di presentarti qui a notte fonda e saltarmi addosso come un animale senza pensare alle conseguenze che questa cosa avrà sul nostro rapporto? –

Inarca le sopracciglia, l'espressione sul suo viso è quella di una lamentela.

– È che ne ho bisogno, ne ho bisogno, e voglio che tu mi lasci... –

– Chi ti dice che ne abbia bisogno anche io? –

Riesce ad avvicinarsi ancora un po'.

Sento il suo respiro sul viso, le sue labbra si muovono tanto vicine alle mie che quasi le sfiorano, gli angoli della sua bocca si sollevano in un sorriso che non è un sorriso, è una forma tutta sua di arroganza.

– Tu mi vuoi quanto io voglio te, Tadashi, lo sappiamo tutti e due. –

– Lo sappiamo? –

Annuisce, per quanto gli è possibile con la mia mano piantata fra le ciocche dei capelli.

– Te lo si legge negli occhi, che mi vuoi. Che non vedi l'ora che io possa fare quel che voglio con te. –

– A me sembra che dei due sia tu, il cane che sbava e che prega di farsi toccare. –

Vedo un'ombra dei suoi denti quando il suo sorriso si apre, vedo le pupille che si espandono, il respiro che si fa più breve, più affannoso.

– Oh, ma lo sono. Io sono in ginocchio per te, Tadashi, in ginocchio a pregarti di darmi qualsiasi cosa tu voglia darmi. Ma lo sei anche tu. –

La pallina del piercing scintilla, quando si lecca le labbra, cattura la luce per un attimo.

– Tu sai che nessuno può farti star bene come potrei farti star bene io, e non puoi negarlo. –

Posso negarlo?

No.

Ha ragione.

Ha assolutamente...

– Tu sai che l'unico nome che vorresti urlare è il mio. Tu sai che l'unica persona che avresti fatto entrare in casa tua a quest'ora sono io. Tu sai che non c'è un secondo che mi guardi in cui non preghi che io ti faccia questo. –

Lo so?

Lo so.

Io lo so.

– Io non ho il minimo grammo di autocontrollo quando si tratta di te, non ce l'ho. Tu non fingere di averne. –

Strattona di nuovo la testa in avanti e questa volta non riesco a trattenerlo, le sue labbra sono sulle mie, le sue mani su di me, il suo calore s'infrange contro la scogliera che è il mio patetico tentativo di rimetterlo in riga.

Certo, come se potessi.

Come se potessi negare cosa provo e cosa sento, come se potessi negare che sono solo un ammasso di nervi scoperti quando mi tocchi.

Le sue dita sono più insistenti, questa volta. Le sento superare l'orlo della mia maglietta, stringersi sulla mia vita e sui fianchi, scorrere dentro l'elastico dei pantaloni, strizzare e saggiare la consistenza di ogni angolo della mia pelle.

La mia stessa voce esce in un mezzo gemito quando lo sento affondare su di me come volesse distruggermi, serro le cosce su di lui, lo cerco quando si stacca per respirare, gli impedisco di allontanarsi, di andarsene via da me.

Mi morde il labbro, ad un certo punto.

Lo fa forte, senza timidezza, e genera in me una sequela di suoni che non ricordavo di poter emettere.

Quando si separa da me per guardarmi, sento una delle sue mani aprirsi sulla mia schiena, nell'incavo, proprio dove la scorsa settimana ha...

– Lo sai qual è un altro motivo per cui ho pensato di fartelo qui, il tatuaggio? –

Scuoto la stesa.

– Mi faceva uscire di testa l'idea di scoparti guardandolo. Di scoparti e di ricordarmi mentre lo facevo che tu avrai per sempre sulla pelle qualcosa di mio, qualcosa che ho fatto io. –

Prendo un fiato che sembra lava, nei miei polmoni.

– E chi ti dice che sarai proprio tu a poterlo fare, Yūji? –

Si morde l'interno della bocca e scuote la testa.

– E chi altri, se non io? –

Sento i bordi delle mie labbra sollevarsi piano, l'espressione farsi più affilata.

– Magari il mio cliente abituale. –

– Il viscido? –

– Lui. –

Schiocca la lingua e fa "no" col capo, sorride, sembra quasi mi prenda in giro.

– No, non credo proprio. Certo, potrebbe provare, però. –

La sua mano si fa più violenta, più sfacciata, afferra la pelle come se la volesse stringere per non lasciarla andare mai più.

– Potrebbe portarti a cena, sedurti, fare il carino. Concludere la serata a casa sua, con te sul suo letto, farti aprire le gambe, spogliarti, guardarti e pensare che tu sia la cosa più bella che tu abbia mai visto. Però poi come spiegargli che nell'esatto momento in cui penserà di averti tu starai chiudendo gli occhi sperando che sia io e non lui, a farti tutte quelle cose? –

Tira su il mio bacino che entra in contatto col suo.

C'è frizione, una frizione serrata e dolce assieme, che mi fa tremare le ginocchia.

Dio, non ricordo di essere mai stato così eccitato in tutta la vita, e se non me n'ero reso conto me ne rendo conto adesso, sono già così vicino, così al limite, così...

Si muove su di me ed entrambi, tutti e due, perdiamo le parole per un attimo.

Cazzo, ne ho bisogno, ne ho...

– Come spiegare a te che qualsiasi cosa potrebbe farti sarebbe niente in confronto a quello che sai ti potrei fare io? –

Stringo così forte le sue anche con le cosce che temo di fargli male.

Muovo il bacino contro il suo, tutto il mio corpo trema di nuovo, di nuovo e più forte, più...

– Tu non vuoi lui, e non vuoi nessun altro, Tadashi. –

Ancora un po', ancora...

Lo vedo stringere la mascella, sussurrare "cazzo" a mezza voce, capisco nel secondo in cui lo fa che non sono l'unico a sentirsi così.

– È vero, non voglio lui e non voglio nessun altro. –

Segue il movimento del mio corpo.

Nel momento in cui il mio bacino si strofina sul suo anche il suo si strofina sul mio, per un attimo penso di morire, penso di non essere mai stato così bene e di non essermi mai sentito in questo modo con nessun altro.

– Chi è che vuoi tu, eh? –

Ci sono quasi, ci sono quasi, ci sono...

– Te, Yūji, io voglio te. –

Le nostre labbra s'incontrano una volta ancora ed è com'era prima, come temo sarà sempre, è bollente ed è bisognoso ed è disperato.

Avvito le dita nelle asole dei suoi jeans, lo tiro contro di me di più, di più, più frizione, più contatto, più fuoco, più...

Io, difficile da accontentare, io, che il sesso lo temo sempre un po' perché non so mai se la persona con cui lo farò saprà incontrare le mie necessità, io, eterno disilluso convinto che nessuno potrà mai farmi sentire come tutti mi dicono dovrei sentirmi a farlo.

Eccomi qui, sfinito, distrutto, con le ginocchia che tremano per un po' di vicinanza, per un po' del tuo corpo sul mio.

Hanno ragione, le persone che lo dicono.

Non è un atto fisico, è un atto mentale.

Dio se tu non sei la prima persona nella mia vita, e mi capita di pensare anche l'unica per quello che verrà, che è in grado di far sentire così la mia testa.

Capisco perché il mondo sia a tuoi piedi, lo capisco davvero.

Tu, quando entri sotto la pelle di qualcuno, poi non te ne vai più.

Stringo forte i denti, il bacio s'interrompe, la sua fronte si adagia sulla mia, per qualche momento si sente solo il rumore dei vestiti che si strofinano su altri vestiti, il rumore delle nostre voci che non riescono a parlare, solo a gemere, i respiri affannosi che paiono rincorrersi.

Poi dice il mio nome.

Mi guarda, dice "Tadashi".

E io rispondo "Yūji", e poi come un elastico teso fino alla sua capacità massima di estendersi, mi spezzo e mi rompo.

È un terremoto.

Mi scuote al punto che mi aggrappo forte al suo corpo, come se stessi cercando di non cadere, di non farmi distruggere, di proteggermi.

Il calore nella mia pancia diventa incendio, brucia forte, così forte, e un'ondata di qualcosa di disumano, ultraterreno, mi sommerge completamente.

Sento distante la sua voce che ripete il mio nome come una cantilena, sento il suo corpo irrigidirsi come se non lo stessi più toccando, esco per un istante da me.

Quante stronzate possiamo dirci, a vicenda e a noi stessi, quanti pensieri e quante speculazioni buttate all'aria su qualcosa che alla fine è semplice come semplice è quello che sta succedendo. Quante bugie e quante parole, per cercare di descrivere quel che ci lega quando in realtà sarebbe molto più facile ammettere che tutto questo è esattamente come sembra.

Tu mi attrai, ma non nel senso che mi piaci, nel senso che mi attrai come un magnete ne attrae un altro.

Nel senso che non ci riesco, ad uscire da tutto questo.

Che non posso.

Sinceramente, che nemmeno voglio.

So come finirà, fra noi, e nonostante possa tentare di inventarmi insicurezze e dubbi, in questo momento ho solo consapevolezza.

Magari fra una settimana, fra un mese, fra un giorno o un'ora, io e te torneremo a questo, a noi, e prenderemo atto di una situazione che ormai non si può cambiare.

Fai battere il mio cuore e star zitta la mia mente, Yūji Terushima. Mi riempi gli occhi con qualcosa di bello e mi svuoti di ansie e preoccupazioni, mi diverti, mi rendi felice di stare al mondo perché non so dove vai a parare e più dell'incertezza di non sapere cosa sto facendo, mi dai la curiosità di sapere che cosa farò.

Io e te non siamo solo amici, e l'avevo capito da un po', ma non siamo nemmeno solo due che si girano attorno.

Siamo fatti per essere questo.

Mi rendi felice di essere chi sono.

Scendo giù dal paradiso un gradino alla volta, un centimetro alla volta, pian piano torno dentro al mio corpo. Sento il mio petto alzarsi e abbassarsi nel tentativo di riprendere aria, sento le mutande iniziare ad appiccicarmisi alla pelle, sento il suo peso sopra di me.

Ricomincio a vederci bene dopo qualche istante.

Mi fa male la gola, quando uso la voce per parlare.

– Yūji? –

– Ci sono, ci sono, sono... cazzo, è e stato... –

Rido una risatina sfiatata, mi lascio andare molle sul tessuto del divano, lo cerco con lo sguardo ma non con la testa, giusto per rendermi conto di dove sia.

– Illuminante? –

– Già. –

Con più energia di me, sicuramente di più, lo sento iniziare a spostarsi piano. Lascia scivolare via le mani da me, si china per baciarmi una guancia, si ritrae per lasciarmi lo spazio di ricominciare a muovermi.

– Ti va una sigaretta? –

– Sì, assolutamente. Sono sopra al tavolo della cucina. –

– Poi posso farmi anche una doccia? –

– Hai il cambio? –

Entra nel mio campo visivo giusto quanto basta per mostrarmi il suo sorriso.

– Preservativi, lubrificante e mutande pulite sempre nella giacca. –

– Mutande pulite? Sul serio? –

– Non mi rimetto le stesse mutande se mi faccio la doccia e sì, nel caso te lo stessi chiedendo mi capita spesso di fare la doccia in casa d'altri. –

– Non me lo stavo chiedendo. –

– Sicuro? –

Piano piano, tiro su la testa. C'è qualcosa che gli brilla negli occhi, quando lo guardo, e ho la sensazione che sia la stessa cosa che c'è nei miei.

– Rimani a dormire? –

– Posso farlo? –

Annuisco.

– Se ti va. –

Mi prende le mani e ne bacia una come se fosse un gesto casuale, non troppo ragionato, mi aiuta a tirarmi su. Poi si alza e si sporge verso la cucina, lo vedo prendere due sigarette e l'accendino.

– Il posacenere è là sul bancone. –

– Arrivo. –

Torna in un attimo, appoggia l'oggetto di vetro sul divano, fra noi, poi m'incastra una sigaretta fra le labbra, l'accende, imita il gesto.

Le nuvolette di fumo si mescolano l'una con l'altra.

Prendo un paio di tiri, prima di dire qualsiasi cosa.

– Allora, quindi io e te siamo... –

– Esci con me. –

Le parole mi muoiono in gola, resisto alla tentazione di tossire quando un rivolo di fumo mi s'incastra in gola, sento i miei occhi aprirsi spalancati verso di lui.

– Eh? –

– Esci con me. Dove ti pare, ad una festa, al cinema, a farti un altro tatuaggio, dovunque ti vada. Vorrei che uscissi con me. In senso... romantico. –

Sbatto le palpebre.

– Mi stai chiedendo di... –

– Di provarci. È inutile che finga con me stesso che non lo voglio se poi inevitabilmente torno sempre da te. È inutile che continui a credere che quello che facevo prima possa avere valore anche adesso. Ho paura, di questa cosa, ma sono stanco di far finta di non volerla per cercare di non essere ferito. –

Sento la mia gola farsi secca e il petto un po' più stretto di prima.

– Tu mi piaci, e mi piaci tanto. Credo sia arrivato il momento di smettere di scappare e di prendere atto di questa cosa. Tu mi piaci e io voglio uscire con te. Andare da qualche parte, chiacchierare, ridere, scherzare, fare sesso, dormire insieme e poi di nuovo da capo. Solo con te. –

Prendo un tiro e lo guardo oltre la coltre del fumo che danza nell'aria.

– Voglio provare a costruire qualcosa che sia stabile. E voglio provarci con te. Quindi, Tadashi, ti prego, esci con me. –

– Va bene. Uscirò... uscirò con te. –

Come se per un attimo avesse parlato più a se stesso che a me, pare tornare alla realtà dei fatti quando mi guarda, e stupito di aver avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, sorride un sorriso felice, sereno, genuinamente contento.

– Davvero? –

– Davvero. –

Gli si formano le rughette ai fianchi delle labbra, quando fa questa espressione.

– Perfetto. –

Rimette la sigaretta fra le labbra, si sporge verso di me, il suo corpo pende verso il mio, entra in contatto col mio.

Senza quasi pensarci lo imito, per un attimo rimaniamo attaccati là, a fumare in silenzio.

Poi, sempre senza dire una parola, la sua mano libera cerca la mia. La prende piano, ci incastra le dita attraverso, la stringe con delicatezza.

Pensavo ci sarebbe voluto più tempo.

Pensavo ci avremmo ballato attorno ancora un po'.

Ma non lo pensavo a sproposito, prima, è vero che...

È semplice.

Non è complesso, lo diventa se ce lo trasformo, ma questo non lo è affatto.

È come le cose devono andare.

E Yūji ha ragione, forse è il caso che smettiamo di metterci di traverso.

– Anche tu mi piaci tanto, per la cronaca. – mi ritrovo a dire, occhi piantati su dita intrecciate.

– È ovvio, a chi non piaccio? –

– Sei un cretino. –

– Un cretino che piace a tutti. –

Ridacchio piano, lo fa lui.

Mi giro per guardarlo e lo trovo già dalla mia parte.

Le nostre labbra s'incontrano a metà strada.

– Grazie di aver risolto la mia emergenza, Tadashi. –

Respiro piano, mi lascio andare verso di lui, il mio corpo diventa morbido e molle, rilassato contro il suo.

– Grazie di essere venuto da me per risolverla. –

– Non sarei potuto andare da nessun altro. –

Le sue labbra mi si stampano sulla fronte.

L'incendio spento dell'eccitazione scoppietta di nuovo, dentro di me, ma questa volta non distrugge e non devasta.

Scalda.

Scalda dentro.

– Davvero, da nessun altro. –

─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───

OK AMICI SCUSATE LA SPARIZIONE PER TRE SETTIMANE MA ho avuto un sacco di problemissimi e sto abbastanza sbroccando (e sono in sessione) MA

SONO TORNATA

E SPERO DI RIMANERE CON UNA SEMI-PARVENZA DI COSTANZA perché devo essere costante almeno in qualcosa e perché scrivere mi fa bene e perché MI SIETE MANCATI

allora niente vi chiedo se il capitolo vi è piaciuto, credo ne manchino un paio, tre al massimo, e spero tanto che vi sia piaciuto e che non vi siate dimenticat* di me mentre ero impegnata a IMPAZZIRE COME UNA SCEMA PAZZA IDIOTA

no davvero sto affrontando da tutto l'anno accademico dei periodi davvero strani e sto cercando di quadrarmi solo che fra le milleduecentomila cose che mi succedono tendo sempre a isolarmi e a cercare di sparire ma non dovrei farlo e sto cercando di non farlo e sto cercando di essere costante

quindi niente scusatemi davvero se scompaio giuro che provo a non farlo e che continuerò a provarci

vi mando un mega bacio

amo terushima

mel :D

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