1 - Welcome to the VBU

"Sei sicura che non vuoi che ti aiuti?" Mi chiese mia madre una volta scaricate tutte le valigie davanti al vialetto di ingresso della VBU.

Era nervosissima, le tremavano le mani e la voce era leggermente incrinata.

"Stai tranquilla mamma, ce la faccio da sola. Ora vai che non voglio che tu perda l'aereo per colpa mia!"

Avevamo passato le due settimane precedenti a casa di nonno Nick e di nonna Jess per prepararmi al grande giorno in cui avrei varcato ufficialmente le porte dell'Università.

Mia mamma mi aveva aiutata ad iscrivermi e a trovarmi una camera ed ora i suoi compiti erano terminati: immaginai si sentisse vuota e inutile.

La abbracciai e la accompagnai alla portiera del conducente sennò non se ne sarebbe più andata.

"Tieni questo è per te" disse porgendomi un cofanetto bianco con su scritto Pandora.

Lo aprii e all'interno scoprii un braccialetto con due ciondoli: uno era la mia iniziale e l'altro era un fiocco di neve con i brillantini.

Amavo quella marca ed era da un po' che sognavo un braccialetto come quello.

La abbracciai e la ringraziai in fretta.

Mi sarebbe mancata enormemente.

"Mi raccomando comportati bene, non spendere troppi soldi, fai amicizia, stai attenta alle lezioni e chiamami sempre!" Mi disse mentre si sedeva in macchina.

"Sì mamma, anche quando sono in bagno" scherzai io e lei mi guardò seria per poi buttare gli occhi al cielo e sorridermi.

"Ci vediamo a Natale bimba mia. A meno che tu non voglia tornare prima dalla tua mamma..."

"Dai che perdi l'aereo!"

Sapevo già che saremmo state lì per sempre a farci raccomandazioni o a piangere.

"Ti voglio bene riccioli d'oro!" Mi disse coi lucciconi agli occhi e stringendomi una mano.

"Ti voglio bene anche io."

Mi guardò per un altro istante prima di partire a tutta velocità.

Ero rimasta da sola davanti a quella struttura imponente che sembrava una chiesa ma che invece era la VBU, la Venice Beach University, la quale mi avrebbe ospitato per i prossimi anni.

La mia nuova casa.

Mi ci sarei ambientata a poco a poco e mi sarei trovata bene.

Me lo sentivo.

Mi dispiaceva solo non cominciare quest'avventura con il mio ragazzo brasiliano.

Sulla mappa dell'Università mi ero appuntata il numero della mia camera: la 119 che si trovava al primo piano dei dormitori femminili.

La struttura di quel posto era quadrata con all'interno un enorme giardino dove prevedevo già tanti picnic con i miei nuovi amici.

Parallelo al lato sinistro dove si trovavano le classi di arte, teatro e letteratura si attraversava un piccolo vialetto per poi accedere ad una seconda struttura che erano le stanze femminili.

Allo stesso modo sul lato destro in cui vi erano le classi di chimica, matematica, storia e psicologia, si trovavano le stanze maschili.

In fondo, lungo tutto il lato inferiore, vi era la mensa da cui si potevano vedere i vari campi sportivi.

Al secondo piano invece, sopra le classi di arte, teatro e letteratura vi era la biblioteca.

Circumnavigai il lato frontale dell'Università, assorta nella lettura di quella cartina, quando qualcuno mi centrò in pieno ed io caddi a peso morto sbattendo il sedere per terra.

Tutto successe così velocemente che inizialmente non capii e sentii niente.

"Porca puttana, scusami!" Sentii qualcuno imprecare nella mia lingua.

Ero sollevata dal fatto di non essere l'unica italiana, ma cominciavo a percepire il dolore causato dalla grande botta.

Quando mi risvegliai dallo stato di trance post incidente, mi voltai verso quella figura che correva.

L'unica cosa che mi colpii furono i suoi ricci fitti e biondi.

Indossava la felpa maschile della VBU, per il resto non sapevo neanche chi fosse.

Il suo viso risultava essere un mistero per me.

Voltai lo sguardo dalla parte opposta e finalmente scorsi la struttura che mi interessava, quindi raccolsi la cartina e la valigia massaggiandomi la natica su cui ero caduta, per poi salire le scale ed arrivare finalmente al primo piano.

Di lì a momenti avrei messo piede nella mia nuova camera.

Ovviamente non mi aspettavo chissà cosa, ma ci tenevo che fosse carina almeno un po'.

115...

116...

117...

118...

Ed ecco la mia stanza, la numero 119.

"Forza e coraggio Savannah!"

Aprii con le chiavi che avevo in precedenza preso dalla segreteria e trovai la maniglia già aperta.

"Non sono ancora entrata e già ci sono i ladri?"

Sentii del trambusto provenire da dentro e col cuore in gola entrai di soppiatto.

Quando superai il piccolo corridoio vidi una ragazza mora di spalle che stava sistemando dei libri sulla scrivania.

"Oh cazzo che paura!" Esclamò questa quando si accorse della mia presenza.

Si portò una mano sul petto ansante per lo spavento.

Era la ragazza più bella che avessi mai visto, aveva le lentiggini che io invidiavo tanto e parlava la mia lingua a quanto pare.

Anche lei.

"Anche tu sei italiana?" Le domandai entusiasta.

"Che occhio!" Esclamò retoricamente.

"Cominciamo bene Savannah e la sua compagna di stanza permalosa!"

"Piacere sono Savannah Zanetti!" Mi presentai porgendole la mano e ignorando il suo commento.

"Piacere mio, mi chiamo Sole Alberti" mi strinse la mano velocemente e percepii un accento lontanamente romano. "Per favore rispetta i miei spazi ok? Sono un po' maniaca dell'ordine" mi spiegò lei guardandosi in giro.

Annuii per non creare subito dello scompiglio e cominciai a disfare la mia valigia.

La camera era essenziale: vi erano due letti singoli con due comodini divisi da una grande finestra che dava sul prato del campus.

Davanti ai nostri letti vi erano due scrivanie in mogano e davanti alla sua il piccolo bagno che avremmo condiviso.

L'armadio marrone scuro in comune era lungo e stretto disposto su un lato del corridoio.

Attaccai la foto che ci avevano scattato in Brasile di me ed Eduardo sulla bacheca attaccata al muro sopra il mio letto, una foto di me e Levi, una di me e Ginny ed una con Viola, Meg e Rebecca.

Sistemai i miei vestiti nell'armadio, disposi spazzolino, dentifricio, shampoo, balsamo e bagnoschiuma sulla mia mensola del bagno visto che l'altra era già tutta occupata.

"Chi è questo ragazzo?" Domandò Sole.

Quando tornai in camera la vidi con la mano sotto il mento tipica di una detective, intenta ad ammirare la mia bacheca.

"Permalosa e ficcanaso. Di bene in meglio."

"Quale dei due?" Chiesi io, cercando di capire chi stesse guardando.

Indicò Eduardo con la sua mano affusolata laccata di smalto nero.

"È il mio ragazzo" le spiegai.

Si sedette sul suo letto riflettendo su non so cosa.

"Tu hai un ragazzo?"

"Sì, si chiama David. Ma lui è rimasto in Italia."

Anche lei aveva una relazione a distanza? Come la capivo... almeno avevamo questa cosa in comune.

"E non poteva venire qui anche lui?" Le domandai. Forse mi stavo intromettendo troppo? Vedevo che ci stava male a parlare di questo argomento.

"No, non sapeva ancora cosa ne volesse fare della sua vita" mi spiegò guardandosi tristemente le sue bellissime unghie.

Basta, non le avrei più fatto domande su di lui. Non volevo che ci stesse così male.

"Ma Eduardo non è un nome italiano..." sottolineò Sole riscuotendosi dalla tristezza.

"È brasiliano. L'ho conosciuto quest'estate quando sono andata a lavorare a San Paolo" le raccontai incupendomi a mia volta.

"E non può venire qui? Saranno due ore di volo" disse lei facendo un rapido calcolo e guardando sul soffitto un punto indefinito.

"Sì, arriverà tra due settimane" la informai sorridendo e riacquistando un po' più di gioia.

Mi mancava terribilmente, la distanza mi lacerava internamente.

Odiavo questa situazione in cui non potevo sfiorarlo e ammirare le sue fossette o il suo piercing.

Avevo bisogno del suo corpo a stretto contatto col mio.

"Hai fame?" Mi domandò la mia compagna di stanza.

Era già ora di cena?

Guardai oltre la grande vetrata e notai che il sole era già calato.

In cielo si poteva ancora ammirare l'ultimo dei suoi raggi che accarezzava le nuvole per l'ultima volta in quel 30 agosto.

Domani sarebbero cominciate le lezioni: la mia sveglia era già impostata per le otto.

Annuii sentendo gorgogliare la mia pancia vuota.

"Allora andiamo!" Ordinò Sole alzandosi in piedi di scatto.

Non avevo per niente voglia di usare altri vestiti, così mi lasciai addosso quelli che già indossavo.

Una maglietta azzurra della VBU e dei jeans non avrebbero dato scandalo. 

Scendemmo le scale dei dormitori femminili, attraversammo il prato ed entrammo dentro l'università da una delle porte laterali.

Svoltando l'angolo, arrivammo all'enorme mensa dove c'erano già alcuni ragazzi intenti a mangiare e a dialogare tra di loro.

Prendemmo un vassoio ed io mi feci servire del purè, petto di pollo e mousse ai frutti di bosco.

Sole prese degli spaghetti al sugo e una banana.
Ci sedemmo ad un tavolo libero e cominciammo a mangiare.

"Ricordami di non prendere più gli spaghetti!" Intervenne lei facendo una smorfia alla quale io risi.

In quel frangente in cui sembrava simpatica, mi feci un po' raccontare della sua vita: aveva un anno in meno di me, era nata il primo di maggio in un ospedale romano e da quando era piccola abita in una villetta in periferia con i suoi genitori, suo fratello, due gatti ed un cane.

Amava la musica, cantare, disegnare, leggere, scrivere, l'arte e la letteratura.

Amava il mare e la montagna, passeggiare in campagna e stare in completo silenzio per qualche ora.

Adorava arredare la sua camera e tingersi i capelli, infatti il suo colore naturale era il castano chiaro, non quello attuale.

Mi confidò inoltre di avere un tatuaggio enorme sulla schiena che rappresentava due ali d'angelo.

L'aveva fatto all'età di diciotto anni ed i suoi genitori non ne erano al corrente.

Lo sapeva solo suo fratello a cui non importava niente di quello che gli dicesse lei.

"E tu? Hai tatuaggi?" Mi chiese finendo il suo disgustoso piatto di spaghetti al sugo.

"No, ma mi piacerebbe" ammisi.

Da sempre sognavo di incidere il mio amore per il mare e per la mia gatta sulla pelle, ma non trovavo mai il coraggio.

La conversazione morì quando lei cominciò a gustarsi la sua banana, mentre io dovevo ancora finire tutto ciò che avevo nel piatto.

Ne approfittai per guardarmi un po' in giro.

Due tavoli più avanti del nostro vi era un ragazzo moro col ciuffo alla Elvis, intento a scorrere le notifiche sul suo iPhone.

Sembrava arrabbiato, chissà cosa gli era capitato.

Notai che aveva la borsa della nostra università. Lessi "Football americano" a lato: probabilmente era un giocatore.

Come se percepisse i miei pensieri, si guardò in giro fino ad arrivare a posare gli occhi su di me che prontamente fissai il mio piatto.

Dopo qualche minuto ricominciai a guardarmi intorno.

Notai un altro ragazzo riccio, col piercing al naso come Levi.

Era carino, con dei tratti molto femminili. Sembrava triste, chissà per cosa.

"Ciao ragazze!" Sentii qualcuno salutarci alla mia sinistra.

Mi girai e vidi una bellissima ragazza bionda con gli occhi azzurri che ci sorrideva.

"Io sono Veronica Simpson, frequento il secondo anno e mi piacerebbe invitarvi al brindisi di inizio lezioni che si terrà tra venti minuti. Se volete venire ci farebbe piacere! La mia camera è la 98. A dopo!" Disse lei sempre sorridente, per poi andarsene.

Sembrava simpatica.

"Io vado, tu vieni Savannah?" Mi chiese Sole guardando l'orario sul display del suo telefono.

"No, sono stanca e poi tra qualche minuto dovrei chiamare il mio ragazzo" la informai.

"Ok" disse facendo spallucce.
                                        *****
Dieci minuti dopo ero in camera mia.
Preparai lo zaino riempiendolo di bloc-notes e biro, mi lavai in fretta ed in pigiama mi infilai sotto le lenzuola bianche.

Chiamai Eduardo che mi rispose al secondo squillo.

"Hey pequeña, come si sta alla VBU?" Mi chiese contento.

"Ciao Edu. Si sta bene, la mia compagna di stanza si chiama Sole e sembra simpatica. Ci hanno già invitato ad un brindisi stasera, ma io ho preferito chiamarti. Secondo me hai ragione: qui si fa sempre festa" lo informai ridendo tra me e me.

"L'università è fatta per divertirsi, secondo te perché ho accettato di venirci?" Mi domandò sfidandomi.

"Guarda che qui è pieno di ragazzi, non ci metto molto a sostituirti" lo avvisai accettando la sfida.

"Non lo faresti mai..."

"Ho già il numero di un ragazzo in rubrica!" Mentii.

"Davvero?" Mi chiese tristemente.

Mi faceva tenerezza quando dimostrava di avere paura di perdermi.

I suoi occhi perdevano la loro luminosità ed io mi sentivo male come lui.

"No Eduardo, stavo scherzando. Tu sei l'unico per me."

Lo vidi illuminarsi e sorridermi contento.

Era così che mi piaceva vederlo, anche perché si formavano le solite fossette che amavo follemente.

"Non vedo l'ora di essere lì con te, Sav... mi manchi immensamente."

"Mi manchi tanto anche tu Edu. Non posso pensare che debbano passare ancora due settimane prima di poterti rivedere" ammisi afflitta.

Quindici giorni divisi.

Quindici giorni senza poter toccare la sua pelle, i suoi ricci, le sue labbra.

Quale peggiore punizione poteva esistere?

"Ora vado a dormire Edu, ci sentiamo domani ok?"

"Certo pequeña, buonanotte e buon inizio di lezioni! Prendi gli appunti anche per me!" Rise e poi riattaccò.

Non c'era niente da ridere.

Stavo per cominciare una nuova avventura e lui non era con me.
                                     *****
Mi svegliai di soprassalto quando sentii sbattere la porta della camera.

Ci misi qualche secondo a realizzare dove fossi e chi fosse appena entrato.

"Oddio un ladro!"

Ah no, era solo Sole che gattonava.

Perché Sole gattonava?

Schizzai fuori dal letto e corsi verso di lei, ma si alzò in piedi barcollante e mi spostò con un braccio per correre in bagno.

La sentii vomitare e pregai che lo stesse facendo nel gabinetto e non per terra.

Non avevo voglia di pulire la sua cena nel bel mezzo della notte.

Aspettai che smettesse per vedere come stesse, sennò avrei espulso anche io il mio petto di pollo, il mio purè e la mia mousse ai frutti di bosco.

"David mi ha lasciata con un messaggio" mi disse piangendo e visibilmente ubriaca.

"Oddio! Mi dispiace Sole..."

"Cosa si doveva dire in questi casi?"

"Scommetto che c'è lo zampino di quella stronza di Margherita! Gli gira sempre intorno come un cane! Se la vedo la ammazzo!" Imprecò dando un pugno al gabinetto.

Sentii la sua mano scrocchiare in quel contatto e così cercai di alzarla in piedi per sdraiarla a letto.

Le tolsi le scarpe e la coprii con il lenzuolo.

"Savannah la babysitter! Posso aggiungerlo nel curriculum."

Si addormentò nel giro di due secondi con ancora le lacrime agli occhi, così potei tornare anche io nel mio mondo dei sogni.

Guardai l'orario sul mio telefono: erano le cinque di mattina.

Cominciava bene questo mio soggiorno alla VBU.

Ed eccoci nel secondo capitolo della storia tra Savannah ed Eduardo.
Benvenuti e bentornati, se siete qui significa che Feel it vi è piaciuto e non sapete quanto mi renda felice!!! ☺️
Bando alle ciance, (ciando alle bande) torno a scrivere così posso aggiornare più spesso 😘
Buona lettura,
Un bacione 💋

A.

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