𝕰𝖕𝖎𝖑𝖔𝖌𝖔

"𝔄𝔦 𝔪𝔬𝔰𝔱𝔯𝔦 𝔡𝔦 𝔲𝔫𝔞 𝔰𝔱𝔬𝔯𝔦𝔞,
𝔠𝔥𝔢 𝔰𝔬𝔫𝔬 𝔤𝔩𝔦 𝔢𝔯𝔬𝔦 𝔡𝔦 𝔲𝔫'𝔞𝔩𝔱𝔯𝔞"

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Ero incatenato.

Ne ebbi la consapevolezza ancora prima di riemergere dal mondo delle tenebre. Non riuscivo a muovere un muscolo, anche a causa dei dolori sordi e pulsanti che mi attraversavano il corpo. Ogni respiro era una pugnalata. Ero sdraiato su una superficie morbida, con un freddo anello di metallo attorno al polso destro.

«Bentornato» esordì una voce affabile.

Sollevai a fatica le palpebre pesanti. Una lama di luce mi trafisse gli occhi e feci una smorfia infastidita. Impiegai qualche secondo a mettere a fuoco la stanza in cui mi trovavo. Era indiscutibilmente una cella. Le pareti erano scure, di pietra, e non c'erano sbarre alla porta. La finestra si affacciava su uno scorcio di cielo azzurro e terso.

Storsi il naso. La testa mi pulsava e delle fitte lancinanti mi trafiggevano le tempie. «L'Inferno lo immaginavo più caldo» biascicai.

Un uomo anziano era seduto su una sedia accanto al mio lettino. Era piuttosto robusto, quasi completamente calvo, eccetto che per i ciuffi grigi attorno alle orecchie. Le mie parole gli strapparono un sorriso, sebbene la sua espressione fosse tesa. «Non sei morto. O meglio, lo sei stato per pochi minuti, prima che riuscissimo a rianimarti».

Mi passai la lingua sulle labbra screpolate. «Una vera fortuna».

«Avresti preferito morire?»

Deglutii. La gola era talmente secca da bruciarmi. Il braccio sinistro era gessato, mentre nell'incavo del gomito dell'altro era infilato un ago da cui si diramava un tubicino che mi iniettava una sostanza bluastra contenuta in una sacca. Ecco perché mi sentivo così stordito. «A giudicare dal vostro stile d'arredamento, questa non è l'Olympus. Dove sono?»

«Questa è la sede della Congrega britannica dei Discendenti». L'uomo intrecciò le grosse dita sulla pancia. «Ti abbiamo portato qui con il portale. È monitorato. Per questo non sei riuscito ad aprirlo. Abbiamo ricevuto però la tua richiesta e siamo venuti a controllare».

Sbuffai. «Fantastico. Dagli scienziati pazzi agli stregoni voodoo. Mi sento sempre più fortunato».

«Hai uno spiccato senso dell'umorismo, noto».

«La mia lista di pregi è parecchia lunga».

L'uomo fece una risatina nervosa. «Io sono il dottor Tanner, comunque. All'udienza mi hanno assegnato come tuo terapeuta. Ho il compito di sottoporti a una serie di sedute per comprendere come funziona il tuo cervello-»

«Udienza?» lo interruppi.

«Sei stato incosciente per due settimane. In questo periodo c'è stato il tuo processo, secondo le leggi dei Discendenti». Un velo di tristezza gli calò sullo sguardo. «Purtroppo, la sentenza ha stabilito per te la pena capitale. La Congrega ti ha giudicato colpevole per un esorbitante numero di reati, tra cui una sessantina di omicidi».

Il pensiero di morire non mi turbava particolarmente. Non finché avevo la certezza che le persone che amavo fossero al sicuro per merito mio. Avevo ucciso Lucius e salvato i miei angioletti. L'Olympus era ormai ridotta in cenere. I miei fratelli stavano bene e si sarebbero presi cura dei miei umani.

E Seth... beh, era vivo. Non contava nient'altro. Sarebbe stato per la mia bambina un padre meraviglioso e con il tempo sarebbe andato avanti.

Per quanto mi facesse male immaginarlo, speravo che trovasse un ragazzo capace di renderlo felice. Qualcuno che fosse buono e puro almeno la metà di quanto lo fosse lui e disposto a svegliarsi nel cuore della notte per togliere i ragni dal muro senza spiaccicarli.

In caso contrario, sarei risorto solo per andare ad ammazzarlo. Potevo anche essere tre metri sotto terra, ma non avrei permesso a nessuno di fare del male al mio Scrat.

«Una sessantina di omicidi? Ridicolo». Assunsi un cipiglio indignato. «Sono molti di più».

C'era una penna appesa alla tasca del suo camice. La impugnò e scribacchiò su un taccuino, poi tornò a fissarmi. «Sappiamo chi sei, Nicholas De'Ath. La tua famiglia ha una certa fama. Ma non sappiamo con precisione cosa sei. Non rientri in nessuna categoria di demoni a noi conosciuta. È la ragione per cui ci incuriosisci».

Sogghignai. «Se mi libera, le faccio un autografo. Col suo sangue magari. Che ne dice?»

Il dottor Tanner impallidì e una gocciolina di sudore gli rigò la fronte. Che coniglio. «Abbiamo fatto delle ricerche. Ci risulta che negli ultimi mesi sei stato a Notturn Hall e che hai messo incinta una ragazza. Arya Black. Tuttavia, risulta scomparsa da giugno. Per l'esattezza dalla notte in cui è stato rinvenuto il cadavere sventrato di Ethan Ramos, il suo migliore amico, in un bar sulla spiaggia di Los Angeles. Opera tua, corretto?»

Inarcai un sopracciglio. Non mi piaceva la piega che stava prendendo la conversazione. «E allora?»

«Black è il cognome di un'antica stirpe di Discendenti. Tu sei un demone. È un fenomeno estremamente raro». Si protese verso di me, puntellando i gomiti sulle ginocchia. La sedia cigolò. «Vorremmo aver modo di conoscere la bambina e interrogarti riguardo a questa gravidanza miracolosa e alla tua natura. È lo scopo del percorso che faremo insieme, Nicholas. E, se ci fornirai una quantità sufficiente di informazioni, potremmo anche cancellare la tua condanna».

Esplosi in una fragorosa risata, che si trasformò in un attacco di tosse quando le mie costole si unirono in un coro di proteste. «Dubito che potrete vedere la bambina o parlare con Arya».

«E perché mai?»

Sfoderai un sorrisetto. «Non è ovvio, dottore? Perché le ho uccise».

Mi rifiutai di rispondere a qualsiasi altra domanda. Il dottor Tanner insistette per una decina di minuti, prima di arrendersi e uscire dalla cella. Rimasi a scrutare il soffitto, immerso in un silenzio assoluto. I ricordi sibilavano nelle mie orecchie come serpenti, strisciando fuori dagli anfratti più reconditi della mia mente.

Mi accorsi di avere paura. Non della morte.

Paura del silenzio.

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