𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 63 (Arya)

"𝔇𝔦𝔢𝔱𝔯𝔬 𝔬𝔤𝔫𝔦 𝔣𝔦𝔫𝔞𝔩𝔢 𝔠'𝔢̀
𝔰𝔢𝔪𝔭𝔯𝔢 𝔲𝔫 𝔞𝔩𝔱𝔯𝔬 𝔠𝔞𝔭𝔦𝔱𝔬𝔩𝔬.
𝔅𝔞𝔰𝔱𝔞 𝔤𝔦𝔯𝔞𝔯𝔢 𝔭𝔞𝔤𝔦𝔫𝔞"

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E così sono morta. Agli occhi del mondo almeno.

Ma procediamo con ordine.

Due settimane dopo eravamo tornati al castello in gran segreto. Per il momento avevamo deciso di tenere tutti all'oscuro, compresi la mia famiglia e i miei amici. Era una situazione delicata, che bisognava gestire con prudenza. Avevamo distrutto il fulcro dell'Olympus e non eravamo certi di quale reazione aspettarci dal governo.

Si respirava un'aria pesante, cupa. I De'Ath affrontavano il lutto a modo loro, come avevano fatto per Kath, eppure percepivo che qualcosa si era spezzato. Forse perché stavolta non c'era nessuno a tenerli a galla.

Erano dei demoni dotati di poteri eccezionali, ma nel profondo restavano degli adolescenti soli e abbandonati, perseguitati da un destino che continuava a punirli, a privarli della pace che avrebbero tanto meritato.

In quell'oceano di tenebre, la mia bambina era un piccolo faro che risplendeva all'orizzonte.

Facevano a turno per tenerla in braccio durante l'intero arco della giornata, perciò trascorreva nella sua culla soltanto la notte e sempre sotto stretta sorveglianza. Scaldavano il biberon quando non ero abbastanza in forze per allattare, la lavavano e le cambiavano il pannolino, pur combinando spesso dei disastri. Joel, in particolare, non la perdeva quasi mai di vista.

Dal canto mio, mi sentivo a pezzi. Ero appena diventata madre, eppure tutto ciò che avrei voluto era correre dalla mia, di mamma, per sfogare tra le sue braccia il dolore immenso che mi covava dentro. Ma non avevo il diritto di stare male. Nicholas era morto a causa mia. Il padre di mia figlia.

Secondo Thomas era probabile che fosse sotto l'effetto di qualche droga a base di olio di iperico, che aveva aggravato il suo già fragile stato mentale e lo aveva indotto a nutrirsi di Ethan. Avrei dovuto aiutarlo, invece l'avevo consegnato all'Olympus.

Qualcuno picchiettò contro la porta, che si spalancò senza alcun invito. Come ogni mattina.

«Buongiorno». Alexander entrò e depositò il vassoio con la colazione sul comodino. «Come ti senti?»

«Meglio». Fisicamente, pensai. Non mi parve il caso di specificarlo. «Potresti anche non bussare, comunque. Tanto non ti importa di avere il mio permesso».

«Stai tornando a essere la solita rompiscatole. Buon segno».

Emisi un verso sarcastico e mi tirai a sedere, appoggiando la schiena alla parete del letto. Ogni tanto gli scoccavo delle occhiate furtive. Era difficile abituarmi ai suoi capelli neri e lucidi come petrolio. Mettevano ancora di più in risalto la tonalità insolita delle scaglie di ghiaccio che erano i suoi occhi.

Alexander inarcò un sopracciglio. «Che c'è?»

«Perché hai smesso di tingerli? Eri stanco di somigliare a Draco Malfoy?»

Il suo sguardo torvo mi strappò una risatina, ma ammutolii all'istante nel rendermi conto che era un paragone che faceva Ethan. La sua mancanza mi soffocava. L'espressione di Alexander si ammorbidì, come se mi avesse letto nel pensiero. Trascinò una sedia accanto al baldacchino e ci si sedette sopra. «Avevo iniziato a tingerli dopo il laboratorio, perché non sopportavo più il riflesso allo specchio di quel moccioso spaventato. Adesso è finita. L'Olympus è cenere».

Annuii. Mi caricai il vassoio sulle ginocchia, presi un biscotto e lo inzuppai nel latte. Dovetti racimolare ogni mia briciola di coraggio per porre la domanda che mi scalpitava nel petto. «Callum come...»

«Non sta». Sebbene il suo tono fosse piatto e scostante, avvertivo la sofferenza nascosta dietro la maschera che indossava. «Da quando è tornato dalla Germania, è l'ombra di sé stesso. Non riusciamo ad aiutarlo. Non ce lo permette. A essere onesto, credo che nella Torre abbiamo perso due fratelli, non uno».

Osservai i pezzetti molli di pasta frolla staccarsi e galleggiare nella tazza, mentre continuavo a intingere il rimasuglio di biscotto. Lo stomaco mi si era annodato come un cappio.

Alexander si chinò, con i gomiti puntellati sulle cosce. «Non è colpa tua».

Sì, lo è. «Lo so».

«No». Mi catturò il mento e mi obbligò a guardarlo. Il suo tocco freddo mi fece rabbrividire. «Non è colpa tua. Né per Ethan, né tantomeno per Nicholas».

Le parole eruppero fuori contro la mia volontà. «Ho coinvolto io Ethan in questo casino. Ho venduto io Nicholas all'Olympus». Scossi il capo, sia per liberarmi dalla sua presa sia per scacciare le lacrime che premevano per uscire. «Ho una bambina di cui prendermi cura e faccio fatica anche solo a trovare la voglia di svegliarmi la mattina».

«Essere madre non vuol dire doversi annullare come persona. Hai vissuto delle esperienze orrende. Datti il tempo di guarire, o le tue ferite sanguineranno su di lei e il ciclo d'infelicità della nostra famiglia non si chiuderà mai». Alexander si sollevò e si spostò sul bordo del materasso. Allontanò la sedia con la punta della scarpa per stare più comodo. «Ti ricordi quella mattina che ho pestato Josh a scuola?»

Aggrottai la fronte. «Sì, per difendermi. Cosa c'entra con-»

«Non l'ho fatto per difenderti. Non ti serviva la mia protezione. Te la saresti cavata benissimo. L'ho fatto perché stava per chiamarti puttana». Storse il naso infastidito. «Mia madre è stata costretta a prostituirsi. Non volevano assumerla da nessuna parte e aveva un figlio piccolo da mantenere. Non c'erano molte altre opzioni, non nell'ambiente in cui sono cresciuto. Alcuni dei suoi clienti le facevano male. Mi rinchiudeva in camera per non farmi assistere, ma sentivo i rumori, le urla, i pianti. Vedevo i segni. Un giorno sgattaiolai via dalla mia stanza, presi il fucile da caccia appartenuto a mio nonno e sparai al bastardo di turno. Ci provai, anzi. Avevo cinque anni».

Raggelai. Cominciavo a comprendere quale fosse il fine del suo racconto.

«Lo stronzo non ne fu contento. Mi mollò un pugno, mi sbatté il braccio sul tavolo e mi frantumò la mano con un martelletto. Avrebbe fatto di peggio, se mia madre non lo avesse ucciso. Non era sua intenzione. Lo colpì alla nuca col calcio del fucile. La sua testa rimbalzò prima contro lo spigolo, poi a terra. Trauma cranico».

«Ma era legittima difesa» protestai.

«Non so come si sia svolto il processo. Immagino che la giuria abbia visto soltanto una cattiva madre incapace di allevare il figlio e di provvedere alle sue necessità. Fui preso in custodia dagli assistenti sociali e infine dato in adozione». Alexander si abbassò per portare il viso all'altezza del mio. «Il punto è che mi ci sono voluti anni a capire che non è stata colpa mia. Ho fatto ciò che in quel momento ritenevo giusto. Siamo responsabili delle nostre azioni, sì, ma non possiamo prevedere tutte le conseguenze che avranno».

«Avrei dovuto sapere che Nicholas non stava bene. Che non avrebbe mai...», tentennai, «fatto del male a Ethan. Non di proposito. L'ho tradito, e non si è nemmeno arrabbiato per questo».

«Conoscendolo, probabilmente si sarebbe consegnato comunque da solo. O ci avrebbe pensato Keegan». Si strinse nelle spalle. «Non è colpa tua».

«Continui a ripeterlo».

«Continui a non crederci».

Abbozzai un sorriso. Allungai un braccio e sfiorai le dita metalliche della sua protesi. «Mi dispiace per quello che ti è accaduto. È ingiusto. Ogni cosa terribile che vi è capitata lo è. Magari essere De'Ath significa questo. Forse avere il vostro sangue è una condanna a cui non si può sfuggire».

Alexander schioccò la lingua contro il palato in segno di disapprovazione. Sollevò la mano sinistra, quella vera, e mi accarezzò la guancia. «Per lei scriveremo un finale migliore. Una volta ti ho promesso che non ti avrei mai abbandonata e infatti sono rimasto. Bene. Adesso ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere affinché entrambe abbiate la vita felice che meritate».

Un fremito mi attraversò la spina dorsale. «Ho pensato a te. Quando ero in travaglio ed ero sicura che sarei morta e volevo soltanto avere vicino qualcuno che amavo... ho pensato a te».

Le sue iridi si incatenarono alle mie, poi saettarono sulle mie labbra e tornarono su. Si piegò e unì le nostre bocche in un contatto lieve, quasi temesse di potermi rompere. Lo agguantai per la felpa in modo da annullare la distanza tra di noi, approfondendo il bacio fino a renderlo passionale. Carico di desiderio. E dolce, sotto il sapore salato delle lacrime.

Per un istante, per un singolo istante, i ciottoli della mia esistenza in frantumi si riunirono e le ridiedero una forma. Era coperta di crepe profonde e vistose, che non si sarebbero mai ricucite. Ma era dalle fessure che filtrava la luce, no?

Mi staccai, a corto di fiato. Deglutii. Il mio cuore sembrava sul punto di scoppiare. «Voglio parlare con Callum».

Alexander abbozzò un sorriso. «Ci siamo appena baciati e chiedi di mio fratello. Per fortuna non sono geloso».

Ridacchiai. «Mi aiuti ad alzarmi?»

«Dopo che avrai fatto colazione».

«È un ricatto questo» protestai.

Fece un cenno d'assenso. «Sì, esatto».

Mangiucchiai qualche biscotto e un paio di strisce di bacon. Malgrado avessi ancora un dolore pulsante tra le gambe, l'appetito stava tornando a poco a poco alla normalità. Secondo Thomas, le bistecche che mi davano all'Olympus erano prodotte con carne umana sintetizzata con cellule staminali per nutrire la bimba. Il mio stomaco ne era stato parecchio scombussolato, e la depressione post partum non aveva contribuito a migliorare la situazione.

Alexander mi circondò i fianchi con un braccio e mi sorresse, mentre mi tiravo in piedi. Fu piacevole scoprire che ormai mi ero ripresa abbastanza da camminare da sola. Raggiungemmo la sala comune e d'istinto mi girai verso il corridoio in fondo al quale si trovava la porta marchiata con il numero 0.

Tentennai. «Seth?»

«Esce di rado da lì. Ripete di stare bene, ma andiamo a controllarlo ogni tanto per sicurezza».

Rilasciai un respiro rassegnato. Probabilmente mi odiava e non avrei potuto biasimarlo. Alexander mi seguì lungo le scale, adattando il passo al mio. A metà della rampa non ebbi altra scelta che appoggiarmi alla sua spalla e scendemmo insieme il resto dei gradini.

«Ehilà, mammina». Accasciato sul divano, Joel sventolò una manina della piccola in segno di saluto. «Come va là sotto?»

Gabriel agitò il sonaglio. «Su Internet ho letto che un bagno nei fiocchi d'avena può alleviare i fastidi in caso di lesioni vaginali».

«La piantate di preoccuparvi per la sua vagina? È inquietante» borbottò Sky, accoccolata contro il petto di Remiel.

Isaac indicò dei farmaci sul bancone. Aveva gli occhi lucidi e arrossati dal pianto. «Dal dottor Stone. Altri anti-infiammatori, oli e gel di aloe vera».

Remiel depositò un bacio sulla nuca della sua sorellina. «Ha anche precisato che è uno scienziato, non un ginecologo, quindi ti suggerisce di fare una visita da uno specialista».

«Sarà facile spiegare che un'adorabile demonietta ti ha quasi sventrata». Un lampo malizioso guizzò sul volto di Joel. «Su Internet sconsigliano i rapporti sessuali durante la convalescenza. Spiacente, Alexino. Dovrai tenere a bada i bollenti spiriti per un po'».

Alexander sciolse le nostre dita e lo scrutò in cagnesco. «Idiota».

Annuii. «Va bene. Grazie. Possiamo chiudere la parentesi sulle mie parti intime, per favore? Vorrei mia figlia in prestito».

«No. Mi restano dieci minuti». Joel la strinse al petto. «Aspetta il tuo turno».

«Te la restituisco dopo. Voglio usarla per una sessione di terapia a Callum». Sorrisi e presi in braccio la mia bimba, che lanciò un gridolino allegro. Indossava un pigiama di Spiderman a cui era annesso un cappello rosso ispirato alla maschera. Era una delle tutine che avevo comprato con Nicholas. «Ciao, amore mio».

Sky si rizzò. «Credi davvero che funzionerà?»

«Lo spero».

Uscii dal castello e mi incamminai verso il lago. Callum era seduto sulla riva, i gomiti poggiati sulle ginocchia piegate. La camicia bianca gli ricadeva larga sul fisico sempre più sottile. Stava dimagrendo in maniera allarmante persino per un demone. Senza Nicholas, persuaderlo a mangiare era diventata una sfida pressoché impossibile.

Era l'unica figura di riferimento rimasta ai De'Ath, ed era sul punto di crollare. Anzi, era distrutto. Dovevo iniziare da lui, se volevo avere una qualche chance di risanare quella famiglia a pezzi.

«Sleale» commentò, senza neppure voltarsi.

«Lo so». Mi avvicinai e mi accomodai a gambe incrociate sull'erba, serrando la mascella per il bruciore. Gli porsi la neonata. «Vuoi tenerla?»

Callum mi osservò per un attimo. La luce del mattino gli gettava delle ombre sotto gli zigomi, accentuando i lineamenti scavati e le occhiaie scure. Malgrado l'aspetto emaciato, restava sorprendentemente attraente. Poi spostò la sua attenzione sulla bambina, attirato dai suoi strilletti vivaci. Era una gran chiacchierona. La sistemai con cura tra le sue braccia, adagiandole la testolina nell'incavo del gomito.

Callum cominciò a cullarla e inclinò il capo di lato. «È bellissima».

«Stupenda» lo corressi.

L'angolo della sua bocca si increspò. «Giusto». Le strusciò il dorso dell'indice sulla guanciotta paffuta e non riuscì a reprimere uno sbuffo divertito, quando lei lo acciuffò tra i suoi minuscoli artiglietti. «Ha i suoi occhi. Non il colore. O meglio, non solo. Intendo che ha negli occhi la stessa purezza che avevano un tempo i suoi».

Il mio cuore si contrasse. «Mi dispiace. Ora probabilmente mi odi-»

«Non ti odio. Non potrei. Fai parte della famiglia». Inspirò profondamente, il pomo d'Adamo che si muoveva su e giù. «La colpa è mia, non tua. Sono i miei fratelli. Dovrei prendermi cura di loro, invece continuano a rompersi e non sono in grado di impedirlo. Non sono abbastanza. Non lo sono mai stato. Li sto deludendo».

Allungai la mano, ma poi la ritrassi, ricordandomi che il contatto fisico lo turbava. «Non è vero. Ti amano, Callum, tanto quanto tu ami loro. E hanno bisogno di te, come tu ne hai di loro».

Lui puntò lo sguardo sulla superficie cristallina dell'acqua, sulla quale si rifrangevano i riverberi abbaglianti del sole. Sfiorava distrattamente le ciocche setose della bambina, che sonnecchiava nella sua presa. «Non credo di farcela, Arya. Fa male. È troppo da sopportare. È troppo. Non ce la faccio».

«Posso abbracciarti?»

La mia richiesta lo colse alla sprovvista. Mi adocchiò, scosso dai tremiti. Alla fine crollò con la fronte sulla mia spalla ed esalò un sospiro pesante. Gli passai un braccio dietro la schiena, sentendo il rilievo della spina dorsale attraverso il tessuto della camicia. Il suo corpo si irrigidì. «Non devi affrontare tutto da solo. Non arrenderti. Se non per te stesso, lotta per noi. Fallo per Sky, per Remiel, per Isaac, per Alexander, per Joel, per Gabriel. Non perché occuparti di loro è un tuo compito, ma perché ti vogliono bene» sussurrai.

La mia voce parve rassicurarlo. I suoi muscoli tesi si distesero a poco a poco, il suo ansimare si fece meno affannoso. Affondò il viso nell'incavo del mio collo e le sue lacrime mi bagnarono la pelle. Stava piangendo, eppure non emetteva nessun suono. Soffriva in silenzio, come aveva sempre fatto.

Stavolta però c'ero io con lui.

Avevamo entrambi perso le nostre metà. Ma forse potevamo incastrare i nostri bordi frastagliati per completarci a vicenda.

Lo strinsi con delicatezza, badando a non schiacciare la piccola. Avrei potuto contargli le costole persino da vestito. «Vivi per la tua nipotina. Per poterle raccontare un giorno della zia di cui porta il nome, o di quanto il suo papà fosse... odioso».

Dalla sua bocca scaturì un verso gutturale. Lo spettro di una risata stroncata sul nascere.

«Narcisista, irritante, melodrammatico, brontolone». Gli accarezzai i capelli e premetti la guancia sulla sommità della sua nuca. «Altruista. Leale. Dolce, straordinariamente dolce per qualcuno che ha ricevuto così poco bene nella vita. E disposto a qualsiasi cosa per le persone che amava».

Callum rimase immobile, senza proferire parola, per qualche interminabile minuto. Il suo profumo al ribes mi riempiva i polmoni e mi veniva da sorridere al pensiero che nemmeno in quelle condizioni riusciva a trascurare il suo aspetto.

Si staccò lentamente e sbirciò il suo riflesso sul lago. «Mi hai spettinato» bofonchiò.

Scoppiai a ridere e mimai il gesto di arruffarglieli. Si ritrasse di scatto, con un mezzo sorriso che gli sbocciava sulle labbra.

Il peso enorme che mi gravava sullo stomaco si alleggerì. Era a malapena uno scorcio del Callum che conoscevo, un barlume che affiorava dall'abisso. La strada per la guarigione era ancora lunga, una salita ripida e tortuoso di cui dubitavo avrebbe mai raggiunto la cima. Tuttavia, era qualcosa. Non aspiravo a niente di meglio.

Callum diede un bacino alla bimba addormentata, prima di restituirmela. «Hai deciso, quindi? Kath è il suo secondo nome?»

Annuii.

«E il primo?»

Prima che potessi rispondere, un cipiglio guardingo comparve sulla sua faccia. Balzò in piedi e si girò verso il castello. A giudicare dal modo in cui rizzava le orecchie, aveva attivato il superudito demoniaco.

«Che succede?» chiesi.

Il rombo di un motore spazzò via il silenzio, seguito dagli stridii degli pneumatici sulla ghiaia del vialetto. L'auto si spense. Ero troppo distante per cogliere il rumore delle portiere. Callum saggiò l'aria con il naso e si incupì. «Avaline. Insieme al dottor Stone e a un estraneo». Mi fece un cenno. «Statemi vicine».

Rafforzai d'istinto la stretta su mia figlia con fare protettivo e mi incamminai dietro di lui. Callum spalancò il portone d'ingresso. I De'Ath erano già tutti in allerta, eccetto Gabriel che era impegnato a imboccare il suo petauro con una carota. Ava li stava esortando a calmarsi, mentre Thomas si era defilato in disparte.

Il nuovo arrivato era fermo davanti a uno dei camino. Era un uomo di bassa statura, con un fisico magrolino. Malgrado dovesse avere all'incirca venticinque anni, i suoi lineamenti delicati e il viso glabro gli conferivano l'aspetto di un ragazzino. La carnagione lattea era in contrasto con i folti capelli color carbone. I suoi occhi, di un azzurro luminoso e penetrante, saettavano su ciascuno dei presenti. Se era intimorito dalla situazione, lo nascondeva piuttosto bene.

Callum si piazzò in prima linea, con la sua schiera di fratelli alle spalle. Alexander mi prese delicatamente per il gomito e mi trascinò dietro di sé, facendomi da scudo. Non mi opposi. Mi ero rassegnata all'iperprotettività della mia famigliola demoniaca.

«No, tranquilli. Rimanete calmi. È il telepate di cui vi avevo parlato» stava spiegando Ava, tenendo una mano sollevata nella nostra direzione. «Vuole aiutarci. È stato per anni una cavia dell'Olympus, ed è scappato. Esattamente come voi».

«Dimostralo». L'ordine di Callum risuonò secco. «Dovresti avere il marchio».

Non ce n'era bisogno, per quanto mi riguardava. Leggevo nel suo sguardo lo stesso dolore che avevo imparato a riconoscere nei De'Ath, e di cui avevo avuto solo un minuscolo assaggio. Un dolore che soltanto l'Olympus poteva lasciare.

Lui non parve sorpreso dalla richiesta. «Serve il calore per-» Joel tirò fuori l'accendino con un ghigno e lo osservò con apprensione. «Proprio sicuri che non posso semplicemente farvi entrare nella mia mente?»

«Sei più abile di noi con i poteri psichici. Potresti mostrarci ciò che vuoi» rispose Sky con diffidenza.

Ava fece per protestare, ma il telepate la bloccò con un gesto rassicurante. «No, va bene. Posso capire la paranoia». Iniziò a spogliarsi. «Non vedevo l'ora di essere ustionato oggi».

«Ci pensate?» Gabriel rilasciò un sospiro nostalgico. «Nik l'avrebbe preso alla lettera».

Un macigno mi schiacciò il petto e accarezzai i morbidi ciuffetti scuri della mia bambina, annusando il profumo che emanava.

Il telepate gettò la giacca sullo schienale della sedia, si tolse il gilet e si slacciò alcuni bottoni in alto della camicia. Poi si girò, scoprendo la parte superiore della schiena. Non c'erano segni visibili. Tuttavia, il modo in cui i suoi muscoli si tesero all'avvicinarsi di Joel mi indusse a sospettare che non avesse ricevuto dagli scienziati del suo Progetto un trattamento migliore di quello che Vivianne aveva riservato ai propri figli.

Non emise un fiato, mentre la fiammella dell'accendino gli arrossava la pelle, abbastanza lontana da evitare bruciature. L'inchiostro nero affiorò a poco a poco, sempre più nitido, fino a formare il tatuaggio di un cervello accanto a una scritta ben leggibile tra le sue scapole.

Soggetto H
Proprietà esclusiva dell'Olympus

«D'accordo». Callum incrociò le braccia sul petto. «Ma non usiamo né numeri né lettere qui».

«Potete chiamarmi James».

Alexander inarcò un sopracciglio. «Esattamente in che modo dovresti aiutarci?»

«Facendovi sparire». L'attenzione generale si spostò su Thomas, che si aggiustò gli occhiali sul naso con l'indice. «Vi siete sbarazzati dell'Olympus, certo. Ma al governo ci sono ancora persone molto influenti che sanno di voi e del Progetto».

«Quindi è così?» La vocina di Isaac era un miscuglio di tristezza e delusione. «Dobbiamo scappare di nuovo?»

Sky scosse con foga il capo. «Non esiste. Non abbiamo perso Kath e Nik per tornare al punto di partenza».

«Non vogliamo andarcene» confermò Remiel.

«C'è un'altra soluzione». James finì di rivestirsi e sorrise. Era un sorriso dolce, di cui era istintivo fidarsi. «Avete i nomi di tutti coloro coinvolti nel vostro esperimento nel Grimorio-»

«Come sai del Grimorio?» chiesi, per poi suonarmi una sberla sul viso. «Giusto. Domanda stupida».

Joel scattò sulla difensiva. «Ehi, Nostradamus, stai fuori dalle nostre menti».

Gabriel diede una carezza sul musetto di Alberico. «A me non dà fastidio. Fai pure».

«Grazie al cazzo. Hai una noce di cocco, al posto del cervello».

Alexander lo fulminò con un'occhiataccia. «E tu una mollica di pane. Non si dicono le parolacce in presenza di una neonata».

«È nata nel mezzo di uno sterminio di massa e un maniaco ha cercato di rapirla, ma a traumatizzarla sarà una brutta parolina. Mi sembra un ragionamente perfettamente logico, Jack Frost precongelamento». Joel mi fece un cenno. «A proposito, mi restano dieci minuti. Dammi qua baby Satana».

«Baby Satana? Sul serio?» obiettai indignata.

«Colpa tua, principessa. Non hai ancora scelto un nome».

Callum batté le mani. «Fate silenzio».

Dei passi frenetici rimbombarono lungo le scale. Seth scivolò su uno dei gradini e si aggrappò al corrimano. Perlustrò il salotto con uno sguardo speranzoso, trafelato. «Scusate, c'era un po' di scompiglio e ho pensato...» La delusione nel suo tono era palpabile. «Niente».

«Resta». Sky gli rivolse un sorriso caloroso. «Riguarda anche te».

«Non credo. Sono faccende di famiglia. Io non ne faccio-»

Alexander grugnì infastidito. «Finisci la frase e ti prendo a calci». Lo agguantò per il polso e lo sospinse sul divano. «Ecco, possiamo proseguire».

Seth si corrucciò. «Con Arya sei più carino o hai la stessa gentilezza passivo aggressiva?»

«Ha ragione». Gabriel gli cinse le spalle in una stretta affettuosa. «Gli umani di Nik sono anche i nostri».

Joel sprofondò su una poltrona, cullando la bimba. «Con la differenza che noi non ci andiamo a letto. Beh, tranne Alexino e la principessa. L'avete già fatto?»

Inclinai il capo, scrutandolo torva. «Vuoi un pugno in faccia?»

«Che mammina violenta».

James aprì la bocca, poi la richiuse. «Inizio a capire cosa intendesse Avaline quando vi ha definito una famiglia un tantino caotica».

Non immagini quanto.

Come se mi avesse letto nella mente, gli sfuggì una risatina sommessa e mi adocchiò. Ritornò serio. «Abitudine. Perdonami».

«Qual è il piano?» intervenne Callum spazientito.

Ava distolse a fatica gli occhi dal figlio. «James rimuoverà qualsiasi ricordo dalla memoria dei membri del governo che hanno autorizzato il Progetto o che sono a conoscenza della vostra esistenza. Non possiamo farli arrestare, ma li costringerà anche a dimettersi in modo da evitare che abusino di nuovo della loro posizione per compiere orrori del genere».

Rimasi immobile come uno stoccafisso, lasciando ricadere le braccia. Sarebbe stato il sogno di Nicholas che diventava realtà. Un mondo nel quale i suoi fratelli avrebbero potuto smettere di sopravvivere e cominciare a vivere. «Ne sei davvero in grado?»

«Beh, cancellare ogni traccia di voi sarà impossibile. Considerata la scia di cadaveri che avete disseminato negli ultimi sette anni, dovrei ipnotizzare mezza America». James si strinse nelle spalle. «Ma sì, ne sono in grado. Mi servirà del tempo però. Parecchio tempo probabilmente».

«Più specifico?» lo incalzò Alexander.

«Mesi, o anni. Non lo so. Devo aiutare anche le cavie che avete liberato a tornare a casa. Molti di quei bambini sono stati presi da piccoli e non ricordano da dove provengono, almeno a livello conscio».

«Invece di questi giochetti mentali, non potresti semplicemente...» Joel coprì le orecchie della piccola e concluse in un sussurro: «... ucciderli?»

James si rabbuiò. «Non tutti amano i massacri. Ho accettato di venire perché ritengo che chiunque meriti una seconda occasione, e a voi non è stata concessa neanche la prima. Ma una condizione ce l'ho: le stragi di innocenti devono finire. Se avete intenzione di perpetuare questo ciclo di morte e di violenza, arrangiatevi da soli. Ho abbastanza sangue sulle mani».

«Lo fai soltanto per questo? Per altruismo?» Il tono di Callum era impregnato di gelida diffidenza. «Ne dubito. Che cosa ci guadagni?»

«A parte una bruciatura sulla schiena e minacce velate? Niente. Mi piace solo aiutare». La sua espressione si ammorbidì. «Non avete nessun motivo di fidarvi, lo comprendo più di quanto pensiate. Mi dispiace per ciò che avete passato e per le vostre perdite. Ma vi sto offrendo l'opportunità di ricominciare. Volete sprecarla per paura?»

«Secondo me è stato un bel discorso». Gabriel gli mostrò il petauro. «Lui è Alberico».

James sorrise. «Carino. Anche se, a giudicare dalla mancanza di una zona a rombo priva di peli sulla testa, dovrebbe essere una femmina».

Joel fece un ghigno beffardo. «Quindi Alberico in realtà è Alberica».

«Che bello! È genderfluid come il suo papà!» strillò Gabe emozionato.

Remiel si accasciò su uno sgabello. «Significa che potremmo essere liberi?»

«Sì, liberi. Nessuno vi darebbe la caccia. Potreste rimanere a Notturn Hall, andare al college ed essere dei ragazzi normali. Escluso il fatto che siete dei demoni cannibali e vi nutrite di anime, certo, ma la normalità è relativa». Thomas si grattò la nuca. «E, a tal proposito, vorrei studiare gli appunti sul Grimorio. Anche se non posso cambiare la vostra natura, magari riuscirò a insegnarvi a gestirla meglio. Per il bene vostro e di vostra nipote».

Isaac si torse le dita. «Dell'Olympus che ne sarà? Insomma, di quello che ne rimane».

«Dipende da Seth. Appartiene a lui» rispose Ava.

Seth si irrigidì. «No».

«Logan ti aveva inserito nel suo testamento-»

«Non la voglio. Fatevene ciò che vi pare. Giocatevela a sorte, o datela a Eleanor. Non me ne frega». Giocherellò con il ciondolo sul suo petto. Il regalo di Nicholas per il suo compleanno. «Non intendo averci nulla a che fare».

«Riflettici». James lo fissò quasi con tenerezza. «L'Olympus ha i mezzi e il denaro per fare la differenza. È uno strumento potente e, come ogni arma, è chi la impugna a renderla pericolosa. Sotto la giusta guida potrebbe essere usata per qualcosa di buono. Ad esempio far riconoscere i diritti fondamentali ai Non Umani e offrire loro una sorta di rifugio».

Joel fece un verso sarcastico. «Sei così idiota da crederci?»

«Non idiota. Ottimista».

«Ci sarebbe un altro problema». Thomas si sedette e rilasciò un sospiro esausto, massaggiandosi le tempie. «La bambina».

Sobbalzai. «Cosa? Perché mia figlia sarebbe un problema?»

«È metà demone e metà angelo, Arya. È speciale, ed essere speciali è una condanna. I Discendenti la cercheranno».

«Li aspettiamo» sogghignò Joel.

«Non puoi cancellare la memoria anche a loro?» obiettò Remiel.

James esitò. «A un'intera Congrega di stregoni? Sarebbe un suicidio».

«Al momento Arya risulta scomparsa circa tre mesi fa, dalla notte in cui Ethan Ramos-» Ava ammutolì. «Comunque al governo sono convinti che non ci siano sopravvissuti al crollo della Torre, e comunque non potrebbero rendere pubblico quanto accaduto». Fece una breve pausa, poi aggiunse con riluttanza: «Il metodo migliore per accertarsi che nessuno tenti di risalire a lei o alla bambina sarebbe...»

«Inscenare la nostra morte» completai.

Thomas annuì. «Ci basterà trovare il corpo di una ragazza incinta. James userà i suoi poteri per rendere tutto... credibile, ecco. Le indagini, il certificato per il decesso e il resto».

Fu come ricevere un pugno in pieno stomaco. Scivolai sul divano e mi curvai in avanti, puntellata sui gomiti. Non mi accorsi neppure della fitta tra le gambe dovuta al movimento brusco. Avvertii un tocco caldo e la mano di Seth si posò sulla mia. La strinsi.

Mia madre avrebbe superato un altro lutto? Ed Eryn? Senza dubbio John sarebbe rimasto loro accanto, ma ciò non lo rendeva meno doloroso. Non avrei nemmeno visto Rhys crescere.

All'improvviso la bambina esplose in un pianto disperato e cominciò a scalciare. All'inizio credetti che avesse percepito l'atmosfera cupa che aveva avvolto il soggiorno come una cappa. Poi però Joel si tappò il naso, borbottando: «Brutto periodo per avere un olfatto da demone».

Seth si alzò di scatto. «La cambio io». Mi adocchiò, titubante. «Col tuo permesso».

Forzai un sorriso. «Grazie».

Lo osservai mentre la prendeva in braccio e si allontanava. Era la prima volta in due settimane che mi rivolgeva la parola o che faceva un tentativo di avvicinarsi alla piccola. Non gliene facevo una colpa. Aveva bisogno di tempo per guarire e, conoscendolo, non si sentiva degno di ricoprire il ruolo di padre che sarebbe spettato a Nicholas.

Io, invece, ero del parere che nessuno lo meritasse quanto lui. L'aveva amata fin dal primo istante, sebbene avesse tutti i motivi del mondo per non sostenere la mia gravidanza.

Alexander scosse la testa. «Assolutamente no. Arya ha fatto fin troppi sacrifici».

«Che i Discendenti vengano pure». Sky si erse in un atteggiamento di sfida. «La nostra nipotina ha un sacco di zii e zie pronti a proteggerla».

Ma non potevo. Non volevo che i De'Ath rinunciassero alla loro unica opportunità di vivere in pace, né che mia figlia venisse perseguitata per ciò che era. Era la tacita promessa che Nicholas aveva fatto a Kath, a sé stesso. L'avrei mantenuta io al suo posto. Glielo dovevo.

Mi schiarii la gola per scacciare il groppo che vi si era incastrato. «Voglio soltanto che mia figlia sia felice. È lei la priorità».

«Sarebbe la soluzione più sicura per entrambe». James mi scoccò un'occhiata carica di compassione. «Solo finché non saremo certi che i Discendenti non rappresentino più una minaccia e la questione con gli ultimi superstiti del Progetto non sarà risolta. Allora potrete riunirvi».

Isaac sobbalzò. «Dobbiamo separarci?»

«Voi siete ancora ricercati dal governo. Rimanere con la bimba la esporrebbe a ulteriori rischi» spiegò Thomas.

Joel si scompigliò i capelli con fare rabbioso. «Beh, allora Nostradamus dovrà sbrigarsi a fare il suo lavoro».

«Sai che è inesatto? Nostradamus prevedeva il futuro, non leggeva la mente». Cogliendo la sua occhiataccia, James sollevò le mani in segno di resa. «Era per dire».

Callum si lisciò nervosamente il colletto della camicia. «Faremo ciò che è meglio per nostra nipote».

«Noi siamo il meglio per nostra nipote» protestò Sky.

"A proposito". Mi guardai attorno. "Che fine aveva fatto?"

Approfittando della confusione, sgattaiolai al piano di sopra e raggiunsi la nursery con un'andatura incerta. La porta era socchiusa. Seth era chino sulla culla e accarezzava con dolcezza il viso della bambina, che mordicchiava il suo pupazzo a forma di delfino.

«Lo puoi sentire? È da qualche parte? Un vagito per il sì, due per il no. Ti prego» lo udii bisbigliare.

Entrai nella cameretta. «I demoni sono precoci, ma credo che sia troppo presto per parlare».

Seth ruotò il capo verso di me. «Ehi, ciao. Stavo solamente-» Si impappinò. «Ho pensato che, essendo il loro vincolo così forte, magari era ancora connessa a Nik. In qualche modo».

«Lo so». Lo affiancai e gli sfiorai la guancia. Era bagnata. «Ma i De'Ath hanno detto di averlo sentito... andarsene. È impossibile».

«Non farlo. Non trattarmi come se fossi un povero illuso che nega la realtà». Si ritrasse. «È vivo. Lo sentirei se non lo fosse. Non abbiamo nessun fottuto legame magico, ma so che lo sentirei. Chi non si accorgerebbe di non avere più il cuore?»

«Manca anche a me».

«Non mi manca e basta, Arya. Mancarmi è riduttivo. Non esprime neanche una vaga idea di ciò che provo». Si morse il labbro e si appoggiò alla sponda della culla, fissando la neonata. «Non so vivere senza di lui. La mia vita è cominciata quando l'ho conosciuto. Ed è finita quando l'ho perso. Quindi no, mi rifiuto di accettare che mi abbia lasciato. Mi rifiuto di accettare che abbia superato tutto lo schifo della sua infanzia solo per morire senza aver mai avuto l'opportunità di essere libero. Sarebbe troppo ingiusto».

Aprì il pugno e rivelò una ghianda nel suo palmo. «Tornerà da me. Da noi. Nik torna sempre dalle persone che ama».

Lo abbracciai da dietro, con le mani allacciate sul suo addome e il mento incastrato nell'incavo del suo collo. Tremava. «Aspettiamolo insieme. Vieni con noi. Io, te e Angel. Per favore, Seth, ho paura di non farcela da sola».

Il suo petto venne sconquassato da un verso a metà tra una risatina e un singhiozzo. «Angel?»

«Angel Kathlyn De'Ath. In un certo senso, l'ha scelto Nicholas».

«Mi piace». Si strofinò il viso con la manica. «Anche se Joel ti darà il tormento, quando saprà che hai chiamato un mezzo demone Angel».

Scoppiammo a ridere all'unisono. Seth si voltò nella mia presa e premette la fronte contro la mia. «Okay» mormorò, socchiudendo le palpebre. «Non sono sicuro che sarò un bravo papà, ma farò del mio meglio».

Mi staccai, incredula. «Davvero?»

«Davvero». Gli angoli delle sue labbra si incurvarono all'insù. «Dobbiamo trasferirci in un posto con tanta neve però. In una casa enorme e bianca, in montagna».

«Andata».

Alexander apparve sulla soglia e rimase in attesa a braccia conserte. La maglietta bianca gli metteva in risalto i bicipiti. Seth mi diede una pacchetta e uscì, passandogli accanto. Quando l'eco dei suoi passi si disperse, calò il silenzio.

Non avrebbe parlato per primo, lo sapevo, perciò lo feci io. «Origliare le mie conversazioni non è un buon inizio per la nostra relazione» ironizzai.

Scrollò le spalle. «Neanche progettare il tuo futuro con un altro uomo». Richiuse la porta e annullò i metri che ci dividevano in poche agili falcate. Diede una carezza ad Angel, che ridacchiava e batteva i piedini. «Siamo una coppia anticonvenzionale, immagino».

I miei battiti accelerarono. Coppia. «Cosa avete deciso là sotto?»

«Che la decisione è tua». I suoi occhi di ghiaccio si conficcarono nei miei come schegge. «Ma resterete sempre delle De'Ath. Ovunque sarete».

«Lo spero proprio. Ho firmato un contratto». Gli circondai il busto con le braccia e mi rannicchiai contro il suo petto, sospirando. «Non ci vedremo per un po'».

Posò il mento sulla mia nuca. «Ti aspetterò».

«Potrebbe essere un bel po'».

«Ti aspetterò per un bel po'». Mi porse un foglio ripiegato in due. «Consideralo un promemoria».

Lo afferrai e trattenni il fiato per lo stupore. Aveva disegnato la nostra famiglia. Al completo. Inclusi coloro che non c'erano più, sebbene fossero colorati con una tonalità sbiadita, quasi eterea.

Eravamo radunati sulla riva del lago, la sagoma del castello che si stagliava sullo sfondo. Io ero al centro, con Angel sulla ginocchia. Seth e Nicholas erano alla mia destra, Ethan alla mia sinistra. Alexander dietro. Gabriel e Rhys giocavano con Balto. Joel tirava una ciocca di capelli a Eryn, la quale era in procinto di mollargli un calcio, sotto gli sguardi divertiti di Sky e Remiel.

Kath sorrideva, tenendo a braccetto Atlas da un lato e un Callum imbronciato con il petauro – Alberica? – sulla testa dall'altro. Isaac stava leggendo, sdraiato a terra. Aveva una versione decisamente più magra di Loki acciambellata in grembo. I miei genitori erano abbracciati, vicino a John.

Faceva male. Un male fisico vedere un sogno irrealizzabile concretizzato su carta. Eppure era magnifico.

«Alexander, è bellissimo. Grazie». Sollevai lo sguardo appannato su di lui. «Ho solo una curiosità: sbaglio, o hai fatto lo sconto di qualche chilo a Loki? Licenza artistica?»

Si immusonì, malgrado dalla sua espressione trapelasse un lampo divertito. «Che rompiballe». Mi avvolse il viso tra le mani e premette le labbra sulle mie. «Ah, un'ultima cosa».

«Sì?»

«Puoi chiamarmi Alex».

Cinque anni dopo (Presente)


Ebbene sì. James ha impiegato cinque anni a rimediare ai casini dei De'Ath. Neanche tanto, considerato che non erano affatto pochi e tutto ciò che gli è successo nel mezzo. Ma questo non c'entra con la mia storia.

Prima di partire, gli avevo chiesto di prendersi cura della mia famiglia e devo ammettere che è stato di parola. Grazie alle sue capacità da telepate ha impedito che mia madre cadesse di nuovo in depressione e qualche volta bevono persino il tè insieme.

A quanto mi ha raccontato, si è sposata con John alla fine, anche se la cerimonia è stata intima e privata. Dalle foto che mi invia ho scoperto che Rhys è spaventosamente lievitato in altezza e, pur essendo ancora un nerd, fa strage di cuori. Eryn è entrata in accademia di polizia, seguendo le orme di papà. È il terrore dei criminali probabilmente. Battibecca ancora con Joel, ma nessuno dei due è pronto a una frequentazione.

Rosalie continua a gestire il Coin, ma ha rinunciato a gran parte dei suoi traffici illegali. I genitori adottivi della sua sorellina le permettono di vederla spesso e non vuole rischiare di farla diventare un bersaglio a causa dei suoi affari.

So che lei e Callum si sono lasciati. Dopo la morte di Nicholas gli serviva spazio per riprendersi e sentiva di doversi dedicare ai suoi fratelli e a sé stesso senza distrazioni. Ma sul blog di Gabriel ho letto che non hanno mai smesso di scriversi e che Joel avrebbe trovato, sbirciando sul telefono, delle chat sdolcinate tra di loro.

La famosa privacy dei De'Ath non è cambiata, esatto.

Quanto ai miei amici, Mac ha intrapreso gli studi di medicina e si è ufficialmente fidanzato con Isaac. Anche Deena e Layla sono andate al college. La prima ha scelto psicologia e suppongo che le sia stato utile per aiutare Remiel, che da un paio d'anni è il suo ragazzo, a gestire la sua "dipendenza" da anime. Ha meno problemi a nutrirsi adesso. La seconda invece sogna di insegnare educazione fisica ed è ormai in una relazione stabile (ed eccentrica) con Gabe.

Su decisione di Seth, Ava gestisce l'Olympus con la collaborazione di James e si stanno battendo per difendere la libertà dei Non Umani. Sebbene abbiano strappato al governo alcune piccole conquiste, rimane parecchia strada da fare per raggiungere una vera uguaglianza.

Per quanto riguarda me, sono una scrittrice di fantasy. Assurdo, vero? Ovviamente pubblico i miei romanzi sotto pseudonimo, dato che in teoria sono... beh, morta. Se ve lo state chiedendo, ho mantenuto la promessa. Angel è cresciuta in una gigantesca casa bianca a Juneau, in Alaska, circondata da graziose abitazioni colorate in stile nordico e tonnellate di neve.

È una bambina meravigliosa. Un tantino permalosetta e fin troppo testarda, ma per il resto è perfetta. Allegra, generosa e dolce fino allo stremo. In breve, la fotocopia di suo padre. O di ciò che Nicholas sarebbe potuto essere, se il destino gli avesse concesso una vita migliore.

Quando decide di abbracciarti, ti si appiccica addosso come una cozza e ti puoi solo rassegnare, aspettando il momento in cui scioglierà la sua stretta micidiale. In effetti, la sua forza da demone sta mettendo a dura prova le costole di Seth.

Per fortuna c'è Thomas a darle lezioni in modo che impari a controllare i suoi poteri e a convivere con la sua natura. Stiamo cercando degli espedienti per evitare che da grande sia costretta a uccidere per sopravvivere, ma per ora la carne umana prodotta in laboratorio è sufficiente a tenere a bada le sue necessità speciali.

«Uffi» brontola Angel, stravaccata sul divano. «Queste canzoncine sono noiose».

Che vi ho detto? Identica al suo papà.

Seth deve aver avuto il mio stesso pensiero. Lo capisco dallo sguardo malinconico con cui la fissa. In questi cinque anni non ha neppure pensato di uscire con qualcuno. L'ho spronato ad andare al cinema con un ragazzo una volta e mi ha accontentata, ma al ritorno ha detto che non lo avrebbe più rivisto.

Era carino, simpatico e affettuoso. Non era adatto a lui però. Nessuno lo sarà mai, a discapito di quanto possa provare.

Perché hanno tutti lo stesso difetto: non sono il suo Nik.  

Angel solleva la testa dal suo petto e aggrotta la fronte. «Che c'è?»

«Niente». Seth abbozza un sorriso mesto e la riattira a sé. «Torna a guardare Spirit, demonietta. È soltanto la centesima volta in questa settimana».

«Perché la mamma non vuole comprarmi un cavallo. Puoi convincerla tu?»

Mi getto in bocca una manciata di popcorn. «Tesoro, ti ho dovuto regalare un acquario durante il periodo in fissa con Nemo e mi hai tormentata per avere un criceto perché eri ossessionata da Ratatouille. Non possiamo mettere su uno zoo».

«Non è vero». Angel alza l'indice. «Ti ho tormentata per avere un topo. Sei tu che hai preso un criceto».

«Non facciamole mai vedere cartoni con insetti o ragni, ti scongiuro. Mai» mi supplica Seth.

Scoppio a ridere. Una strana sensazione mi assale, un richiamo famigliare che non provo più da tempo. Lancio un'occhiata fuori dalla finestra e mi acciglio. Devo sbagliarmi. Non può essere. «Torno subito».

Infilo il giubbotto ed esco. Una figura si staglia accanto allo sbilenco pupazzo di neve che io e Seth abbiamo fatto con Angel, fuori dalle pozze di luce proiettate dal lampadario del soggiorno. Tiene le mani affondate nelle tasche e un sorriso gli distorce la cicatrice che gli attraversa metà del viso.

«Ehi» mi saluta.

Rimango impalata per un istante. «Ehi». Mi riscuoto e lo raggiungo a passi spediti. «Dove diavolo sei stato? Ho pensato che fossi morto».

«Solo tu puoi uccidermi, Arya. Ma apprezzo la tua preoccupazione». C'è una nota divertita nella sua voce. «È stata una rigenerazione difficile. Ho anche gironzolato un po'. Dal mio risveglio sono stato così impegnato che non avevo visto molto del mondo in quest'epoca».

Cavolo. Avevo quasi dimenticato quanto è vecchio. «E come ti è sembrato?»

Riflette per un attimo. «Rumoroso. E frenetico. Tutti sono in costante movimento, ma non arrivano mai a nessuna destinazione. Ho l'impressione che nemmeno loro sappiano quale sia. È sfiancante».

«Suppongo di sì. Come mi hai trovata?»

«Siamo legati. Ti troverò sempre». Si guarda attorno. «È un posto carino, comunque».

Annuisco. «È vero. Mi dispiace che presto ce ne andremo. Torniamo a casa».

«E da Alexander» puntualizza.

Un calore mi si propaga sulle guance. «E da Alexander».

Rilascia un sospiro e nuvolette dense gli scaturiscono dalle narici. «Mi fa piacere per te».

«Davvero?»

«Se ami qualcuno e non vuoi che sia felice, non è amore».

Il mio volto va a fuoco. Tossicchio, schiarendomi la gola. «Cosa?»

Inclina la testa e una ciocca corvina gli scivola tra le sopracciglia, risaltando sull'incarnato pallido. «Li ho tenuti d'occhio, sai? I miei nipoti. Si stanno comportando stranamente bene, anche se ormai ho dovuto prendere atto di aver generato una stirpe di idioti».

Ridacchio. «Ti stai affezionando, eh?»

«Forse. Negherò di averlo detto però».

Una folata di vento gelido mi investe e rabbrividisco. Tiro su la zip fino al mento, sfregando le mani. «Per questo li hai risparmiati? Non è una coincidenza che la Torre sia crollata quando eravamo già tutti al sicuro».

«Non lo so. Magari volevo soltanto dare loro l'occasione che a me è stata negata. La possibilità di scegliere di non essere dei mostri».

«E Nicholas? Hai sentito il suo potere...» azzardo.

«No. Ce l'ha la vostra bambina, credo». Keegan si china e raccoglie il cetriolo sprofondato nello strato candido. Osserva il pupazzo di neve, stranito. «Non si dovrebbe usare una carota per il naso?»

«Mia figlia ha un'avversione per le carote, o per qualsiasi verdura e frutto arancioni. Non so perché». Accenno al portone d'ingresso. «Ti va di conoscerla? Se hai fame, è avanzato del pollo al curry. L'ho cucinato io».

Esita. «Meglio di no. Mi è bastato il tuo toast bruciato».

Gli mollo un pugno sulla spalla. «Cretino. È evidente che la stupidità dei De'Ath sia genetica».

«Probabile». L'angolo della sua bocca si increspa. «In verità sono venuto per un favore».

Il mio entusiasmo si sgonfia come un palloncino bucato e arretro. «Non posso, Keegan. Non posso... ucciderti, okay? Mi dispiace, ma non ci riuscirei neanche volendo».

La sua espressione si addolcisce. «Lo so. Hai un cuore troppo puro». Sfila dalla tasca una fiala con una siringa. «Mi daresti il tuo sangue?»

«È sufficiente a spezzare la Maledizione?»

«Non proprio. Ma un'arma intrisa del tuo sangue potrebbe funzionare». Si stringe nelle spalle. «Tanto vale tentare, giusto?»

Mi arrotolo una manica e allungo il braccio. Ho la pelle d'oca per il freddo. «Mi ami perché ti ricordo Alyce?»

«All'inizio ti guardavo e vedevo lei. Adesso vedo solo te». Con delicatezza inserisce l'ago, facendomi storcere il naso. «Scusami». Riempie la provetta di vetro e lo toglie. I suoi occhi neri si incatenano ai miei. «Alyce non è riuscita ad andare oltre ai pregiudizi, agli insegnamenti che aveva ricevuto. Mi amava tanto quanto odiava ciò che ero. Tu mi hai accettato. Quando ero senza memoria e sapevi che ero diverso, non mi hai abbandonato. Ti sei fidata di me. Lo hai fatto pure con Nicholas e i suoi fratelli. È un dono raro il tuo, Arya. Non perderlo».

Il tono affettuoso con cui parla di Alyce mi fa corrucciare. «Non capisco. Ti ha rinchiuso in una bara per quattrocento anni e ancora la disegni. Come puoi non odiarla?»

Keegan rimane in silenzio per un momento. «In mille anni ho amato davvero soltanto quattro persone. Un mio compagno d'armi, mia figlia, lei e te. L'immortalità consuma ogni cosa, tutto si mescola e svanisce, ma ci sono sentimenti così intensi da sopravvivere persino allo scorrere del tempo. Non puoi odiare qualcuno che hai amato a tal punto, a prescindere da quanto male ti abbia fatto».

Non resisto alla tentazione. Lo circondo con entrambe le braccia e lo trascino in un abbraccio. Keegan rimane immobile, colto alla sprovvista, poi lentamente ricambia. «Perché?» mormora al mio orecchio.

Appoggio il mento sulla sua spalla. «Perché devono essere secoli che non ne ricevi uno».

Avverto il suo sorriso. «Grazie, Arya. Per essere stata la mia prima amica».

«Non ci rivedremo mai più?» chiedo, staccandomi per osservarlo.

Keegan mi porta un ciuffo dietro l'orecchio. «Chissà».

«Potresti venire a trovarci. Ai De'Ath non dispiacerebbe. E tanto ti basta schioccare le dita per apparire dove ti pare».

«Non schiocco le dita». Si sporge e mi soffia un bacio leggero sulla fronte. «Buona vita, Arya».

È scomparso nel nulla prima ancora che possa rispondere.

Torno dentro e lancio il cappotto sull'attaccapanni. Angel è rannicchiata contro la spalla di Seth, con le palpebre semichiuse. Mi chino sopra lo schienale del divano e le accarezzo la guancia. «È tardi, piccola. Andiamo a nanna».

Lei si stropiccia gli occhi blu con i pugnetti. «Non sono», fa un enorme sbadiglio, «stanca».

«E quello cos'è?»

Richiude subito la bocca. «Quello cosa, mammina? Non ho fatto niente».

«Forza, demonietta» commenta Seth divertito, arruffandole i capelli. «Se non fai storie, domani ti prendiamo i donuts per colazione».

Trattengo a stento un ghigno. So benissimo che glieli ha già comprati e messi nel frigo.

Angel sbuffa. «Non mi faccio corrompere».

«Con le praline» aggiunge Seth.

«Buonanotte, papino».

Aspetto che gli abbia dato il bacino e la carico in braccio. Salgo le scale e percorro il corridoio fino alla sua cameretta. Quando la deposito sul letto, è già mezza addormentata. «Mamma?» mugola, mentre le rimbocco le coperte. «Papà mi ha mai detto che mi vuole bene?»

Mi blocco. «Seth te lo ripete di continuo».

«No, non papino. Papà». Angel stringe il pupazzetto di Baby Groot. È il suo inseparabile compagno, insieme al delfino di peluche. «L'ho sognato ieri. Ma era un sogno molto realistico».

Mi siedo sul bordo del materasso. «Amore, non puoi-»

«Era tipo in un tunnel. Diceva che sono più bella di lui e che voleva essere il mio eroe. E di volermi tanto bene».

Ammutolisco. Per un secondo rimango interdetta, poi nella mia mente affiora l'immagine di James. Prima di andarsene, cinque anni prima, aveva voluto farmi un regalo d'addio. Si era accertato di avere il mio permesso e aveva toccato la tempia di Angel con l'indice. "Le ho salvato un ricordo. Per quando sarà grande" mi aveva spiegato.

All'epoca non mi era stato ben chiaro a cosa si riferisse. Ora ho capito. Ha fatto in modo che non si dimenticasse dei pochi istanti vissuti con Nicholas, malgrado fosse appena nata.

Sorrido. «Sì, papà ti amava tantissimo».

«Gli somiglio?» chiede speranzosa.

«Somigliargli? Sei il suo clone». Le pizzico il fianco, facendola contrarre per il solletico. «Ascoltami. Hai presente che il tuo papà aveva tantissimi fratelli?» Indico la cornice sul comodino in cui è racchiuso il disegno di Alexander. «Te ne abbiamo parlato spesso io e Seth».

Lo sguardo di Angel si illumina. «Gli zii!»

«Esatto». Fisso il ciondolo appartenuto a Kath attorno al suo collo, con il corvo appollaiato sul teschio. «Hai voglia di conoscerli?»

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Angolo Jedi
Scusate la lunghissima attesa. Sono in blocco ultimamente e ci tenevo a darvi un finale all'altezza delle vostre aspettative. Non sono sicura di esserci riuscita, purtroppo ho un rapporto difficile con questa storia, e ultimamente odio la mia scrittura più del solito.

Comunque, in teoria questo capitolo non era previsto, ma è evidente che non ho il dono della sintesi. Prima di lasciarvi al vero epilogo, vi do un consiglio: non togliete “Fear of Silence” dalla biblioteca. Più avanti arriveranno i ringraziamenti e chissà, magari anche qualche scenetta extra.

Ah, piccola chicca: James è il co-protagonista di uno spin off che sto scrivendo. Non so se e quando uscirà, ma sono felice di avervi fatto conoscere il mio golden retriever :')

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