𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 61 (Arya)
"ℭ𝔞𝔲𝔰𝔢 𝔶𝔬𝔲 𝔞𝔫𝔡 ℑ..."
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Tutti abbiamo almeno una costante nella nostra vita. Qualcosa o qualcuno che semplicemente c'è. Non è per forza presente fin dalla nascita, ma a un certo punto entra nella nostra esistenza e da allora ci accompagna, tanto che finiamo per darla per scontata.
A ogni caduta ci aiuta a rialzarci, o si stende accanto finché non riusciamo a farlo da soli. A ogni dolore ci dà un rifugio sicuro in cui ripararci. A ogni successo ride insieme a noi. E, nei momenti davvero bui, può diventare la luce che ci spinge ad alzarci dal letto e a guidarci fuori dal baratro nel quale siamo sprofondati.
Tutti abbiamo una costante. Che sia un genitore, un fratello, un amico, un cane, una passione, uno sport, persino un giocattolo... tutti ce l'abbiamo.
Ethan era la mia. E l'avevo persa.
Era strano e disorientante costruire dei ricordi senza di lui. Rendersi conto che non avrebbe fatto parte del mio futuro, perché non gli era stato concesso di averne uno.
Anche a distanza di due mesi dalla sua morte, facevo fatica a dormire. A volte mi svegliavo con i muscoli atrofizzati, incapace di muovermi o parlare, il cuore in tumulto e il suo nome nella mente. Il panico mi invadeva a ondate. Volevo urlare, scalciare, dibattermi, ma il mio corpo non obbediva ai miei comandi e la voce rimaneva incastrata in gola.
E di certo essere tenuta prigioniera dall'Olympus non migliorava la situazione.
Ovviamente ero trattata con il massimo riguardo grazie a Keegan. La mia camera era piena di comodità, il cibo che mi davano alla mensa era ottimo e mi era concesso ogni tanto di passeggiare sulla riva. Peccato che non potessi contattare nessuno all'esterno della Torre, neanche mia madre, e che fossi sempre sotto stretta sorveglianza.
Un lato positivo c'era: la terapia stava funzionando.
Mi sentivo meglio, da quando avevo iniziato a fare trasfusioni e mi veniva iniettato un siero del quale non avevo capito la natura. Anche la mia bambina si agitava di meno nel pancione.
Il problema era sopportare la vicinanza di Lucius, malgrado la sua sola vista mi provocasse una repulsione fisica.
«Oggi è l'undici agosto» commentò quest'ultimo, dopo avermi infilato l'ago nel braccio.
Mi ritrassi appena sul lettino. Il disgusto che provavo per quell'essere, che definire uomo sarebbe stato un insulto all'intero genere maschile, era indescrivibile. «So guardare il calendario, grazie».
Keegan si arrotolò la manica del maglione fin sopra al gomito, seduto sulla sedia accanto a me. Sebbene mi parlasse di rado, era diventato la mia fedele guardia del corpo. Mi scortava ovunque e non permetteva a nessuno di sfiorarmi. Inoltre, attraverso il suo sangue mia figlia assorbiva parte dell'essenza vitale delle anime di cui si era nutrito, senza che io dovessi uccidere nessuno.
Lucius lo collegò con un tubicino. «È il compleanno di Zero».
Un moto di fastidio mi assalì. «Chiamarlo Nicholas ti fa schifo?»
«Non è il suo nome. E, in tutta sincerità, non comprendo perché ti importa. Ha ucciso il tuo migliore amico».
Tacqui. Nelle ultime settimane l'immagine di Nicholas con il cuore di Ethan in mano mi aveva perseguitata. Era un momento che avevo rivissuto all'infinito nella mia mente.
Avevo rivisto il suo sguardo terrorizzato, il pallore mortale del viso, i tremiti che lo scuotevano e la sua completa incapacità di proferire parola. Non si era nemmeno difeso, quando lo avevo picchiato.
Forse era la disperazione, il bisogno di aggrapparmi a un briciolo di speranza, ma avevo iniziato a coltivare l'illusione che ci fosse una spiegazione razionale. Un qualche assurdo modo per discolparlo.
Perché non volevo odiare Nicholas. Per chissà quale motivo, mi mancava. E l'assenza del nostro legame mi suscitava una sensazione paragonabile a un ulteriore lutto.
Contro ogni ragione mi ostinavo a credere in lui, in un demone psicopatico narcisista con tendenze omicide e un brutto carattere. Che però aveva allestito la nursery per la nostra piccolina, adorava i cartoni animati e si era gettato in una piscina per salvarmi malgrado l'acqua fosse la sua peggiore paura.
«A prescindere da ciò che ha fatto, lui non è un numero. Né una cavia». Gli scoccai un'occhiata di puro disprezzo. «Lo hai reso tu ciò che è. Era dolce e innocente, e lo hai distrutto. Insieme ai suoi fratelli. E hai persino avuto il coraggio di considerarlo amore».
Lucius si appoggiò alla scrivania, fissandomi a braccia conserte. Con il camice bianco e la carnagione bronzea sarebbe stato attraente, se non avessi saputo che era un pedofilo. «Conosci la favola del cacciatore e del mastino, Arya? È popolare a Notturn Hall. Chi è il cattivo, a tuo parere?»
Aggrottai la fronte, colta alla sprovvista. Mi sforzai di ricordare i particolari della storia. Erano anni che non la sentivo. «Il cacciatore. Il mastino era aggressivo a causa sua. Se lo avesse amato, invece di-»
«Ne sei sicura? Il mastino ha sbranato della gente. Era maltrattato, è vero, ma noi cosa sappiamo del passato del cacciatore? E se anche lui non avesse ricevuto altro che violenza? Fino a che punto il male si può perdonare?» Lucius inarcò un sopracciglio. Non risposi. «La vera morale è che non ci sono né buoni né cattivi. È una questione di prospettiva. Chi impugna la penna ha il potere di decidere, di scrivere la sua verità».
Scossi il capo. «Non puoi giustificare così gli abusi su dei bambini».
«Mi sono preso cura di loro. Ho fatto del mio meglio con gli strumenti che mi sono stati dati. Senza di me a porre un freno ai loro genitori, sarebbero morti per gli esperimenti o per le punizioni».
«Non ti devono nulla. Li hai uccisi in un modo peggiore» sputai rabbiosa.
Un lampo di frustrazione guizzò sul suo viso e fece per avvicinarsi. Pur non essendo stato un movimento brusco o minaccioso, Keegan balzò in piedi e si piazzò nel mezzo. La sua espressione era gelida. «Abbiamo finito. Il discorso filosofico termina qui. Puoi andare».
Lucius non si mosse. Si limitò a squadrarlo per un lungo momento, quasi affascinato. «Non sei d'accordo con me? Hai... quanti? Mille anni? Dovresti comprendere meglio di chiunque la verità delle mie parole».
«Sei vivo soltanto perché mi servi. Ma la gravidanza è ormai agli sgoccioli, perciò ti suggerisco di non mettere alla prova la mia pazienza, se vuoi rimanere tale».
Lucius ridacchiò e mi rivolse un sorrisetto divertito. «Che cagnolino fedele che hai» commentò, prima di uscire dalla stanza.
Keegan si girò e tese la mano per aiutarmi. Ignorandolo, mi tolsi l'ago e mi alzai da sola con una smorfia. Le caviglie gonfie mi pulsavano, anche se era il mal di schiena a essere micidiale. Lui sospirò, ma mi accompagnò in silenzio nel corridoio, adeguando il suo passo al mio.
Mentre ci dirigevamo verso la mensa, passammo davanti a una scala e notai Logan e Seth fermi in cima. Erano intenti a chiacchierare, il primo con una mano sulla spalla del figlio. Mi corrucciai. Sembravano in rapporti piuttosto... amichevoli.
Incrociai lo sguardo di Seth dalla base della gradinata. Malgrado sapessi che anche lui era "ospite" nella Torre, non ci incontravamo dalla notte della morte di Ethan ed ero sicura che fosse furioso con me per aver consegnato Nicholas all'Olympus.
Invece, dopo un breve attimo in cui la sua mascella ebbe uno spasmo, mi salutò con un cenno allegro. «Ehi, Arya. Come butta?»
Sbattei le palpebre, disorientata. Keegan mi sospinse con delicatezza e ripresi a camminare in maniera automatica, superando la scala. Cos'era successo? Gli avevano fatto il lavaggio del cervello in qualche modo? «Sta fingendo. Non c'è altra spiegazione».
«Oppure vuole solo un padre. Non sottovalutare la disperazione di un orfano».
«Non abbandonerebbe mai Nicholas, e non tradirebbe i De'Ath». Era una certezza. Lo avevo visto accettare il suo destino con una pistola puntata alla testa, pur di non permettere ad August di impossessarsi di un'arma che avrebbe potuto distruggere la sua famiglia demoniaca. Anzi, la nostra. «È impossibile».
Keegan aprì la porta della mensa e si scansò per farmi entrare. Lo sbirciai di sottecchi, intanto che raggiungevamo il solito tavolo. «Tu sai qualcosa».
«Ah sì?» replicò annoiato.
Lo tirai per il polso fino a obbligarlo ad avvicinarsi. In realtà non ne avrei avuto la forza, ma avevo capito che a lui piaceva lasciarmi vincere. Ero convinta che avrebbe assecondato qualsiasi mia richiesta, purché non contrastasse con i suoi obiettivi. «Seth fa l'amicone con il Benefattore. I De'Ath sono scomparsi da due mesi. E tu, chissà come, non riesci a trovarli» sussurrai, a un soffio dal suo volto. «È un po' strano. Credevo che potessi fare tutto».
Il respiro di Keegan accelerò. I suoi occhi mi mettevano i brividi: erano finestre nere e profonde affacciate sull'oscurità, sul vuoto assoluto, segnati dalla malinconia antica di chi aveva vissuto troppo. Li abbassò sul punto in cui le mie dita gli stringevano la pelle fredda e il suo pomo d'Adamo si spostò su e giù. «Non sono infallibile, a quanto pare».
«Sono letteralmente pezzi di te. Del tuo potere. Li stai proteggendo». Mi guardai attorno. La nostra discussione aveva attirato l'attenzione di molti dei presenti, perlopiù scienziati, che avevano abbassato il volume delle loro conversazioni nella speranza di origliare. Ridussi la voce in un bisbiglio a malapena udibile, per un essere umano almeno. «Se avete un piano, devi dirmelo».
Keegan si liberò dalla mia presa e trascinò indietro una sedia per farmi accomodare. «Non darmi ordini, Arya».
«Perché? Ti dà fastidio?»
«No. Perché ti obbedirei».
Lo osservai allontanarsi verso il bancone. "Sei il suo famiglio, giusto? Per questo le sei così devoto" gli aveva detto Callum sulla spiaggia. La perdita di Ethan aveva occupato gran parte dei miei pensieri da allora, quindi non avevo riflettuto molto a riguardo, ma non potevo non chiedermi che cosa significasse.
Keegan ritornò e mi consegnò il vassoio. Era snervante essere trattata come un'inferma. Si sedette davanti a me, con le braccia incrociate sul petto. Afferrai la forchetta e il coltello e cominciai ad affettare la bistecca. Me la davano spesso, ben cotta. Aveva un sapore gradevole ma insolito, tanto che non riuscivo a capire se si trattasse di maiale o di agnello. Non che avesse importanza.
«Cos'è un famiglio?» buttai lì.
Keegan si irrigidì. Scosse il capo, ostinato a rimanere assorto nello stesso silenzio di sempre. Infilzai un pezzo di carne. «Preferisci che continui a tartassarti di domande sul tuo piano segreto?»
«Preferirei che tu provassi a fidarti di me».
Emisi un verso sprezzante. «Sei la ragione per cui l'Olympus mi tiene rinchiusa».
Le labbra gli si arricciarono. «Sono anche la ragione per cui sei ancora in vita».
Prima che potessi ribattere, una contrazione mi fece sussultare. Gemetti e portai una mano sul grembo. Ero stata avvisata che la bimba sarebbe nata a breve, entro pochi giorni. In anticipo di un mese, com'era normale per i demoni, o così mi avevano riferito.
Keegan mi scrutò con un cipiglio tetro, le orecchie tese, poi si alzò di scatto. «Devo fare una cosa. Se ti danno fastidio o hai bisogno, chiamami con il dispositivo che ti ho dato».
Corrugai la fronte. «Aspetta. Dove-»
Ma se ne stava già andando. Estrassi il piccolo marchingegno dalla tasca e schiacciai il tasto per dispetto. Keegan si arrestò tra i tavoli, controllò il telefono e si girò verso di me. «Simpatica» esclamò, con un malcelato sorriso.
Sospirai e mi abbandonai contro lo schienale. Un moto di nostalgia mi assalì. Avrei voluto che Ethan fosse lì, con me. L'ultima immagine che avevo di lui risaliva alla suite dell'albergo, quando mi aveva abbracciata nel letto fino a che non mi ero addormentata.
"Non ti lascio, corazón".
Ma l'aveva fatto. E mi mancava. Terribilmente.
Come avrei sopportato quel vuoto per il resto della mia esistenza? Si poteva davvero sopravvivere con metà del proprio cuore?
Deglutii per scacciare il nodo che mi serrava la gola. Non volevo piangere in pubblico, circondata da dipendenti dell'Olympus. Una vocetta stucchevole mi strappò un sussulto. «Sei la sua più grande debolezza, ne sei consapevole?»
Mi strinsi le braccia al petto. Era facile indovinare a chi si riferisse. «Perché è ossessionato da me?»
Maya prese il posto di Keegan e sfoderò una smorfia stupita poco credibile. «Non te lo ha detto? Buffo, considerato il tempo che trascorrete insieme».
«Sembri gelosa».
«L'ho salvato. Ho impiegato anni interi per rimetterlo in sesto. Eppure sei tu il centro del suo universo». Si spinse gli occhiali sul naso. «Un essere dalle capacità straordinarie infatuato di una mocciosa. Non è ironico? Tutto per uno sciocco incantesimo».
Esitai. «Che significa?»
«Sei una Discendente, Arya. La tua stirpe ha scagliato la maledizione che ha creato i Windigo».
La bocca mi si prosciugò. Scivolai giù dalla sedia e uscii dalla mensa alla velocità consentita dal peso del pancione. Premetti il pulsante del dispositivo, ma non avevo la pazienza di aspettare, così mi diressi verso la camera di Keegan. Non era distante dalla mia.
Abbassai la maniglia con violenza e spinsi. Rimasi disorientata nello scoprire che non era chiusa a chiave. Ebbi un attimo di tentennamento, infine la curiosità prevalse. Entrai, richiusi la porta e iniziai a esplorare la stanza. Era priva di effetti personali. C'era solo un foglio di carta sulla scrivania su cui era abbozzato un disegno dai tratti fini e delicati.
Era impressionante quante somiglianze avesse con i miei De'Ath. La passione per la lettura di Nicholas e Isaac. Lo stile elegante di Callum. Sugli scaffali c'era la raccolta completa delle opere di Shakespeare, segno che amava il teatro come Gabriel. Adesso le doti artistiche di Alexander. Erano coincidenze bizzarre.
Quando mi avvicinai, mi accorsi che era un ritratto. Un volto. All'inizio credetti che fosse il mio, ma i lineamenti erano diversi e i capelli corvini troppo mossi. Gli occhi però erano identici ai miei, di un verde tendente al viola. Chi diavolo era?
«Prego, Arya» commentò Keegan sarcastico, varcando la soglia. Sobbalzai. Non mi ero accorta del suo arrivo. «Sei la benvenuta. Fai pure come se fossi a casa tua».
Lo scrutai per un istante. Aveva degli strappi sul maglione e i capelli arruffati, quasi fosse reduce da uno scontro. Al momento, però, avevo un'altra priorità. «La mia famiglia ha lanciato la maledizione? È così?»
Keegan parve colto alla sprovvista, poi sbuffò contrariato. «Maya, suppongo».
«P-perché non me l'hai detto?» La mia voce tremava.
«Non lo ritenevo importante».
Se non fossi stata sconvolta, lo avrei ammazzato. Le gambe minacciarono di cedermi e mi accasciai in fondo al letto. «Ma la leggenda...»
«È sbagliata, oltre che incompleta». Keegan si incamminò verso l'armadio. «I miei genitori erano fratelli. Gemelli. Era il vero motivo per cui i loro parenti ne osteggiavano l'unione, pertanto li hanno uccisi a un banchetto e li hanno... beh, mangiati».
Sgranai gli occhi. «Cosa?»
«Sì, per questo ci nutriamo di carne umana. È stata una punizione. Non degli dèi, bensì della tua antenata. Ofelia». Spalancò le ante e cominciò a passare in rassegna i vestiti appesi. «Era una strega. O angelo, come preferisci. Mio padre le aveva spezzato il cuore, quando aveva deciso di sposare la sua stessa sorella. E lui, invece di scusarsi, pensò bene di approfittare dei suoi sentimenti e di manipolarla affinché guarisse la sterilità di mia madre».
«Ha chiesto aiuto alla donna che aveva appena rifiutato?» replicai allibita.
«Era tanto attraente quanto stupido, purtroppo». Keegan sospirò, tirando fuori una camicia scura. «Comunque io fui il suo dono di nozze per i miei genitori. Un mostro che ha fatto a pezzi la propria madre per nascere. Mio padre tentò in ogni modo di sbarazzarsi di me, ma non sapeva dell'oricalco. All'inizio mi tenne con sé, rinchiuso in casa, finché crescendo divenni sempre più ingestibile. Allora mi sigillò all'interno di una grotta, dalla quale fu proprio Ofelia a salvarmi, a condizione che mi vincolassi a lei come suo famiglio».
Increspai le sopracciglia. «E hai accettato?»
«Ero un ragazzino. Ero spaventato. Prometteva di aiutarmi». Il suo tono era intriso di amarezza. «Avrei accettato qualsiasi cosa».
Per quanto volessi odiarlo, la compassione mi strinse il cuore in una morsa. Keegan scoccò un'occhiata fuori dalla finestra, con lo sguardo perso nel passato. Irraggiungibile. «Ero la sua seconda occasione. Mio padre non l'aveva amata, perciò pretendeva che lo facessi io. Non c'è magia, però, che possa far innamorare. Ero costretto a obbedirle, non ad amarla». Rilasciò lentamente il respiro. «Ho sopportato, Arya, più a lungo che ho potuto. Alla fine ho preso un'ascia e ho cercato di sfondarmi il cranio. Demone o meno, credevo che con un cervello ridotto in poltiglia non sarei sopravvissuto».
Inorridii. «La tua cicatrice» mormorai, sfiorandomi la guancia.
«Già. Non la migliore delle mie idee». L'angolo della sua bocca si piegò all'insù. «Il legame mi aveva reso immortale, invulnerabile anche all'oricalco. Non potevo neppure morire senza il suo consenso. Per mia fortuna, Ofelia non ne era a conoscenza. O forse sì. Comunque fu una rigenerazione lenta e difficile, e al mio risveglio la trovai impiccata».
«Si è suicidata?»
«Non l'ho mai scoperto. Non escludo che possa essere stata la sua Congrega a ucciderla, dato che era ormai completamente pazza». Scrollò le spalle. «In ogni caso era morta. La maledizione poteva essere spezzata soltanto dalla sua stirpe, ed ero convinto che si fosse estinta con lei. Così mi sono lasciato andare. Per secoli ho fatto il mercenario o il soldato, arruolandomi ora in un esercito e ora in un altro, combattendo le guerre degli umani, in modo da nutrirmi senza destare sospetti. Non usavo i miei poteri. Era bello confondermi tra di loro, sentirmi normale».
Keegan afferrò il maglione da dietro e se lo sfilò con un gesto fluido. I suoi muscoli si tesero sotto la pelle. Non potei evitare di ammirare il suo corpo, sfregiato dai segni di un'esistenza millenaria. Un intrico di linee bianche che si intersecavano sul suo petto scolpito e si incastravano tra le scanalature degli addominali piatti. Lo stomaco mi si contrasse alla vista della V che gli scendeva sui fianchi fino all'orlo dei pantaloni.
Tossicchiai. «Devi per forza spogliarti davanti a me?»
«Avevo capito che in quest'epoca le donne fossero meno pudiche».
«La decenza è ancora di moda».
Keegan ridacchiò e indossò la camicia. Gli feci cenno di proseguire. «Non durò, ovviamente. Con il tempo scoprii l'altra faccia della medaglia: la solitudine. L'immortalità è una condanna se non hai nessuno con cui condividerla. Che senso aveva affezionarmi a qualcuno destinato a diventare cenere? Era un dolore devastante, ogni singola volta».
Le sue dita affusolate cominciarono ad allacciare i bottoni. «Ho costruito il mio castello e mi ci sono rintanato dentro, scacciando chiunque tentasse di avvicinarsi e cercando di togliermi la vita con metodi molto fantasiosi. Gli abitanti di Notturn Hall si persuasero che fosse un luogo oscuro, di morte, e quel nome mi venne cucito addosso».
Rabbrividii. «De'Ath».
Si sistemò il colletto. «Uscivo ogni tanto, quando avevo bisogno di una pausa dalla solitudine. Adoravo passeggiare per le strade di Roma. Ma fu durante un ballo a Londra che conobbi l'ultima Discendente della stirpe di Ofelia. Lady Alyce Black. Nell'istante in cui la incontrai, sentii il vincolo che ci univa e capii chi fosse».
Sollevai il disegno che tenevo ancora in mano. «Lei».
Keegan annuì. Si posizionò di fronte a me e si abbassò sulle ginocchia per porsi alla mia altezza, incatenando lo sguardo al mio. Un fremito mi attraversò la schiena. «Potevi anche sederti».
«Davanti alle regine ci si inginocchia, non lo sapevi?»
Sbuffai. Che cascamorto. «Com'è andata con Alyce?»
Un'ombra cupa gli calò sulla faccia. «Da degno figlio di mio padre, decisi di sedurla. Volevo manipolarla nella speranza che mi liberasse dalla maledizione. Non ne vado fiero. Ma non avevo considerato ciò che succede quando ti apri a una persona, dopo secoli di completo isolamento».
«Ti sei innamorato».
«Oggi lo chiamereste un cliché». Abbozzò un sorriso mesto. «Non è crudele? Finalmente avevo la chiave per poter morire, quello che volevo da sempre, eppure desideravo vivere più che mai. Per merito suo».
Non attese nessuna risposta. «Il problema è che lei stava facendo lo stesso gioco, per conto della sua Congrega. Nel profondo lo sapevo, però non mi importava. Ero affamato d'amore, Arya. Un drogato disposto a tutto per avere una dose. E, come un idiota, mi sono lasciato ingannare».
Un sospetto si insinuò dentro di me. «È stata Alyce a imprigionarti nella bara?»
«Gli stregoni le avevano ordinato di sfruttare il legame per eliminarmi. Ma i suoi sentimenti erano reali quanto i miei. Mi amava troppo per uccidermi, non abbastanza da disobbedire. La bara è stata una sorta di compromesso, suppongo». Tirò un sospiro rassegnato. «Mi occultò con degli incantesimi. Piuttosto bene, aggiungerei, perché non sono stato trovato per quattro lunghi secoli. Alyce venne accusata di tradimento e i Black furono espulsi dalla Congrega britannica. Il resto della storia già lo sai».
Il silenzio si protrasse tra di noi. La tristezza nei suoi occhi era palpabile e mi domandai come sarebbero stati se in quelle tenebre avesse brillato un po' di luce. Allungai la mano e accarezzai la cicatrice che gli rigava il volto. «Che cosa vuoi davvero?»
Socchiuse le palpebre, beandosi del mio tocco. «Pace, Arya. Solo pace. E tu sei l'unica a potermela dare».
All'inizio non capii. Poi ripensai alle sue intenzioni con Alyce e mi ritrassi. «Io non voglio ucciderti» sbottai. Perché i De'Ath continuavano a pretendere che facessi loro del male?
«Sono commosso». Keegan si tirò in piedi. «Ma vorrai farlo. Al momento opportuno».
Mi alzai e gli andai dietro. «Cosa inten-» La mia voce si spezzò in un gemito acuto.
Barcollai, con la vista offuscata. Keegan mi acciuffò prima che scivolassi a terra e mi aggrappai forte a lui. «Arya!»
Un'altra contrazione mi lacerò il ventre, facendomi quasi strillare. Era il dolore più intenso che avessi mai provato. Un liquido viscido mi aveva imbrattato i jeans e mi resi conto in ritardo che era sangue. Non mi si erano soltanto rotte le acque. Stavo sanguinando.
Il panico mi assalì. «No. No. Cosa succede?» farneticai, agitandomi nella sua presa. «La mia bambina...»
Keegan mi caricò in braccio. «Sta bene. Sei tu in pericolo, non la piccola».
Non fu sufficiente a farmi calmare. Comincia a dibattermi in preda al terrore, mentre mi trasportava fuori dalla camera e urlava qualcosa che non compresi. Il cuore si schiantava contro le costole a ogni battito.
Volevo la mia mamma.
Volevo Ethan.
Persino Alexander balzò nella mia mente.
Eppure il nome che uscì dalle mie labbra non era di nessuno di loro.
«Nicholas». L'ennesima fitta mi scosse e conficcai le unghie nella spalla di Keegan con un singhiozzo. Tremavo, il respiro ridotto a rantoli. «Voglio Nicholas. Portalo qui. Ti prego».
«Non posso, mi dispiace» rispose lui, depositandomi con delicatezza su una superficie morbida. Un lettino, probabilmente. Mi prese per mano e la strinse. «Meglio?»
La sofferenza si attenuò fino a sparire. La mia mente si svuotò, facendosi leggera come un palloncino. Anche se potevo ancora avvertire le contrazioni, non sentivo niente. Soltanto un bizzarro senso di imperturbabile quiete. Era come se fossi ospite nel corpo di qualcun altro. «Sì. Come?» biascicai.
«Il dolore è prodotto dal cervello. Sto usando i miei poteri telepatici per trasferirlo da te a me. Lo sto prendendo io».
Strizzai gli occhi. Delle sagome confuse si indaffaravano attorno a me. Ne potevo distinguere solo le divise bianche. Dottori dell'Olympus. Mi avevano coperta con un lenzuolo e mi stavano togliendo i pantaloni. «Non farlo avvicinare. Lucius. Non deve toccare la mia bambina».
Keegan fece una smorfia. «Ha istruito l'equipe medica su come procedere per farla nascere, ma non è presente. Non l'avrei mai permesso».
Fissai il suo viso pallido. Ciocche nere come le piume di un corvo gli ricadevano sugli occhi. La cicatrice sembrava brillare. «Tu rimani?»
«Non vado da nessuna parte».
«È bellissima come te, corazón» commentò Ethan, cingendomi le spalle con un braccio.
Ero in ospedale. Con la schiena appoggiata al muro, cullavo dolcemente il fagottino che avevo appena dato alla luce, quasi del tutto avvolto in una copertina rosa. Attorno al letto su cui ero distesa si assiepava una folla. C'erano i miei amici, Layla e i gemelli Maclean. I miei genitori, zio John, Eryn e un emozionatissimo Rhys. E infine i miei De'Ath.
Nicholas mise un broncio indignato. «Non scherziamo. Se ha ereditato la bellezza da qualcuno, quello sono io».
«Preghiamo qualsiasi divinità esistente che non abbia il tuo carattere». Sky gli rivolse un sorrisetto. «Sarebbe insopportabile».
«Improbabile. La perfezione è difficile da replicare».
Seth gli diede una spintarella scherzosa, sorridendo. «Smettila, idiota».
«Che c'è? Per il resto può somigliare all'angioletto». Si avvicinò e mi diede un buffetto. «Magari speriamo che sia un po' meno rompicoglioni».
Callum inarcò un sopracciglio. «In quel caso penserei che sia adottata».
«Cal» lo sgridò Kath divertita.
Joel sogghignò. «O che prenda meno decisioni di merda».
Mac annuì. «O che abbia meno pretendenti».
Emisi un verso sarcastico. «Quanto siete simpatici oggi».
«A proposito, chi ha vinto la gara per la conquista del tuo cuore, Arya? Remi o Alexander?» Gabriel sventolò il suo telefono. «Sul blog vogliono aggiornamenti».
«Non c'è nessuna gara, deficiente» borbottò Alexander, fulminandolo con un'occhiataccia.
Remiel fece spallucce. «Anche perché io e lei abbiamo deciso di rimanere amici».
John scosse il capo. «La stupidità di questa famiglia ha raggiunto dei livelli impressionanti, da quando voi ne fate parte».
«C'è da dire che anche tu li aiuti ad alzare la media». Mio padre ridacchiò e mi depositò un bacio sulla fronte. «Sono fiero di te, delinquente».
Eryn sospirò. «Già. Sarà proprio divertente non riuscire a dormire di notte per gli strilli di un demonietto piagnucoloso. Grazie, Arya».
«Le darete un nome, prima o poi?» La voce di Deena suonava esasperata. «Ormai quella povera creatura è stata chiamata in ogni modo possibile».
«Mary non sarebbe male» suggerì Layla.
Gabriel aggrottò la fronte. «Ci sei già te, di Mary. Così facciamo confusione».
Si scatenò una risata generale a cui mi unii. Mi sentivo bene. Felice. Eppure c'era qualcosa, annidata in un angolo recondito della mia anima, che mi ripeteva che non poteva essere reale. Che quella vita meravigliosa non mi apparteneva.
Isaac sussultò. «Oh, no. L'abbiamo svegliata».
La piccola si agitò tra le mie braccia. Abbassai lo sguardo e scostai il lenzuolo. Il sorriso mi si congelò sulle labbra. Un essere informe con zanne e artigli protendeva le manine verso il mio viso, come se volesse strapparmi la pelle.
E urlai.
Avevo le palpebre pesanti. La sala parto era immersa nel buio. Ai margini del mio campo visivo, però, lampeggiavano i fasci rossi delle luci d'emergenza. Degli squilli giunsero ovattati e distorti alle mie orecchie, mentre a poco a poco riprendevo coscienza.
Mi sentivo intontita. Il dolore tra le gambe diventava lancinante a ogni movimento, ma non riuscivo a restare ferma. Con cautela sollevai il capo e mi guardai attorno. Soffocai un grido. Sul pavimento si ammucchiavano i corpi dei medici dell'Olympus, sventrati come bambole di pezza, i camici prima immacolati tinti di vermiglio.
Keegan giaceva su una sedia accanto a me, ammantato di tenebre e sangue. Reggeva con delicatezza un involto realizzato con un telo candido, dalla quale spuntava una testolina di ciuffi scuri. Si divincolava irrequieta, turbata dal chiasso delle sirene che risuonava nella struttura.
Il mio cuore mancò un battito. «C-cos'è successo?»
Impiegò una manciata di secondi a rendersi conto che gli avevo fatto una domanda, troppo concentrato su mia figlia. «Sei svenuta verso la fine. Ma è andato tutto bene, non preoccuparti. È in perfetta salute».
Deglutii. «Mi riferivo alla strage».
«Ah». Keegan osservò i cadaveri con freddezza. «Hanno cercato di portatela via. Ti avevo avvertita che non ero uno di loro».
Avrei dovuto essergli grata, invece provai soltanto un forte senso di d'inquietudine. «Posso tenerla?»
Ci fu una pausa in cui il tempo si dilatò, poi Keegan annuì e me la porse. Ignorando le fitte pulsanti nella zona del perineo, la afferrai e la strinsi con fare protettivo.
Esitai, prima di scoprirle il visino paffuto. Il sollievo mi travolse. Eccetto che per le unghiette sottili e affilate incrostate di sangue rappreso, il suo aspetto era... beh, umano.
Una gioia selvaggia mi pervase e scoppiai in una risatina. Ero viva. Eravamo entrambe vive. A discapito di tutti gli orrori che avevo dovuto affrontare, finalmente eccola lì. La mia bimba.
La mia splendida bimba.
Le sfiorai una guanciotta soffice con la punta dell'indice. «Non hai idea di ciò che ho passato per averti» le bisbigliai.
Lei mi fissò con i suoi occhietti vispi. Erano di un intenso blu zaffiro, scintillanti nella penombra. Uguali a quelli del suo papà. Un monito che mi ricordò che quello era il nostro miracolo, mio e di Nicholas.
Keegan si alzò. «Arya, non voglio rovinare questo momento, ma dobbiamo sbrigarci».
All'improvviso venni catapultata di nuovo nella realtà. «Cos'è questo allarme? Perché è saltata la corrente?»
«Per quanto riguarda l'allarme, significa che la Torre Antidemoni è in modalità Tenaglia. È un sistema di sicurezza dell'Olympus per evitare la fuga all'esterno delle loro cavie. Nessuno entra, nessuno esce. L'abbiamo attivato noi grazie a quel giovane hacker, e allo stesso modo abbiamo anche staccato la corrente».
«Noi?» chiesi interdetta.
«Io e i De'Ath».
Spalancai la bocca, incredula. La bambina fece un versetto e stropicciò un lembo della copertina nel pugnetto. «I De'Ath sono qui?»
Keegan scoccò un'occhiata impaziente verso la porta della sala parto. «Sì, sono qui. Ho detto loro l'ubicazione della Torre. Tua figlia ha indebolito gli incantesimi di questo posto, ma anche così non posso sconfiggere l'Olympus da solo».
«Che ha fatto mia figlia?»
«La Torre è stata costruita dai Discendenti, contro i demoni. La nascita di una creatura che è metà e metà l'ha destabilizzata. La magia si basa su un equilibrio molto fragile». Keegan mi tolse la coperta e l'aria fredda mi solleticò la pelle. Indossavo il camice che mi avevano infilato durante il pre-parto, con il logo dell'Olympus sul seno. Avrei voluto staccarlo. «Ce la fai a camminare?»
Strabuzzai gli occhi. Camminare? «Un mini demone mi ha appena squarciato la vagina. Secondo te?»
«Giusto». Mi passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro dietro la schiena e mi tirò su con cura. «Morirà tanta gente oggi, Arya. È meglio che tu non assista».
Serrai i denti, rafforzando la stretta sulla bimba per evitare che cadesse. Le fitte si affievolirono e intuii che stava ancora una volta assorbendo la mia sofferenza. «Hai detto che nessuno può entrare o uscire».
Mi accompagnò fuori dalla stanza e mi adagiò su una sedia a rotelle. Gemetti. «Esistono dei passaggi. Si aprono solo con il sangue dei Discendenti».
Lasciai che mi spingesse lungo il corridoio deserto. Le sirene continuavano a trillare, rimbombando contro le pareti. In lontananza, da tutte le direzioni, riecheggiavano orde di passi affrettati. L'odore d'incenso mi pizzicò le narici. La bambina cominciò a piangere disperata, scalciando nel suo fagotto.
«Ssh, va tutto bene, amore. C'è la mamma con te» sussurrai, cullandola dolcemente.
Ancora non riuscivo a credere di averla tra le braccia. Di non essere morta.
Ero stremata, dolorante, col cuore in gola, consapevole di trovarmi in territorio nemico... eppure ero felice. Non riuscivo a non esserlo. Ero viva, mia figlia stava bene e la mia famiglia demoniaca era venuta a salvarmi.
Un pensiero mi folgorò. «Seth. Non possiamo abbandonarlo». Tentennai. «E neanche Nicholas».
Non capivo il motivo per cui mi stessi preoccupando per il mostro che aveva ucciso Ethan. Mio fratello. La mia anima gemella.
Forse davvero era stato un incidente, forse aveva soltanto perso il controllo per colpa della sua natura, ma non cambiava ciò che aveva fatto.
Allora per quale motivo odiarlo era così difficile? Per il legame che c'era stato tra di noi?
Guardai la mia piccolina. O magari non volevo che lei crescesse senza un padre, com'era accaduto a me.
«Ci ho già pensato» tagliò corto Keegan.
Non ebbi il tempo di insistere. Giungemmo in un ampio salone circolare affacciato su una scalinata. Al centro si stagliava la figura minuta di Maya, mentre ai margini era disposta una schiera di soldati che puntavano i fucili verso di noi.
«Ho sgomberato la zona dall'Olympus come hai richiesto» esordì la donna.
«Lo vedo». Keegan mi superò e si spostò davanti a me in modo da farmi da scudo. «Gradirei che abbassaste le armi. Sono io il capo».
Ci fu un brusio, ma nessuno si mosse.
«Vuoi tradirmi, Maya? Sul serio?» A giudicare dal suo tono, era più infastidito che sorpreso o arrabbiato.
«Ti sei tradito da solo». Le labbra di Maya si assottigliarono. «Potevo capire trarre in salvo la tua padrona, ma risparmiare la bambina? È una Windigo. Avevi giurato di voler estirpare il male che hai creato e adesso tradisci i tuoi stessi ideali. Quando ti sei fatto cancellare la memoria, mi hai incaricata di portare a termine la tua missione, anche a costo di combattere contro di te se necessario. Sto eseguendo i tuoi ordini, Keegan».
Mi irrigidii e strinsi più forte mia figlia al petto. Keegan mi scoccò un'occhiata in tralice. «Beh, ho cambiato idea. Non ucciderò una neonata. Demone o meno, è innocente. Punirla soltanto per ciò che è non mi renderebbe migliore di mio padre».
Maya fece una risata aspra. «Oh, ti prego. Non hai cambiato idea. Ti sei innamorato». Mi indicò. «Ti avevo messo in guardia, quando hai deciso di volerla conoscere. Non importa quanto male ti facciano: non sai resistere alle Black. Finirà come con Alyce, lo sai».
Keegan emise un ringhio gutturale. «Adesso smettila e fatti da parte. Non costringermi, Maya. Sceglierò lei, sempre, a prescindere da qualsiasi cosa».
«Non ti ricambierà mai».
«La sceglierò comunque».
Maya fece un cenno ai soldati, che imbracciarono i fucili nella mia direzione. Mi paralizzai. Keegan spalancò le braccia. Le armi vennero strappate dalle loro mani e volteggiarono a mezz'aria con la canna che mirava ai rispettivi proprietari, sospese da una forza invisibile.
«Non puoi ucciderli tutti» commentò Maya con voce strozzata.
Keegan arcuò un sopracciglio. «Dovresti conoscermi meglio di chiunque. Posso fare ciò che voglio».
I grilletti scattarono e decine di corpi si accasciarono sul pavimento nel medesimo istante.
Coprii d'istinto il faccino della mia bambina per proteggerla da quel macabro spettacolo. I suoi strepiti però si intensificarono, spaventata dal frastuono. Gli spari mi si riverberarono fin nelle ossa, intanto che una morsa d'orrore si avvinghiava alle viscere.
Maya impallidì. Era ovvio che non si aspettava che fosse così potente. Non doveva sapere che l'effetto della Torre si era indebolito. «Ti ho aiutato. Anzi, ti ho salvato» balbettò.
Keegan le si avvicinò e posò una mano dietro alla sua nuca. «Lo so. Grazie». Le spezzò l'osso del collo. Lo schiocco raccapricciante mi fece trasalire. «Ma lei è intoccabile».
Quando si girò, la sua maschera gelida si sciolse, sebbene gli occhi rimasero dei crateri neri.
Sistemai meglio la piccola contro la spalla e indietreggiai a fatica sulla sedia a rotelle. «I De'Ath. Non li hai attirati qui soltanto perché ti serve il loro aiuto. Li hai usati come diversivo per farmi fuggire. È una trappola. Li ucciderai, vero?»
Un'espressione di rammarico si dipinse sul suo viso. «Dopo che avrò eliminato il loro stregone, Thomas Stone, saranno bloccati all'interno della Torre. Li distruggerò insieme all'Olympus. E tu distruggerai me. È la cosa più giusta, Arya».
Scossi il capo, boccheggiando. «È la tua famiglia. La nostra».
«Noi siamo dei mostri. È tardi per la salvezza ormai. Siamo troppo rotti per essere aggiustati». Dardeggiò lo sguardo su mia figlia. «Lei è l'unica speranza dei De'Ath. La mia ultima occasione di lasciare nel mondo un retaggio che non sia solo sangue e ossa».
«Ti sbagli-»
L'allarme si spense. Per un secondo piombò un silenzio innaturale, carico di tensione, poi il suono di un diapason prolungato e amplificato dai megafoni lo lacerò come un pugnale su una tenda.
Keegan cacciò un urlo e crollò in ginocchio, tenendosi la testa. La mia bambina singhiozzò, contorcendosi con foga.
Appena l'eco si esaurì, ci fu un altro rintocco identico. Era una registrazione?
«Demoni». Lucius apparve in cima alle scale e iniziò a scendere i gradini. Impugnava una pistola. «Tanto potenti, ma basta una forchetta per renderli innocui. Buffo, eh?»
Il terrore mi strisciò dentro, simile a un nugolo di serpenti il cui veleno mi sigillava i polmoni. Contraendo la mascella, mi costrinsi ad alzarmi. Il bruciore fu così intenso da farmi salire le lacrime e mi morsi la lingua per non gridare, pur non riuscendo a reprimere un gemito. Le gambe tremolavano.
«Stai lontano da noi» ansimai.
Lucius rallentò l'andatura, senza però smettere di marciare verso di me. Accennò alla bambina. «Voglio solo Vivianne».
Malgrado fosse un'agonia, presi a indietreggiare. Un rivolo tiepido mi colò sulla coscia. «Non l'avrai mai. E non le darò il nome di quella stronza psicopatica».
Lucius sollevò la pistola in un impeto di rabbia. Keegan, che si stava rotolando a terra in preda alla magia del diapason, rilasciò un sibilo minaccioso e allungò una mano. L'onda psichica fu piuttosto debole, ma sufficiente a scaraventarlo contro una colonna.
Mi voltai e arrancai nel corridoio, strascicando i piedi nudi sul pavimento. Sapevo che stavo tracciando scie di gocce purpuree sul pavimento, ma continuai ad avanzare.
Incespicai. La bambina quasi mi scivolò. La tenni stretta e mi appoggiai con la mano libera alla parete per sorreggermi.
Raggiunsi la porta più vicina e ruzzolai dentro. Mi ritrovai in un piccolo laboratorio, pieno di tavoli e macchinari, rischiarato dalle luci d'emergenza.
Mentre zoppicavo verso il fondo, individuai delle forbici tra provette, bilance e strumenti vari. Le afferrai e proseguii fino a crollare dietro a un armadio, rannicchiata contro il muro. Non sarei riuscita ad andare oltre. Gli arti inferiori erano intorpiditi e non rispondevano più ai miei comandi.
«No, non piangere. Non devi piangere, ti prego» sussurrai implorante alla mia piccolina, facendola dondolare per calmarla. Con mia sorpresa cessò di agitarsi e si mise le manine nella bocca sdentata.
La porta si spalancò con un tonfo. «Arya, non mi va di giocare a nascondino. Dammi Vivianne».
Ascoltai il rumore dei suoi passi, tremante. Ripensai agli incubi di Nicholas che avevo sperimentato sulla mia pelle, a tutte le volte che era stato toccato senza il suo consenso, ai modi in cui la sua purezza era stata calpestata.
No, quello non poteva essere il futuro di mia figlia. Di nostra figlia. Non sarebbe cresciuta pensando che gli abusi fossero atti d'amore.
Conficcai la punta acuminata delle forbici nel polpaccio di Lucius. «Fanculo» gemette, mollando la pistola.
La raccolsi e feci fuoco alla cieca, avendo la vista appannata. Lo beccai di striscio alla spalla. Imprecò e mi colpii con un ceffone. Una stilettata mi trapassò il cranio. Il mondo iniziò a vorticare, i colori sciamarono via. Mi accorsi del peso sul mio torace che scompariva.
No, no, no, no...
Lucius torreggiò su di me, tenendo mia figlia in braccio. Lei strillava a squarciagola e si dimenava con tale ferocia da graffiargli il collo, tanto che sembrava che avesse capito di essere in pericolo. «Ti potrei sparare, ma con tutto il sangue che hai perso sarebbe una pallottola sprecata».
"Nicholas, vieni" pregai disperata, malgrado non ci fosse alcun legame a cui aggrapparmi. "Sta prendendo la nostra bambina. Non possiamo fargliela prendere".
«Ma se tu dovessi sopravvivere abbastanza da rivederlo». Lucius si accovacciò, portando il volto in corrispondenza del mio. «Di' a Zero che la amerò come se fosse mia».
Lo guardai allontanarsi con il mio tesoro, impotente. Le ombre mi circondavano. No, no, no, no...
Alla fine la testa mi ricadde di lato e sprofondai nel vuoto.
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Angolo Jedi
Scusate il ritardo terribile, ma non sono riuscita a scrivere per una settimana intera. Non è un bel periodo per me.
Inoltre, questo capitolo è stato a tutti gli effetti un parto (io e Gabe abbiamo lo stesso senso dell'umorismo) ed è venuto anche abbastanza orrendo. Ricordatemi di non scrivere mai più di donne in gravidanza.
Il prossimo è l'ultimo. Pront* al finale? Non mi sono scordata dal prologo, abbiate fede :)
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