𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 60 (Seth)
"ℑ 𝔱𝔥𝔦𝔫𝔨 𝔴𝔢 𝔡𝔢𝔰𝔢𝔯𝔳𝔢 𝔞
𝔰𝔬𝔣𝔱 𝔢𝔭𝔦𝔩𝔬𝔤𝔲𝔢, 𝔪𝔶 𝔩𝔬𝔳𝔢.
𝔚𝔢 𝔥𝔞𝔳𝔢 𝔰𝔲𝔣𝔣𝔢𝔯𝔢𝔡 𝔢𝔫𝔬𝔲𝔤𝔥"
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«Nik, dimmi dove sei. Per favore. Risolveremo insieme anche questa cosa, come abbiamo sempre fatto. Verrò solo io, lo prometto, ma... dimmi dove sei, okay? Ricordati che sono dalla tua parte a prescindere da tutto». La voce mi si incrinò. Ti amo, avrei voluto aggiungere. Non lo avrebbe aiutato, però, non in quel momento. «Non farti del male, ti prego».
Inviai il messaggio, l'ennesimo senza risposta che avevo lasciato sulla sua segreteria telefonica. Malgrado il caldo, le mani mi tremavano. Riposi il cellulare e continuai ad allontanarmi dalla spiaggia, da cui proveniva il suono delle sirene che sovrastavano il trambusto.
La folla si accalcava attorno alle auto della polizia, che stava delimitando la scena del crimine, e persino da quella distanza potevo scorgere i fasci luminosi delle fotocamere. C'erano frotte di giornalisti, tanto che avevo dovuto schivarne un paio mentre sgusciavo via.
L'Olympus avrebbe avuto il suo bel daffare per insabbiare una cosa del genere, ma non era un mio problema.
Ero preoccupato per Nicholas. Avevo la certezza assoluta che non aveva ucciso Ethan, quantomeno non di sua volontà. Tuttavia lo conoscevo abbastanza da sapere che cosa stava succedendo nella sua testa. Era convinto di aver perso Arya, sua figlia, forse addirittura la sua intera famiglia.
Ai suoi occhi la sua peggiore paura si stava concretizzando: le persone che amava che finalmente si rendevano conto che era un mostro, che non meritava il loro affetto.
Si sarebbe punito in qualche modo orribile, non ne avevo dubbi. E ne ero terrorizzato.
Per una volta ero grato del potere che tendeva a concedermi su di sé. Perché ero sicuro che avrebbe voluto parlare con me. Sarei stato in grado di persuaderlo a tornare dai suoi fratelli e a spiegare cosa fosse realmente successo. Se gli avessi detto che gli volevano ancora bene, mi avrebbe creduto. Dovevo soltanto riuscire a trovarlo.
«Septimus, caro ragazzo. Che bello rivederti».
Mi girai di scatto. Mi ritrovai davanti Maya, con uno dei suoi sorrisini leziosi stampato sulle labbra. «Metti i brividi, sai?» commentai, arretrando per rimettere tra di noi la giusta distanza.
Mi ignorò. «Tuo padre ti sta aspettando».
Un brivido mi fece accapponare la pelle e arretrai. Era ancora difficile accettare di essere il figlio di un mostro. Un vero mostro, a differenza dei De'Ath. «Può andare al diavolo per quanto mi riguarda. Devo trovare il mio ragazzo».
Uno scintillio sinistro sfavillò nel suo sguardo. «Ma tuo padre è col tuo ragazzo. O lo sarà presto».
Mi pietrificai. No. Non era possibile. Era un bluff. Scappava da loro da sette anni, non potevano averlo catturato. Non sopportavo l'idea che Nik soffrisse ancora a causa loro. «Se vi azzardate a sfiorarlo, ve ne farò pentire. Io-» ringhiai, serrando i pugni lungo i fianchi. Esitai. Nessuna mia minaccia sarebbe stata credibile. «I suoi fratelli vi faranno delle cose orribili. Potete scommetterci».
«Con Keegan dalla nostra parte? Ne dubito».
Delle mani mi afferrarono da dietro. Prima che potessi urlare, una pezza mi venne premuta sul naso e sulla bocca. L'odore intenso del cloroformio mi stordì all'istante. Cercai di dimenarmi, con scarso successo, fino a che le forze mi abbandonarono. Mentre gli occhi mi si chiudevano, nella mia mente c'era soltanto Nik.
Mi risvegliai nel retro di un furgone. Non si erano presi nemmeno il disturbo di legarmi, per quanto ero innocuo. Sentivo il cervello intorpidito, frastornato. Appoggiai una mano alla parete e tentai di alzarmi. Una svolta mi fece barcollare, le ginocchia cedettero e mi afflosciai di nuovo a terra.
Non c'erano finestrini e l'unica fonte di illuminazione era la fessura verticale tra le ante dalla quale filtrava una flebile lama argentea. Tremai, rannicchiato in un angolo. Il cuore mi tuonava nel petto. Odiavo gli spazi chiusi e bui.
Socchiusi le palpebre e inspirai a fondo, per poi rilasciare a poco a poco il respiro. L'immagine del corpo sventrato di Ethan mi perseguitava. Le lacrime mi bruciavano tra le palpebre e l'ennesimo conato minacciava di risalire su per la gola. Avevo visto tanta morte negli ultimi anni, avrei dovuto esserci abituato, eppure al solo pensiero mi veniva da piangere.
Aveva diciotto anni. Kath, ventuno. A quell'età avrebbero dovuto divertirsi, ridere, giocare, sbagliare e riprovare. Vivere.
Lo stesso valeva per Nik, per i suoi fratelli. Per tutti i bambini che l'Olympus aveva usato come cavie, distruggendo le loro vite in nome dei propri scopi.
E la colpa era di mio padre.
Lui era il motivo per cui il ragazzo che amavo aveva avuto un'infanzia fatta di torture e abusi, era la ragione per cui sussultava quando qualcuno lo abbracciava da dietro, era l'artefice degli incubi che lo tormentavano.
Non gli avrei permesso di fargli altro male. Nessuno lo avrebbe mai più toccato. Era il mio turno di proteggerlo.
Quando il furgone si arrestò, mi alzai con un piano ben preciso in testa. Sarei stato coraggioso. Avrei salvato la mia famiglia, in un modo o nell'altro. Furono due guardie ad aprire.
Maya mi sorrise da fuori e, malgrado fossi contrario alla violenza di solito, provai l'impulso di colpirla. Uscii incespicando e aggrottai la fronte. Nell'aria, intrisa di salsedine, riecheggiava il fragore delle onde. Non capivo perché mi avessero portato in mezzo al nulla.
Un uomo mi venne incontro. Appena fu abbastanza vicino, notai che aveva i miei stessi occhi neri e i capelli corvini. Un ampio sorriso si aprì sul suo volto e mi trascinò in un abbraccio, che non ricambiai. «Benvenuto a casa, figliolo».
Per un istante fui troppo perplesso per reagire. Era paradossale aver desiderato fin da piccolo dei genitori disposti ad amarmi e, adesso che ne avevo trovato uno, non provare altro che disgusto. Mi ritrassi con veemenza, non prima di aver frugato nelle sue tasche in cerca di qualcosa che potesse tornarmi utile.
Mossi qualche passo all'indietro. «Dov'è Nicholas?»
«Parleremo in seguito del demone che hai addomesticato» replicò lui irritato, agitando la mano come per scacciare una mosca. «Adesso entriamo, forza. Abbiamo tanto da dirci».
Entrare dove?
Sollevai lo sguardo, restando senza parole. Una sagoma informe svettava in cima alla scogliera, tremolando in maniera fastidiosa alla mia vista. Strizzai gli occhi per metterla a fuoco e distinsi una torre scura e liscia, simile a una macchia di petrolio alta cento metri. Era impossibile che mi fosse sfuggita, perciò doveva essere comparsa all'improvviso.
Scossi il capo. «Puoi scordartelo. Io non vengo da nessuna parte con te. Dimmi che cos'hai fatto a Nicholas».
L'uomo emise un sospiro. Sembrava deluso dalla mia mancanza di entusiasmo per il nostro ricongiungimento. «Ne discuteremo dentro. Per favore, Septimus, non obbligarmi a fartici portare di peso».
Tacqui, poi feci un cenno d'assenso. Non avevo molta scelta. Mi condussero all'interno della torre, che si rivelò essere ciò che sospettavo: la sede dell'Olympus. Mentre seguivo mio padre oltre una serie di corridoi, scrutai gli scienziati che sciamavano come colonne di formiche bianche in tutte le direzioni e gli orrendi macchinari nei laboratori al di là delle vetrate.
Inorridii nel rendermi conto che ero immerso nel passato di Nik. Nella realtà che aveva conosciuto dalla sua nascita fino a quando era riuscito finalmente a scappare.
Mi chiesi come fosse riuscito a tornare a fidarsi di un essere umano, dopo le sofferenze atroci che la mia razza gli aveva inflitto. E mi sentii fortunato, dannatamente fortunato ad aver ricevuto quell'onore.
Dopo aver preso l'ascensore, arrivammo in un ufficio e l'uomo si sedette dietro la scrivania. Indicò la poltrona dall'altra parte. Mi accomodai sul bordo, senza smettere di lanciare occhiate alle fotografie nelle cornici. Ritraevano perlopiù una ragazza bionda che ricordavo di aver visto qualche volta al castello, quando Arya veniva con il gruppo di studio.
«All'Olympus mi conoscono come il Benefattore. Ma il mio vero nome è Logan Myers. Suppongo che tua madre ti abbia già raccontato-»
Mi accigliai. «Tu sei l'amico di John. Quello che ci ha detto dove fosse Thomas». A poco a poco iniziai a capire. «Era una trappola. L'hai fatto per attirarci qui».
«Mi era più facile tenere la situazione sotto controllo, se foste venuti voi stessi a Los Angeles». A giudicare dal suo tono sbrigativo, era chiaro che non volesse dilungarsi sull'argomento. «Voglio che tu sappia che ti ho cercato. Dall'istante in cui ho scoperto che Avaline ti aveva portato via da me, non ho mai abbandonato la speranza di ritrovarti. Ovviamente sarà necessario un test del DNA per sicurezza, ma ho fatto delle ricerche e tutto nel tuo passato corrisponde. Non immagini nemmeno la gioia che provo ad averti finalmente davanti a me».
Contrassi la mascella. «Non serve nessun test. Non sono tuo figlio, o meglio non voglio esserlo».
«Non giudicarmi prima ancora di conoscermi».
«Ma io ti conosco». Mi sporsi in avanti, stringendomi forte le ginocchia con le mani. «Sei quello che ha concesso a Vivianne l'autorizzazione a fare esperimenti su dei bambini. Hai permesso che abusassero di loro. E scommetto che ce ne sono stati altri, vero? Altri Progetti, altre cavie...»
Una smorfia gli affiorò sul volto. «Non ero a conoscenza delle violenze sessuali, o non le avrei approvate. Erano inutili a fini scientifici. Per quanto riguarda gli esperimenti, sono stati effettuati esclusivamente su Non Umani. La legge non riconosce loro alcun diritto».
Un'ondata di rabbia mi assalì. «Sono più umani di te».
«Il fine giustifica i mezzi, Septimus. È dall'alba dei tempi che il progresso si fonda sul sangue delle minoranze». Mise le mani una accanto all'altra per simulare i piatti di una bilancia. «Il sacrificio di uno per il bene di tanti. Quanto può valere la vita di Zero, in confronto al futuro della nostra specie?»
«Tutto. Vale tutto» sbottai, balzando in piedi. «E lui si chiama Nicholas, pezzo di merda».
Logan si appoggiò allo schienale rigido della sedia e mi studiò con uno sguardo di compassione. «Lo comprendo. Sei giovane. I demoni esercitano un certo fascino sugli umani. È normale che ti abbia irretito».
Sbattei le palpebre, colto alla sprovvista dalla piega assunta dalla conversazione. «Cosa? Nik non mi ha irretito. Lo amo».
«Sei un ragazzino. Non puoi sapere ancora cosa sia l'amore. Di certo non riferito a una creatura che emozioni del genere non è in grado di provarne».
«Ti sbagli. Sa amare più profondamente di chiunque io abbia mai conosciuto. Morirebbe per me». La mia voce era incrinata, tremolante per la collera.
Logan storse la bocca. «Sì, devo riconoscere che ti è leale. Il che è bizzarro, considerato che per natura sei una sua preda. Come lo controlli? Dovrai averlo sottomesso in qualche modo».
Fremetti. Mi faceva infuriare che parlasse di Nik come se fosse una bestia priva di sentimenti, piuttosto che una persona.
«Non lo controllo. Vuoi sapere perché non mi ferirebbe mai? L'incredibile trucco? Sono stato gentile» gli sputai addosso, impregnando le parole di tutto il disprezzo di cui ero capace. «Gli ho dato la libertà e l'affetto che non aveva mai avuto. L'ho trattato in maniera umana. Gli basta questo. Non è cattivo, siete voi che continuate a fargli del male».
Logan si alzò, aggirò la scrivania e si fermò davanti a me. Mi superava in altezza solo di pochi centimetri, sebbene fosse più robusto. «Septimus, voglio che tu sia il mio erede. Adoro mia figlia, ma Eleanor non capirebbe la grandezza di ciò che sto facendo. Tu sì. Sei più grande e hai vissuto esperienze che non augurerei a nessuno. Possiamo migliorare il mondo io e te, insieme. Possiamo sconfiggere il peggior nemico dell'umanità: il tempo. I demoni sono la chiave per l'immortalità».
Deglutii. Mio padre non era solo crudele, era anche pazzo. «E in quanti dovranno morire per i tuoi deliri di onnipotenza?»
«Meno di quelli che hanno ucciso loro». Mi afferrò per le spalle in un gesto paterno, facendomi trasalire. «Sono mostri, Septimus. Perché non riesci a vederlo? I Non Umani esistono solo per essere asserviti a noi».
Sfilai dai pantaloncini l'oggetto che gli avevo rubato, fuori dalla torre. Feci scattare la lama pieghevole e gliela premetti in corrispondenza della carotide. Stando con Nik, avevo imparato bene dove si trovava. A giudicare dalle venature ramate del metallo dorato, era un coltellino oricalco, ma avrebbe adempiuto comunque al suo dovere.
Logan ebbe a malapena un sussulto. Sorrise e mi accarezzò una guancia. Non c'era traccia di paura nella sua espressione. «Come ti ho detto, ho raccolto informazioni sul tuo conto. Non sei un assassino, Septimus. Hai un cuore troppo buono».
Rafforzai la presa attorno all'impugnatura, che minacciava di scivolarmi dalle dita sudate. Gli occhi mi bruciavano. Un piccolo movimento e sarebbe stato tutto finito. Nik sarebbe stato al sicuro.
Allora perché era così difficile?
Quanto dovevo essere vigliacco per non riuscirci?
Ma mio padre aveva ragione. Malgrado sapessi chi era e ciò che aveva fatto, non potevo ucciderlo. Non ne ero in grado.
«È vero. Non sono un assassino». Lo spinsi via e puntai il coltellino alla mia gola. «Di questo ne sono capace però».
Il lampo di sollievo nel suo sguardo si spense all'istante. «Non lo faresti».
Scoppiai in una risata strozzata. «Le mie tendenze suicide non sono emerse nelle tue ricerche? Beh, allora sappi che ci penso da anni. Se sono ancora vivo, è merito di Nicholas. E tu hai intenzione di portarmelo via. Quindi sì, ti assicuro che lo farei».
Logan tentennò. «Cosa credi di ottenere?»
«Giura di lasciare in pace Nicholas e i De'Ath. Sarò tuo figlio, resterò all'Olympus e non cercherò di scappare, ma in cambio devi giurare di non toccare la mia famiglia».
«Non posso farlo. Ho bisogno del Soggetto Zero».
Affondai di più la lama. Il bruciore mi strappò una smorfia e avvertii un rivolo caldo colarmi sulla pelle. Logan sobbalzò, agitando le mani con fare conciliante. «Aspetta. Non farlo. Il tuo è un comportamento infantile».
«Giuralo» ringhiai. Avevo il respiro affannato e mi bruciavano le palpebre. «E ti conviene mantenere l'accordo, perché ci metto poco a buttarmi da una finestra. Non puoi tenermi rinchiuso per sempre».
Logan aprì la bocca, ma non ne scaturì nessun suono. Proprio in quel momento, la porta si spalancò. Mi voltai, pensando che le guardie si fossero accorte della situazione e stessero facendo irruzione per bloccarmi. Invece, sulla soglia si stagliava Keegan.
I suoi occhi nerissimi dardeggiarono con pigrizia da Logan a me. «Arya è qui».
Corrugai la fronte. «Arya?»
Ebbi un solo attimo di distrazione. Fu abbastanza, però. Keegan mi raggiunse in un lampo e mi strappò il pugnale di mano, prendendolo direttamente dalla parte affilata. Non emise neppure un lamento, quando gli si conficcò nel palmo e delle gocce cremisi macchiarono il pavimento. Storse il naso, irritato. «Smettetela tutti di fare stupidaggini».
Mi sgonfiai come un palloncino bucato, ansimante, il cuore che si dimenava nella gabbia toracica. Era finita. Avevo perso la mia occasione.
«Grazie per l'aiuto». Logan scoccò un'occhiata a Keegan, parlando in tono cauto. «Aiuterò Arya. Anche se non si può dire che tu abbia rispettato il nostro patto. Avresti dovuto consegnarci Zero, e in cambio avremmo fornito alla ragazza le cure di cui necessita, invece abbiamo dovuto recuperarlo noi».
Sussultai. Lo avevano preso. «No! Dov'è Nik? Cosa gli avete fatto?»
Keegan mi trattenne per la spalla senza neanche guardarmi. La morsa era ferrea, sebbene non mi facesse male. «Se aveste avuto pazienza, l'avrei fatto. Senza coinvolgere un ragazzino, tra parentesi».
«Io non c'entro con la morte di Ethan» protestò Logan indignato, gonfiando il petto. «Non sono favorevole alle inutili crudeltà. Ma è andata così e ho colto l'opportunità. Dovresti almeno sbarazzarti degli altri Soggetti».
Keegan inarcò un sopracciglio in direzione di mio padre, che si irrigidì. «Mi stai dando un ordine?»
«Non hai poteri qui. La Torre Antidemoni indebolisce anche te. E, se torci un solo capello a me o a mio figlio, sarà Arya a pagarne le conseguenze».
Lo sguardo gelido di Keegan lampeggiò. Contrasse le dita e Logan venne investito da una forza invisibile, che lo fece ruzzolare sopra la scrivania, rotolando fino alla vetrata che occupava l'intera parete. A giudicare dalla sua smorfia, usare un'onda psichica in quel posto gli costava uno sforzo non indifferente.
«Posso averne l'aspetto, ma non sono uno di quei demoni bambini a cui sei abituato. Gli incantesimi di questo posto hanno molto meno effetto su di me». Si avvicinò a Logan e lo sollevò per la gola, noncurante delle armi che i soldati gli puntarono contro. «Non azzardarti mai più a minacciarla. Perché, se le dovesse succedere qualcosa, ti farò sperimentare ogni singola tecnica di tortura che ho appreso nella mia lunga esistenza immortale. Capito?»
In quel momento non mi era difficile credere che fosse l'antenato di Nicholas e i suoi fratelli. Il brutto carattere e la sottonaggine dovevano essere vizi di famiglia.
Logan annaspò in cerca di ossigeno e farfuglio un astioso "sì". Keegan lo mollò e si diresse verso l'uscita, facendomi un cenno col capo. «Vieni con me».
Gli obbedii in automatico e lo affiancai, tenendomi a distanza di sicurezza. «Perché cazzo sei schierato con l'Olympus? Loro perseguitano i tuoi simili. Vi considerano inferiori. È soltanto per Arya, sul serio? Deve piacerti parecchio per farti diventare così stupido» sbottai rabbioso.
Un muscolo si contrasse sulla sua mascella. Mi scortò fino all'ala opposta dell'edificio, attraverso un salone accogliente con dei divanetti e dei tavolini vicino a un bar. Superammo un corridoio e Keegan aprì la porta sul fondo, per poi spingermi dentro. «Mettiti comodo. Resterai qui per un po'».
Mi guardai attorno. Era una camera in perfetto stile Olympus, con le lenzuola del letto candide e le pareti di un bianco talmente immacolato da risultare disorientante. C'era un televisore al plasma, dei fumetti sugli scaffali e un telefono simile a quelli che si trovavano in albergo per ordinare il servizio in camera.
Era confortevole e mancavano le sbarre alle finestre, ma capii all'istante che cosa fosse in realtà: una cella.
«Puoi scordartelo». Cercai di scansarlo con uno spintone, invano. Riuscivo a stento a tirare un pugno e ora volevo competere con un demone immortale. Proprio geniale. «Voglio vedere Nik. E Arya».
Keegan richiuse la porta alle sue spalle. «No, adesso mi ascolterai con molta attenzione. Sto per spiegarti ciò che devi fare e non mi piace ripetermi».
«Sei un illuso se pensi che farò mai qualcosa contro i De'Ath».
La sua espressione si indurì. «Io sono un De'Ath».
Angolo Jedi
Scusate, so che è un capitolo breve e noioso, ma era necessario per arrivare alla conclusione. Ne dovrebbero rimanere un paio, più l'epilogo, all'incirca della stessa lunghezza (riuscirò per una volta a essere coerente con ciò che dico? Lo scopriremo).
Non so bene cosa pubblicherò dopo, ma mi piacerebbe rimanere in questo "universo" magico e approfondirlo. È solo un'idea, però.
Comunque preparatevi alla battaglia finale👊🏻
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