𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 59 (Callum)

"ℑ'𝔪 𝔱𝔥𝔢 𝔟𝔦𝔤 𝔟𝔯𝔬𝔱𝔥𝔢𝔯.
ℑ 𝔴𝔬𝔫'𝔱 𝔩𝔢𝔱 𝔞𝔫𝔶𝔱𝔥𝔦𝔫𝔤 𝔥𝔞𝔭𝔭𝔢𝔫
𝔱𝔬 𝔶𝔬𝔲. ℑ 𝔭𝔯𝔬𝔪𝔦𝔰𝔢"

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Dalla morte di Kath non mi piaceva perdere di vista i miei fratelli, ancora meno adesso che eravamo a Los Angeles. La città degli angeli aveva la nomea di essere proibita ai demoni, o alle creature soprannaturali in generale. Non sapevo quanto ci fosse di vero in quelle leggende, ma non avevo intenzione di scoprirlo a spese della mia famiglia.

Tamburellavo nervosamente un ginocchio, lanciando di tanto in tanto occhiate all'ingresso del Townhouse. Io e John avevamo noleggiato un'auto e ci eravamo appostati fuori dal pub. Stando a quanto aveva scoperto Rosalie, Thomas era un cliente abituale, il che non mi stupiva considerato che aveva sempre avuto una seria dipendenza dall'alcol. Ero certo che si sarebbe presentato, prima o poi.

«La smetti?» borbottò John, strappando un altro morso al cheeseburger. «Mi stai facendo venire ansia».

Fermai il movimento ritmico della gamba, più per non dovermi sorbire le sue lamentele che per sincero interesse ad accontentarlo. Presi il telefono e controllai i messaggi. Avevo dato ordine di scrivere solo per questioni urgenti o importanti, invece il gruppo WhatsApp straripava di notifiche.

Perlopiù erano di Gabriel, che aveva inviato dozzine di foto di conchiglie dalle forme strane, dei suoi sbilenchi castelli di sabbia o di un granchio di nome Orazio che aveva deciso di adottare per fare compagnia ad Alberico. C'era anche un video di lui che veniva trascinato da Joel per le caviglie in modo da creare una pista per le biglie con il sedere.

Emisi uno sbuffo, a metà tra il divertito e l'esasperato. Mi accorsi con la coda dell'occhio che John mi stava fissando e mi voltai. «Che c'è?»

Scosse il capo. «Niente. Sono solo impressionato. Il modo in cui vi preoccupate per coloro che amate è molto... umano».

«Solo perché siamo demoni non significa che non abbiamo sentimenti».

«Il rimorso non lo provate. O sbaglio?» C'era una sfumatura d'accusa nella sua voce. «Toglimi una curiosità: quante persone hai ucciso?»

Rimisi il telefono in tasca e accennai alle sue piastrine militari. «Sei stato nell'esercito. Toglimi una curiosità: quante persone hai ucciso?»

Si accigliò. «Ero in guerra. O attaccavo il nemico, o il nemico attaccava me. Non è paragonabile a un massacro di civili indifesi solo per...»

«Nutrirci?» completai in tono ironico. «Noi abbiamo fatto cose orribili per sopravvivere. Tu le hai fatte perché eseguivi degli ordini. Non credo che sia molto meglio».

«Già. La differenza è che io ne sono uscito con un disturbo da stress post traumatico». John inghiottì il boccone e bevve un sorso di coca. «Voi continuate a fregarvene del male che fate alla gente. E non mi riferisco agli stronzi dell'Olympus, ma agli innocenti».

Inarcai un sopracciglio. «Dovremmo lasciarci morire di fame?»

«Siamo esseri umani. Non il vostro cibo».

«Il manzo nel tuo cheeseburger avrebbe detto lo stesso. Spiacevole non essere in cima alla catena alimentare, eh?»

John abbassò lo sguardo sul suo panino e fece una smorfia. Mi porse il sacchetto di patatine. «Ah, dimenticavo. Tieni».

Lo fissai confuso. «Non ho fame».

«Non mi importa. Linda ha minacciato di strangolarmi se non mi accerto che mangi qualcosa in questi giorni». Dato che non accennavo a muovermi, mi gettò la scatola in grembo. «Ecco, così non dovrò mentirle».

Sbattei le palpebre. Non capivo il motivo per cui alla madre di Arya dovesse interessare qualcosa della mia salute. «In che senso?»

John mi rivolse un'espressione quasi di compassione. «Certo che siete proprio dei ragazzini incasinati».

Ero perplesso. Decisi di non insistere e infilai in bocca una patatina. Senza volerlo i miei pensieri dirottarono su Rosalie, una cattiva abitudine che il mio cervello si ostinava a non voler perdere.

Dopo la terribile conclusione del nostro non-appuntamento, mi ero imposto di starle alla larga per il suo bene, soprattutto considerato che avevo già abbastanza problemi di cui occuparmi. Eppure nell'ultimo mese aveva continuato a chattare con me ogni notte. Non le rispondevo, visualizzavo e basta, ma non aveva smesso e nel profondo gliene ero stato grato. Era l'unica che riusciva a regalarmi qualche ora di sonno sereno.

Odiavo quanto bene mi facesse stare.
Odiavo che mi piacesse.

John mi rifilò una gomitata nelle costole. Lo guardai torvo, per poi accorgermi che stava indicando fuori dal finestrino. Mi girai.

Thomas Stone stava camminando sul marciapiede, con le lenti degli occhiali che scintillavano quando passava sotto le pozze di luce gettate dai lampioni. Era un ometto mingherlino, un po' storto a causa della scoliosi che lo perseguitava, il viso contornato da ribelle ciocche corvine.

John aprì la portiera. «Lascia parlare me. Sono più diplomatico di voi De'Ath».

Evitai di fargli notare che aveva il nostro stesso sangue, almeno in parte, e scesi dalla macchina. Andai incontro a Thomas, che era talmente concentrato sull'insegna del locale che rischiò quasi di venirmi a sbattere contro. Inchiodò, mi riconobbe dopo un istante, sgranò gli occhi marroni e si voltò per fuggire.

Non mi presi il disturbo di bloccarlo, dato che John era già pronto alle sue spalle e gli mollò un pugno in faccia così forte da scaraventarlo a terra.

Feci un verso sarcastico. «Diplomatico, sì».

«Stava scappando» protestò lui sulla difensiva.

«Certo che scappavo». Con un rantolo, Thomas si mise a sedere e raddrizzò gli occhiali. Si rivolse a me. «Hai promesso di uccidermi, se mai ci fossimo incontrati di nuovo».

John piantò i pugni sui fianchi. «E sarei io quello poco diplomatico».

Era vero. A mia discolpa, però, ero appena venuto a sapere che aveva collaborato con i miei genitori nel Progetto... e che era un altro dei loro tanti fratellastri. Avevo imparato a non fidarmi troppo dei parenti adulti. Incassai l'accusa e tirai su di peso Thomas. «Mi servi vivo per ora».

«Confortante, grazie. È bello rivederti comunque».

Lo ignorai. «Portaci a casa tua. Nelle tue condizioni non puoi aver fatto tanta strada a piedi e non odori di mezzi pubblici, quindi devi abitare nei paraggi».

Thomas si tastò la guancia sempre più gonfia e iniziò a guidarci con la sua andatura zoppicante. «Posso almeno sapere...»

«No» tagliò corto John.

«Quanto siete socievoli. Non mi sorprende che abbiate fatto amicizia».

Sospirai e ficcai le mani nelle tasche dei pantaloni. Avevo scordato che non stava mai zitto. Thomas mi allungò un'occhiata di sbieco. «Ti trovo... in forma. Il resto della combriccola? Non dovreste essere qui. Los Angeles è pericolosa per i Non Umani, specialmente per i demoni».

«Siamo venuti per te. Ne parleremo dopo. Adesso taci». Mi guardai attorno con diffidenza.

Qualcosa non mi convinceva. Com'era possibile che l'Olympus non avesse trovato Thomas, che era praticamente sotto il loro naso, quando noi avevamo impiegato meno di un giorno per riuscirci?

L'unica spiegazione plausibile era che non lo stessero cercando. Ma per quale motivo? Un'esca, magari?

O non gli interessava. Avevano trovato un altro scienziato sopravvissuto al Progetto?

«Non sei minimamente cambiato» borbottò Thomas. «Dov'è la tua metà gentile? Preferirei discutere con lei».

Un dolore lacerante mi affondò nel petto e tenni lo sguardo fisso in avanti. Mi sforzai di mantenere un tono neutrale, sebbene dentro mi sentissi squarciato in mille pezzi. Era la prima volta che lo dicevo. «Kath è morta».

Thomas si bloccò di colpo e John finì per andargli a sbattere. Aprì la bocca, provò a balbettare, la richiuse e si passò una mano sul viso, sollevando gli occhiali. «L'Olympus?»

Deglutii. Il tempo avrebbe dovuto guarire tutte le ferite, eppure continuava a fare male come il giorno in cui l'avevo sentita spegnersi tra le mie braccia. «August» mi limitai a rispondere, pregando che non mi chiedesse ulteriori dettagli.

Thomas mi fissò per un lungo momento. «Mi dispiace tanto».

«Ah sì?» replicai sprezzante.

«Mi sono preso cura di voi per tre anni, Callum. Avete il diritto di odiarmi per il ruolo che ho avuto in ciò che vi è successo, mi odio anch'io, ma non puoi impedirmi di volervi bene».

Gli diedi una spinta per farlo muovere e proseguimmo. Thomas si chiuse nel silenzio, a capo chino. Ebbi l'impressione che stesse sul serio soffrendo per la mia gemella e ciò stemperò leggermente il rancore che nutrivo nei suoi confronti.

Giunti al suo palazzo, si indirizzò verso l'ascensore. Lo fermai e corressi la traiettoria in direzione delle scale. Sarebbe stato più facile tenere la situazione sotto controllo, qualora si fosse rivelata una trappola.

Mentre Thomas trafficava con le chiavi, io e John ci scambiammo uno sguardo. Parve avere il mio stesso pensiero, perché si piazzò dall'altro lato della porta e sfiorò la pistola alla sua cintura con un gesto all'apparenza casuale.

Tesi le orecchie, senza cogliere nessun rumore sospetto. Sentivo però il ticchettio di un pendolo e il ronzio degli elettrodomestici, quindi mi rilassai. Non c'era incenso. Seguii i due uomini nell'appartamento e le dita della mano destra mi si contrassero in uno spasmo nervoso alla vista del disordine nel soggiorno. L'aria era intrisa di una puzza rancida di cibo avariato.

«Non hai ancora imparato a gestire il tuo disturbo ossessivo compulsivo, eh». Thomas si affrettò a dare una ripulita, facendo sparire le cicche di sigaretta e le bottiglie vuote sparpagliate ovunque. Sul divano, sulle sedie e su qualsiasi altra superficie orizzontale erano ammucchiate montagne di libri e scartoffie. «Scusate, sto facendo delle, ehm, ricerche. Volete bere? Hai l'età per bere, vero, Callum? Ho una memoria di merda per queste cose».

John batté un piede a terra, spazientito. Sembrava che facesse fatica a trattenere la voglia di sparargli. «Cosa sai delle gravidanze soprannaturali?»

Thomas si fermò con le braccia cariche di fogli e si corrucciò. «Non molto. Nello specifico?»

«Creature fatate. Secondo te, deficiente? Sono in compagnia di un Windigo».

«No, un secondo». Thomas si girò verso di me, incredulo. «Aspetti un figlio?»

Sussultai, colto alla sprovvista. «Non io». Grazie al cielo. «Nicholas ha messo incinta una ragazza. È al quinto mese e sta presentando delle complicazioni. Vorremmo fare in modo che sia lei che la bambina superino il parto».

«Nicholas?» ripeté Thomas, poi parve unire i puntini. «Certo, il Soggetto Zero. Lo hai rintracciato, alla fine. Sono contento che abbia un nome ora. Ma siete proprio sicuri che la bambina sia sua? Perché le probabilità per un demone di concepire con un essere umano sono ridicole».

Presi il piatto sporco nascosto sotto un cumulo di vestiti, buttai nel bidone gli avanzi di quella che ai suoi tempi era stata una pasta al formaggio e lo misi in lavastoviglie. «Ha un legame empatico con la madre».

Thomas lasciò cadere sul pavimento le carte e spostò l'attenzione su John. Lo stupore sul suo viso sconfinava in realizzazione, come se gli avessi appena dato il pezzo finale di un puzzle incompleto. «La ragazza in questione è la figlia primogenita di Charles?»

John aggrottò la fronte. «Arya, sì».

Era uno strano modo di porre la domanda. «Come facevi a sapere che era lei? Ha anche una sorella».

«Sono troppo sobrio per questa conversazione».

Thomas si avvicinò al giaccone appeso a un gancio, estrasse una fiaschetta dalla tasca interna e ci si attaccò come se da essa dipendesse la sua vita. John fece per intervenire, ma lo tranquillizzai con un movimento del capo. «È più intelligente e utile da ubriaco, fidati».

«Oh, sì. Molto meglio». Thomas strizzò le palpebre e si asciugò la bocca su un lembo della t-shirt. «Avete presente quando ho detto che sono a Los Angeles per delle ricerche? Beh, era esattamente ciò a cui mi riferivo. È tutto collegato, capite? Porca miseria, Charles mi ucciderebbe. Non voleva che Arya fosse invischiata in questa faccenda».

John fece una smorfia. «Fantastico. È andato».

Mi chinai sul tavolo straripante di libri aperti e scorsi gli appunti scarabocchiati sui taccuini. Dappertutto spiccava una parola. «Discendenti». Sollevai il mento. «Chi sarebbero?»

«È su di loro che sto investigando. Anche su di loro, in realtà». Thomas mi affiancò di corsa, incespicando nei suoi stessi passi. «Da quando vi ho portati via dal laboratorio, anche dopo che ve ne siete andati, ho cercato di rimediare ai miei errori. La vostra trasformazione è irreversibile, ma forse non siete obbligati a uccidere per nutrirvi. Potrebbero esserci delle alternative. Grazie alla magia, non grazie alla scienza. E i soli in grado di praticarla sono i Discendenti».

«Frena». John trascinò indietro una sedia, raschiando fastidiosamente le gambe, e ci si buttò sopra. «Dal principio. Chi sono i Discendenti?»

«Stregoni. Si definiscono anche angeli, perché credono di aver ricevuto la missione divina di estirpare il male dal mondo».

«Per niente egocentrici» commentai.

«Non immagini quanto. Sono un ordine di psicopatici con manie di grandezza che da secoli odiano e danno la caccia a tutti i Non Umani». Thomas rovistò nel caos sul tavolo fino a che rinvenne un voluminoso raccoglitore. «In passato le loro Congreghe erano potenti. Ormai invece sono sull'orlo dell'estinzione. Los Angeles è la loro base in America, perciò è una città proibita alle creature soprannaturali, eppure riuscire a trovarne uno è stata una gran faticaccia».

Ripensai alle informazioni che l'amico di John ci aveva fornito. Era riuscito a scovarlo perché qualche giorno prima era stato arrestato per rissa. «Il tizio con cui hai litigato al Townhouse

Thomas annuì. «Già. Uno stregone mercenario. Volevo che scovasse con la magia il Grimorio di mia madre, vostra nonna, che Vivianne ha usato per creare la formula per risvegliare la maledizione sopita dei De'Ath. Studiandolo un po', forse avrei capito come aiutarvi. Ma a quanto pare oggetti del genere sono immuni agli incantesimi. Pretendeva che lo pagassi comunque, nonostante sia stato completamente inutile. Mi sono rifiutato... e mi ha quasi pestato. Vi ho già detto che sono pazzi?»

John parve interdetto. «Aspetta. Sei un De'Ath?»

«Illegittimo. Ho la stessa madre di Vivianne e Austin, che sarebbe il vero nome di August. Si chiamava Bonnie. Era figlia di una strega e di un De'Ath, il quale era lo zio dell'uomo che poi ha sposato. Suo cugino, in pratica. Mio padre era uno stregone con cui ha avuto una tresca, da cui sono spuntato io».

«Un semplice sarebbe bastato. Non ho capito un cazzo».

Mi massaggiai le tempie, sforzandomi di districare le redini aggrovigliate di quella storia. Avevo letto il Grimorio da cima a fondo e non si faceva alcun riferimento ai Discendenti. Molte pagine erano vuote, nelle altre c'erano solo nozioni scientifiche, diagrammi e grafici, calcoli matematici, dati riguardanti i demoni o il Progetto.

«Incesti disgustosi a parte, che cosa c'entra mia nipote in tutto questo?» chiese John in tono scontroso.

«Ci sto arrivando. Dovete sapere che l'Olympus non si fida degli stregoni, infatti conserva nei suoi archivi l'elenco delle stirpi di Discendenti. Per tenerli sotto controllo». Thomas picchiettò l'indice sul raccoglitore. «Questa è una copia che ho fatto di nascosto, quando lavoravo per loro».

Increspai le sopracciglia e lo aprii. John si sporse dalla sedia, torcendosi il collo per riuscire a leggere. All'interno c'erano dei lunghissimi alberi genealogici disposti in ordine alfabetico, piuttosto lineari considerato che veniva riportato solo il ramo dei primogeniti, maschi o femmine che fossero.

Sotto la sezione B, spiccava il cognome Black. Tra parentesi, nell'angolo in alto, era aggiunto: "Espulsi dalla Congrega britannica nel XVII secolo".

Il mio sguardo sfrecciò in basso lungo l'albero genealogico. Una sottile riga verticale rossa collegava Charles ad Arya, mentre il nome di Eryn era sbarrato. Rhys non doveva essere ancora nato all'ultimo aggiornamento, o non si erano presi il disturbo di inserirlo.

Scossi il capo. «Che cosa significa? Arya è umana».

«Gli stregoni sono umani, Callum. Secondo le leggende discendono dagli angeli caduti, che hanno perso le ali e sono diventati umani, pur conservando una forte sensibilità alla magia. Tramandano la loro capacità solo al primo figlio, a prescindere dal sesso. Se muore, la stirpe angelica si estingue. Vivianne l'ha ereditata da Bonnie, io da mio padre, Arya da Charles».

«Stronzate». John richiuse il raccoglitore e lo spinse via. «Charles è stato il mio migliore amico per vent'anni e ho visto quella ragazzina crescere. L'unico potere fuori dal comune dei Black è di cacciarsi nei guai».

Thomas si strinse nelle spalle. «I Discendenti hanno un talento, più che un potere. Se nessuno li addestra, non viene mai alla luce. È un po' come essere bravi in uno sport o con uno strumento musicale, lo scopri soltanto quando inizi a esercitarti. E i Black sono stati cacciati dalla loro Congrega ben quattrocento anni fa».

Lisciai il colletto della camicia e mi grattai la barba. Keegan aveva raccontato di essere stato rinchiuso nella bara per quattro secoli, pressapoco la stessa epoca in cui i Black erano stati banditi. Era una bizzarra coincidenza, o c'era qualche correlazione?

Mi raddrizzai. «Va bene. Ammettiamo che Arya appartenga a una famiglia di Discendenti. Cosa ha a che fare con la gravidanza?»

«Tutto». Thomas mi scoccò un'occhiata. «Nicholas è un demone puro. Windigo dalla nascita. Significa che ha più probabilità di procreare rispetto a te e ai vostri fratelli, che siete parzialmente umani – gli ibridi sono quasi sempre sterili, in natura. Il sangue angelico di Arya potrebbe aver reagito al suo demoniaco. Spiegherebbe anche il motivo del legame empatico tra di loro».

John si passò una mano sul viso. «Okay. Tutto molto affascinante. Ma a noi interessa salvare Arya. Puoi farlo o no?»

«No» rispose Thomas abbattuto, reggendosi la testa tra le mani. «Se anche avessi il Grimorio, mi servirebbero mesi per decodificare le rune. E poi dubito che troverei qualcosa su una gravidanza tra un angelo e un demone».

«Quali rune?» chiesi all'istante.

«I Discendenti scrivono spesso con simboli enochiani. Possono essere visti esclusivamente da chi ha sangue angelico. Mia madre li fece scolpire anche nella biblioteca del castello, a Notturn Hall».

Le pagine vuote. «Muoviti. Ho io il Grimorio». Mi alzai con un balzo e indicai il tavolo pieno di scartoffie. «Portiamo le tue ricerche con noi».

Thomas non si mosse. Mi scrutò con un'espressione intontita, poi il suo cervello non del tutto lucido riuscì a processare le mie parole. «Hai il Grimorio? Come?»

«Era nel castello».

«Impossibile. Quando sono tornato per il funerale di Charles, ho controllato e non era da nessuna parte».

Feci oscillare il peso da una gamba all'altra, impaziente. «Era nella tomba di mia madre. Possiamo andare?»

«Nella tomba...» Thomas si suonò una sberla in fronte. «Ovvio. Come ho fatto a non pensarci? A volte dimentico quanto sia disfunzionale questa dannata famiglia».

Mezz'ora dopo avevamo stipato il bagagliaio dell'auto a noleggio di scatole piene di libri, schede e appunti. Dato che ero sovrappensiero, concessi a John di guidare e mi accomodai sui sedili posteriori in modo da poter tenere d'occhio entrambi.

«C'erano anche delle videocassette con il Grimorio?» Thomas mi adocchiò dallo specchietto retrovisore. «Vivianne conservava le registrazioni dei vostri esperimenti per prevenire un eventuale voltafaccia. Se il Progetto fosse stato scoperto e il governo avesse cercato di scaricare tutta la colpa su di lei e sull'Olympus, sostenendo che agivano a sua insaputa, quelle sarebbero state le prove per incastrarlo davanti all'opinione pubblica».

Feci un distratto cenno d'assenso. Avevo il portatile di Thomas sulle ginocchia e stavo sfogliando i file sui Discendenti.

A quanto avevo capito, il loro potere consisteva principalmente nello scagliare maledizioni, stregare oggetti o distillare pozioni. Il loro corpo era un tramite per la magia, poteva incanalarla ma non trattenerla, quindi dovevano riversarla in qualcosa o qualcuno.

Venni colto da un dubbio. «Perché hai detto che la natura angelica di Arya avrebbe spiegato il legame?»

Thomas si prese un minuto intero per ponderare la risposta. «I demoni stringono tra di loro legami viscerali. L'istinto di protezione che ti unisce ai tuoi fratelli ne è la dimostrazione. Gli stregoni hanno imparato a riprodurre quei legami, vincolando voi a loro e trasformandovi in famigli».

«Famigli? Gli animali domestici delle streghe?» John colse i nostri sguardi perplessi e scrollò le spalle, ruotando il volante. «Un po' di mitologia la conosco».

«Già. Ma al posto di gatti neri o gufi, i Discendenti usano i demoni. Non è un rapporto alla pari. Il famiglio è costretto a obbedire agli ordini diretti del suo padrone, non può mentirgli e deve servire il membro più anziano in vita della sua stirpe fino a che non viene liberato».

Storsi il naso. «Il legame tra Arya e Nicholas non è così. Mio fratello non è sottomesso a lei».

«Perché è sorto in maniera spontanea attraverso la gravidanza. Nicholas avrebbe potuto rifiutarlo e col tempo si sarebbe indebolito, per poi sciogliersi alla fine». Thomas si spinse gli occhiali sul naso. «Può rompere il legame in qualsiasi momento. Se si è rafforzato, è stata una sua scelta. Inconscia o meno. Per dirla in termini spiccioli: si è affezionato».

Abbozzai un mezzo sorriso. Nicholas aveva il terrore di non essere un buon padre, eppure l'esistenza stessa del vincolo significava che aveva già deciso di volerlo essere, senza nemmeno rendersene conto.

Lasciai Thomas a studiare il Grimorio sotto la supervisione di Alexander. John invece aveva raggiunto Isaac fuori dalla camera di Arya, in caso si fosse sentita male o ci fosse stata qualche emergenza. Ero determinato a riportare in albergo il resto della famiglia, così mi incamminai verso l'ascensore per tornare alla hall.

A essere sincero, mi sentivo in colpa a negare ai miei fratelli un po' di svago e divertimento. Avevano patito una tale quantità di dolore nelle loro brevi vite che avrei barattato fino all'ultima goccia di sangue nelle mie vene affinché potessero avere anche soli pochi grammi di spensieratezza, una minuscola porzione di un'infanzia brutalmente strappata.

Ma ero disposto a tutto, pur di proteggerli. E se dovevo ricoprire il ruolo del cattivo, non mi sarei tirato indietro. Ormai era un costume che mi calzava a pennello, tanto che non ero più certo del confine tra la maschera e la verità.

Rosalie si infilò nella cabina metallica un attimo prima che le ante si richiudessero. «Vai da qualche parte, pezzo di ghiaccio?»

«Sì, vado da qualche parte. Da solo» precisai, evitando il suo sguardo.

«Dobbiamo parlare».

«Dopo».

Rosalie premette un pulsante sul tastierino e il cubicolo si arrestò. Mi rivolse un'espressione compiaciuta. «Non credo proprio».

La fissai. Fu un grave errore, perché qualsiasi mio pensiero scoppiò come una bolla d'aria nella testa. Un tank top senza maniche le fasciava il fisico longilineo e atletico, mettendo in risalto le curve del seno, sopra a una gonna aderente che arrivava a metà coscia. Una ciocca castana le pendeva su un lato del viso, deliberatamente lasciata libera dalla treccia, e le mani mi fremettero dalla voglia di aggiustare quella fastidiosa asimmetria.

Le seppellii nelle tasche, sforzandomi di respirare. Era difficile ricordarsene, quando c'era lei. Qualunque altra cosa mi sembrava superflua, all'infuori di ammirarla come un idiota. «Che cosa vuoi?»

«Come puoi essere tanto intelligente e tanto stupido allo stesso tempo?» Rosalie mi si piazzò davanti, mezzo metro a separarci. Troppo poco. «Non è ovvio cosa voglio?»

Sbuffai. «D'accordo. Che cosa vuoi, a parte portarmi a letto?»

Un lampo minaccioso guizzò nei suoi occhi scuri da cerbiatto. Distrusse in un lampo lo spazio fra di noi e mi piantò il palmo sul petto, spingendomi contro la parete.

Avrei potuto oppormi con facilità in teoria, ma nella pratica mi ritrovai ad assecondarla. I miei muscoli si tesero in un compatto fascio di nervi, mentre il suo profumo mi inebriava le narici. «Se mi interessasse solo portarti a letto, dolcezza, non mi sarei fermata la sera in cui ti sei presentato a casa mia in preda al panico. Ti pare?» sussurrò risentita al mio orecchio.

Rabbrividii al calore del suo fiato sulla pelle. La scostai con delicatezza per poterla guardare, anche se i nostri volti continuavano a essere a una pericolosa vicinanza. «Non voglio provare niente di tutto questo». Non posso. «E neanche tu dovresti. Non per me».

«Perché no? E ti prego, non rifilarmi la storia trita e ritrita che merito di meglio. Sono una donna abbastanza indipendente da poter decidere per conto mio».

Deglutii. «Ho rischiato di ucciderti al nostro appuntamento, è il motivo per cui sono scappato dal tuo appartamento». Feci una breve pausa, ansimando. «Potrei farti del male».

Rosalie sorrise, e il mio cuore scalpitò contro le costole. «Mi piace il brivido».

«Ho fatto delle cose orribili».

«Anch'io». Si sporse ancora di più e la punta del suo naso sfiorò la mia. «Ti voglio, Callum. Non mi importa se dovrò sopportare una banda di adolescenti demoniaci o aiutarti a bruciare il mondo intero. Basta che tu sia mio».

Iniziavo a capire perché fosse amica di Nicholas.

«Un tantino estrema». Sollevai la mano e le portai la ciocca dietro l'orecchio, facendola scivolare tra le mie dita lungo tutta la sua lunghezza. «Scusa, mi faceva impazzire».

«Lo so. L'ho fatto apposta» replicò compiaciuta.

«Lo so».

Mi stava ancora tenendo inchiodato al muro. Le sfiorai la spalla nuda e percorsi il braccio piegato fino al polso. Lo afferrai senza stringere e capovolsi le posizioni, chiudendola nell'angolo con il mio corpo. Le sue labbra si avventarono sulle mie prima che potessi decidermi a farlo io e la mia bocca si schiuse docile per accogliere la sua lingua.

Per un istante galleggiai in un limbo di perdizione. Una fame completamente nuova si risvegliò nel mio stomaco in subbuglio, serrato dalla morsa d'acciaio dell'eccitazione. Sentivo le redini del mio autocontrollo sfuggire alla mia presa, trascinate via da un vento impetuoso.

Mi ritrassi. Cercai di parlare, ma non avevo fiato nei polmoni. Rosalie mi agguantò per il colletto della camicia e si riappropriò della mia bocca con impeto, come se stesse rivendicando una proprietà che le apparteneva da sempre. Non si sbagliava.

La cosa più logica sarebbe stata staccarmi e dirle che era un errore. Che non potevo permettermi una relazione, un altro punto debole e ancora meno una distrazione di quelle proporzioni. Avevo una famiglia di cui prendermi cura. I miei fratelli erano importanti, loro dovevano stare bene. Non io.

Sì, era di sicuro la cosa più logica.

Per la prima volta nella mia esistenza, però, mandai al diavolo la razionalità.

Mi sottrassi e scesi a tracciarle una scia di baci sul collo, in corrispondenza della giugulare pulsante. Il suo cuore pompava sangue a un ritmo frenetico e il pensiero fu sufficiente a farmi emettere un lieve ringhio.

Rosalie si aggrappò ai miei capelli. Mi irrigidii, scosso da un tremito. I miei ricordi tornarono a Lucius, al modo in cui mi spingeva sotto di sé o mi teneva fermo mentre mi usava a suo piacimento. Lei si accorse del mio disagio e allentò la stretta, iniziando ad accarezzarli con una dolcezza disarmante.

Ripresi a respirare. Mi catturò il mento tra il pollice e l'indice e mi obbligò a incrociare il suo sguardo. «Quali sono i confini?»

Aggrottai la fronte. «I confini?»

«Dove posso toccarti, ad esempio. Gli atteggiamenti che non ti piacciono o ti spaventano. Voglio sapere come renderlo gradevole per entrambi».

«E se te lo dico...» Esitai. «Non lo farai?»

Rosalie scosse il capo. «Mai senza il tuo consenso».

La mia volontà non aveva mai avuto valore per nessuno prima. Era una strana sensazione. Bella. Molto bella. «E io dove posso toccarti?»

La sua risata cristallina avrebbe potuto farmi crollare in ginocchio all'istante, cancellando le mie rimostranze. «Ovunque, Callum».

Un fremito mi attraversò la spina dorsale. Il mio nome aveva un suono migliore pronunciato da lei. Le diedi un morsetto delicato sulla spalla e le abbassai il top per scoprirle il reggiseno. Mi mossi con lentezza, dandole tutto il tempo di cambiare idea.

Mi piegai a baciarle il tatuaggio della rosa sul petto e seppellii il volto nel solco tra i suoi seni. Ne liberai uno dalla coppa e avvolsi tra le labbra il capezzolo turgido, lambendolo con la lingua per suscitarle gemiti. Ne torsi leggermente il bocciolo con i denti. Lei rovesciò il capo all'indietro e si appoggiò alle mie spalle.

Sapevo che non sarei riuscito a spingermi troppo oltre, ma riuscire a farla godere era una soddisfazione inaspettatamente apprezzata.

Mentre le leccavo l'areola, mi azzardai a sfiorarle la gamba con un gesto cauto, poco sotto l'orlo della gonna. Interpretai il suo ansimo come un assenso e la mia mano risalì lungo la coscia. Le sue unghie mi graffiarono attraverso il tessuto della camicia in uno spasmo.

Le scoccai un'occhiata per accertarmi di non star facendo niente di sbagliato, poi le scostai gli slip fradici e infilai un dito dentro di lei. Rosalie inarcò la schiena e, agitando appena il bacino, mi fece sprofondare ancora di più. Non avevo mai fatto nulla del genere. Ero abituato a subire, non ad avere un ruolo attivo.

Feci roteare la punta, poi tirai indietro l'indice e lo affondai di nuovo, disegnando dei movimenti circolari. Aiutandomi col pollice, le stuzzicai il clitoride, avanti e indietro. Rosalie socchiuse le palpebre e mi attirò a sé, impadronendosi della mia bocca.

Un rivolo di umori caldi le colò sulla pelle. Inspirai a fondo, mi inginocchiai al suo cospetto e lo raccolsi con la lingua. Il suo sapore mi esplose sulle papille gustative. Le sue gambe tremolarono, man mano che mi spostavo verso l'interno coscia.

Il gelo mi invase lo stomaco e d'istinto mi paralizzai. Di colpo venni catapultato indietro nel tempo, nella stanza bianca sempre in disordine.

Con me c'era la dottoressa che si occupava delle mie sedute. Mi ripeteva spesso che ero carino, che da grande sarei stato un ragazzo bellissimo. Non la ascoltavo.

La mia attenzione era concentrata sugli oggetti sparpagliati sulla sua scrivania o sugli scaffali. Immaginavo di rimettere tutto a posto. Le matite nel portapenne, i libri allineati, le cartacce nel bidone...

"Ci possiamo divertire insieme, Uno".

«Callum?»

Mi tirai in piedi, trafelato. Rosalie mi studiò per un attimo, ma inghiottì le domande che voleva farmi e provai un moto di gratitudine nei suoi confronti. «Ecco un confine» commentò in tono affettuoso. «Mostrami gli altri».

«Non qui». Mi sistemai la camicia e tentai di pettinarmi i capelli arruffati. Attesi che anche lei si fosse ricomposta, poi schiacciai un tasto dell'ascensore. «Andiamo in camera tua».

Rosalie mi scortò fino alla sua suite e mi scansai di lato per farla entrare per prima. Quando mi guardai attorno, non potei fare a meno di sorridere e accennai al panorama abbracciato dalle stelle. «Ti sei tenuta quella con la vista migliore».

«Nicholas e il suo ladruncolo non la meritavano».

Una fitta di senso di colpa mi attanagliò. Tirai fuori il telefono e diedi una sbirciata alle notifiche provenienti dai miei fratelli, ma Rosalie me lo rubò e lo gettò sul divano. «Sono in spiaggia, non in guerra. Se la caveranno».

Storsi il naso. «Sottovaluti la loro spiccata inclinazione a mettersi nei guai».

Rosalie ridacchiò e giocherellò con un bottone della mia camicia. «Posso?»

Tentennai. «Non mi sono mai spogliato per nessuno. Volontariamente» ammisi.

«Non c'è problema, se non vuoi. Il senso è questo. Capire i tuoi limiti».

«No, va bene. Solo che...» Abbassai la testa. «Lo sai. Le hai già viste».

«Le ho viste, ma non le ho guardate». Mi depositò una carezza sulla guancia. «Non hai nulla di cui vergognarti, pezzo di ghiaccio».

Chiusi gli occhi e annuii, anche se non ero d'accordo. Le mani di Rosalie cominciarono a slacciarmi la camicia, che fece scivolare lungo le mie braccia e la sentii afflosciarsi a terra. Boccheggiai, il volto in fiamme per l'imbarazzo. Il cuore mi si contrasse nella gabbia toracica.

Il silenzio si allargò come una macchia d'olio. Percepii una brusca variazione nel ritmo del suo respiro, mentre osservava il mio corpo. Lo odiava come lo odiavo io?

La sbirciai. Con mio sollievo l'espressione di Rosalie non era di puro orrore. Aveva le labbra socchiuse e non batteva le ciglia.

Il suo sguardo si soffermò su ciascuno dei lunghi segni frastagliati che mi deturpavano dal torace all'addome. In certi punti la frusta aveva portato via brandelli di carne e, anche se la rigenerazione aveva fatto del suo meglio, erano rimasti lembi di pelle ruvida e scorticata.

Cosa stava pensando? Che ero meglio vestito? Forse le faceva impressione.

«Mi dispiace» sussurrai a capo chino. Non sapevo di cosa mi stessi scusando, ma sembrava la cosa giusta da dire. «Vuoi che mi copra?»

Rosalie mi ignorò, o non mi ascoltò neppure. Mosse appena il braccio, poi si bloccò. «Sono off limits

Mi corrucciai. Non riuscivo a immaginare una sola ragione al mondo per cui qualcuno avrebbe dovuto voler sfiorare quegli orrori. «No. Puoi fare tutto ciò che vuoi».

Mentre la sua mano si avvicinava al mio torace, lo stomaco mi si contrasse in una morsa dolorosa. Avevo giurato a me stesso che non avrei più permesso a nessuno di toccarmi, invece eccomi lì, alla completa mercé di una criminale per cui provavo emozioni a me sconosciute.

La punta del suo indice seguì la linea ricurva che dalla scapola scendeva verso gli addominali. Scansò il ciondolo della mia collana e ripeté lo stesso percorso, stavolta tracciandolo con le labbra. «Sei perfetto, Callum. Con tutte le tue cicatrici. Visibili e non» mormorò, tra un bacio e l'altro.

Fremetti e affondai i denti nel labbro per reprimere un verso rauco. Rosalie spinse ad arretrare fino a che le mie gambe sbatterono al bordo del letto, quindi esercitò una leggera pressione sui miei fianchi per farmi sedere. Si accomodò sulle mie ginocchia e riprese a baciare il corpo che detestavo. Mi appoggiai all'indietro sui palmi, sospirando, consapevole di essere in suo potere.

A ogni contatto con la sua bocca potevo percepire l'eco del dolore riprendere vita e poi scivolare via, come se mi stesse purificando da tutto il male che avevo ricevuto.

«Aspetta». Ansimante, le catturai il mento e premetti la fronte contro la sua. Scorsi il mio riflesso nel marrone scuro delle sue iridi. «Aspetta. Questo-»

«Se mi dici che è sbagliato, prendo la mia pistola e ti sparo».

Ridacchiai, poi tornai serio. «No, non è sbagliato. Niente mi è mai apparso così giusto».

«C'è un ma, vero?» sbuffò Rosalie, puntellando i gomiti sulle mie spalle.

«Però...»

Affondò una mano nei miei capelli, scompigliandoli per ripicca. Sorrise quando feci una smorfia. «Cosa non faresti per non darmi ragione».

«Quanto parli». Allungai le braccia ai lati del suo bacino e la strinsi. «Il momento è sbagliato. Non ho nulla da offrirti, non adesso. Non finché Arya e mia nipote saranno in pericolo, o finché i miei fratelli non saranno liberi dall'Olympus. Non voglio mentirti». Piegai il collo per fissarla dal basso. «Loro verranno sempre prima di me, Rosalie. Di me, e di qualunque noi potrà mai esserci».

Lei si inumidì le labbra con la lingua. Deglutii, incantato da quel movimento. «Quindi un noi potrebbe esserci, pezzo di ghiaccio? In futuro?»

«Potrebbe anche essere un futuro molto lontano».

«Oppure molto vicino».

«Mi servirà comunque del tempo». Mi impappinai e cercai un modo non troppo patetico di formulare la frase. «Per darti di più, voglio dire. Non so quanto. Ma ho bisogno di fidarmi completamente di te. Di entrambi, in verità».

Rosalie si accigliò. «Mi potrebbe offendere che tu creda che io mi concederei così facilmente a te».

Andai nel panico. «No, non era quello che... cioè, stavo solo... non volevo insinuare...»

«Sto scherzando». Emise una risatina e mi diede un bacio a stampo. «È bello prenderti in giro su queste cose, sai? Diventi adorabile».

Roteai gli occhi e la ribaltai sul letto, tirandomi in piedi. Rosalie sghignazzò come una bambina, ma smise quando agitai la mano in un gesto deciso. Avevo udito dei passi concitati in corridoio, accompagnati dalla voce irrequieta di Alexander che chiamava il mio nome.

Impiegai una frazione di secondo per capire. «È successo qualcosa».

Prima ancora che lei si fosse alzata, mi ero già precipitato a raccogliere la mia camicia e stavo uscendo dalla suite, intanto che allacciavo i bottoni.

Alexander era proprio fuori dalla porta, il pugno pronto a bussare. Dalla sorpresa nel suo sguardo dedussi che non era preparato a trovarmi lì. Probabilmente era venuto a cercare Rosalie, nella speranza che sapesse dove fossi.

«Che c'è?» tagliai corto.

Alexander si riscosse. «Arya è sparita».

Un brivido mi artigliò la schiena. Isaac arrivò di corsa, incespicando nei suoi passi. Era cereo. «M-mi dispiace. È comparso dal nulla, ha schioccato le dita e siamo svenuti. Non abbiamo potuto fare niente».

Keegan. Era l'unico ad avere la capacità di materializzarsi ovunque a suo piacimento. Doveva averli neutralizzati grazie ai suoi poteri mentali. «Quando è successo? John dov'è?»

«Un paio d'ore fa. Li ho trovati addormentati. John non lo so. Sarà andato a cercarla» rispose Alexander impaziente, battendo il piede a terra. «Che cazzo facciamo?»

«Andiamo al mare». Rosalie ci raggiunse e mi lanciò il mio telefono. «Leggi l'ultimo messaggio».

Obbedii. Lo aveva inviato Remiel sul gruppo dieci minuti prima ed era talmente lapidario da riempirmi di inquietudine. Poche parole concise: "Arya è qui. Nik ha fatto un casino".

Dato che non mi fidavo a lasciare Thomas da solo e il Grimorio incustodito, lo trascinai in macchina con il libro in mano e partimmo. Io ero alla guida, Rosalie al posto del passeggero e gli altri tre sui sedili posteriori. John doveva aver letto il messaggio di Remiel dal cellulare di Arya, perciò ero abbastanza certo che fosse partito per la nostra stessa destinazione.

Un terrore gelido mi dilaniava le viscere, accrescendo man mano che i minuti scorrevano. I miei pensieri continuavano a tornare su Nicholas. Pregai che stesse bene, che stessero tutti bene. Non ce la facevo. Non potevo perdere nessun altro di loro. Non potevo.

Era stata la mia solenne promessa a Kath, quando avevo sparso le sue ceneri nel lago. Se qualcuno doveva morire, sarei stato io.

Ci eravamo dati appuntamento in un tratto di spiaggia isolata, rischiarato appena dalla luce argentea della luna. I miei fratelli erano seduti sulla sabbia, in un silenzio che non preannunciava buone notizie.

Arya singhiozzava tra le braccia di John in un pianto senza lacrime, come se stesse provando un dolore al di là di esse. Aveva i vestiti coperti di sangue. La figura di Keegan si stagliava dietro di lei, un muto guardiano immobile nella sua ombra.

Alexander si rivolse proprio a quest'ultimo, serrando le mani così forte che la protesi stridette. «Cosa le hai fatto?»

Gabriel sventolò il braccio in direzione di Thomas. «Salve, dottor Stone».

Passai rapidamente in rassegna ciascuno dei presenti. Il peso nel mio petto si alleggeriva un poco a ogni membro della mia famiglia che vedevo sano e salvo. Alla fine, però, il sangue mi si gelò nelle vene. «Perché Nicholas non è con voi? Avrebbero dovuto esserci anche Seth ed Ethan».

«Ethan è morto» rispose Remiel, strappando un sussulto a Isaac. Sky si irrigidì, senza smettere di fissare le onde che si infrangevano sulla riva. «Lo ha ucciso Nicholas. Gabe e Joel sono stati così furbi da dirgli che usciva in segreto con nostra sorella».

Al mio cervello servirono un paio di tentativi, prima di metabolizzare ciò che aveva detto. Anche dopo esserci riuscito, però, continuava a non avere senso. Mio fratello rientrava nella categoria di demoni che non si faceva scrupoli a uccidere. Innocenti o meno, non si poneva dilemmi morali.

Ma mai e poi mai avrebbe ferito una persona cara ad Arya. Lei ormai era diventata una di quelli che definiva i suoi umani, e per loro – come per noi – avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Avrebbero potuto distruggerlo, tradirlo, torturarlo, e non avrebbe nemmeno serbato rancore. Sarebbe stato in grado di perdonare perfino Lucius, se non avesse scoperto di non essere l'unico a subire i suoi abusi.

No, non avrebbe mai fatto soffrire Arya in quel modo. Non volontariamente.

«È un riassunto un tantino affrettato. Insomma, lo abbiamo trovato accanto al suo cadavere e gli aveva strappato il cuore, ma non significa che non ci sia una spiegazione razionale». Joel scoccò un'occhiata a me, poi un'altra a Rosalie. «Odorate di sesso. È il momento sbagliato per...»

Arya balzò in piedi. «È divertente per te tutto questo, stronzo?» urlò furiosa.

«Sì, un vero spasso». Un sorrisetto gelido gli si dipinse sul volto. «Ho scherzato al funerale di Kath, nonostante mi manchi ogni giorno. Ho scherzato anche mentre mi sbudellavano durante gli esperimenti e mi sono fatto grasse risate su tutte le volte che sono stato violentato, eppure non le ricordo come esperienze molto piacevoli. È buffo quanto poco hai imparato a conoscerci in tutto il tempo che abbiamo passato insieme».

«Vacci piano. Ethan era suo fratello» lo rimproverò Remiel, tenendo un braccio attorno alle spalle di Sky.

«Onestamente sono più preoccupato per il nostro, di fratello».

Alexander si guardò attorno. La sua espressione era indecifrabile. «Strano che non sia qui a giustificarsi».

«È scappato perché Arya lo stava picchiando. È stata una scena molto drammatica». Gabriel accarezzò il dorso del granchio sul suo grembo. Orazio, probabilmente. «Seth ha approfittato della confusione e si è allontanato per seguirlo».

«Non ce ne siamo neppure accorti all'inizio. Il nostro Pocahontas è un piccolo ninja». Joel si scompigliò i capelli biondi già arruffati. «Lo abbiamo cercato, ma c'era troppa gente».

Remiel annuì. «Era arrivata la polizia. Anche i giornalisti. Ce ne siamo dovuti andare».

«Se avesse sul serio voluto uccidere Ethan, non sarebbe scappato».

Arya si girò di scatto verso Alexander con gli occhi sgranati. «Lo stai difendendo?»

«No, sto constatando dei fatti». Lui si strinse nelle spalle. «Nicholas non prova rimorso. Non scappa dopo un omicidio, se ne prende il merito al massimo. E di sicuro non uccide per sbaglio. Mai. È il migliore a dominare i suoi istinti, se non lo fa è perché non gli interessa... o perché qualcosa gli ha fatto perdere il controllo».

«Non gli importava di Ethan».

«Ma gli importa di te».

«Zitti». Il mio ordine riecheggiò secco nella notte. «Sky. Voglio la tua opinione».

Lei tacque per un istante. «Nik ha giurato che non sarebbe mai andato contro la mia felicità... e io gli credo. Non avrebbe fatto del male a Ethan. Era ubriaco, e ultimamente non sembrava molto lucido».

L'avevo notato. Era da qualche settimana che Nicholas tendeva a estraniarsi ogni tanto. Spesso appariva nervoso, teso. Essendo abituato ai suoi sbalzi d'umore, avevo ritenuto che fosse solo un altro dei suoi periodi neri e avevo rispettato i suoi spazi. Costringerlo a parlarmene lo avrebbe soltanto messo sulla difensiva.

Adesso mi chiedevo se non avessi sottovalutato il suo stato mentale.

Da piccolo, nel laboratorio, gli avevano diagnosticato il disturbo borderline di personalità. Poi si erano corretti in schizofrenia. A prescindere da quale delle ipotesi fosse esatta, non aveva mai ricevuto nessun tipo di trattamento terapeutico, tranne quello di essere rinchiuso in isolamento quando diventava ingestibile.

Era da lì che derivavano la sua impulsività, gli attacchi di rabbia, le tendenze paranoiche... e le allucinazioni. Il tutto, accentuato dall'indole violenta che era innata nei demoni e combinato all'alcol e al turbamento per la gravidanza, poteva facilmente avergli provocato una crisi.

Sospirai. Se avevo ragione, ero certo che fosse andato a fare qualcosa di molto stupido per punirsi. «Troviamolo. E anche Seth. È l'unico che ha qualche possibilità di farlo ragionare».

Thomas tossicchiò. «Scusate, non è che potrei-»

«No» sbottai irritato, e ammutolì.

«L'ho consegnato all'Olympus».

I miei fratelli si voltarono all'unisono verso Arya con delle facce inorridite. Ruotai il capo con un movimento talmente brusco da farmi scricchiolare l'osso del collo. «Hai fatto cosa?»

«Sei impazzita?» gemette Sky orripilata.

Arya esitò, e capii che il mio tono le era stato sufficiente a capire appieno la gravità di ciò che aveva fatto. Deglutì. Le tremava la voce. «Nicholas è pericoloso. Non può stare in libertà. Sapevo dove fosse grazie al legame. John mi ha portato il telefono e li ho avvisati. Ormai lo avranno preso».

La fissai. Nel profondo ero dispiaciuto per lei. Le volevo bene e conoscevo il dolore che stava provando, il vuoto che la squarciava dentro: Ethan era il suo gemello, anche se non di sangue, come Kath era la mia. Perdere la propria metà ti scavava un cratere nell'anima ed era difficile non lasciarsi inghiottire da quel baratro.

Ma Nicholas era mio fratello. Il mio fratellino speciale.

Un'ondata di rabbia mi assalì e affogò qualsiasi sentimento di compassione. Mossi un passo verso di lei. Keegan si rizzò con fare protettivo, i muscoli delle braccia incrociate sul petto guizzarono sotto la camicia.

Con la coda dell'occhio scorsi Alexander che faceva una smorfia, pur restando fermo al suo posto. Sapeva che non le avrei mai torto un capello, per quanto furioso potessi essere.

«Quindi hai pensato bene di condannarlo a essere una cavia per il resto della sua vita? Di restituirlo a chi lo ha torturato per quattordici anni?» Indicai il suo ventre. «È questo che dirai a vostra figlia, quando vorrà sapere chi era suo padre?»

«Porca puttana» esplose Joel, dando un calcio all'aria. «Ti costa tanto riflettere cinque minuti, prima di prendere una decisione del cazzo?»

Lo sguardo di Arya si incatenò al mio. L'espressione era ancora furibonda, ma la sua determinazione iniziava a vacillare, avvelenata dal dubbio. «Ha ucciso Ethan. E anche mio padre».

Thomas sobbalzò. «Charles?»

Fui colto alla sprovvista. «Cosa c'entra tuo padre?»

«Non voleva farlo». Mi ero quasi dimenticato che ci fosse anche Rosalie, tanto che trasalii nel sentirla intervenire. Ripensai alla sua reazione, quando aveva incontrato Arya per la prima volta in ospedale. Lo sapeva. «Lo sceriffo Black aveva scoperto che Nicholas era tenuto prigioniero al Coin. Ma mio padre non aveva intenzione di rinunciare al suo demone addomesticato, così lo ha fatto catturare dai suoi uomini e lo ha buttato nell'Arena. Nicholas era un ragazzino spaventato e affamato, tenuto alla catena e addestrato a suon di bastonate. Non ha avuto scelta. Dubito che si ricordi di tutte le stragi che è stato costretto a commettere in quel periodo».

Il pensiero di mio fratello trattato alla stregua di una bestia mi riempiva di odio e disgusto. Non apprezzavo la tortura, eppure ogni volta che vedevo le cicatrici lasciate sulla sua gola dal collare provavo il desiderio di resuscitare Ronald Bailey solo per impartirgli una lenta e atroce agonia prima di rispedirlo tra le braccia della morte.

Lanciai un'occhiata in tralice a Rosalie, che la ricambiò sfacciata. «Arrabbiati perché te l'ho nascosto, se vuoi. Non me ne pento. Avrebbe causato un mucchio di problemi a te e alla tua famiglia, senza nessuna ragione. Non è stata colpa di Nicholas».

Arya sembrava troppo scioccata per parlare. Thomas si era abbandonato sulla passerella e si stava togliendo gli occhiali. Invece, John fece una risata priva di gioia che rimbombò sopra il fragore del mare. «Sì che è colpa sua. Colpa vostra. Tua». Diede un violento spintone a Keegan, che ebbe la cortesia di indietreggiare appena. «Sei stato tu a creare questa fottuta famiglia di mostri. Maya è convinta che sei diverso, ma le tue mani sono lorde di sangue quanto le loro».

La sua bocca si piegò in una linea dura. «Lo so. Sto cercando di rimediare».

Sulle prime credetti che stesse mentendo, poi i tasselli iniziarono a incastrarsi tra di loro. Keegan aveva portato via Arya dall'hotel. Poi lei era tornata e Nicholas aveva ucciso Ethan. E, nella stessa notte, saltava fuori la storia di suo padre. Erano troppe coincidenze.

«Lavori con l'Olympus» esclamai, attirando l'attenzione generale su di me. «Sai dove lo tengono, vero?»

Keegan mi soppesò con vago interesse. «Sì».

«Dimmelo».
«No».

Mi scagliai su di lui e gli sferrai un pugno. Keegan era pronto. Mi torse il polso fino a romperlo e mi scaraventò sulla spiaggia, facendomi rotolare per qualche metro. Una scarica di dolore mi percorse il braccio, ma il fattore di guarigione era già all'opera. Isaac sbarrò la strada a Rosalie, che pareva decisa ad affrontare da sola un demone immortale.

Nel frattempo Alexander riuscì a colpirlo sulla mascella, mentre Joel gli diede un calcio dietro alle gambe per farlo cadere sulle ginocchia. Keegan si mosse a una velocità incredibile anche per la nostra natura. Si accovacciò, ruotò su sé stesso e piantò un gomito nello stomaco al primo, poi agganciò la caviglia al secondo e lo buttò a terra.

Sky e Remiel gli saltarono addosso, o ci provarono. Un'onda psichica vibrò nell'aria e li respinse, facendoli rimbalzare contro un muro invisibile. Gabriel, che era in mezzo, ne fu investito e venne ribaltato all'indietro con la testa nella sabbia. Il suo granchio fece un piccolo volo e atterrò dentro l'acqua.

Keegan sbuffò e si spazzolò i granelli dalla manica in una maniera alquanto teatrale. «State giù, bambini».

Thomas si guardò attorno. «Questa famiglia non cambia mai» mugugnò rassegnato.

«Rivoglio mio fratello» sibilai.

Prima che potessi alzarmi per tornare all'attacco, rimbombò il suono di uno sparo. Riconobbi il famigliare sibilo dell'oricalco.

Una macchia scura dilagò sulla camicia di Keegan, attorno al foro in corrispondenza del cuore. Arya sussultò. Con un gesto annoiato lui ripulì il rigagnolo di sangue sgorgato dalla ferita, che iniziò presto a richiudersi. La pelle si ricucì in pochi istanti, ma rimase un segno pallido in rilievo.

«La cicatrice da proiettile, in effetti, mi mancava». Adocchiò John, che aveva ancora la pistola alzata. «Io non posso morire. Ma loro sì». Tese il braccio. L'arma si divincolò alla presa del suo proprietario e gli finì in mano. La puntò alla fronte di Alexander, accasciato ai suoi piedi. «Vi avevo avvertiti. Minacciatemi e vi uccido dal primo all'ultimo. Sono stanco di giocare».

«No! Non ti azzardare a fare del male a nessuno di loro!» tuonò Arya, pallida come un fantasma. «Sono la mia famiglia!»

Pur non guardandola, Keegan attenuò la pressione sul grilletto. Un cambiamento minimo, quasi impercettibile, ma ero un bravo osservatore. Le parole di Thomas affiorarono nella mia mente.

È costretto a obbedire agli ordini diretti del suo padrone. Le aveva appena dato retta.

Non può mentirgli. Si era cancellato la memoria per incontrarla.

Deve servire il membro più anziano in vita della sua stirpe fino a che non viene liberato. Era la primogenita del defunto Charles Black.

«Non lo farai». Mi tirai in piedi. «Non puoi. Perché Arya te lo ha comandato. Sei il suo famiglio, giusto? Per questo le sei così devoto. La tua Maledizione è legata a lei».

Arya assunse un cipiglio interdetto. «Cosa?»

Keegan si incupì. I suoi occhi, neri come baratri, saettarono su ognuno dei miei fratelli e infine si posarono su di me. C'era un potere antico e terrificante racchiuso nel suo sguardo. «Io sono il suo mostro. Voi siete i miei. Entrambi estirperemo il male che abbiamo portato nel mondo».

Si avvicinò ad Arya con un guizzo repentino e le posò una mano sulla spalla. «Vi prometto che alla fine l'Olympus avrà ciò che si merita».

Alexander urlò e si slanciò nella loro direzione, ma era tardi. Svanirono con un fruscio. Il cuore mi sprofondò. Mi portai le mani sul volto e rilasciai un respiro tremante, stropicciandomi gli occhi.

L'Olympus aveva Nicholas. Arya. La loro figlia. Seth era disperso chissà dove. E io non avevo idea di come trovarli, o salvarli.

Avevo fallito.

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