𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 52.2 (Nicholas)
"«𝔚𝔥𝔞𝔱 𝔞𝔯𝔢 𝔶𝔬𝔲 𝔪𝔬𝔰𝔱 𝔞𝔣𝔯𝔞𝔦𝔡 𝔬𝔣?»
«𝔏𝔬𝔰𝔦𝔫𝔤 𝔶𝔬𝔲»"
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Ero esausto. Usare i miei poteri mentali mi prosciugava e avevo anche portato Seth di corsa in ospedale, dato che la velocità da demone era più rapida di qualsiasi mezzo di trasporto. Avrebbe potuto farlo uno dei miei fratelli, ma non lo avrei mai affidato a nessun altro. Spettava a me proteggerlo.
Adesso dovevamo solo aspettare. Peccato che la pazienza non fosse una delle mie migliori virtù.
Camminavo avanti e indietro nella sala d'attesa, tenendo i pugni serrati lungo i fianchi. Mi girava la testa e fitte lancinanti mi trafiggevano il cranio. Il graffio che Alfa mi aveva lasciato sul collo, incrostato di sangue rappreso, bruciava ancora. Ero certo che, se mi fossi seduto, sarei caduto nel baratro dell'incoscienza e il solo pensiero mi riempiva di terrore.
Riaprire gli occhi in un mondo senza mia sorella era stato difficile.
Riaprirli in un mondo senza Seth era inimmaginabile. Semplicemente non poteva esistere. Il mondo iniziava e finiva con lui.
Erano due cose inscindibili, come la mia vita e la sua. Ero nato in un mondo con Seth, e la mia esistenza non poteva che terminare prima o insieme alla sua. Per questo sapevo che sarebbe sopravvissuto, almeno finché il mio cuore batteva.
«Raga, ci stanno guardando tutti» commentò Gabriel, sventolando la mano per salutare la gente intorno a noi. «Dite che è perché siamo famosi?»
Joel sogghignò, stravaccato su una sedia. «O perché siamo dei gran fighi».
«O magari perché Nik è coperto di sangue e tu hai portato un fottuto petauro». Sky indicò quella sottospecie di topo bianco, che era intento ad arrampicarsi su una piantina. «Non potevi lasciarlo a casa?»
Gabriel si portò una mano al petto con eccessiva enfasi. «Gli animali domestici offrono grande conforto nei momenti difficili. È risaputo».
«Credo che si intenda più un cane o un gatto, piuttosto che uno scoiattolo con delle palle da biliardo al posto degli occhi» obiettò Joel, arruffandosi per l'ennesima volta la matassa di capelli biondi.
Callum fece una smorfia. Si era messo una giacca per coprire il morso alla spalla, ma era evidente che gli facesse male. Un reticolo di vene gonfie e nere si intravedeva sotto il colletto e, a giudicare dal sudore che gli imperlava la fronte, gli stava già salendo la febbre a causa del processo di guarigione. «Possiamo tornare alle questioni importanti?» borbottò.
Remiel concordò con un cenno e lanciò un'occhiata ad Arya. «Come facevi a sapere cosa stava succedendo?»
L'angioletto tacque. Il suo sguardo saettò su di me e rilasciò un sospiro profondo, scostandosi una ciocca bagnata dal viso. «L'istinto di protezione. Credo che funzioni in entrambi i sensi. Mi sono svegliata all'improvviso e ho sentito che Nicholas era in pericolo». Si strinse nelle spalle. «So che è stata una cosa stupida e rischiosa, ma non ho avuto scelta. Io dovevo venire. Non so spiegarlo».
Mentre mi voltavo, tutto prese a vorticare. Mi abbandonai con la schiena contro il muro e storsi il naso. «Perché tutti gli umani di questa famiglia sono dei deficienti del cazzo con manie suicide? Avevo detto a Seth di prendere il pugnale, non di fare l'eroe, porca puttana. Quanto a te» sbottai, puntando un dito verso Arya. «Capisco che hai un debole per i randagi, ma spiegami come diavolo ti è venuto in mente di metterti a fare amicizia con quel mostro. Cosa ti aspettavi? Che si facesse fare le carezzine?»
Remiel le cinse le spalle con un braccio. «La pianti di urlarle contro?»
«Lascia stare. È solo preoccupato». Prima che potessi protestare, Arya mi rivolse un sorriso fin troppo comprensivo. «Sento tutto ciò che provi, hai presente?»
«Ottimo. Allora senti quanto sono incazzato».
Alexander si accigliò. Si era staccato la protesi distrutta e, non avendone un'altra, adesso sfoggiava un moncherino che sbucava dall'orlo della manica. «Però Jayson ti ha ascoltato all'inizio. Sembrava quasi capirti. Come ci sei riuscita?»
Arya scosse il capo. «Non ne ho idea. Ma ero certa che non mi avrebbe fatto del male».
Joel allungò le gambe davanti a sé e le accavallò all'altezza delle caviglie. «Non ha cercato di sventrarti? Hai una strana concezione di non fare del male, principessina».
«Non credo che ce l'avesse con me, in realtà».
Abbassai lo sguardo sul suo ventre e venni scosso da uno spasmo di puro odio. Quel briciolo di compassione che avevo provato per Jayson era svanito. Nessuno poteva fare del male a Seth, alla mia famiglia. E sì, nemmeno ai miei angioletti rompicoglioni.
Mi voltai, fissando fuori dalla finestra. Cadeva ancora una pioggia fitta, le gocce d'acqua così grosse che picchiavano contro il vetro. Le seguii mentre scivolavano lungo la lastra, inseguendosi come serpenti.
Pioveva anche la notte in cui era morta Kath e da allora la detestavo. Era come se ogni volta che il cielo piangeva, pretendeva che lo facessi anch'io.
Un tocco mi fece sussultare, ma mi rilassai quando un profumo famigliare mi riempì i polmoni. Sky abbozzò un sorriso, e tutto parve farsi un po' meno grigio. «Mi fanno ancora paura i temporali, sai?»
Sbuffai. «Non sono dell'umore per mettermi a fischiettare».
«Puoi abbracciarmi allora». Appoggiò la testa contro la mia spalla. «Sono o non sono la tua sorellina adorata?»
La cinsi con un braccio e la strinsi a me, senza resistere alla tentazione di soffiarle un bacio sulla tempia. «Adorata è un'esagerazione, però».
«Lo so. Esageratamente riduttivo».
Ridacchiai e seppellii il viso nell'incavo del suo collo, aggrappandomi a lei. «Se ti dico una cosa, prometti di non arrabbiarti? Al momento non lo sopporterei» sussurrai.
«È sleale giocarsi la carta del fidanzato in pericolo, con tanto di musetto da cane bastonato» replicò Sky, tirandomi scherzosamente una ciocca. «Va bene, stronzetto. Lo prometto».
«Ho spaccato le gambe a quel bastardo perché ti tradiva. Avrei voluto ucciderlo, ma tu ci tenevi troppo e non ero sicuro che mi avresti perdonato».
Sky si irrigidì. «Cosa?»
«Hai promesso di non arrabbiarti».
«Non sono arrabbiata. Non con te. In che senso mi tradiva?»
«Io e Joel facevamo i turni per pedinarlo, perché speravamo di trovare un motivo per fartelo mollare. L'ho visto baciare un'altra tipa. Ho letto su Internet che questo in una relazione è considerato tradimento e che fa soffrire molto, quindi ho pensato di risolvere il problema a tua insaputa. Per non farti stare male». Mi mordicchiai il labbro. «Ho sbagliato, vero?»
Sky rimase in silenzio per qualche secondo, accarezzandomi i capelli. «Sì, hai sbagliato. Ma l'intenzione era carina».
Anche se si sforzava di nasconderlo, la sua voce tradiva il dolore e la delusione che stava provando. Sollevai il capo e incontrai i suoi lapislazzuli lucidi. Fu come una pugnalata. «Ho capito che dovevi saperlo. Non voglio che pensi che sarei in grado di toglierti una persona che ti rende felice. So quanto è rara trovarne una, e so quanto fa male perderla. Non voglio questo per te».
Sky mi avvolse in un abbraccio e strusciò le mani sulla mia schiena. I miei muscoli si tesero, ma glielo lasciai fare. Ero al sicuro col mio sole. «Non perderai Seth. Non perderemo nessun altro».
Espirai bruscamente. «Vorrei che Kath fosse qui» bisbigliai, augurandomi che i miei fratelli non stessero ascoltando. Dovevo sembrare davvero patetico.
«C'è». Sky mi prese il viso e me lo ruotò verso la finestra. Poi indicò il cielo ricamato di tremolanti puntini argentei. «C'è una stella in più solo per lei».
Sorrisi. Non chiesi quale fosse. Era facile riconoscere quella che brillava più intensamente.
«Tesoro!» Un'infermiera si avvicinò a passo spedito e travolse Arya in un abbraccio. Aveva lunghi boccoli ramati legati in una coda e un'espressione dolce sul viso. L'avevo vista così tante volte al castello che riconobbi all'istante mamma Black. «Che cosa ci fai qui? Dov'è Ethan?»
Il volto dell'angioletto divenne paonazzo, intanto che si districava dalla presa della madre. «No, ehm, Ethan non c'è. Sono solo io. Ho saputo di Seth, la tua macchina era a casa e ho pensato... di venire, ecco».
«Hai fatto bene, cara». Linda le diede una pacca affettuosa e si girò verso di noi. «Come state, ragazzi? Avete bisogno di qualcosa?»
«Alberico avrebbe fame» rispose Gabriel, prendendo il petauro che gli stava rosicchiando l'orecchio. «Non è che avreste delle larve da dargli? In alternativa va bene anche una mela. Rossa, per favore. Sono le sue preferite».
Sky si staccò da me e gli rifilò un colpetto alla nuca per farlo tacere. «Ci sono novità su Seth?»
Quando un lampo di tristezza guizzò sul volto della donna, mi parve di sprofondare e strinsi i pugni così forte da conficcarmi gli artigli nel palmo. «Hanno fermato l'emorragia e messo i punti, ma nella zona interessata è insorta un'infezione che si espande piuttosto in fretta. Secondo i medici si tratta di un qualche tipo di veleno. Ora gli stanno facendo ulteriori controlli per identificarlo».
Barcollai e mi accasciai sulla sedia più vicina. Avremmo dovuto capire che dei comuni dottori sarebbero stati inutili. Non era una ferita normale. Alfa era un demone così potente che persino noi facevamo fatica a guarire. Come avrebbe potuto sopravvivere un essere umano?
Isaac trasalì. «M-ma se la caverà, vero?» balbettò, pallido come un fantasma.
«Certo, caro». Linda gli sfiorò una guancia. Non serviva il super udito per intuire che non ci credeva affatto. «Non potreste darci qualche informazione in più sull'animale che vi ha aggrediti? Sarebbe davvero d'aiuto».
Calò il silenzio. Gli sguardi si puntarono su Callum, in attesa che inventasse una giustificazione plausibile. Lui si limitò a massaggiarsi le tempie con aria sfinita. «Un enorme gattone nero» azzardò Joel, spalancando le braccia. Gabriel annuì per dargli manforte. «E non sto parlando di Loki».
Linda assunse un'espressione confusa. «Un gatto non può aver fatto una cosa del genere...»
Alexander sbuffò, nascondendo il moncherino nella tasca. «Non sappiamo che cosa fosse. Era troppo buio».
Delle ombre invasero il margine del mio campo visivo. Avevo bisogno di muovermi. In qualche modo restare sveglio era fondamentale. Non sarebbe accaduto nulla a Seth, se non fossi svenuto.
Mi alzai e mi allontanai a passi strascicati lungo il corridoio. Sferrai un calcio a un cestino dell'immondizia, persi l'equilibrio e scivolai a terra.
Poggiai la nuca contro il muro e presi a giocherellare con l'anello al mio indice, man mano che i rumori circostanti si facevano sempre più remoti e ovattati. Un dolore soffocante si stava insinuando nelle crepe della rabbia, come una lama rovente che mi affondava a poco a poco nel petto. Stavo annegando, e stavolta non c'era Seth a salvarmi.
La voce di Lucius rimbombò nella mia mente. "Come ti aspettavi che finisse, Zero? Ormai dovresti aver imparato che tutto ciò che tocchi muore".
Aveva ragione. Forse era la mia punizione per ostinarmi a volere qualcosa che non mi spettava. Non meritavo di essere amato, tantomeno da un'anima così pura e buona.
Non ero neanche davvero una persona.
I miei fratelli avevano avuto la sfortuna di finire tra le grinfie di nostra madre, ma io ero nato per essere una cavia. Ero un esperimento ancora prima di venire alla luce. Appartenevo al laboratorio, e probabilmente era lì che sarei dovuto tornare.
«Ehi, caro. Ti ho preso questo».
Mi riscossi di colpo. Linda era china su di me e mi stava porgendo una bevanda fumante. L'odore di tè mi invase le narici, allentando un poco la morsa allo stomaco. La fissai corrucciato e le sue labbra si piegarono in un sorriso tenero che mi mise in soggezione. «Perché?»
Si abbassò sulle ginocchia e mi spalmai contro la parete. «Arya dice che adori il té. Ma se preferisci, ti porto qualcos'altro».
Ero confuso. Perché mi stava parlando con un tono così... dolce? Speravo che non ci stesse provando. Sarebbe stato imbarazzante doverle spiegare che era la nonna di mia figlia. «Non lo adoro. Mi rilassa e basta» bofonchiai, prendendo il bicchiere.
Quando allungò la mano verso di me, i miei sensi scattarono in allerta, ma tutto ciò che fece fu scostarmi con delicatezza i capelli. I miei muscoli si rilassarono all'istante e socchiusi le palpebre con un sospiro profondo.
Era una carezza molto simile a quelle che mi faceva Kath, eppure era diverso fatto da una donna adulta. Per un attimo i miei problemi sparirono e io mi sentii un bambino, amato e coccolato come non lo ero mai stato. Era così il tocco di una vera mamma?
Linda indicò il mio graffio sul collo. «Anche se è superficiale, dovresti farti visitare anche tu, caro. Per precauzione».
«No, non ne ho bisogno».
A discapito del mio tono scontroso, il suo sorriso si allargò e mi diede un buffetto sul viso. «Il tuo ragazzo starà bene, ne sono sicura».
Deglutii per scacciare il nodo incastrato in gola. Era una bugia, eppure non mi importava. Avrei disperatamente voluto un'altra carezza, solo una, per riprovare un'ultima volta la sensazione di avere una madre.
«Nik!» Sky ci raggiunse di corsa e mi fece un cenno col capo. «Vieni. Possiamo vederlo».
Schizzai in piedi. Di colpo nient'altro aveva più importanza, neanche la stanchezza che mi schiacciava come un macigno. Superai Linda e seguii mia sorella fino alla camera, spintonando chiunque incrociassi sul mio cammino. Giunto sulla soglia, mi pietrificai. Sky mi diede una spintarella e richiuse la porta dietro di noi.
Seth era sdraiato sul letto, collegato a dei macchinari tramite una miriade di tubicini. Il suo respiro era rauco, affannoso. Aveva un colorito grigiastro sul volto, con dei riccioli scuri appiccicati alla fronte e gli occhi cerchiati da aloni violacei. Eppure sorrideva. Non un sorriso triste, debole, ma uno di quelli talmente luminosi che avrebbero fatto invidia al sole.
Attorno a lui si assiepavano i miei fratelli, più Arya che si era seduta sulla sponda del letto. Callum era in disparte, appoggiato alla finestra, con l'espressione meditabonda che conoscevo bene. Anche nelle condizioni in cui si trovava, stava già elaborando un piano per risolvere la situazione.
«Ho letto su Internet che i petauri soffrono molto la solitudine» stava blaterando Gabriel, intanto che il suo topo volante gli zampettava su per il braccio. «Infatti pensavo di prendergli un amichetto, magari un suricato. Potrei chiamarlo Timon come quello del Re Leone... oppure Onofrio, a meno che Arya non lo voglia usare per suo figlio».
Seth rise e si lasciò sfuggire un sussulto sofferente. Il suo pomo d'Adamo oscillò su e giù. «Se dovessi morire, mi prometti che considererai Sirius come nome, nel caso sia maschio?»
Ebbi un tuffo al cuore. Aprii la bocca, pronto a slanciarmi nell'ennesima sfuriata, ma non ne scaturì alcun suono. Avevo la gola sigillata, di nuovo. Come la notte in cui avevo perso mia sorella. Una stilettata acuta alle tempie mi offuscò la vista e mi ritirai in un cantuccio, desiderando solo di scappare via.
Arya gli prese la mano e la strinse. «Non morirai. Non lo permetteremo».
Joel annuì. «Sì, Pocahontas, smettila. Abbiamo già una drama queen in famiglia».
«Ci sarà un antidoto o roba del genere, no?» suggerì Remiel. Spostava senza sosta il peso da una gamba all'altra, irrequieto. L'ultimo posto in cui doveva stare un demone con seri problemi di autocontrollo era un ospedale.
«Nel laboratorio». La vocina esile di Isaac ci fece girare tutti con una sincronia piuttosto comica. Era appollaiato sul fondo del materasso e si stropicciava nervosamente le dita. «Il laboratorio segreto sotto il mausoleo, dove la mamma teneva nascosto Jayson. Se il suo veleno era letale per gli esseri umani, è possibile che lei avesse creato una cura».
Alexander inclinò il capo di lato e un ciuffo argenteo gli ricadde tra le sopracciglia. «Paranoica e geniale com'era, non ci sono dubbi. Ma come la riconosciamo?»
Sky avanzò di un passo. «Nel laboratorio c'erano un mucchio di fiale piene di schifezze. Potrebbe essere tra quelle».
«Lo so. Per questo ho detto come la riconosciamo, e non come la troviamo» commentò Alexander.
Gabriel diede un bacino sulla testolina di Alberico, avvinghiato al suo pollice. Che schifo. «Magari c'è l'etichetta».
«Forza, allora. Andiamo e cerchiamo una boccetta con su scritto "Cura miracolosa per il morso di un demone imbruttito"». La voce di Joel era intrisa di sarcasmo. «Di sicuro avremo fortuna».
Arya si corrucciò. «Come fai ad avere voglia di scherzare?»
«Non è mica morto nessuno, principessa. Per ora».
Digrignai i denti. «Se non vuoi che ti strappi le corde vocali, piantala di fare il deficiente».
«A me piace il dark humor». Lo sguardo di Seth percorse la mia figura. I suoi penetranti occhi neri sembravano avere il potere di spogliarmi, di togliermi uno strato dopo l'altro fino ad arrivare a toccare la mia anima marcia e sporca. Anche se era ottimistico presumere di averne una. «Ci lasciate da soli cinque minuti, per favore?»
Un lampo malizioso guizzò sul viso di Joel. «Vi bastano per un'ultima scopata?»
Nonostante la tentazione di mollargli un pugno, lo ignorai. Ero incapace di provare empatia, ma avevo imparato a interpretare gran parte dei comportamenti dei miei fratelli. Con lui in particolare era facile, dato quanto mi somigliava. L'ironia era il suo modo di non soffrire. La sua armatura, come la rabbia era la mia.
Nel passarmi accanto, l'angioletto mi sfiorò il gomito e fui travolto da un inaspettato moto di affetto. Mi sentivo stordito, intrappolato in uno dei miei incubi. Eppure la piccola vita nel suo grembo era lì, a ricordarmi che c'era ancora speranza.
Callum chiudeva il corteo. Mi posò una mano sulla spalla e sussurrò, prima di uscire: «Forse ho avuto un'idea. Dopo ti spiego».
Avrei voluto seguirlo subito. Non sopportavo di stare fermo a non fare niente, impotente. Uccidere Jayson non era stato sufficiente a placare la mia sete di vendetta. Bramavo di versare altro sangue, di sfogare l'odio che mi logorava dentro.
«Che fai laggiù? Non sono mica contagioso». Seth batté il palmo accanto a sé. Dalla sua smorfia, dedussi che gli era costato un certo sforzo. «Vieni qui, dai».
Obbedii con riluttanza e mi sedetti sul bordo del letto. Le lenzuola lo coprivano fino alla vita. Sollevai un lembo del camice da ospedale e azzardai un'occhiata fugace alla ferita, un ammasso di carne annerita tenuta insieme dai punti. L'infezione si stava espandendo all'addome, tracciando piaghe purulente e scure vene gonfie sulla pelle. Rabbrividii.
«Ero invidioso delle tue cicatrici» commentò Seth, sprofondando nel cuscino. «Ho pensato che fosse figo averne una anch'io».
«Potevi dirmelo. Te l'avrei fatta più carina».
La risatina di Seth venne interrotta da un attacco di tosse e si portò una mano al fianco. «Ahia, fa malissimo».
«Cercherò di essere meno simpatico». Realizzai solo in quel momento di star stringendo ancora il bicchiere che mi aveva dato Linda. Mi allungai e lo posai sul comodino. «Ti ho portato un té».
«Al limone? Deve essere proprio una brutta giornata».
Feci spallucce. «Abbastanza. Il mio ragazzo idiota, che scappa dai tacchini e ha paura dei ragni, ha deciso di affrontare un demone e si è fatto quasi ammazzare».
La sua bocca assunse una piega divertita. «È molto coraggioso».
«Oppure un fifone con un pessimo istinto di sopravvivenza».
«Oppure doveva salvare il suo ragazzo brontolone».
Mi morsi l'interno della guancia e chinai il capo, assalito dal senso di colpa. Perché, in un modo o nell'altro, continuavo a fare del male alle persone che amavo?
Forse perché non le meriti, insinuò una vocina nella mia mente.
Mi presi la testa tra le mani, i gomiti sulle ginocchia. «Mi dispiace. Non avrei mai dovuto coinvolgerti in tutto questo. Sette anni fa, quando mi hai liberato e ti sei offerto di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia, avrei dovuto rifiutare. Non avrei nemmeno dovuto cercare i miei fratelli. Ho sbagliato. Sareste stati meglio senza di me, tu staresti stato meglio. Al sicuro».
«Non sparare cavolate». A fatica Seth mi catturò il mento tra le dita e mi obbligò a guardarlo. Mi persi nel mare nero delle sue iridi, le uniche acque in cui sapevo che non sarei mai annegato. «Non ho mai festeggiato il mio compleanno da piccolo. Non c'erano auguri, né regali o torte. Nessuno se ne ricordava. Ma avevo una candelina, ovviamente rubata, così ogni anno la accendevo ed esprimevo sempre lo stesso desiderio: essere importante per qualcuno. Poi a quindici anni ho smesso. Sai perché?»
«Hai capito che erano stronzate?»
«Ho trovato te, idiota». Mi diede un buffetto sul naso e lasciò ricadere il braccio. «Ho vissuto per strada circa nove mesi, dopo essere scappato dalla casa famiglia. Ero venuto a Notturn Hall per scoprire chi fosse mio padre, ma non ci sono mai riuscito e sono rimasto. All'inizio frugavo tra i rifiuti o chiedevo gli avanzi di cibo nei locali, finché ho capito che truffare la gente riempiva lo stomaco più dell'elemosina. E ho scoperto di essere dannatamente bravo, così tanto che il peggior criminale della città mi ha notato e mi ha proposto di lavorare nel suo night club».
Mi corrucciai. «Perché mi stai dicendo...»
«Perché ti comporti sempre come se fossi tu l'unico a essere fortunato ad avermi incontrato. Non è così, Nik. Ci siamo fatti bene l'un l'altro, ci siamo salvati a vicenda». Il suo tono si incrinò appena. Puntò lo sguardo verso il soffitto e tirò un sospiro profondo. «Prima di conoscerti, ogni notte salivo sul campanile della chiesa e cercavo il coraggio di buttarmi».
Mi paralizzai. Non me lo aveva mai detto. Nessuno avrebbe potuto capirlo meglio di me: anch'io avevo desiderato spesso la morte, durante gli abusi in laboratorio e nel periodo rinchiuso in gabbia. Sarebbe stata una liberazione.
«Volevi morire?» chiesi in un sussurro. Quelle parole mi mandavano nel panico, come se solo pronunciarle potesse far sì che diventassero reali.
«No, ma non volevo vivere». Un sorriso amaro gli si dipinse sul volto. «Non avevo niente e nessuno per cui farlo. Eppure ogni volta che ero lì, sul quel cornicione, continuavo a rimandare. Mi ripetevo di aspettare un giorno, solo un altro giorno. La morte è spaventosamente definitiva, la vita invece è una scommessa. E a me è sempre piaciuto giocare d'azzardo. Tu sei stato la mia scala reale in una partita piena di pessime mani».
Mi chinai e premetti la bocca sulla sua, assaggiandone il sapore. «Non me ne avevi mai parlato».
«In confronto ai tuoi, i miei problemi sembrano delle stupidaggini. Non volevo essere un peso. Sì, lo so che non lo sarei» si affrettò a precisare, quando feci per protestare. «Ma è un'abitudine difficile da perdere, come per te lo è smettere di considerarti un mostro. Ora però volevo dirtelo. Perché, se dovessi morire oggi, sarei in pace con me stesso. Saprei che la mia esistenza non è stata inutile e che la mia tomba non rimarrebbe senza fiori. Ed è merito tuo».
Un brivido gelido mi artigliò la schiena. «Non morirai. Non lo permetterò mai».
«Sono sicuro che andrà tutto bene e mi prenderai per il culo per averne dubitato, ma se così non fosse voglio che tu mi dica addio».
Scossi freneticamente il capo, attraversato da un singulto. «Non posso. Non c'è nessuna vita senza di te».
«Sì, invece». Seth mi asciugò col pollice la lacrima solitaria sfuggita dalle ciglia, scrutandomi con un'espressione implorante. «Ho visto quanto soffri per non essere riuscito a dire addio a tua sorella. Ti prego, non farmi essere il tuo ennesimo rimpianto».
Buttai fuori un fiotto d'aria dalle narici e incatenai lo sguardo al suo. Ebbi un attimo di esitazione. Lo spazio di un respiro in cui il dolore venne sommerso, spazzato via da un furia cieca. «No». Balzai in piedi. «Col cazzo. Tu non morirai. Dovessi ridurre in cenere questo schifo di mondo».
Sapevo che cosa fare.
Avrei raso al suolo la città intera per salvare Seth e, se non ci fossi riuscito, me ne sarei andato per continuare la mia guerra contro l'Olympus da solo. Tutto era iniziato con me e doveva finire con me. Non ero disposto a perdere nessun altro della mia famiglia.
Ritornai a rapide falcate nella sala d'attesa. Quando mi accorsi che era presente anche lo sceriffo, mi venne quasi da ridere. Ero già pronto a sfruttare il legame con l'angioletto per scoprire con la telepatia dove abitava, o a fiondarmi alla stazione di polizia. Invece eccolo, servito su un piatto d'argento.
«Sono arrivate delle segnalazioni sull'aggressione di un animale a Crystal Lake, e poi tua madre mi ha avvisato che eri qui con questa famiglia di pazzi». John si voltò verso i miei fratelli. «Che cosa diavolo avete...»
«Proprio te volevo, zietto». Con un movimento repentino lo afferrai per la gola e lo attaccai al muro.
John mi sferrò un pugno in faccia, mentre l'altra mano scattava verso la pistola. Gliela feci cadere con una gomitata e la calciai lontano. Sfoderai un sorrisetto cattivo. «A meno che non fosse caricata con proiettili in oricalco, sarebbe stato uno spreco di munizioni».
Udii la voce entusiasta di Joel alle mie spalle. «Finalmente un po' di azione».
«Nicholas, fermo! Che cosa stai facendo?» strillò Arya furibonda, tentando invano di strattonarmi via. «Lascialo stare. Non c'entra niente con quello che è successo a Seth».
«Sì, infatti. Anche se stava dalla parte di papà, che voleva ucciderci tutti, non significa che sia cattivo».
«Non sei d'aiuto, Gabe» borbottò Sky.
Emisi un verso sarcastico. «Ma davvero? Per mesi Jayson è rimasto rintanato nel bosco, poi il diapason per controllarlo scompare e poco dopo all'improvviso decide di fare un salto al castello. Che bizzarre coincidenze».
John si dibatté nella mia morsa, annaspando in cerca d'ossigeno. La sua faccia era sempre più paonazza, eppure non c'era traccia di paura nei suoi occhi. Solo disprezzo. «Io... non... so... nulla».
«Tu forse no. Ma di sicuro Maya sì». Gli sbattei di nuovo la schiena contro la parete, i suoi piedi che oscillavano a pochi centimetri dal pavimento. «È una scienziata anche lei, giusto? Allora chiamala e avvertila che, se non mi consegna immediatamente la cura per salvare Seth, questa città diventerà un enorme pittoresco cimitero».
«Non risponderà mai. È lei a contattarmi di solito».
«Sembra un gran bel problema. Per te».
«Nicholas, basta. Non fargli del male. Per favore». Arya si posizionò davanti a me, accanto al mio braccio teso, e mi agguantò per la camicia. «Uccidilo e ti giuro che non dovrai preoccuparti di poter essere o meno un buon padre, perché non ti farò neanche avvicinare a nostro figlio».
Un ringhio mi scaturì dalla gola. Allentai la presa e Remiel e Sky ne approfittarono per tirarmi indietro. Callum si frappose fra me e John, che si era piegato in due, i colpi di tosse che gli squassavano il petto. «Non ci serve l'aiuto di Maya. Nostra madre teneva tutte le informazioni sul Progetto in un libro. Lo chiamava Grimorio. Ci prendeva nota di ogni cosa, comprese le formule delle sue pozioni. Lo possiamo usare per capire come guarire Seth».
Un fremito di rabbia percorse il mio corpo. «Di che cazzo stai parlando?»
«È la vera ragione per cui Callum ci ha riportati proprio a Notturn Hall. Per trovare il Grimorio prima dell'Olympus, in modo che non possano creare altri de...» Sky si guardò attorno. La sala ormai era quasi deserta, ma abbassò comunque il tono. «Altri come noi. Avremmo avuto un vantaggio su di loro, qualcosa che volevano. Per questo siamo tornati, ce lo ha raccontato mentre eri con Seth. Non lo sapeva nessuno fino a stasera, a parte Kath».
«Callum ha scoperto della sua esistenza grazie al dottor Stone. Lui e il padre di Arya lo cercavano, perché speravano di usarlo per incastrare l'Olympus e rendere pubblico tutto quello che il governo ci ha fatto» proseguì Remiel, scansandosi il ciuffo corvino dalla fronte. «Ma quando abbiamo lasciato la comunità, la priorità eri tu. Poi ci siamo trasferiti a New York e il Grimorio è passato in secondo piano».
Col respiro pesante, scoccai un'occhiata in tralice a Callum. «Ti fa così schifo essere sincero con noi ogni tanto?» Non attesi nessuna risposta. «Okay. Dov'è questo fottuto libro?»
Callum si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ho messo a soqquadro il castello con i lavori di ristrutturazione e non è saltato fuori niente».
Mi agitai irrequieto sul posto. Avevo voglia di pestarlo. «Molto utile, grazie».
«Forse lo ha preso Lucius» ipotizzò Sky.
«Se posso...» Isaac tossicchiò timidamente. «Non credo. Cioè, lui sa tutto di noi e del Progetto. Ed è già un bersaglio dell'Olympus. Perché esporsi così tanto per rubare qualcosa che non gli serve e che lo metterebbe ancora più in pericolo?»
Callum concordò con un cenno. «È stato il mio stesso ragionamento. Avrebbe più senso nasconderlo, piuttosto che portarselo dietro, e il castello è la scelta migliore. Ci sono un sacco di passaggi segreti che Lucius di certo conosce. Spiegherebbe anche come ha fatto a entrare per lasciare quel bigliettino, la notte in cui siamo andati al luna park».
Gabriel emise un fischio ammirato. «Raga, siete troppo intelligenti». Fece una breve pausa, poi aggiunse: «Potete rispiegare? Mi sono perso a Gregorio... no, aspettate, come si chiamava? Ghimorio?»
«Grimorio» lo soccorse l'angioletto.
«Sono l'unico a pensare che sia una parola difficile da pronunciare? Mi si incastra la lingua».
Joel sfilò dalla tasca l'accendino e prese ad accenderlo e spegnerlo. «Riassunto per l'idiota: la nostra cara mammina ha scritto un manuale per genitori modello su come gestire i figli demoniaci, ma siamo fregati perché si è portata i suoi segreti nella tomba».
Alexander scivolò giù dal davanzale della finestra su cui si era seduto. «E se lo avesse fatto in senso letterale? Sotto la lapide di Jayson c'era un laboratorio, dopotutto. Farsi seppellire con il libro sarebbe stato uno scherzetto simpatico, oltre che un'ottima tecnica per accertarsi che nessun altro potesse riprodurre il suo lavoro».
Arya inorridì. «Vi prego, ditemi che non volete sul serio profanare la tomba di vostra madre».
Remiel sbiancò. «Non possiamo. So che era una persona orribile, ma...»
«Nessun ma». Sky sorrise compiaciuta. «Se possiamo farla incazzare anche da morta, io ci sto».
Joel si stiracchiò. «E poi Nik l'ha ammazzata, principessina. Violare la sua tomba non può essere peggio».
«Non vedevo l'ora di fare una riunione di famiglia anche con lei» esclamai, battendo le mani. «Andiamo».
John si raddrizzò. «Siete malati. Davvero molto malati».
Mi indirizzai verso l'ascensore, ma Callum mi si piazzò di fronte. «No. Tu devi restare con Seth. Potremmo anche sbagliarci e non sappiamo quanto tempo resta...»
Lo agguantai per il colletto, pronto a colpirlo. Alexander mi torse il polso e mi tirò all'indietro senza tanti complimenti, facendomi incespicare di qualche passo. Mi sarei volentieri avventato su di lui, ma mi bloccò con un cenno del mento. Mi voltai.
Una donna era appena entrata nella sala d'attesa. Bionda, alta come un puffo, con degli occhiali rettangolari sul naso. Al suo fianco c'era un ragazzo pressappoco della mia età.
Aveva dei folti capelli neri e una camicia scura gli fasciava alla perfezione il fisico robusto, risaltando sulla carnagione diafana. Era cambiato parecchio da quando l'avevo visto in coma, ma la cicatrice che gli spaccava il lato destro del viso non lasciava dubbi sulla sua identità.
«Keegan» sussurrò Arya scioccata, muovendosi per raggiungerlo. Remiel la trattenne e scosse il capo.
Il ragazzo la adocchiò e d'istinto mi spostai nella sua traiettoria per coprirla, imitato da Alexander. Mi fissò con un sopracciglio inarcato. «Hai un'aria famigliare».
Scrollai le spalle con noncuranza. «Abbiamo avuto un incontro intimo nella tua mente».
Gabriel sventolò una mano. «Allora sei tu, Keegan. Piacere di conoscerti. Puoi chiamarmi Gabe».
«Non capisco». Arya riservò un'occhiataccia alla donna. «Che cosa gli hai fatto?»
Maya fece un sorrisino odioso. «Niente. È solo tornato a essere sé stesso».
«Lo smemorato non è più così smemorato, allora» lo schernì Joel.
Callum sobbalzò e una luce di consapevolezza gli si accese nello sguardo. «Sei il demone della leggenda, vero? Quello che nostra madre ha usato per trasformarci».
Increspai le sopracciglia. «Mi sembri molto vivo per essere un cadavere vecchio di secoli».
«Avrà fatto skincare» commentò Gabriel.
Alexander lo sbirciò di sottecchi. «Hai capito qualcosa di quello che stiamo dicendo?»
«In realtà no. Ma mi piace sentirmi partecipe».
«Non c'è tempo per le spiegazioni ora». Keegan indicò il corridoio in fondo al quale si trovava la camera di Seth. «Il vostro amico sta morendo. Sento la sua anima che si indebolisce, anche voi dovreste esserne in grado. Io posso guarirlo».
Serrai forte le mascelle. La lunga permanenza nella bara - ammesso che fosse realmente lui - doveva avergli danneggiato il cervello, se era convinto di potermi illudere che intendesse salvare Seth senza nessun tornaconto. Fu Sky a esprimere il mio pensiero. «E perché dovresti farlo?»
«Perché non dovrei? A differenza vostra, odio vedere gli innocenti morire».
Joel fece uno sbuffo sarcastico. «Carino da parte tua dopo aver mandato quell'adorabile demonietto ad ammazzarci, Matusa».
«Non siamo stati noi a evocare Jayson. Il diapason non è neanche in nostro possesso. Ma, con la sua morte, Keegan ha recuperato gran parte dei suoi poteri, e io gli ho restituito i ricordi». Maya prese dalla tasca una fialetta piena di un liquido denso e cremisi, simile a sangue. «La cura per Seth. Potrei dirvi che cosa contiene, ma temo che nessuno di voi capirebbe».
Arya si girò verso John, che si affrettò a dire: «Non so niente di questa storia. Te lo giuro».
Remiel accennò alla boccetta. «Perché dovremmo credere che quella salverà la vita a Seth? Per quanto ne sappiamo, potrebbe anche essere un modo per...»
«Cosa? Ucciderlo? Se non gliela date...» L'attenzione di Keegan venne attratta dal topo volante, che era planato fino ad atterrare sui ricci castani di Gabriel. «Quello cos'è?»
«Il nostro petauro. Si chiama Alberico».
«Perché avete un petauro?» Maya si schiarì la gola e Keegan si riscosse, pur continuando ad allungare occhiate incuriosite verso Alberico. «Okay. Comunque, se non gliela darete morirà di sicuro, probabilmente prima ancora che arriviate al castello. Almeno così avrà una possibilità».
Emisi un verso gutturale, serrando le mani a pugno. Detestavo che avesse ragione. Costringere Maya a darmi l'antidoto era il mio piano, certo, ma non mi piaceva che non fossi io ad avere il controllo della situazione. Dovevo capovolgerla a mio favore.
«Jayson mi ha morso». Callum si scostò il bavero della giacca per esibire le vene ingrossate sul collo. «Se la provassi per primo...»
«Che idea di merda» lo interruppe Joel.
Alexander annuì. «Assurdo. Sono d'accordo con lui».
«E comunque funziona solo sugli esseri umani. Il vostro metabolismo è in grado di assorbire la tossina attraverso la rigenerazione» puntualizzò Maya.
«D'accordo». I miei fratelli mi fissarono, allibiti. Li ignorai e restai concentrato su Keegan. «A patto che sia tu a dargliela».
Maya arricciò il labbro. «Non siete nella posizione di...»
«D'accordo». Keegan le prese la fiala e si incamminò verso la stanza di Seth, lasciando la donna di stucco.
Lo seguii, tallonato dal resto della mia famiglia. «Sei troppo tranquillo» bisbigliò Callum al mio orecchio. «Che vuoi fare?»
Non risposi. Le stilettate che mi perforavano il cranio si erano fatte talmente insistenti da darmi l'impressione che fosse sul punto di esplodere in mille pezzi. Un dottore si avvicinò per chiedere spiegazioni su ciò che stava accadendo e John si assunse l'incarico di rimanere fuori a rifilargli qualche balla.
Quando entrammo, Seth si era addormentato. Non avevo bisogno di controllare i parametri vitali sul monitor per sapere che era peggiorato. Lo fiutavo dal suo odore, lo sentivo dalle sottili note stonate nel ritmo dei suoi battiti. E lo percepivo dalla sua anima pulsante, che con mio grande orrore mi fece gorgogliare lo stomaco.
Non dipendeva da me. Ero un demone ferito e affamato messo davanti a un corpo morente, ma non mi rendeva meno ripugnante. Perché quel corpo morente era di Seth, del mio Seth. Il pensiero di nutrirmene non avrebbe dovuto nemmeno sfiorarmi.
Callum si mise al mio fianco e Remiel e Isaac si tennero in disparte, mentre gli altri accerchiavano il letto. «Aspetta» urlai, nell'istante in cui Keegan stappò l'ampolla. Un aroma di sangue, misto a qualcosa di sconosciuto e famigliare insieme, si propagò nell'aria. «Prima voglio una piccola garanzia».
A una velocità sovrumana raggiunsi Maya da dietro e le circondai la gola con un braccio, esercitando solo una leggera pressione. Arya si lasciò scappare un gridolino.
Keegan sospirò. Era sorprendentemente calmo, persino annoiato. «Non è necessaria la violenza».
«A me la violenza piace» replicai, tappando la bocca della donna che si dimenava disperata. «Se quella roba non rimette Seth in sesto, le spezzo l'osso del collo e decoro le pareti con le sue interiora. Tutto chiaro?»
Keegan fece una smorfia seccata. Riempì una siringa, si chinò su Seth e gliela iniettò direttamente nella ferita al fianco. Lui emise un gemito nel sonno e per una frazione di secondo il mio cuore si arrestò.
Poi le vene nere si ritirarono dal suo addome, le piaghe sparirono e il gonfiore si attenuò. Adesso c'era soltanto un lungo taglio ricucito, circondato da una zona arrossata di pelle.
Rilasciai il fiato che non mi ero reso conto di trattenere. L'ondata di sollievo che mi investì fu così intensa che rischiai di scoppiare a piangere come un cretino. Stava bene.
«Che figata» commentò Gabriel.
«Che cazzo era? Una pozione miracolosa?» gli fece eco Joel.
Lo sguardo di Keegan saettò su Arya, poi su di me. La sua espressione si indurì. «Puoi smettere di strangolarla? Grazie».
Una forza invisibile mi spinse via e urtai contro la spalla sana di Callum, che d'istinto mi sorresse. Maya si massaggiò il collo, boccheggiando. Keegan la prese per il gomito ed entrambi si dissolsero nel nulla, prima ancora che potessi superare lo stupore di essere stato colpito da un'onda psichica.
Nel silenzio generale, mi trascinai fino al letto di Seth e crollai in ginocchio. Incrociai le braccia sul materasso, vi posai il mento sopra e aspettai che si svegliasse.
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