𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 51 (Arya)

"𝔚𝔢'𝔯𝔢 𝔱𝔴𝔬 𝔥𝔞𝔩𝔳𝔢𝔰
𝔬𝔣 𝔞 𝔴𝔥𝔬𝔩𝔢 𝔦𝔡𝔦𝔬𝔱"

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«Questo è l'Inferno».

Mi voltai al suono di un tonfo. Nicholas teneva le mani appoggiate al muro del negozio e ci sbatteva ripetutamente la fronte contro, emettendo una serie di versi che mi ricordavano tanto Balto quando durante il bagno uggiolava disperato come se lo stessimo bastonando.

L'espressione afflitta sul suo volto mi strappò un sorriso e lanciai un'occhiata a Sky. «Ma è sempre così melodrammatico?»

Mi rispose con un ghigno. «Oh, sì. Te lo avevo detto che sarebbe stato uno spasso portarlo con noi».

«Sembra in agonia. Quasi mi dispiace» commentò Layla, riservandogli uno sguardo carico di compassione.

Deena sbuffò. «Per colpa sua ci guardano tutti».

Nicholas ruotò il capo. «Guardano me, non voi, piccola presuntuosa. E solo perché sono bellissimo, nel caso non te ne fossi ancora accorta. Anche se dovresti essere cieca per non notarlo».

Se il narcisismo si fosse incarnato in una persona, sarebbe di sicuro stato lui. «No, è perché sei un husky in versione umana. Anzi, demoniaca» lo corressi.

«Non paragonarmi a un tappeto ambulante pieno di pulci che sbava ovunque».

Roteai gli occhi e ripresi a rovistare tra i maglioni impilati. Quel pomeriggio avevo chiesto alle mie amiche di andare al centro commerciale, con la scusa che il pancione stava crescendo. In effetti, pur essendo solo un lieve rigonfiamento a stento visibile, i miei indumenti cominciavano a starmi stretti.

Di comune accordo avevamo deciso di invitare anche Sky, che ne era stata così entusiasta da spezzarmi il cuore. Non potevamo cancellare il dolore per la perdita di sua sorella, ma speravo che avere delle compagnie femminili la facesse sentire meno sola.

Dal canto mio, avevo davvero bisogno di un po' di shopping terapia per distrarmi da tutto ciò che stava succedendo. Da quando i De'Ath avevano scoperto dei rischi della gravidanza, di colpo la possibilità di morire mi appariva più concreta e spaventosa. E il litigio con Remiel in proposito non aiutava a migliorare il mio umore, già altalenante a causa degli ormoni sballati.

Nicholas si abbandonò di peso su una seggiola. «Sul serio, sono certo che esista un girone infernale molto simile a questo». Incrociò le braccia al petto e fissò sua sorella, imbronciato. «Quindi dopo sarò perdonato, vero?»

Lei scrollò le spalle e prese una camicetta lilla appesa a una gruccia. «Forse».

«Come forse? Avevi promesso! Non è giusto!» protestò lui, puntandole l'indice con fare accusatorio.

Mi affiancai a Sky, incuriosita. «Che ha combinato?»

«Ha spaccato le gambe al mio ormai ex ragazzo affinché mi lasciasse». Il suo tono noncurante mi lasciò di stucco.

Rimasi a bocca aperta. Layla sussultò e fece cadere a terra i pantaloni che reggeva in mano, con il mio stesso stupore riflesso sul viso. «Era un coglione. Le ho fatto un favore» commentò Nicholas annoiato, giocherellando con l'anello al suo indice.

Deena gli rivolse un cipiglio severo. «Sei parecchio sessista, sai?»

Un moto di fastidio mi travolse. Impiegai un attimo a capire che quell'emozione era di Nicholas, non mia. Il nostro legame si tese come una corda e, senza neanche volerlo, scivolai nella sua mente, cogliendo un frammento dei suoi pensieri. "La tradiva. Nessuno può ferire la mia sorellina".

«Arya?» Layla mi sfiorò il gomito. «Stai bene?»

Mi accorsi che mi stavano scrutando tutti, compreso Nicholas che si era rizzato di scatto sulla sedia. Sembrava non essersi accorto di nulla, per fortuna. Ultimamente avevo l'impressione che la connessione tra di noi fosse diventata più forte e non potevo fare a meno di chiedermi se fosse dovuto al fatto che iniziavamo ad andare d'accordo.

Non eravamo ancora amici, ma ormai nutrivo comunque dell'affetto nei suoi confronti. No, affetto forse era troppo. Simpatia, ecco. Era difficile odiarlo, dopo che in palestra lo avevo visto così fragile e smarrito, due aggettivi che mai avrei creduto di associare a Nicholas De'Ath.

Annuii. «Tutto okay. Mi è solo venuta una voglia matta di patatine al formaggio». Non era nemmeno una bugia. «Sarà normale che passo di continuo dall'ossessione per il dolce a quella per il salato?»

«Meglio così. Mi ero rotto i coglioni del cioccolato alla menta» borbottò Nicholas, tornando ad afflosciarsi contro lo schienale.

Layla si lasciò sfuggire una risatina, mentre Deena spariva in un camerino. «Quindi senti tutte le sue voglie?»

«Non è divertente. Ieri mi sono svegliato e volevo le lenticchie. Chi cazzo mangia le lenticchie a colazione? Insomma, mi fanno pure...» Si ammutolì nello stesso istante in cui un attacco di nausea mi serrò la gola. Accennò a me col mento. «Alla sacca di vomito ambulante urge un bagno. Meglio non mandarla da sola, però. Potrebbe finire in quello degli uomini o farsi rapire, stando alle precedenti esperienze».

Stronzo.

Lo scrutai truce e portai la mano alla bocca, il cuore che mi si impennava sbattendo contro le costole. Lo stomaco mi si ribaltò. Avevo la vista offuscata e tremavo. Nonostante la pratica che avevo fatto in quei mesi, vomitare continuava a riempirmi di terrore.

«La accompagno io». Sky mi prese sottobraccio, mi guidò fuori dal negozio fino ai bagni più vicini e scansò senza tanti complimenti una signora che stava per entrare nell'ultimo gabinetto libero.

Mi infilai dentro e mi piegai in due sulla tavoletta, scossa dai rigurgiti. Dopo che ebbi finito, mi pulii la bocca con un fazzoletto e rimasi dentro per qualche minuto nel tentativo di riprendere fiato. Controllai di non essermi sporcata e sbloccai la serratura. «Grazie» dissi a Sky, che era appostata lì davanti come una sentinella.

«Figurati. Come ti senti?»

Uno schifo, fui sul punto di rispondere. Ma l'apprensione sul suo volto mi fece desistere. «Meglio». Mi avvicinai a uno dei lavandini. Anche se non avevo fatto nulla, non mi sembrava igienico uscire senza sciacquarmi le mani. «Sono contenta che tu abbia accettato di venire. Se ti trovi bene con noi, potresti unirti a qualche altra nostra uscita tra ragazze. Magari senza Nicholas, la prossima volta» aggiunsi in tono scherzoso.

Sky fece un verso sarcastico. «Vuoi la verità? Ho fatto in modo che ci fosse anche lui, perché pensavo che mi sarei sentita a disagio da sola. Tu, Layla e Deena vi conoscete fin dall'infanzia, io sono un'intrusa. E poi non ho mai avuto amiche».

Smisi di aggiustarmi i capelli scompigliati e adocchiai il suo riflesso allo specchio. Invece della solita ragazza spavalda capace di tenere in riga ben sette fratelli, vidi quello che in fondo erano tutti i De'Ath: un'anima ferita, costretta a crescere troppo in fretta. «Mai?»

«Già. Non ne sentivo nemmeno il bisogno, in realtà». Si strinse nelle spalle e aggiunse in un sussurro: «Kath era la migliore amica che potessi desiderare».

Le diedi una pacca affettuosa. Il mio primo istinto sarebbe stato di abbracciarla, ma non volevo violare i suoi spazi, soprattutto considerato i traumi del suo passato.

Dalla morte di mio padre, avevo scoperto che il contatto fisico era il mio metodo preferito di consolare e di essere consolata. In certe circostanze le parole suonavano inutili e vuote, addirittura sbagliate. Era impossibile trovare qualcosa da dire in grado di lenire un dolore così grande come la perdita di un caro, a parte vane bugie.

Passerà? Falso.
Starai meglio? Scontato.
È in un posto migliore? Col cazzo. Stava bene qui, con la sua famiglia.

Gli abbracci invece erano un linguaggio universale, impossibili da fraintendere. Erano una promessa silenziosa che ricordava a chi la riceveva di non essere solo, uno spiraglio di luce in fondo al buio di un tunnel all'apparenza infinito.

«So che non posso sostituire tua sorella, né ne ho alcuna intenzione, ma per quanto mi riguarda siamo amiche. Non sei un'intrusa per me». Abbozzai un sorriso. «Anche perché non ne potrai più di sopportare tutti quei maschiacci».

Sky mi sorrise in risposta. «Quando vi trasferirete da noi, saremo in vantaggio. Non vedo l'ora».

Ah, già. Dovevo ancora parlare con mia madre. Stavo facendo di tutto per rimandare quella conversazione in data mai. «In realtà saremo comunque in inferiorità numerica».

«Numerica, sì. Ma loro hanno mezzo cervello ciascuno, a essere generosi» mi ammiccò.

Tornammo nel negozio. Layla e Deena ci aspettavano nel reparto per le donne, accanto ai camerini. Dopo averle tranquillizzate che stavo bene, una bugia che ripetevo così spesso che ormai iniziavo a crederci anch'io, puntai lo sguardo sulla sedia su cui prima si trovava Nicholas. Era vuota. «Dov'è finito?»

«Ha detto che doveva fare una cosa e se n'è andato» replicò Layla.

Sky fece un gesto noncurante con la mano. «Lo rivedremo presto». Mi adocchiò di sfuggita e l'angolo della sua bocca assunse una piega divertita. «Non ci si libera così facilmente di quel gran rompipalle».

Era ovvio che avesse intuito cosa stava combinando suo fratello. Non sembrava preoccupata, tuttavia, perciò decisi di accantonare la questione. Mi auguravo solo che non fosse andato a farsi uno spuntino.

Nicholas ci raggiunse una ventina di minuti dopo. Eravamo già passate alla cassa e stavamo gironzolando nel reparto per neonati, che mi attirava come una calamita. Dietro di me, Layla e Deena stavano ancora cercando di convincere Sky ad accettare i loro soldi. A nulla erano valse le nostre proteste: aveva consegnato la sua carta di credito e pagato per tutte.

All'inizio anch'io avevo provato a insistere per ridarle il denaro, ma poi avevo rinunciato per due motivi. Primo: anche se non mi piaceva approfittare della ricchezza dei De'Ath, avevo capito che per lei era importante. Era semplicemente il suo modo di dimostrare affetto. Secondo: era troppo testarda per cedere.

Presi una tutina e la osservai con un tuffo al cuore. Era morbidissima, in velluto blu, con l'immagine di Simba da cucciolo stampata sul davanti. Immaginai come sarebbe stato infilarla al mio bimbo, o alla mia bimba, e le lacrime cominciarono a premermi agli angoli degli occhi. Perché mi stavo emozionando per una cosa tanto banale?

Perché forse non vivrai abbastanza da poterla fare.

«La voglio» sentenziò Nicholas, il cui viso sbucava da sopra la mia spalla. Il suo profumo pungente mi invase le narici. «Insieme a quella lì di Topolino».

Le mie labbra si incurvarono all'insù. «E se non dovessero piacergli i cartoni della Disney?»

«Le piacciono già. Lo sento dal nostro legame empatico. Li adora tantissimo». Indicò una tutina di Spiderman. «Ha appena detto che vuole anche quella per fare contento papà Seth».

Mi scappò una risatina. «Certo, come no. Cosa ti fa pensare che sarà una femmina, comunque?»

«Mi ha detto anche questo».

Mi girai a fissarlo e increspai le sopracciglia. Un'enorme busta piena di pacchetti di patatine al formaggio gli sbatacchiava contro il fianco, pendendo dalla sua mano. Riportai lo sguardo su di lui. Sebbene lo trovassi ancora odiosamente attraente, avevo notato che non mi faceva più lo stesso effetto.

Non c'erano e mai ci sarebbero stati sentimenti romantici tra di noi, ma ora riuscivo a scorgere qualcosa che andava oltre al suo fascino. Un altro tipo di bellezza, al di là di quella fisica, nascosta tra le spire del dolore e della rabbia.

«Quindi bastava darti un abbraccio per farti essere gentile con me?» lo stuzzicai.

Nicholas gonfiò il petto, indignato. «Io non sono gentile».

«Hai svaligiato un supermercato».

«Per me, non per te. Abbiamo le stesse voglie, ricordi?»

Sollevai le mani in segno di resa e presi le tre tutine. Nicholas me le strappò di mano e mi consegnò un pacchetto di patatine. Quando intercettò il mio sorrisetto, scrollò le spalle con ostentata indifferenza e bofonchiò: «Sono troppe per me».

Trascorremmo le due ore successive a passare da un negozio all'altro. Sky acquistava in maniera compulsiva qualsiasi cosa su cui le cadeva l'occhio, a prescindere dal prezzo, mentre io, Layla e Deena facevamo attenzione a non guardare nulla per più di cinque secondi per paura che ce la prendesse.

Alla fine, con Nicholas che si lamentava di essere diventato un appendiabiti ambulante, ci dirigemmo verso l'uscita del centro commerciale.

«Peccato che tu non abbia voluto quella camicia» commentò Sky.

Annuii. «Ti stava proprio bene».

Nicholas arricciò il naso. «Era gialla. Brillo già abbastanza di mio, senza dover indossare roba gialla che mi fa somigliare a un fottuto pulcino». Tirò fuori dalla tasca il telefono e aggrottò la fronte. «Gabe mi ha mandato un video per neogenitori. Ma quanto può essere coglione?»

Un lampo di tenerezza guizzò sul volto di Layla. «È un pensiero carino, e magari è qualcosa di utile» suggerì timidamente.

«Come cambiano i colori della merda del bambino durante la crescita».

Scoppiai in una fragorosa risata. «Beh, dai, è utile».

Deena mi rifilò una gomitata. «Ehi, c'è John».

Mi bloccai. D'istinto Sky e Nicholas si erano piazzati ai miei lati con fare protettivo, ma mio zio non si era nemmeno accorto della nostra presenza. Era in una piccola gioielleria, chino su una vetrinetta che esponeva delle collane con un'espressione assorta.

Layla diede voce al mio dubbio. «Che sta facendo?»

Scossi il capo. «Voi andate, intanto. Voglio salutarlo».

«Il tuo istinto di autoconservazione è guasto, tesoro. Dovresti farlo riparare».

«Siamo in mezzo a un sacco di gente e non mi farebbe mai del male». Lanciai un'occhiata a Nicholas. «E lo sentiresti, se mi accadesse qualcosa».

«Lasciala un po' in pace, Nik». Sky afferrò il fratello per il gomito e lo trascinò via.

Attesi che si fossero allontanati e andai incontro a John. «Hai trovato la fidanzata e non me lo hai detto?»

Lui sussultò appena. Uno sguardo colpevole gli si dipinse sul viso, come se lo avessi colto con le mani nel barattolo della marmellata. «Oh, ehm, no. È per Linda».

Aggrottai la fronte. Mancava poco al compleanno della mamma, lo sapevo, ma di solito non le faceva regali così costosi. La mia perplessità doveva essere evidente, perché si affrettò a spiegare in tono impacciato: «È da parecchio che non riceve regali del genere. Sai, da quando tuo padre...» Si impappinò. «Così ho pensato che avrebbe potuto farle piacere, ecco».

Sorrisi. «È una cosa carina».

«Non ti dà fastidio, quindi?»

«Che tu faccia un bel gesto per mia madre? No. Perché dovrebbe?»

John tirò un sospiro di sollievo e scrollò le spalle. «Chiedevo. Per sicurezza. Tu sai già cosa prenderle?»

Il suo atteggiamento mi lasciò interdetta. Se non fosse stato assurdo, avrei pensato che avesse una cotta per mia madre. Ma era impossibile. Erano amici da anni, e lei era la vedova dell'uomo che considerava al pari di un fratello. No, era ridicolo. «Le ho fatto un nipotino. Direi che sono stata abbastanza originale».

La sua postura si irrigidì e tornò a esaminare una collana. Il pendente era a forma di fiore, con uno smeraldo al centro e i petali composti da tanti piccoli diamanti. «Già. A tal proposito, ti consiglio di sbrigarti a dirglielo. Senza offesa, pestiferina, ma si comincia a notare un pochino».

Abbassai lo sguardo sulla mia pancia e sbuffai. «Sì, sì, lo so. E per quanto riguarda Maya? Mi avevi promesso un incontro».

«Sempre la solita testarda». John si raddrizzò e si girò verso di me, i pugni piantati sui fianchi. «Ha accettato di parlarti, a condizione che non porti con te nessun De'Ath. Non si fida di loro. Ethan però può venire, e ci sarò anch'io».

Tentennai. Le parole di Alexander mi riecheggiarono nel cervello: "Non ti permetterò di incontrarla da sola. Lo faremo insieme, e su questo non scendo a compromessi". Ma che altra scelta avevo? Maya poteva essere la chiave per scoprire la verità, non solo su Keegan e tutto ciò stava succedendo, ma anche sulla morte di mio padre.

Era un'opportunità da non sprecare.

«Voglio insegnarti a sparare».

Mi accigliai. «Io so sparare. E me la cavo anche piuttosto bene».

Alexander roteò gli occhi e si fermò. Eravamo nel cortile interno del castello, scandito da due ordini di colonne scanalate. I gatti randagi, che stavano pigramente sonnecchiando al sole, si erano dileguati appena si erano accorti della mia presenza. Era rimasto solo Loki, seduto ritto e fiero sul muretto della fontana. Non mi ero mai accorta di quanto fosse elegante. Il manto scuro rifulgeva alla luce del giorno e, nonostante avesse la taglia di un cucciolo d'orso grizzly, le sue proporzioni erano stranamente armoniose.

«Da dove arriva Loki?» chiesi incuriosita.

«Era già qui». Alexander sfilò una pistola dal retro dei pantaloni e me la porse. «Se non ti piace, puoi sempre cambiarla. Abbiamo una vera e propria armeria in casa. Ma per esercitarci useremo questa».

Okay, ora cominciava a irritarmi.

Afferrai l'arma e la esaminai per un secondo. Era una Glock 44. Non troppo pesante, perfetta per una mano piccola, era un ottimo connubio tra controllo e precisione. Mi piaceva, tutto sommato. «Per l'ultima volta, non ho bisogno di esercitarmi. Anzi, scommetto che ho una mira migliore della tua».

«Lo so, piccola presuntuosa. Ti ho già vista. Ma voglio farti una domanda: hai mai sparato a un essere vivente?»

Esitai. Forse iniziavo a capire dove volesse andare a parare. Con mio padre e John usavo delle lattine vuote, oppure mi portavano al poligono di tiro. Mi ero sempre rifiutata persino di accompagnarli a pescare, perché mi turbava l'idea di veder soffocare dei poveri animaletti. Non volevo ammetterlo, però. «Sì, a qualche scoiattolo».

Una smorfia orripilata gli si dipinse sul volto. «Cosa?»

«Sto scherzando, tranquillo». Non trattenni una risata davanti al suo sguardo torvo. «Certo che hai il cuore tenero per essere un demone».

«Ero solo sorpreso, rompiscatole». Sbuffando, si allontanò di qualche passo in linea retta. «Se vuoi essere in grado di difenderti, devi imparare a colpire qualcosa di diverso da un bersaglio».

Feci un sorriso ironico. «Andiamo a caccia di conigli?»

«La vuoi smettere?» Alexander scosse il capo con fare esasperato e allargò le braccia. «No, sparerai a me».

Rimasi a bocca aperta, spiazzata. Poi pestai un piede a terra. «Oh, insomma! Ma che problemi avete voi De'Ath? Qualche giorno fa Nicholas mi ha chiesto di prenderlo a pugni, tu ora di spararti...»

«Hai pestato mio fratello?»
«No, non l'ho neanche sfiorato».

Alexander scrollò le spalle. «Peccato. Sarebbe stata una bella scena». Ridacchiai, per poi ammutolire quando si picchiettò un dito in corrispondenza del cuore. «Proprio qui. Forza, prova».

Spostai il peso da una gamba all'altra, continuando a fissarlo. Anche a una decina di metri di distanza, le sue iridi di ghiaccio mi mettevano i brividi. «Vuoi davvero che ti spari?»

Sospirò. «Arya, non puoi uccidermi per davvero. È caricata con proiettili normali, non in oricalco».

Corrugai la fronte. «Cos'è l'oricalco? Cioè, so che è tipo la vostra kryptonite e può farvi del male. Ma di che si tratta precisamente?»

«È un metallo. Non vale granché in termini di denaro ed è estremamente difficile da lavorare, quindi non interessa molto alla gente comune». Alexander ficcò le mani nelle tasche del giacchetto di jeans. «Vivianne lo ha fatto estrarre dalle grotte di Notturn Hall, a quanto ne so. Secondo una leggenda, è stato creato dal sangue degli angeli e per questo è letale per i demoni».

Dovevo aver capito male. «Angeli? Esistono anche gli angeli?» lo incalzai scettica.

«Ne dubito. Credo che sia solo una delle tante storielle di questa città».

Emisi un verso sarcastico. «Come quella sull'oscura maledizione della tua famiglia, intendi?»

Un mezzo sorriso gli si formò all'angolo della bocca. Appoggiò la schiena contro una colonna e incrociò le braccia sul petto. Un refolo di vento gli accarezzò i capelli argentei e una ciocca gli scivolò sulla fronte. «Sparami e basta, combinaguai».

Nervosa, puntai la pistola nella sua direzione e abbassai la sicura. Alexander rimase immobile. La sua posa era perfettamente rilassata, quasi fiacca. Era un aspetto di lui che mi affascinava e mi turbava insieme: sembrava essere sempre il padrone della situazione. Dal suo corpo e da ogni suo gesto traspariva una flemmatica svogliatezza, col risultato che tutto ciò che faceva appariva calcolato nei minimi dettagli.

Posai il dito sul grilletto e rafforzai la stretta attorno all'impugnatura. Malgrado il freddo, stavo sudando. Ripetevo a me stessa che non potevo ferirlo sul serio, ma quella consapevolezza non era sufficiente a tranquillizzarmi. Anche se guariva, provava dolore come chiunque altro.

«Con comodo, eh».

Abbassai l'arma. «No, non ce la faccio. È una cosa orribile, e stupida».

Con uno scatto, Alexander ricoprì la distanza che ci separava. Non lo vidi nemmeno. Udii un fruscio e in un baleno mi comparve di fronte, i suoi occhi azzurrissimi che trafiggevano i miei. Se c'era una capacità che invidiavo ai De'Ath, era proprio la super velocità. Doveva essere una sensazione fantastica.

«Se non riesci a sparare a me che non posso morire, come puoi sperare di colpire un essere umano?» mormorò con voce gutturale.

Sostenni il suo sguardo, mentre un brivido mi scendeva lungo la colonna vertebrale. «È diverso. Quando si è in pericolo di vita, si agisce e basta. Con te non mi sento granché minacciata».

La sua espressione fu percorsa da un fremito. Si sporse in avanti e la punta del suo naso sfiorò quella del mio. «Posso minacciarti, se ti aiuta».

Il mio respiro si fece pesante. Deglutii e premetti una mano sul suo torace per farlo indietreggiare. «Non saresti molto credibile. Ti sei intenerito per degli scoiattoli poco fa».

Alexander mi circondò il polso tra pollice e indice e mi costrinse a sollevare la pistola fino a che la canna gli premette sullo sterno. Il suo tocco era così gelido da farmi trasalire. «Fallo».

«Non posso». Mi liberai della sua presa con facilità, dato che non stava stringendo. Rialzai la sicura e abbandonai il braccio lungo il fianco. «Sparare a chi sta cercando di uccidermi è un conto. Ma tu sei...»

«Cosa?» Portò il viso a pochi centimetri dal mio. C'era un luccichio nel profondo delle sue pupille, come se mi stesse sfidando ad allontanarlo di nuovo. «Cosa sono?»

Esitai. «Il fratello del mio ragazzo».

Storse il naso. «Fa schifo come definizione».

«Lo zio di mio figlio?» suggerii.

«Già meglio». Alexander si raddrizzò e andò ad accasciarsi sul bordo della fontana. Loki si era dileguato, forse quando aveva visto la pistola. Si puntellò all'indietro sui palmi e fissò il cielo, dove si stavano addensando delle fosche nubi grigie. «Sta per piovere».

«Ah. Allora non sono io che spavento i gatti». Mi avvicinai e mi sedetti al suo fianco. Parlai in un soffio, sputando fuori la domanda che non riuscivo più a trattenere. «Pensi davvero che Remiel non voglia che io tenga il bambino, solo perché è un mezzo demone?»

I muscoli di Alexander si tesero. «Dovresti chiederlo a lui».

Ho troppa paura della risposta. «Domani dovremmo fare colazione insieme per parlare. Ma è ancora arrabbiato».

«Sì, immagino che succeda quando menti al tuo fidanzatino», calcò bene la parola, «sul fatto che potresti morire».

Il cuore mi si contorse nella gabbia toracica. «Sei arrabbiato anche tu?» azzardai.

«Che importa?»

Dal suo tono scontroso, più del solito, dedussi che fosse un sì. Lo guardai. «Lo pensi o no? È tuo fratello. Lo conosci meglio di me».

Alexander rilasciò un respiro profondo. «Remiel odia sé stesso. Odia quello che è, che siamo. Da sempre. Non ti dirà mai che cosa devi o non devi fare riguardo alla gravidanza e rispetterà qualsiasi tua scelta, ma non credo che cambierà idea. È innamorato di te, gli importa di te... non del tuo bambino». Fece spallucce. «Questo è ciò che penso».

Mi presi le testa tra le mani e socchiusi le palpebre. «Fantastico. Proprio fantastico. Scommetto che sei d'accordo anche tu».

Ci fu una breve pausa. «Mia madre avrebbe dovuto abortire. Era la scelta più logica. Aveva a stento i soldi per lei, figuriamoci per mantenere un figlio. Invece non l'ha fatto, mi ha voluto, nonostante fossi l'ennesima sfiga nella sua vita già rovinata».

Aprii gli occhi e mi girai con un movimento così brusco che mi scricchiolò il collo. Lo sguardo di Alexander era ancora rivolto verso il cielo plumbeo, ma sembrava assente e remoto, perso in un passato di cui potevo solo immaginare gli orrori. «Oppure la cosa più bella che le sia capitata» suggerii.

Un sorriso genuino gli affiorò sulle labbra. I suoi lineamenti duri e affilati, scolpiti nella pietra, si stemperarono e per un istante mi parve più tenero che mai. «Era quello che diceva lei. Non so quanto avesse ragione, ma ammiravo il suo coraggio. Così come ammiro il tuo».

Lo stomaco mi si contrasse in una morsa piacevole. Realizzai che la mia mano era vicina alla sua, quella vera. Fui tentata di toccarla. Fino a quel momento, i pochi contatti tra di noi erano avvenuti tramite la protesi ed ero curiosa di sentire com'era la sua pelle sotto i miei polpastrelli.

Alexander mi fece un cenno col capo. «Rientriamo. Comincia a fare freddo per te».

In effetti, stavo tremando. Violente raffiche di vento sferzavano il cortile e mi spingevano i capelli davanti alla faccia. Mi spazzolai i jeans dalla polvere e infilai la pistola nella cintura. Controllai l'orologio al mio polso. «Sì, e comunque devo tornare a casa. Se Ethan ha finito con le prove della band».

«Band è un po' eccessivo. Mi fanno venire voglia di cavarmi i timpani». Alexander balzò in piedi e agganciò i pollici alle tasche dei suoi pantaloni. «Posso essere brutalmente sincero, combinaguai?»

«Certo. A che proposito?»

I suoi occhi si conficcarono nei miei. «Non dovresti parlarmi dei tuoi problemi con il mio santo fratellino. Sono l'ultimo a voler salvare la vostra relazione».

Tacqui. Il sangue mi affluì alle guance. Avevo capito che provava qualcosa nei miei confronti, eppure per qualche ragione confidarmi con lui mi risultava spontaneo. Forse perché aveva dimostrato più volte di stare dalla mia parte. Dopotutto, aveva anche mentito alla sua famiglia per me... e ora gli stavo nascondendo che avevo fissato un incontro con Maya.

Mi sentivo una persona orribile.

Quando arrivammo in soggiorno, Nicholas stava strepitando come un forsennato contro Gabriel. Ethan, Joel e Sky ridevano a crepapelle, mentre Callum assisteva alla scena con un'espressione esasperata. Seth era stravaccato sul divano, intento ad accarezzare Loki acciambellato sul suo grembo, e aveva un ampio sorriso stampato sul volto.

«... lontano da me quel cazzo di topo volante!»

Gabriel si strinse qualcosa al petto. «Non è un topo! È un petauro dello zucchero! Guardalo, non è carinissimo?»

Al nostro ingresso, Seth ci rivolse un cenno di saluto. «Ehi, come va?» chiese, sovrastando le grida di Nicholas.

Aggrottai la fronte. «Che succede?»

Sky sventolò la mano in un gesto noncurante. «Nik è in modalità drama queen, come al solito».

«Non è vero!» Imbronciato, Nicholas si girò verso Callum. «Abbiamo già un orso grizzly in miniatura. Perché gli hai fatto prendere anche un fottuto peto?»

Alexander inarcò un sopracciglio con disappunto. «Loki non è un orso grizzly, idiota».

«E Alberico è un petauro!» aggiunse Gabriel.

Ridacchiai. «Scusate, chi sarebbe Alberico?»

«Il nostro petauro domestico» sghignazzò Seth.

«Sì, fin lì ci ero...»

«È un amore, vero?» Gabriel mi ficcò sotto il naso uno strano animaletto. Somigliava a uno scoiattolo, ma aveva una membrana sottile attorno alle zampette ed era completamente bianco. «Non lo saluti?»

Arretrai di qualche passo. «Sì, ehm, ciao. Alberico».

Joel si asciugò una lacrima con un dito e si aggrappò alla spalla di Ethan per rimettersi diritto sul divanetto. «Che nome di merda».

Gabriel si accigliò, mentre il petauro gli risaliva lungo il braccio. «Non vi piace? Ero indeciso tra due opzioni, ma nel sondaggio su Instagram ha vinto Alberico».

«Qual era l'altra?» obiettò Ethan.

«Onofrio».

Joel mi scoccò un'occhiata divertita. «Se baby Nik è un maschietto, dovresti chiamarlo così».

«In effetti, Onofrio De'Ath suona proprio bene» sogghignò Seth.

Prima che potessi rispondere, Alberico si lanciò in aria e planò fino ad avvinghiarsi al ginocchio di Nicholas. Lui cacciò un urlo e cominciò a saltellare sul posto, strillando furioso: «Levatemi di dosso questo coso!»

La risata fu generale. Sforzandosi di rimanere serio, anche se con scarsi risultati, Callum prese il mio giubbotto e me lo porse. «Andiamo. Vi riaccompagno a casa».

Io ed Ethan lo seguimmo fuori dal castello e raggiungemmo il Suv parcheggiato nel giardino. «Hai un fanale rotto» commentai, allacciandomi la cintura.

«Non ricordarmelo» bofonchiò Callum.

Lo osservai di sbieco e mi mordicchiai il labbro. All'inizio credevo che fosse solo una mia impressione, ma col passare dei giorni avevo notato che era dimagrito un po' nell'ultimo periodo. Aveva il viso leggermente più scavato e le camicie, che di solito gli calzavano a pennello, sembravano stargli più abbondanti. Pur essendo certa che se ne fosse accorto anche Nicholas, ero comunque preoccupata.

Per tutto il tragitto Ethan parlò della band. A quanto pareva lui, Gabriel, Will e Seth avevano persuaso Joel a unirsi a loro, a patto che le prove si tenessero qualche volta a casa mia. Avevo il sospetto che lo facesse per venire a tormentare Eryn, il che mi andava benissimo. Almeno la mia sorellina avrebbe sfogato la sua frustrazione su qualcun altro.

«Alberico sarà la nostra mascotte, per questo lo abbiamo preso. Stiamo anche pensando di cambiare il nome da Iron Cheesecakes a Cheesecake Glader». Dallo specchietto retrovisore vidi Ethan che si scostava il ciuffo dalla fronte, infervorato. «Secondo voi, quale suona meglio?»

Io e Callum ci scambiammo uno sguardo fugace. «È tuo fratello. Io ho già i miei da assecondare» commentò quest'ultimo, tamburellando le dita sul volante.

«Io voto per Cheesecake Glader». Mi voltai verso Ethan. «Ma tu da quando sai suonare la chitarra, scusa?»

«Me lo sta insegnando Joel. Solo che non vuole farmi usare la sua, quindi me ne dovrò comprare una». Ethan si sporse in avanti tra i nostri sedili. «Ehi, Cal. Posso chiamarti così?»

«No».

«Va bene. Ma, tanto per sapere, se dovessi chiedere a Sky di uscire, mi uccideresti? È solo un'ipotesi, eh».

«C'è la possibilità». Callum sbuffò e aggiunse in un borbottio: «Basta che ti comporti bene».

«E mi proteggeresti, se Nicholas cercasse di uccidermi?»

«Non lo farà. Te l'ho detto: basta che ti comporti bene».

Ethan recuperò un po' di colorito e tornò ad appoggiarsi allo schienale. Quando Callum accostò la macchina e si precipitò ad aprire il mio sportello, si accigliò. «Perché a me non lo fai, amigo? Non è giusto che la galanteria sia solo per le donne».

Lui roteò gli occhi e spalancò anche la sua portiera. «Sto rivalutando la mia risposta di prima».

«Troppo tardi. Ormai mi hai dato la tua benedizione».

Scoppiai a ridere. «Grazie del passaggio».

Callum fece spallucce e rientrò in auto. Non partì fino a che io ed Ethan non fummo davanti al portone d'ingresso.

Appena il Suv scomparve in fondo alla via, sfilai le chiavi che avevo già inserito nella serratura e le rimisi in tasca. «L'appuntamento con Maya è al Grumpy».

Ethan annuì, poco convinto. «Ne sei proprio sicura, allora? Perché mi sembra di star complottando contro i De'Ath e non mi piace. So che sono dei demoni e hanno fatto tante cose discutibili, ma è scorretto. E poi mi ci sono affezionato».

Sì, anch'io. Persino a Nicholas. Come diavolo è possibile?

«Non stiamo cospirando, okay? Semplicemente Maya ha delle informazioni che vuole condividere solo con me e i De'Ath sono troppo iperprotettivi per farmela incontrare senza di loro». Mi sistemai meglio la borsa. Al suo interno avevo nascosto la pistola che mi aveva dato Alexander. «Non stiamo facendo nulla di male».

Ci incamminammo verso il Grumpy in silenzio, ricurvi sotto le frustate del vento che ci ululava nelle orecchie. Era un tempo parecchio strano, considerato che era stato un pomeriggio assolato, ma non ci badai granché, troppo occupata a combattere il rimorso che mi dilaniava il petto.

Avrei dovuto dirlo quantomeno ad Alexander. Avrebbe potuto rimanere in disparte e origliare con il suo udito sovrumano per accertarsi che non mi accadesse niente.

No, Maya non era una sprovveduta. Probabilmente se lo aspettava. Era meglio così.

Entrammo nel bistrot, prendemmo posto al nostro solito tavolo vicino al biliardo e ordinammo qualcosa da mangiare. Appoggiai il capo alla spalla di Ethan e sospirai, fissando il cielo nero fuori dalla finestra. «Scusa se ti ho mentito sui rischi della gravidanza. Non volevo farti preoccupare».

«Tranquilla, hermana. Sono abituato alle tue Aryate».

Gli pungolai il fianco con una gomitata e rubai una striscia di bacon dal suo piatto. «Non credo che riuscirei ad affrontare tutto questo casino, se non ci fossi tu».

Ethan mi circondò la schiena con un braccio, stringendomi a sé. «Non morire sarebbe un ottimo modo per sdebitarti. Voglio che tu ci sia al mio matrimonio con Sky e tuo figlio deve farmi da paggetto».

Esplosi in una fragorosa risata. «Non penso che Sky accetterà un matrimonio a tema Harry Potter, però. Dovresti sposare Seth per quello».

«Così sì che Nicholas mi squarterebbe in tanti pezzettini minuscoli».

Mi raddrizzai di colpo. «Eccoli».

Maya e John stavano procedendo verso di noi. La donna si sedette di fronte a noi, dall'altra parte del tavolo. Era talmente bassa che quasi non c'era alcuna differenza. I capelli biondi erano legati in una rigida coda di cavallo e un sorriso lezioso le illuminava gli occhi, che ci scrutavano da dietro le lenti rettangolari.

«Finalmente ci incontriamo in circostanze più piacevoli» esordì con voce stucchevole.

Ethan le mostrò un pollice all'insù. «Grazie per non aver portato un plotone della morte, stavolta. Lo apprezziamo».

«E per non avermi sequestrata» rincarai.

John trattenne un sorriso e crollò su una sedia nel mezzo, tra noi e Maya. «Ragazzi, capisco la vostra diffidenza. Ma provate almeno ad ascoltarla».

Incrociai le braccia sotto il seno. «Chi è lei, innanzitutto?»

«La dottoressa Maya Hughes. In passato sono stata una ricercatrice specializzata sul paranormale, ma da alcuni anni lavoro come psichiatra per... pazienti speciali, diciamo».

Battei le palpebre, incredula. Pazienti speciali?

«Lei è una psichiatra per demoni?» replicò Ethan confuso.

Il sorriso di Maya si allargò. «Studio la mente di tutti i Non Umani. Questo mondo è molto più complesso di quanto possiate immaginare. Ma Keegan è l'unico demone che io abbia avuto l'onore di avere in terapia».

Ebbi un sussulto per la sorpresa. «No, aspetti. Credo di aver capito male. Keegan è un suo paziente?»

«Certamente, da quasi sette anni. Oserei definirlo il più speciale dei miei pazienti».

«Quindi lei sa chi è? Lo conosce?»

«Temo che nessuno possa dire di conoscere davvero Keegan». Il tono di Maya era pregno di un'ammirazione che sconfinava nella reverenza. «Ma a causa di un trauma alquanto pesante, ho dovuto aiutarlo a recuperare gran parte delle sue capacità psichiche e motorie, così ho avuto il piacere di scoprire molto della sua affascinante storia».

Mi massaggiai le tempie. Sentivo che la testa era sul punto di esplodermi. «Quale trauma? È la ragione per cui ha perso la memoria?»

Un lampo le guizzò sul viso. «Oh, no. Siamo stati noi a cancellargli la memoria, qualche mese fa».

Mi irrigidì e scoccai un'occhiata a John. Dalla sua espressione impassibile dedussi che non era stato detto nulla che già non sapesse.

Ethan invece era confuso quanto me. «Gli avete cancellato la memoria? Confessarcelo non è una buona strategia per convincerci che siete nella squadra dei buoni».

Quando il cameriere si fu allontanato, Maya portò alle labbra la tazza di latte e bevve un sorso con calma. «Per ordine del mio capo».

Increspai le sopracciglia. «E chi sarebbe questo fantomatico capo?»

«Keegan».

Al tavolo calò il silenzio. La fissai scettica, senza riuscire a nascondere un sorriso. Doveva essere una battuta. «Keegan?»

Ethan ridacchiò. «Il nostro Keegan? Impossibile. Insomma, ha imparato da poco le tabelline».

Maya fece un cenno d'assenso. «È stata una sua decisione quella di sottoporsi alla procedura di Reset. In teoria, avrebbe dovuto rimuovere solo i suoi ricordi. Purtroppo però il suo cervello non era ancora guarito del tutto, dopo essere stato per secoli rinchiuso in una bara, e gli effetti sono stati più devastanti di quanto avremmo voluto».

Posò gli occhi su di me. «Lo avevo avvisato che sarebbe potuto succedere, ma è così testardo... e non vedeva l'ora di conoscerti di persona».

Il gelo mi si insinuò nel petto. All'improvviso, i tasselli del puzzle andarono tutti al loro posto.

La bara che i De'Ath avevano trovato nel laboratorio segreto, sotto il mausoleo.
La registrazione in cui Lucius aveva accennato al demone della leggenda, che lui e Vivianne avevano trovato sepolto e usato per trasformare Jayson.
Il mio sogno di Keegan imprigionato in una caverna, come il bambino maledetto della favola.

Ero frastornata. Adesso aveva tutto senso, eppure al tempo stesso non ne aveva alcuno. Com'era possibile?

«Comprendo che vi sia difficile credere a tutto ciò, considerata la versione che avete conosciuto voi». Maya allungò il braccio e mi sfiorò il dorso della mano. «Ma è giunto il momento che lui ritorni a essere il vero Keegan».

«Non capisco» ammise Ethan.

Deglutii il groppo che mi si era annidato in gola. «È un De'Ath, vero?»

«Keegan non è un De'Ath, Arya». John incrociò il mio sguardo, corrucciato. «È il De'Ath. Il primo demone mai esistito». 

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Angolo Jedi
Se siete un tantino confus* a questo punto, è assolutamente normale. Nel prossimo capitolo sarà tutto spiegato meglio, ma vi consiglio di prepararvi, perché sarà un po' traumatico. 

Ammetto che la vera identità di Keegan è il plot twist a cui tenevo di più e sono contenta che quasi nessuno l'avesse indovinata.

Al prossimo aggiornamento. Mi raccomando: salutate Alberico👊🏻

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