𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 49 (Alexander)
"𝔄𝔪 ℑ 𝔰𝔲𝔭𝔭𝔬𝔰𝔢𝔡 𝔱𝔬 𝔟𝔢
𝔤𝔯𝔞𝔱𝔢𝔣𝔲𝔩 𝔱𝔬 𝔥𝔞𝔳𝔢 𝔰𝔲𝔯𝔳𝔦𝔳𝔢𝔡 𝔱𝔥𝔦𝔰?"
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Arya era turbata al suo arrivo a scuola. Era entrata in ritardo insieme a Ethan, diversi minuti dopo il suono della campanella, quindi non avevo potuto chiederle la ragione. E comunque era compito di Remiel, in quanto suo ragazzo, non mio. Anche se avevo notato che non si erano scambiati nemmeno una parola in più di un semplice saluto tra una lezione e l'altra, pur essendo vicini di banco a letteratura.
Da fratello ci stavo provando, mi stavo sforzando davvero di esserne dispiaciuto, ma c'era una bestiolina nel mio petto che faceva le fusa al pensiero che potessero lasciarsi.
«Io ed Ethan abbiamo scoperto una cosa assurda» esordì Arya, buttandosi sulla sedia di fronte a me.
Ci eravamo radunati attorno al solito tavolo, in un angolo isolato della mensa. C'erano anche Mac, Deena e Layla, che in qualche modo sembravano essere diventati anche nostri amici. Dopo aver trascorso l'intera esistenza a nasconderci e scappare, fare parte di un gruppo era una sensazione bizzarra. La cosa più sorprendente però non era solo che fossero a conoscenza della nostra natura, ma che ci accettavano comunque.
Non senza riserve, certo. L'ostilità di Deena nei nostri confronti era palpabile. Tuttavia, considerato che di solito gli esseri umani si limitavano a farci da spuntino - con giusto un paio di eccezioni -, era un notevole progresso a mio parere.
«Anche noi». Joel fece un sorrisetto malizioso. «Callum ha scopato stanotte».
Sky si batté il pugno in fronte e Remiel scosse il capo con fare rassegnato. Potevo capirli. Era tutta la mattina che lui e l'altro idiota andavano avanti con quella storia.
Arya increspò le sopracciglia. «Ah, ehm, okay. Grazie per l'informazione».
«Con chi?» chiese Ethan curioso.
Mentre masticava rumorosamente il boccone, Gabriel sollevò l'indice per prendere la parola. «Salvo colpi di scena, credo di poter affermare con assoluta convinzione che si tratti di Rosalie Bailey».
«Non è la criminale che lo ha consegnato ad August?» obiettò Mac, girando di lato la visiera del berretto.
Gabriel annuì. «Sul blog l'ho presentata come suo principale love interest».
Joel sghignazzò. «E quello della principessina chi è? Potremmo lanciare una monetina per decidere tra i suoi spasimanti».
Arya fece una smorfia e gli rifilò un calcio da sotto il tavolo. «Sempre meglio di te. Federica, la mano amica» lo canzonò Sky.
Gabriel si accigliò. «Non la conosco. Chi è?»
Layla si lasciò sfuggire una risatina. Era probabilmente l'unica persona al mondo che rideva per le stupidaggini di mio fratello in maniera sincera, anziché per compassione. «È una battuta, Gabe».
«Ah. Non l'ho capita».
Roteai gli occhi. «Sconvolgente. Com'è possibile non capire qualcosa con un cervello come il tuo?»
«Oh, che tenero». Gabriel cercò di abbracciarmi, ma lo schivai con uno scatto e si dovette accontentare di darmi una pacchetta sulla spalla. «Grazie, fratello. Sono commosso. In realtà ho sempre avuto l'impressione che non mi ritenessi intelligente».
Deena sbuffò. «Possiamo tornare alle questioni importanti, adesso?»
Joel si scompigliò ancora di più la matassa arruffata di capelli biondo cenere. «Sì, allora. Non ne siamo sicurissimi, ma papà orso non ha dormito al castello e...»
«Non si riferiva a quello, deficiente» borbottò Remiel seccato.
«Cosa c'è di più importante del nostro adorato fratellone che perde la verginità?»
Siccome aveva parlato a voce troppo alta, molti degli studenti nei dintorni si voltarono a fissarci a metà tra sconvolti e divertiti. Immaginavo cosa stessero pensando. Di sicuro erano tutti convinti che pianificassimo qualche omicidio o rito satanico, invece discutevamo della vita sessuale di uno di noi.
Una ragazzina minuta seduta a un tavolo da sola, imbacuccata in una felpa gigantesca, sollevò lo sguardo. La riconobbi dai boccoli ramati che le sbucavano dal cappuccio. Eryn, la sorella indemoniata di Arya. «La tua invece non la vedi più neanche col binocolo ormai» gli strillò, e dei risolini percorsero la mensa.
Joel sventolò il braccio a mezz'aria. «Ehi, scontrosetta. Vieni con noi. Non sai che mangiare in compagnia migliora l'umore? Magari ti togliamo quel broncio».
Eryn gli mostrò il dito medio. «Piuttosto vado a mangiare con Rocky».
Arya agguantò Joel per la maglietta e lo obbligò a sedersi. «Piantala. È già abbastanza incazzata oggi».
«Si è accorta di aver perso il suo MP3?»
Ethan gli scoccò un'occhiata. «Come fai a saperlo?»
«Gliel'ho rubato ieri dall'armadietto» sogghignò Joel.
Arya assunse un'espressione sbigottita. «Ti rendi conto che potrebbe farti in pezzettini così piccoli da non riuscire più a rigenerarti magicamente?»
«È questo il bello. Adoro le ragazze violente».
Gabriel strappò un altro morso al suo panino con prosciutto e mela. «Sareste un interessante enemies to lovers». Ruotò il capo verso Layla, facendo rimbalzare i ricci tinti di giallo. «Vuoi essere il mio love interest, Mary? I miei followers sostengono che staremmo benissimo insieme».
Il volto le si incendiò per l'imbarazzo e prese a torturarsi una delle lunghe treccine scure. «Tu scrivi di me?»
«Ma certo! Ti dedico una frase romantica al giorno, non te l'avevo detto? Quella di stamattina era...» Gabriel prese il telefono dalla tasca e pigiò sullo schermo. «Ecco». Si schiarì la gola. «"Anche a occhi chiusi riconoscerei la perfezione delle sue orecchie, che mi ricordano la scura ala di un gabbiano in volo"».
Aggrottai la fronte. «Questa sarebbe romantica?»
«Perché l'hai dedicata alle sue orecchie?» replicò Mac interdetto, poggiando il gomito sulla spalla di Isaac con un movimento distratto. Quest'ultimo per poco non affondò la faccia nella sua pasta al formaggio.
«Ho letto su Internet che abbiamo tutti delle orecchie diverse, quindi volevo apprezzare qualcosa che la rende unica. E poi avete notato che nessuno fa mai i complimenti per le orecchie? È parecchio ingiusto».
Le labbra di Layla si piegarono in un sorriso, malgrado avesse le guance sempre più arrossate. «A me piace. È carina».
Un luccichio entusiasta si accese nelle iridi nocciola di Gabriel, contornate da un eyeliner viola. «Davvero?» strepitò con un saltello. «Ne ho altre se...»
Sky sospirò. «Non ora, per favore. Puoi tessere le lodi delle sue orecchie da gabbiano più tardi».
«Tu chi vorresti come love interest? È una pura curiosità disinteressata, eh» le chiese Ethan.
Lo folgorai con uno sguardo torvo, mentre Joel rispose: «Nessuno. La sua massima aspirazione è diventare una suora di clausura dedita alla preghiera e alla castità».
Sky afferrò la forchetta di Isaac e gliela conficcò nel dorso della mano, facendolo imprecare. Gli fece un sorriso soddisfatto, poi si rivolse ad Arya. «Dicevi?»
Picchiettai sull'orologio al mio polso. «In fretta magari, perché la pausa è quasi finita».
Lei, che stava guardando esterrefatta Joel che estraeva la forchetta con un grugnito, si riscosse di colpo e mi scoccò un'occhiataccia. «Non è colpa mia se vi siete messi a blaterare della verginità di Callum».
Mi strinsi nelle spalle. «Lo avrei volentieri evitato anch'io».
Mac ridacchiò. «Sbaglio, o qui c'è un deficit dell'attenzione collettivo?»
«No, qui c'è un deficit collettivo in generale» bofonchiò Deena.
Remiel si passò una mano sul volto. «Possiamo sapere cos'è successo?»
Ethan prese la parola. «Versione breve: John è vostro zio».
Mi raddrizzai sulla sedia, corrucciato. Joel storse il naso. «No, John è vostro zio. Tenetevi i vostri parenti pazzi. Noi ne abbiamo già abbastanza».
«No, ascoltate» ribatté Arya, sporgendosi in avanti. «Abbiamo parlato con John stamattina. August gli aveva detto di essere figlio illegittimo di vostro nonno e che per questo era cresciuto in orfanotrofio. Sperava di portarlo dalla sua parte, affinché lo aiutasse a mettere le mani su Keegan. Ma tutto ciò che voleva John era scoprire cosa fosse successo a mio padre».
Layla ci rifletté un secondo. «Ha senso. Non è stato così anche per voi?»
Pensai a mia madre, che non aveva un soldo, ma aveva fatto qualsiasi cosa per tenermi con sé, mentre l'uomo che l'aveva messa incinta era scappato via come un vigliacco. Serrai forte il pugno della protesi. «Già. Non è una novità che disseminare figli senza assumersene le responsabilità sia una tradizione di famiglia».
Sky fece spallucce. «In effetti, aiutava nostro padre a cercare di ucciderci. Ha i requisiti giusti per essere un De'Ath».
«Però è una strana coincidenza» commentò Mac meditabondo.
Isaac fece un cenno d'assenso, prendendo parte alla conversazione per la prima volta. «Ci pensavo anch'io. John era il migliore amico di tuo padre e scopriamo ora che è imparentato con noi. Tu hai...» Arrossì. «... ehm, incontrato Nicholas per caso e sei rimasta incinta».
Inghiottii l'ultimo pezzo del mio sandwich e appallottolai la carta. «E hai trovato Keegan, che è quasi certamente un De'Ath. Non hanno torto».
«Quindi?» Remiel mi scoccò un'occhiata, corrucciato. «Sono eventi avvenuti a distanza di mesi, anni addirittura. Possono essere solo coincidenze».
«O magari sono una calamita umana per chi ha il gene demoniaco» ironizzò Arya, tirandosi la borsa in spalla. Io e Remiel ci voltammo a fissarla nello stesso istante. «Scherzavo, ragazzi. Scherzavo».
Al suono della campanella, Deena si tirò in piedi. «Muoviamoci».
«Aspettate». Joel balzò sulla sedia e, esibendo un MP3 sopra la testa, gridò: «Piccoletta, credo che questo sia tuo».
Sbuffai. A volte stentavo a credere a quanto riuscisse a essere deficiente.
Eryn, che aveva appena restituito il vassoio, si girò di scatto. Le sue palpebre si ridusse a fessure nel riconoscere l'oggetto che Joel reggeva in mano. Un lampo omicida le guizzò sul viso e prese a marciare nella nostra direzione, i pugni serrati lungo i fianchi. «Ridammelo, brutto idiota».
«Brutto?» Joel indicò il proprio corpo. «Come puoi definire questo splendore brutto?»
Eryn lo agguantò per un lembo della camicia e cercò di strattonarlo giù dalla sedia. «Ridammelo, altrimenti giuro che ti prendo a calci da qui fino al tuo dannato castello».
Joel le fece un sorrisetto. «In tutta onestà la violenza mi eccita».
«A calci nelle palle».
«Okay. Meno eccitante».
Nonostante la pausa pranzo fosse finita, solo in pochi si erano mossi. Gli sguardi dell'intera mensa erano tutti puntati verso di noi. Isaac si era accucciato dietro a Mac per nascondersi, mentre Gabriel stava cercando di intervenire. «Voglio solo chiedere se approvano Joryn come nome per la ship».
«Non è una buona idea» replicò Layla, trattenendolo per il polso.
Sky picchiettò un dito sulla spalla di Ethan. «Tu o Arya non dovreste fare qualcosa?»
«Moralmente, sì».
«E perché non lo fate?»
Ethan tirò un sospiro esagerato. «Spirito di sopravvivenza, mi reina».
Stanco di quel teatrino, mi avvicinai di soppiatto e diedi una spinta alla schiena a Joel, che ruzzolò sul pavimento con un mugugno. Eryn gli fu subito addosso. Gli si inginocchiò accanto e tentò di aprirgli il pugno in cui teneva il suo MP3. Alla fine gli rifilò un colpo allo stomaco e lui cedette, senza smettere di contorcersi dalle risate.
«Che sta succedendo?» Il professor Winkler stava avanzando verso di noi, lo sguardo posato su Eryn e Joel ancora a terra. Era confuso. «È una rissa o...?»
Eryn scattò come un giocattolo a molla, additando mio fratello. «Questo deficiente...»
«Il linguaggio, Black» la rimproverò l'insegnante.
«... ha rubato il mio MP3. Dovrebbe essere espulso».
Joel si rialzò e appoggiò il gomito sulla nuca della ragazzina, sfoderando un ghigno. I suoi capelli erano più arruffati che mai e gli occhi eterocromi, uno marrone e l'altro azzurro, brillavano divertiti. «Andiamo, nanetta. Non puoi non esserti accorta della tensione sessuale che c'è tra di noi».
«Leva quel braccio o te lo stacco» ringhiò lei.
Le ammiccò. «Pensavo che avessimo chiarito che le minacce non funzionano con me, puffetta».
Scossi la testa, mi caricai lo zaino in spalla e mi recai da solo al laboratorio di chimica. Io e i miei fratelli eravamo sempre piuttosto a disagio quando eravamo costretti ad andarci. Dopo aver passato l'infanzia a fare da cavie, era difficile mettersi dei camici e giocare a essere dei piccoli scienziati.
Nell'arco di una decina di minuti, la classe si era riempita e l'anziana professoressa Fisher ci aveva già divisi in gruppetti per svolgere il compito assegnato. Io ero con Mac e Isaac, il che non mi dispiaceva affatto, perché significava che non avrei dovuto fare niente. Peccato che, al tavolo vicino alla finestra, lavoravano insieme Arya, Remiel e Deena.
Sfogliando distrattamente il mio blocco da disegno, tesi le orecchie. Una vocina nella mia mente, che suonava molto come quella di Kath, mi ricordò che era un atteggiamento scorretto, ma la ignorai.
«... ancora arrabbiata, vero?» stava chiedendo Remiel con gentilezza.
Arya corrugò la fronte. «Non sono arrabbiata».
«Sai che...»
«Sentite quando mento, sì. Inizio a pensare che questa cosa sia abbastanza ingiusta, tra parentesi».
Le mie labbra si piegarono all'insù. Che rompiscatole.
Mi azzardai a sbirciare e lo stomaco mi si contrasse in una morsa dolorosa. Remiel aveva allungato il braccio e le accarezzava il dorso della mano con il pollice. «Mi dispiace di essere stato dalla parte di Nicholas ieri, ma ho solo detto ciò che pensavo. Perché voglio tenerti al sicuro. È così terribile?»
Deena si agitò sulla sedia. Era impegnata a versare una goccia di sostanza su una cartina tornasole, anche se stava impiegando fin troppo tempo e avevo la sensazione che fosse una scusa per non dare l'impressione di star ascoltando la loro conversazione.
«No, lo so. Lo capisco». Arya incatenò le iridi alle sue e si mordicchiò l'interno della guancia. «Però non ho nessuna intenzione di smettere di vivere per colpa di quello che potrebbe o non potrebbe succedermi. Non posso starmene rinchiusa o essere scortata ovunque come se fossi la regina Elisabetta...»
Remiel le sfiorò il braccialetto di petali cristallizzati che le aveva regalato, e che in quel momento avrei tanto voluto non essere andato a recuperare nel bosco come un cretino. Inclinò il capo di lato. «Ma tu lo sei, Arya».
«Una versione meno rugosa, spero».
Nel tentativo di reprimere una risatina, un verso gutturale mi sfuggì dalla gola. Mac, che stava passando una boccetta a Isaac, mi fissò con un'espressione perplessa. Poi adocchiò i due piccioncini e parve fare due più due. Fece per parlare, ma lo zittii con un gesto brusco.
«Intendevo che sei la nostra regina» replicò Remiel, abbozzando un sorriso. Le scostò una ciocca corvina che le ricadeva sul viso, la punta delle dita indugiarono sulla sua guancia. «La regina dei De'Ath. Non ti accorgi che cadiamo tutti ai tuoi piedi? Sei l'anima della nostra famiglia, come Kath ne era il cuore».
Arya sorrise a sua volta. Malgrado il cielo fuori fosse coperto di nuvole, l'ambiente divenne più luminoso, o almeno per me. «Non è proprio merito mio».
«Non è solo quello. Sei tu a essere speciale. A essere unica».
Lei si guardò rapida attorno. Prima che potessi voltarmi, si sporse verso Remiel e premette la bocca sulla sua. Se mi avessero aperto in due e strappato le viscere, avrebbe fatto meno male. Ruotai la testa dall'altra parte, fingendo di interessarmi al discorso di Mac e Isaac, ma entrambi mi stavano guardando.
Arcuai un sopracciglio. «Che c'è?»
«Hanno fatto pace, eh?» chiese Mac, facendo un cenno col mento.
Inforcai la matita e scarabocchiai sul foglio, borbottando con ostentata indifferenza: «Bravo. Lo hai capito da come si mangiano la faccia?»
Isaac mi picchiettò con affetto sulla spalla. «Stai bene?»
«Mai stato meglio». Mi pentii all'istante del mio tono aggressivo. Sollevai lo sguardo e diedi una leggera gomitata a mio fratello, che aveva chinato il capo, per attirare la sua attenzione. «Scusa».
Lui fece un piccolo sorriso e mi porse un'ampolla piena d'aceto. «Vuoi provare? Così ti distrai».
Dato che non avevo ascoltato molto delle indicazioni dell'insegnante, rimasi spiazzato. «Ehm... che dovrei fare, esattamente?»
Mac roteò gli occhi azzurri. «Misurare l'acidità delle diverse sostanze, cioè il pH».
«Sembra uno spasso» commentai ironico.
Mi ignorò. «In breve, una sostanza è acida quando ha tanti ioni idrogeno e ha un valore di pH che va da uno a sette».
«La soluzione povera di ioni idrogeno si chiama basica e ha valori di pH da sette a quattordici» completò Isaac con fervore. La sua timidezza svaniva quando si trattava di argomenti di cui era appassionato.
«Affascinante». Non avevo capito una parola, ma mi sforzai di non darlo a vedere. Sollevai l'ampolla d'aceto. «Quindi che dovrei fare?»
Mac mi consegnò una cartina tornasole. «Mettine una goccia qui».
Obbedii. Scioccato, osservai la cartina cambiare lentamente colore a contatto col liquido fino a tingersi di un arancione acceso.
«Significa che è piuttosto acida». Entusiasta, Isaac scrisse qualcosa sul suo quaderno. «È forte. No?»
Non era stato niente di eccezionale, in realtà. Siccome non volevo deluderlo, però, mi limitai ad annuire. «Fortissimo» concordò Mac, che gli elargì un ampio sorriso. Ci provava in maniera così spudorata da farmi sentire di troppo.
Presto iniziai ad annoiarmi. Mentre i genietti si spostavano davanti alla cappa per analizzare un campione di acido cloridrico, in modo da non inalare i gas tossici, lanciai un'occhiata al terzetto del tavolo accanto, il più rumoroso di tutti.
«È diventato blu! Guarda che bel blu profondo!» strillò Gabriel emozionato, non appena la cartina cambiò colore.
Ethan gli mostrò la sua, che si era tinta di celeste. «Ehi, Gabe! Non sembra anche a te la stessa sfumatura degli occhi di Sky?»
«Oh, cappero, sì! Dovremmo dirle che i suoi occhi hanno la stessa acidità dell'acqua di mare!»
Joel sghignazzò, sorseggiando la birra che in teoria avrebbe dovuto esaminare. «Potreste scriverci una poesia».
«Signorino De'Ath, santo cielo, quella non deve berla!» esclamò sconvolta la professoressa Fisher, accorrendo esasperata.
Ficcai nello zaino il blocco da disegno, mi alzai e sgattaiolai fuori dall'aula. Uscii nel cortile della scuola e mi diressi verso il retro della palestra, dove di solito i ragazzi si imboscavano per fumare di nascosto o farsi di qualcosa. A quell'ora era deserto.
L'aria era gelida, satura di elettricità. Giunsi davanti al muro di mattoni e gettai a terra lo zaino, che produsse un rumore metallico. Mi chinai e ne estrassi le bombolette di vernice spray. Le portavo spesso in giro, perché mi piaceva fare graffiti nelle zone più trascurate e grigie della città. A Notturn Hall finora lo avevo evitato, ma sentivo le mani prudere dal bisogno di dare sfogo alla creatività e uno schizzo a matita non era sufficiente.
Persi la cognizione del tempo. Quando udii i suoi passi, prima ancora di poterne fiutare l'odore, fu come essere strappato dal mio mondo di pace e silenzio per tornare a quello caotico e assordante a cui non appartenevo. Non ero mai riuscito a trovare il mio posto, così lo avevo creato io, facendo dell'arte la mia via di fuga.
«Sai che il vandalismo è illegale?»
Non mi voltai, continuando ad agitare la bomboletta. «Accidenti. Tremo al pensiero di quello che potrebbero farmi».
«Ti ho visto andartene». Arya si avvicinò, lo sguardo fisso sul murales ancora indefinito. «Mi sono preoccupata. Immagino che stare in un laboratorio possa turbarvi...»
«Ah, ecco perché sbaciucchiavi il mio santo fratellino prima. Era una tattica per farlo rilassare».
Lei incrociò le braccia sotto il seno, sorridendo. «Già. Ma non sperare che la usi anche con te».
Feci un mugugno e mi piegai per prendere una bomboletta, lanciandole l'altra. «Non mi serve più. Renditi utile e mettila via».
«Un per favore non ti ucciderebbe». Storsi il naso. Arya si sedette a gambe incrociate sull'erba falciata e afferrò lo zaino. «C'è una cosa che ha detto John di cui non vi ho parlato a pranzo. Non so come reagirebbero i tuoi fratelli».
La adocchiai. Lo avevo intuito. Mi era apparso troppo strano che non avesse fatto nessun riferimento alla donna misteriosa con cui lo sceriffo era in combutta. «Fammi indovinare. Maya vuole ucciderci?»
Arya sobbalzò. «Che? No. Una cosa del genere ve l'avrei detta subito. Secondo John, non vuole farvi del male». Ebbe un attimo di esitazione. «Solo catturarvi, credo».
«Che piacevole novità».
«Ne saprò di più quando me la farà incontrare». Arya prese le mie cuffie e se le premette sulle orecchie. Sembrava una bambina smaniosa, incapace di stare ferma. «Il problema è che John non si rende conto del pericolo. So che sbaglia a stare dalla sua parte, ma vuole solo giustizia per il suo migliore amico». La nota implorante nella sua voce mi trafisse il cuore. «Gli voglio bene e non mi perdonerei mai se gli succedesse qualcosa... è quanto di più vicino a un padre mi sia rimasto».
La raggiunsi e ricacciai di nuovo le cuffie nello zaino, stando inginocchiato di fronte a lei. Optai per la brutale onestà. «Se dovesse rivelarsi una minaccia per la nostra famiglia, non avremo altra scelta che difenderci, Arya. Abbiamo già perso fin troppo».
I suoi occhi verdi si posarono sul mio ciondolo. «Perciò, secondo te, dovrei raccontare tutto agli altri e fregarmene della sorte di John? Perché sappiamo entrambi che Nicholas non ci penserebbe due volte ad ammazzarlo».
Esalai un respiro profondo. Ero sempre più convinto di non essere in grado di negare nulla a quella rompiscatole. Non solo volevo aiutarla, ma ne avvertivo l'esigenza in maniera quasi fisica. «Non dire nulla di Maya per adesso. Rimarrà tra di noi, finché non saremo sicuri sulle sue intenzioni». Le puntai contro l'indice. «Ma non ti permetterò di incontrarla da sola. Lo faremo insieme, e su questo non scendo a compromessi».
Arya spalancò la bocca, incredula. Le misi con delicatezza un dito sotto il mento e gliela richiusi, per poi tornare a spruzzare la vernice sulla parete.
«Siamo di nuovo partner nelle indagini, Alexino?»
Storsi il naso. «Chiamami ancora così e potrei cambiare idea» borbottai, arretrando per controllare il mio operato.
Arya ridacchiò. Pescò dallo zaino il mio blocco da disegno e cominciò a girarne le pagine. «Ehi, ci sono delle vignette. Fai anche fumetti?»
«Quanto sei impicciona». Sbuffando, le strappai di mano il blocco e lo riposi nello zaino. «È il mio turno di farti una domanda ora. Perché ti sei confidata con me? Hai un fidanzato». La lingua mi si impigliò nel pronunciare l'ultimo termine.
«Non lo so». Arya si strinse nelle spalle. «Ma ieri, quando hanno fatto il nome di Jayson, non hai detto ai tuoi fratelli della foto. Perché?»
«Aspettavo che lo facessi tu».
«Non l'ho fatto».
«E nemmeno io». Mi tirai in piedi. «Apprezzo la tua fiducia, ma voglio essere sincero. La mia priorità è, e sarà sempre, proteggere la mia famiglia. Se John volesse fare del male ai miei fratelli, a prescindere da quanto sia importante per te, cercherò in qualsiasi modo di fermarlo».
Arya si alzò. Intanto che si scrollava la polvere dai pantaloni, lanciò un'occhiata al dipinto ormai concluso. Si paralizzò di colpo. Un rossore le affiorò sulle guance e mormorò in tono sbigottito: «Alexander, ti prego, dimmi che non hai davvero disegnato la mia faccia sul muro della palestra».
La tensione nell'aria era palpabile. Nicholas misurava il soggiorno a passi nervosi e ogni tanto tracannava un lungo sorso dalla bottiglia di scotch che teneva in mano. Callum era fermo davanti al televisore, gli occhi grigi che dardeggiavano su ciascuno di noi per studiare le nostre reazioni alla notizia che ci aveva appena dato.
«Lucius ha cercato di uccidere Seth?» ripeté Arya, stipata sul divano insieme a Remiel, Ethan, Joel e Sky.
Isaac rabbrividì a quel nome. «T-ti ha fatto del male?»
Tutti gli sguardi si puntarono sul diretto interessato, stravaccato su una poltrona vicino al camino. Non aveva segni sul viso, ma dal modo in cui era trasalito quando Gabriel lo aveva stritolato in un abbraccio, doveva essere piuttosto malconcio sotto i vestiti. E comunque sapevamo benissimo che Lucius preferiva le ferite invisibili. Quelle che marchiavano la pelle senza nemmeno scalfirla.
Seth abbozzò un sorriso rassicurante. «Sto bene, tranquilli. Il bastardo non mi voleva morto. Mi ha solo scambiato per un postino».
Un'ondata di sollievo mi travolse, e dalle loro espressioni dedussi che anche gli altri avessero avuto il mio stesso timore. Mi resi conto di essere contento che Seth fosse tornato. Adesso la nostra famiglia era davvero al completo... o quasi. Ma mi piaceva pensare che, in un modo o nell'altro, Kath sarebbe stata sempre con noi. Ci aveva protetti per tutta la sua vita. Non sarebbe stata di certo una cosa banale come la morte a impedirle di rimanerci accanto.
«Tranquilli un cazzo» sbottò Nicholas, sfondando una sedia con un calcio. «Mi sembra che qualcuno avesse avvisato gli umani della famiglia di non andare a spasso da soli, perché sono dei facili bersagli. Ricordatemi un po' chi era stato a dirlo?»
Seduto sul pavimento, Gabriel spiccò un saltello e sventolò il pennellino dello smalto che si stava mettendo alle unghie dei piedi, schizzando ovunque gocce pervinca. «La so, la so! Sei stato tu!»
Arya fece una smorfia sarcastica. «Non vedevi l'ora di dire che avevi ragione, eh?»
Sky sorrise. «Sì, poverino. Deve essere stata dura tenertelo dentro per tutta la mattina».
Nicholas aggrottò la fronte. Era ovvio che stava cercando di capire se lo stessero prendendo in giro o meno. Alla fine scrollò le spalle e si appollaiò sul bracciolo della poltrona di Seth, borbottando imbronciato: «Abbastanza. Ma ne è valsa la pena».
Sentii qualcosa strusciarmi la caviglia. Mi sporsi dallo sgabello e raccolsi Loki da terra, posandolo sulle mie gambe. «Non capisco. Che cosa ci facevi in chiesa? Come sapeva Lucius di trovarti lì?»
Seth si mosse irrequieto sul posto e strinse un ginocchio a Nicholas, che lo stava fissando corrucciato. «Pregavo. Cosa avrei dovuto fare in una chiesa, scusa?»
Ethan si accigliò. «Tu preghi? Hai un fidanzato demone, frequenti dei demoni e preghi?»
«Vi siete rimessi insieme?» chiese Gabriel, rizzando la testa.
«La situazione non è ancora chiara. Abbiamo scopato, però».
«NIK!»
Joel si allungò verso il tavolino, dove si trovava il suo kit di lucidatura. Prese un flaconcino, versò qualche goccia su un panno e cominciò a strofinarlo con devozione sul legno della sua chitarra. «È per questo che Pocahontas profuma di panna?» sogghignò.
Seth avvampò. «Ma ho fatto anche la doccia, porca trota!»
«Cosa c'entra la panna?» Gabriel aveva un'espressione disorientata. «Nel senso che avete mangiato un gelato?»
«No, idiota. Anche se dipende da che tipo di gelato intendi». Nicholas bevve una generosa sorsata di scotch e sfoderò un sorrisetto. «L'abbiamo usata per un giochetto erotico in cui...»
Seth gli rifilò una gomitata al fianco e si premette il cuscino sul volto. «Grazie, Nik. Adoro che tu condivida ogni singolo dettaglio della nostra vita privata».
Lui gli passò un braccio dietro la schiena e lo attirò a sé, reclinando il capo contro la sua spalla. «E io che pensavo che ti desse fastidio, tesoro. Allora posso raccontare anche del ghiaccio?»
«Ero ironico, Nik».
«Ma ora voglio sapere che avete fatto col ghiaccio, birbantelli» sghignazzò Joel, mentre Gabriel concordava con un cenno. Probabilmente stava racimolando informazioni da pubblicare sul suo stupido blog.
Remiel tossicchiò. «Non stavamo parlando di Lucius?»
Solo in quel momento ci accorgemmo che Callum ci stava scrutando, appoggiato al muro, le braccia incrociate sul petto. Inarcò un sopracciglio. «No, prego. Continuate pure. Quando avrete finito con i gossip, magari potremo dedicare del tempo anche a faccende secondarie come la nostra sopravvivenza».
Nicholas assottigliò le palpebre, pensieroso. «Era ironia, giusto?» Si guardò attorno in cerca di conferma.
«Sì» rispose Arya.
Sollevò il pugno in un gesto di trionfo.
Joel richiuse il kit e ripose con cura il suo strumento nella custodia. Un ghigno gli si dipinse sul viso. «Tu perché non c'eri stanotte, papà orso? Dove hai dormito?»
Un vago rossore affiorò sulle goti di Callum, che però si ricompose subito. «Non è rilevante».
«Hai scopato, vero?»
«Lascialo stare». Sky diede una spinta a Joel, facendolo quasi scivolare sul pavimento. «Che cosa voleva il castrato, comunque?»
«Farci avere questa». Callum estrasse dalla tasca della giacca una chiavetta USB e ce la mostrò. «Dentro c'è una registrazione. Credo che dovremmo guardarla tutti. Basta segreti tra di noi».
Arya fece per alzarsi dal divano. «Forse io ed Ethan dovremmo lasciarvi...»
«No» intervenne Remiel, intrecciando le dita alle sue. Il sangue mi ribollì come acido nelle vene. «Fate parte della famiglia».
Callum annuì e inserì la chiavetta in una delle fessure del televisore. Il gelo sembrò calare nel salotto, quando l'immagine di Lucius comparve sullo schermo.
L'inquadratura era a mezzo busto. Alle sue spalle c'era solo un muro spoglio, ma io non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo volto. Eccetto qualche ruga in più attorno agli occhi, era uguale a come lo ricordavo: scuri capelli corti, carnagione bronzea e lineamenti marcati incorniciati da occhi neri come la pece.
Un senso di nausea mi montò in gola. C'era parecchia differenza tra sapere che era vivo e averne la prova inoppugnabile. Non riuscivo neanche a immaginare come fosse stato per Remiel ritrovarselo davanti in carne e ossa. Non un fantasma che ci perseguitava, ma un incubo che poteva ancora ferirci.
Callum prese il telecomando e ci guardò con apprensione, indugiando più a lungo su Nicholas. Ero certo che, se uno solo di noi gli avesse risposto di non sentirsela, avrebbe mandato al diavolo tutto e distrutto la pennetta. «Pronti?»
Quando persino Isaac ebbe annuito, fece partire il video.
«Ciao, ragazzi» esordì Lucius. La sua voce, roca e profonda, mi fece accapponare la pelle e mi strinsi nel chiodo che indossavo sopra la maglietta. «Innanzitutto, voglio porgervi le mie condoglianze per la vostra perdita. Ne sono molto addolorato. So che le avete fatto un funerale al tramonto, molto bello, le sarebbe piaciuto. Sarei voluto venire, ma capisco che siete ancora troppo arrabbiati...»
Contrassi la mascella. Nicholas serrò così forte la presa sulla bottiglia che Seth gliela sfilò di mano per evitare che la frantumasse. Era stato furbo. Non si era riferito a Kath col suo numero, ma neppure aveva usato il suo nome.
«Come cazzo osa parlare di nostra sorella? Giuro che lo ammazzo» ringhiò Joel con un tremito. Sky gli accarezzò i capelli con dolcezza.
Diedi una grattata dietro le orecchie a Loki, che faceva le fusa. «Prendi il numerino».
«Credo che sia giunto il momento di dirvi la verità sul Progetto a cui siete stati sottoposti, la ragione di tutto ciò che vi abbiamo fatto. È fondamentale che mi ascoltiate, per il bene della ragazza che porta in grembo l'ultimo membro arrivato nella nostra famiglia».
Lanciai un'occhiata ad Arya, che si stava toccando il ventre. Anche gli altri si erano girati a fissarla. Aveva un'espressione bizzarra. Non sembrava sorpresa, come se già sapesse di essere in pericolo.
«Ormai dovreste aver scoperto di Alfa. Ciò che forse non sapete è che era nostro figlio, mio e di Vivianne». Lucius socchiuse le palpebre, come se fosse in agonia. «Si chiamava Jayson. Eravamo molto giovani, quando lo abbiamo avuto. È nato con una grave malattia genetica di cui entrambi eravamo portatori sani, che comportava un invecchiamento precoce e una disfunzione neurologica progressiva. I dottori gli diedero un'aspettativa di vita di sette anni, ma comunque non avrebbe mai camminato né parlato».
Un'ondata di compassione mi assalì. Pensai al bimbo dagli occhi infossati e il cranio schiacciato che avevo visto nella fotografia trovata da Arya o in quelle nella graziosa stanzetta del laboratorio sotterraneo. Forse Jayson era stato l'unico di noi a essere davvero amato, eppure non era bastato a preservarlo da chissà quali orrori.
Cosa gli avevano fatto? Come avevano potuto ridurlo a... qualsiasi cosa fosse ora?
«Vostra madre era a pezzi, e anch'io. Abbiamo contattato i migliori medici del Paese, invano. C'erano trattamenti e terapie, ma nessuna cura. Finché abbiamo accettato che la scienza non poteva guarirlo... o almeno, non senza un pizzico di magia». Lucius tirò un sospiro profondo e fissò dritto verso l'obiettivo. «Io e Vivianne eravamo cresciuti sentendo le leggende che circolavano attorno al nostro nome, alla maledizione che i De'Ath si tramandavano da generazioni. Abbiamo viaggiato in giro per il mondo, cercando di risalire alle origini di quei miti, alle radici della nostra famiglia. La favola che vostra madre vi raccontava, quella che dovreste aver trovato in versione integrale nel suo portatile, è reale. È la vostra storia. La storia del primo windigo».
«Porca puzzola» commentò Seth sbalordito, facendomi sussultare. Ero così assorto dalla registrazione da essermi scordato della presenza degli altri.
Un rumoroso sgranocchiare mi fece girare di scatto. Gabriel aveva preso un sacchetto di patatine e le infilava in bocca una dietro l'altra, completamente rapito. Aggrottò la fronte. «Mi sono perso. Voi la ricordate?»
Nicholas sbuffò. «Due coglioni si innamorano, ma i parenti non sono d'accordo, così li ammazzano tutti...»
«Cioè, voi De'Ath avete una variante psicopatica di Romeo e Giulietta?» obiettò Ethan perplesso.
«Gli dèi la prendono sul personale e per punirli maledicono il loro sputacchio, nonostante non c'entrasse un cazzo. Alla nascita il mostriciattolo sventra la madre e il padre lo butta in una caverna». Nicholas mandò giù un sorso di scotch. «Fine».
Arya impallidì, la postura tesa, la mano di Remiel sulla spalla. Per quanto mi sentissi bruciare dalla gelosia, ero sollevato che ci fosse qualcuno a consolarla e a farle forza.
«Io e Vivianne abbiamo trovato il posto in cui il demone era stato sepolto. Nonostante fosse morto da secoli, quando abbiamo aperto la bara, il suo corpo non era completamente decomposto. Per anni lo abbiamo esaminato, studiato, analizzato con le tecnologie più sofisticate, fino a che abbiamo creato un siero per replicare parte della sua trasformazione e lo abbiamo iniettato a Jayson».
Lucius si passò il dorso della mano sulla guancia. Dopo un attimo, mi resi conto che si era appena asciugato una lacrima. Stava piangendo. «Pensavamo che attivare il gene, renderlo un demone, lo avrebbe salvato. E così è stato... all'inizio. Jayson imparò a dire qualche parola, a stare seduto da solo, persino a disegnare. Ma dovevamo aver commesso un errore. Degenerò all'improvviso: gli venne una febbre terribile, poi la sua pelle cominciò a staccarsi, divenne deforme e gli spuntarono gli artigli... in pochi giorni, era irriconoscibile. Non sembrava più neanche un bambino».
Abbassai lo sguardo su Loki. Nicholas aveva scambiato la creatura d'ombra che lo aveva aggredito nel bosco per un enorme felino. Invece, era Jayson. Una cavia di nostra madre, proprio come noi, ma vittima di un destino decisamente più crudele. Nostro fratello.
«Fummo costretti a inscenare la morte di Jayson. Lo nascondemmo nel laboratorio sotto il castello e lo affidammo alle cure di Ginette, la governante, che per noi era stata al pari di una madre». Le labbra di Lucius si incresparono in un fragile sorriso, che svanì subito dopo in uno spasmo di rabbia. «Vivianne era ancora certa di poter rimediare a ciò che avevamo fatto, ma ci servivano più mezzi e risorse di quelle a nostra disposizione. Fu allora che sposò nostro fratello, August. Anche se il suo vero nome era David. Non perché lo amasse, ma perché occupava un ruolo importante nell'esercito e ciò le diede accesso ad alcuni segreti del governo, tra cui l'esistenza dell'Olympus».
Non mi stupiva che Vivianne avesse usato August. Tuttavia, mi sorse spontanea una domanda: per Lucius provava davvero qualcosa, o era stato un altro strumento nelle sue mani? E Jayson? Non ero sicuro che la sua ostinazione a salvarlo, anche a costo di infliggergli sofferenze tremende, potesse definirsi amore. Sarebbe stato più materno, più umano lasciarlo andare.
«Ma il Benefattore, colui a capo dell'Olympus, non si dimostrò interessato alle nostre ricerche. Riteneva che quelle sui demoni fossero solo storielle e non avevamo il coraggio di mostrargli Jayson per smentirlo, avendo troppa paura che ce lo portassero via. In preda alla disperazione, Vivianne modificò la formula del siero e la sorpresi mentre cercava di testarlo su sé stessa».
Lucius cambiò posizione sulla sedia. «Sapevo che non sarei riuscito a farle cambiare idea, quindi ce lo iniettammo entrambi. Io sono quasi morto, su di lei non ebbe alcun effetto. In seguito, scoprimmo la ragione per cui il suo organismo non aveva rigettato la mutazione: Vivianne era incinta di poche settimane. Fu una gravidanza difficile e il parto rischiò di ucciderla, ma alla fine nacque Zero. Un demone già trasformato, e in perfetta salute. Il nostro primo grande successo. L'Olympus non solo autorizzò il Progetto, lo finanziò anche e con gli anni ci permise di espanderlo ad altri otto soggetti. Tutto per merito tuo, Zero».
Lanciai un'occhiata a Nicholas. Teneva lo sguardo incollato sullo schermo, la mascella contratta, i pugni serrati così forte da sbiancarsi le nocche. Seth gli aveva tolto di nuovo la bottiglia e adesso lo stringeva con delicatezza all'altezza dei fianchi, rannicchiato contro la sua spalla. Callum si era spostato accanto alla loro poltrona, una mano adagiata sullo schienale con fare protettivo.
«Non prevedevo di affezionarmi a voi, come invece è successo. Vi avrei portati via dal laboratorio io stesso, se le cose fossero andate diversamente». Lucius allargò le braccia. «Per questo sono qui. Non per farvi del male, ma per avere il vostro perdono. Soprattutto il tuo, Zero. Posso salvare tuo figlio dall'Olympus, posso fare in modo che la ragazza sopravviva al parto... devi solo fidarti di me».
La televisione si oscurò e nel soggiorno piombò il silenzio.
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