𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 48 (Arya)

"𝔉𝔬𝔯𝔟𝔦𝔡𝔡𝔢𝔫 𝔱𝔥𝔦𝔫𝔤𝔰 𝔥𝔞𝔳𝔢
𝔞 𝔰𝔢𝔠𝔯𝔢𝔱 𝔠𝔥𝔞𝔯𝔪"

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Nell'istante in cui mi svegliai, un dolore sordo e pulsante alla testa mi assalì. La camera era ancora piuttosto buia, anche se dalla finestra vedevo il cielo che cominciava a schiarirsi e una luna sempre più sbiadita che si accingeva a cedere il posto al compagno. Rimasi a fissare il soffitto per qualche minuto, sforzandomi di ricordare il sogno che avevo fatto.

Non era uno degli incubi di Nicholas, per fortuna. Non avevo alcuna voglia di rivivere per l'ennesima volta la morte di Kath. Anzi, in qualche modo, ero abbastanza sicura che lui non avesse chiuso occhio. Doveva essergli successo qualcosa stanotte, perché aveva provato delle emozioni talmente contrastanti che non ero riuscita a decifrarle.

Ero stata tentata di scrivergli per accertarmi che stesse bene, malgrado fossi ancora arrabbiata per il suo comportamento a cena, ma era stato piuttosto chiaro: dovevo farmi gli affari miei.

Mi tirai a sedere con la schiena appoggiata al muro, mugolando quando una stilettata acuta mi trapassò il cranio. Acciambellato in fondo al letto, Balto sollevò la testa e mi fissò, gli occhi che brillavano nella penombra.

Un lieve sussulto mi scosse. Keegan. Ho sognato Keegan.

Allungai la mano verso il comodino e presi il telefono. Prima che potessi rendermi conto di che ora fosse, avevo già fatto partire la chiamata. Al terzo squillo, proprio mentre stavo per riattaccare, la voce impastata dal sonno di Keegan mi giunse dall'altra parte. «'Giorno, Arya».

Mi bloccai. «Ehm, stavi dormendo?»

«No no, perché mai dovrei dormire alle...», ci un attimo di silenzio, «... cinque e mezza del mattino?»

«Hai ragione. Scusa, torna pure a...»

«No, aspetta. Sto scherzando. Cioè, dormivo sul serio, ma non importa». Lo sentii sbadigliare. «Che succede, allora? Stai bene?»

Esitai. All'improvviso l'idea di disturbarlo per dirgli che lo avevo sognato mi appariva davvero stupida. Non ne ero nemmeno del tutto convinta. Era più una sensazione. «Niente, lascia stare. Sto bene».

«Ma...»

«Vengo a trovarti dopo scuola. Ci vediamo». Richiusi la chiamata e buttai il telefono sul comodino.

Facendo cigolare il materasso, Balto venne a rannicchiarsi al mio fianco e mi posò il muso sul grembo con un uggiolio. Tornai distesa supina e gli grattai distrattamente le orecchie, lo sguardo puntato oltre la cortina di tende. Pallide nuvole violette si stavano formando nella distesa plumbea, che preannunciava un'altra triste giornata uggiosa.

Un nervosismo non mio mi attanagliava lo stomaco. Socchiusi le palpebre, spinta dalla curiosità. Rovistai dentro di me e mi aggrappai al vincolo che univa me e Nicholas, al filo luminoso che ci legava l'uno all'altra.

Immaginai di tirarlo verso di me, quasi fosse una fune di cui lui reggeva l'estremità opposta. Ebbi la bizzarra impressione di varcare una soglia. L'oscurità mi inghiottì per un secondo, poi di colpo un'immagine mi si parò davanti, così nitida da sembrare reale.

Ero ancora sdraiata sulla schiena, ma in una stanza sconosciuta con un'orribile carta da parati e il pavimento disseminato di pupazzi. Credetti di sentire il rumore di una trivella, invece era solo Seth che russava forte con la bocca spalancata, sepolto fino al mento sotto le coperte. Mi girai verso di lui e gli scansai un ricciolo dalla fronte, le labbra piegate all'insù.

Aprii gli occhi di scatto e mi guardai attorno, ignorando le fitte lancinanti alle tempie. Ero di nuovo nella mia camera. Con me c'era solo Balto, che mi scrutava incuriosito con il capo inclinato di lato. Avevo il respiro affannoso e un peso invisibile mi gravava sul petto, eppure una strana euforia mi attraversò il corpo nel comprendere cosa fosse accaduto.

Avrei voluto provare a rifarlo, cercare di capire perché Nicholas stava vegliando su Seth o la ragione per cui fosse tanto irrequieto, ma mi costrinsi a fermarmi. Era sbagliato violare la sua mente senza permesso.

Aggrottai la fronte e lanciai un'occhiata alla finestra. Mi era sembrato di udire qualcosa picchiettare contro il vetro. Attesi, fino a che un altro sassolino venne lanciato con tale forza da lasciare una piccola ammaccatura.

Scalciai via le lenzuola avviluppate attorno alle gambe e mi precipitai ad aprire la finestra, sporgendomi dal davanzale. Rimasi a bocca aperta. Keegan era fuori dal mio cortile, i gomiti puntellati sulla staccionata. Malgrado il cappuccio della felpa tirato su, era impossibile non riconoscere la vistosa cicatrice sul suo viso. Mi salutò con un mezzo sorriso.

Lo ammazzo.

Gli feci un cenno, richiusi la finestra e mi affrettai a vestirmi. Mi fiondai giù per le scale e infilai il giubbotto. Balto mi trotterellava dietro, scodinzolante. Sapevo che, se gli avessi impedito di seguirmi, avrebbe svegliato l'intero vicinato con i suoi ululati disperati. Era incredibile quanto fosse melodrammatico.

Perciò, gli misi il guinzaglio e uscimmo insieme. «Che stai facendo? Tu non dovresti essere qui» esclamai, nel frattempo che percorrevo il vialetto.

Keegan smise di giocherellare con le pietruzze nel suo palmo e le lasciò cadere a terra, spolverandosi le mani sui pantaloni. «E tu non dovresti mentirmi su come stai».

Richiusi il cancelletto dietro di me. «Non ho mentito».

«Sì, invece. Il tuo cuore accelera quando menti». Il suo sguardo si abbassò su Balto, che lo stava fiutando con attenzione. Si chinò e gli diede un buffetto affettuoso. «Ciao, cane».

Trattenni a stento una risata. «Keegan, sono seria. Non hai scordato che sei ricercato per degli omicidi, vero?»

«Anche per incendio e aggressione» puntualizzò con una nota divertita, raddrizzandosi. Il suo sorriso si allargò nel cogliere la mia espressione torva. «Dài, rilassati. Non c'è nessuno in giro. Mi è bastato fare una corsetta».

Mi sembrava comunque un'azione imprudente, ma decisi di non insistere. Sarebbe stato ipocrita da parte mia non voler essere rinchiusa o controllata, nemmeno per la mia protezione, se poi facevo lo stesso con Keegan.

Mi avvolsi meglio la sciarpa attorno al collo. Sebbene non ci fosse vento, l'aria era fredda e pungente. «Vuoi entrare?»

Keegan fece una smorfia. «No, grazie. Ho ancora un vivido ricordo di tua sorella che minaccia di spaccarmi la testa come un uovo».

«Vorrei rassicurarti e dirti che non lo avrebbe mai fatto, ma ne sarebbe decisamente capace».

«Perché non ci facciamo una passeggiata, invece?» Keegan si voltò e si incamminò con le mani nelle tasche. I suoi occhi neri come la pece saettavano in tutte le direzioni, avidi di esplorare e di cogliere più dettagli possibili di ciò che lo circondava. «Quello cos'è?»

Lo affiancai, seguendo la traiettoria del suo dito. «Uno gnomo da giardino».

«Carino. A che serve?»

«A niente. È decorativo».

Quando giungemmo a metà della via, accanto alla casa dei gemelli, gli irrigatori automatici si accesero e Keegan si ritrasse con un balzo. Superato il timore iniziale, osservò affascinato gli spruzzi d'acqua che zampillavano nei giardini e nelle aiuole. Un lampo eccitato gli balenò sul volto. «Arya, non è che potremmo...»

«Non mi pare il caso di aggiungere "violazione di domicilio" alla lista delle tue accuse». Lo strattonai per la manica per obbligarlo a proseguire. «A proposito, come sapevi a quale finestra mirare? Non sei mai stato in camera mia».

Keegan torse il collo per continuare a guardare gli irrigatori, fino a che svoltammo l'angolo e venne rapito dalle magie dei semafori. «Come sempre. Istinto. Sono bravo a trovarti». Scrollò le spalle, corrucciato. «Senti, ma quei cosi perché si illuminano? E che differenza c'è tra i colori?»

Dovetti snocciolare una breve spiegazione sul funzionamento dei semafori. Keegan ne rimase così colpito che trascorsi l'intero tragitto a rispondere alle sue domande sul codice della strada o a illustrargli il significato dei vari cartelli che incrociavamo. Appena fummo ai margini della città, sganciai il guinzaglio e Balto si lanciò di corsa per i prati.

Alla vista del casolare in cima al crinale, l'umore di Keegan si rabbuiò e divenne alquanto taciturno. «Magari un giorno ti faccio guidare, eh?» gli proposi con un sorriso, più che altro per tirarlo su.

Lui emise un mugolio distratto. Abbassò il cappuccio con un gesto secco e si passò una mano nei capelli scuri per appiattirli. Lo presi con delicatezza per il gomito. I suoi muscoli si tesero d'istinto, ma si limitò a girarsi verso di me. «Keegan, so che è frustrante e capisco...»

La sua mascella si contrasse. «No, non lo capisci. Ti sono grato per quello che stai facendo per me, ma non hai idea di ciò che provo. Non puoi». Mosse un passo indietro, liberandosi della mia presa. Gli tremava la voce. «Non so chi sono, né dove sono. Mi sento come se ci fosse una barriera tra me e il resto del mondo, come se mi trovassi dentro un'enorme bolla da cui posso vedere tutti gli altri andare avanti con le loro vite, mentre io non posso averne una. Sono stanco di stare rinchiuso».

«Non sei...»

«Sì, lo so, ma non mi basta. Mi annoio» sbottò Keegan, dando un calcio rabbioso al terreno. Una folata gelida mi investì e notai che le fronde degli alberi avevano cominciato a ondeggiare. Nonostante l'approssimarsi dell'alba, invece di farsi luminoso, il cielo si stava addensando di nubi. «È facile per te. Vieni a farmi visita ogni tanto, mi porti da mangiare e mi insegni alcune cose, come se fossi una specie di animale domestico da addestrare. Ma hai la tua casa, i tuoi amici, la tua famiglia, i tuoi ricordi. Io non ho niente».

Incrociai le braccia sul petto, stizzita. La temperatura sembrava essere calata di dieci gradi. «D'accordo, adesso non esagerare. Negli ultimi mesi la mia vita si è trasformata in un casino dietro l'altro, sono stata rapita due volte e ho rischiato di morire, ma non per questo vengo a scaricarti addosso i miei problemi come se fossero colpa tua. Perché, nel caso ti sia sfuggito, sono stata dalla tua parte fin dall'inizio. Quindi calmati, grazie».

E, con mia grande sorpresa, Keegan obbedì. Chiuse gli occhi e rilasciò un respiro profondo, lasciandosi cadere sull'erba. Il vento cessò. Un raggio dorato fece capolino da dietro le montagne stagliate all'orizzonte. «Hai ragione. Scusa».

Mi guardai attorno, confusa. Era stato lui, oppure si era trattata di una semplice coincidenza? No, era assurdo. I demoni non controllavano il tempo atmosferico, o almeno i De'Ath non ne erano capaci. Remiel me lo avrebbe detto.

Senza il fruscio degli alberi, regnava il silenzio assoluto. Troppo silenzio. Mi accigliai. «Dov'è Balto?» Mi portai le dita alle labbra e fischiai, ma non lo sentivo più nemmeno abbaiare. Il mio cuore mancò un battito. «Cazzo, non è possibile. Ci manca solo che ho perso il cane».

Keegan ridacchiò, appoggiato all'indietro sui palmi. «Arya...»

«Balto! Balto!» urlai, fischiando di nuovo. Mi cinsi la testa tra le mani. «Non ci credo. Non ci voglio credere. Aspetto un bambino e non riesco a occuparmi neppure di un cane».

«Posso...»

Gli scoccai un'occhiataccia. «La pianti di ridere? Non è uno scherzo. Ho perso il mio dannatissimo cane!»

«Posso sentirlo, Arya». Keegan indicò col mento verso la foresta, senza smettere di sghignazzare. «È da quella parte».

Un'ondata di sollievo mi travolse. «Non potevi dirlo subito?»

«Ci ho provato. Non mi facevi parlare».

Appena si rimise in piedi, gli diedi una spintarella per ripicca. Keegan rilasciò uno sbuffo divertito e cominciò a guidarmi, tendendo le orecchie di tanto in tanto. Ormai usava i suoi poteri con estrema disinvoltura, anche se sospettavo che non avesse ancora compreso che essi non rientravano nella normalità degli esseri umani.

Spesso sembrava addirittura stupito che, a differenza sua, io e i miei amici non rompevamo mai oggetti per sbaglio –aveva delle difficoltà a dosare la forza, come testimoniava anche il vetro ammaccato della mia finestra– o non ascoltavamo le conversazioni da un chilometro di distanza.

«Che vuol dire che "aspetti un bambino"?» chiese Keegan, inoltrandosi nella boscaglia.

Inciampai in una radice che sporgeva sul sentiero di terra battuta. «Oh, giusto». Tentennai. «Solo che, ehm, sono incinta».

Mi rivolse un'espressione interrogativa. «È una malattia?»

«Che? No!» In un gesto meccanico mi sfiorai la pancia, pur sapendo che il minuscolo rigonfiamento era impossibile da vedere sotto gli strati d'abiti che indossavo. «Sto per avere un figlio. Significa che qui dentro c'è un bambino. Una persona in miniatura, ecco».

Sgranò gli occhi, che si posarono sul mio ventre. «Lì c'è una persona?» obiettò incredulo.

«Molto molto piccola, sì. Deve ancora nascere».

«E ha fatto male mettercela?»

Un calore intenso mi si propagò sulle guance congelate. «Non proprio. Farà male farla uscire, però».

Keegan aprì la bocca, poi la richiuse. Dovevo averlo traumatizzato. «Non capisco. Come ci è finita una persona nella tua pancia?»

Avevo una vasta scorta di battute sarcastiche a cui attingere, ma non volevo confonderlo ancora di più. Scossi il capo con decisione. «No, non sarò io a farti il discorsetto».

Keegan non ebbe il tempo di ribattere. Dei latrati gioiosi riecheggiarono poco lontani e accelerai il passo. Dopo un paio di minuti sbucammo sulla riva verdeggiante su cui io e Remiel, il giorno prima, avevamo passato il pomeriggio insieme. Balto ci venne incontro con un ululato giocoso e poi tornò a importunare le anatre nel lago, che si allontanarono starnazzando.

«Forse è meglio andarcene» suggerii.

Ma Keegan non mi ascoltava. Stava scrutando la figura oscura e solitaria del castello dei De'Ath, che malgrado la distanza si ergeva in tutta la sua imponenza sulla sponda opposta. Lo dovetti chiamare un paio di volte, prima che si ricordasse della mia presenza. «Quella è casa loro».

Annuii, anche se sapevo che non aveva bisogno di una conferma. Keegan distolse a fatica lo sguardo dal castello e lo abbassò sulla superficie cristallina del lago, che rifletteva la luce rossastra del sole nascente.

L'angolo della bocca gli si increspò in un sorrisino. «Facciamo un bagnetto?»

«Meglio di no. Anche se siamo in primavera, probabilmente sarà...»

Ignorandomi, Keegan si tuffò in acqua con un salto. Era talmente profonda che gli arrivava già fino alla vita. «Cavolo, è freddissima» esclamò, sussultando per la sorpresa.

Scoppiai a ridere. «Non siamo neanche ad aprile. Cosa ti aspettavi?»

«Ehi, che ne potevo sapere io?» Keegan mi schizzò con una mano e sentii delle gocce bagnarmi la faccia come baci di ghiaccio sulla pelle. «Non mi hai ancora detto il motivo per cui mi avevi chiamato».

Mi sedetti su un masso vicino alla riva, adocchiando Balto che dava la caccia ai ranocchi nascosti tra le felci. «Okay. Non prendermi in giro, ma credo di averti... sognato».

«Mi hai sognato?» ripeté lui perplesso.

Scrollai le spalle. «Credo. Non ne sono sicura. Non è la prima volta che mi capita una cosa simile, in realtà. Ti avevo visto negli spogliatoi della palestra, quando ancora non ci eravamo neanche incontrati. Solo che non era un sogno come questo, più una sorta di visione». Emisi un sospiro. «Non ha senso, vero?»

«Per me non hanno senso neppure gli gnomi da giardino, quindi non mi affiderei al mio giudizio».

Sorrisi. «Vero. A volte mi scordo che sei l'equivalente di un neonato».

Keegan increspò le sopracciglia, imbronciato. «Non sono un neonato». Mi spruzzò di nuovo l'acqua addosso e sogghignò compiaciuto, quando mi ritrassi con un balzo. «Che facevo nel tuo sogno, comunque?»

«L'idiota, come al solito. È così che ti ho riconosciuto». Roteai gli occhi. «Non lo so. L'ho dimenticato. Eri in una grotta o roba del genere. Non era molto allegro, mi sa».

«Nei miei incubi qualche volta vedo un posto chiuso e molto buio. In altri mi sembra di soffocare. Strano, no?» Keegan arricciò il naso e si avvicinò alla riva. «Che succede se ti butto in acqua?»

Mi riscossi dal turbamento provocato dalle sue parole per guardarlo torva. «Succede che mi arrabbio».

Un lampo dispettoso gli balenò sul volto. Con un guizzo agile mi agguantò per il polso e mi scaraventò nel lago. Cacciai d'impulso uno strillo. I jeans mi si appiccicarono alle gambe e una serie di brividi mi fecero accapponare la pelle. Saltellai sul posto per scaldarmi, imprecando, nel frattempo che Keegan si sbellicava dalle risate. Al contrario di me, non tremava nemmeno.

«Sei un deficiente» urlai, battendo i denti.

Schioccò le labbra con finta disapprovazione. «Non dovresti dire parolacce».

Cercai di spintonarlo all'indietro, ma il suo petto sembrava essere fatto di marmo e non si smosse di un centimetro. Si era irrobustito così tanto che facevo fatica a credere che solo un paio di mesi prima era stato pelle e ossa.

Keegan mi acciuffò i polsi senza stringere e mi tenne ferme le braccia, con un ghigno a distorcergli la cicatrice. La superficie del lago gorgogliò. Un mulinello di bollicine si creò attorno a noi e l'acqua limpida divenne calda come in una giornata estiva.

«Sei stato tu?» chiesi con una risatina scioccata.

Keegan scrollò le spalle con leggerezza e mi lasciò andare, restando immobile di fronte a me. «Ora va molto meglio».

Incatenai lo sguardo al suo. L'alba si specchiava nell'abisso nero dei suoi occhi, due pozze così grandi e scure da inghiottire la luce del sole. «Cosa?»

«Avevi la faccia triste. Non mi piace quando hai la faccia triste».

«Arya, tesoro, dove sei stata? Eravamo preoccupati».

Il mio piano di rientrare a casa di nascosto andò in frantumi nel momento in cui spalancai la porta d'ingresso e trovai mia madre e John a confabulare in soggiorno. Ero così stupita di rivedere mio zio che impiegai qualche secondo a mettere insieme una bugia convincente.

«Oh sì, scusa, mamma. Mi sono svegliata presto e ho portato Balto a fare un giro». Riposi il guinzaglio sulla mensola e mi sfilai il giubbotto, mentre osservavo il cane che correva a fare le feste a John. «Dove sei stato? Sono venuta a cercarti anche in centrale e non c'eri».

Lui si appoggiò al mobile accanto al lavello e mi lanciò un'occhiata eloquente. «In ferie, peste. Avevo delle faccende da sistemare».

«Perché sei bagnata?» Prima che potessi inventare un'altra frottola, mia madre si avvicinò e mi diede una carezza sulla guancia. «Sicura di stare bene? Sembri molto stanca ultimamente, e anche un po' nervosa. Ne stavo giusto parlando con John».

Con orrore mi resi conto che John sapeva della gravidanza. Quest'ultimo parve intercettare il mio pensiero, perché si affrettò ad aggiungere con un sorriso complice: «Le ho detto che, secondo me, sei solo impegnata con la scuola. In fondo, il prossimo anno andrai al college».

«È per lo studio, quindi? Oppure c'entra Remiel? Avete litigato?» mi tempestò mia madre apprensiva, accompagnandomi fino al bancone già apparecchiato.

Mi abbandonai sullo sgabello e presi una fetta di pane tostato. «No no, tutto okay. Tranquilla, mamma».

Non sembrava convinta, ma non insistette. Mi accarezzò i capelli con dolcezza e si allontanò verso la cameretta nel sottoscala. Dopo aver svegliato Ethan, salì le scale per chiamare anche Rhys ed Eryn a fare colazione.

«Che hai fatto in questi giorni?» chiesi a John con diffidenza, non appena mia madre scomparve al piano superiore.

Mio zio sospirò. Era chiaro che non si fosse aspettato un bentornato caloroso da parte mia. «Ho aiutato Maya a insabbiare il casino che i De'Ath hanno lasciato al ranch. Non è facile far sparire una cinquantina di cadaveri dilaniati».

Il suo tono ostile mi fece saltare i nervi. «I De'Ath mi hanno salvato la vita. E una di loro è...» Finii di spalmare il burro d'arachidi e addentai la fetta di pane, lasciando la frase a metà.

«Sì, ho sentito». L'espressione di John si ammorbidì. «Mi dispiace. La conoscevi, suppongo».

Lo fissai scettica. «Ti dispiace davvero?»

«Che una ragazzina di vent'anni sia morta? Sì, certo. Umanamente mi dispiace». Si sedette davanti a me, dietro al bancone. «Ma, in tutta onestà, credo che l'avessero già uccisa in quel laboratorio. È meglio morire che vivere come quello che sono loro».

Mi irrigidii. Sentii provenire dall'alto la vocetta acuta di Rhys, che discuteva con nostra sorella per qualcosa a proposito del suo MP3. «Lo pensi anche di mio figlio? Ora capisco perché tu e August eravate amici».

«Arya, non mettermi in bocca parole che non ho detto. Non sono d'accordo con la tua decisione di tenerlo, perché non augurerei a nessuno una vita del genere, figuriamoci a mio nipote». Quando feci per interromperlo, mi zittì con un cenno e aggiunse: «Ma tuo figlio è innocente. Non ha scelto di essere ciò che è, anzi ciò che sarà. Non ha colpe».

«Neanche i De'Ath».

John emise un verso sarcastico. «I De'Ath non hanno scelto di essere dei demoni, ma hanno scelto di essere dei mostri. Quanta gente hanno ucciso? Quanta ancora ne uccideranno?» Inclinò il capo di lato. «Sai anche tu che bisogna fermarli. È quello che farebbe tuo padre».

Diedi l'ultimo pezzo di pane tostato a Balto, che uggiolava disperato come se fosse a digiuno da una settimana. «Mio padre li ha liberati. Li ha salvati».

«Perché erano dei bambini torturati e abusati, e perché sperava di riuscire a cambiare la loro natura. Adesso però sono loro a fare del male».

Ci fu un cigolio ed Ethan uscì dallo stanzino nel sottoscala, stiracchiandosi la schiena. «Buenos días». Si bloccò con un piede sollevato a mezz'aria, gli occhi puntati su John. «Ehilà. Felice di rivederti». Spostò lo sguardo su di me, titubante. «Aspetta. Siamo felici di rivederlo, sì?»

Una serie di tonfi annunciarono l'arrivo di una Eryn furiosa. «Chi ha rubato il mio MP3? Se non è stato Rhys, lo ha preso per forza uno di voi due deficienti». Si girò verso John. «Ciao, comunque».

Le ammiccò. «Ciao, furia».

Ethan si lasciò cadere sullo sgabello al mio fianco. «Non siamo stati noi, hermana. Non oseremmo mai toccare niente di tuo, a meno che non ci venissero dei raptus suicidi».

«Infatti. Lo avrai perso a scuola, magari. Te lo porti ovunque» commentai sulla difensiva, bevendo un sorso di spremuta.

Rhys ci raggiunse, scendendo a saltelli i gradini. «Non le credere, Eryn. Ieri ho visto Arya entrare in camera tua, mentre tu eri ancora a scuola per le ripetizioni».

Schizzai in piedi. «Piccolo mostriciattolo bugiardo, vieni qui che ti ammazzo».

«Ragazzi, smettetela, per favore». Mia madre diede un colpetto sulla spalla a John, che si stava sbellicando dalle risate. «E tu dovresti rimproverarli!»

Lui si sforzò di ricomporsi. «Forza, state buoni. Posso sempre comprarti un altro MP3».

«No, voglio il mio». Eryn pescò un omino di pan di zenzero dal vassoio e lo decapitò con un morso. A giudicare dal modo truce con cui mi guardava, forse stava fingendo che fosse la mia testa. «Perché hai i pantaloni bagnati?»

«Non sono affari tuoi» la rimbeccai.

Una decina di minuti dopo, salutammo la mamma e Rhys e salimmo sulla vecchia Impala per andare al liceo. John si era offerto di accompagnarci tutti e, siccome i gemelli non erano ancora arrivati, io ed Ethan non avevamo trovato nessuna scusa per rifiutare. Eryn fu la prima a scendere, sbattendo lo sportello prima ancora che il motore si spegnesse.

«Allora» esordii, slacciandomi la cintura. «Non mi hai ancora spiegato perché stavi con August».

«Era una copertura». John si passò una mano sulla faccia. «Vuoi davvero parlarne nel parcheggio della scuola?»

Ethan aggrottò la fronte. «Eri sotto copertura?»

«August reclutava veterani dell'esercito, perlopiù ex soldati di cui l'Olympus si era disfatta dopo il fallimento del Progetto. Voleva a tutti i costi che mi unissi alla sua guerra contro i demoni, tanto da nominarmi addirittura capitano». John fece una smorfia. «Fin dall'inizio capii che era un pazzo fanatico. Era convinto che io e lui fossimo come fratelli, solo perché sono uno dei bastardi di suo padre smollati in orfanotrofio».

Sobbalzai. «CHE COSA?»

La mandibola di Ethan minacciò di cadere sul pavimento. «Sei un De'Ath?»

«No che non sono un De'Ath. Ho solo il loro sangue, o così sosteneva August. Non ho voluto controllare».

«Un attimo. Devo metabolizzare». Mi massaggiai le tempie, che avevano ripreso a pulsare dolorosamente. «Tuo padre era anche il padre di August e Vivianne. Perciò tecnicamente sei lo zio anche di Nicholas e dei suoi fratelli. È pazzesco».

«E prozio al quadrato per tuo figlio» rincarò Ethan.

Un lampo infastidito guizzò sul volto dell'uomo. «Non sono un bel niente per loro. Non voglio avere nulla a che fare con i De'Ath. Ho accettato di lavorare per August, perché speravo che mi avrebbe aiutato a scoprire la verità sulla morte di tuo padre. Charles è l'unico vero fratello che abbia mai avuto e voi Black siete la mia unica vera famiglia».

Tutto il rancore che provavo nei suoi confronti venne sopraffatto dal bisogno di sapere. Mi sporsi dai sedili posteriori. «E ce l'hai fatta? Che hai scoperto?»

«Non molto, purtroppo. Solo che non è stata opera dell'Olympus, anche se si sono impegnati parecchio per farlo passare per un incidente stradale. In compenso, ho avuto modo di conoscere Maya».

Ethan si tirò all'indietro il ciuffo castano. «La tizia psicopatica che si è presentata al dipartimento con un plotone d'esecuzione?»

John ridacchiò cupo. «Vedete, la vera ragione per cui August era così interessato a me era che sperava che gli portassi Keegan dopo averlo arrestato, facendo leva sulla nostra presunta parentela. Se mi fossi rifiutato, aveva già corrotto alcuni dei miei poliziotti per farmi fuori e prendere d'assalto la centrale con i suoi soldati. Invece, ho fatto un accordo separato a sua insaputa con Maya, che era un'infiltrata mandata dal suo capo per tenere d'occhio August».

«Chi è il suo capo?» lo incalzai, caricandomi una bretella dello zaino sulla spalla.

«Non lo so». John mi sbirciò dallo specchietto retrovisore, cogliendo la mia espressione scettica. «Sono sincero. Non si confida di certo con me. Però è merito suo se sono in vita. Maya ha organizzato la missione di recupero di Keegan e io ho messo di guardia gli agenti corrotti. Non pensavo che li avrebbe uccisi, ma meglio loro che qualche poliziotto onesto che faceva soltanto il suo lavoro». Un sorriso gli increspò le labbra. «Come sapete, il salvataggio non è andato proprio benissimo».

«Ops» commentò Ethan.

Il suono remoto della campanella giunse fino al parcheggio e i pochi studenti rimasti all'esterno cominciarono a riversarsi nella scuola. Misi una mano sulla portiera, senza aprirla. «Perché Maya vuole così tanto Keegan?» Un sospetto mi si insinuò nella mente. «Per usarlo. Vuole usarlo per eliminare i De'Ath, vero? Per questo ha preso il diapason. E tu sei dalla sua parte».

John scosse il capo. «Se così fosse, non avrebbe ostacolato August, no? Maya non vuole uccidere i De'Ath. Vuole fermarli, tutto qui. Con l'aiuto di Keegan, lo ammetto, ma dato di sua spontanea volontà. Quanto al diapason, non so che fine abbia fatto. Se Maya lo ha preso, non me lo ha detto. Ma Arya...» Si girò per potermi fissare in viso. «Lei non è nemica tua, né di tuo figlio. Ha persino smesso di cercare Keegan, quando ha saputo che era al sicuro con te. Per qualche ragione che non conosco, il suo capo le ha dato l'ordine categorico di non farti del male».

Assottigliai le palpebre. «Mi ha rapita e consegnata ad August».

«Era necessario per non far capire ad August che stava facendo il doppio gioco. Io non sapevo del tuo coinvolgimento, altrimenti avrei mandato al diavolo tutto, pur di non metterti in pericolo». La sua voce aveva una sfumatura implorante, come se mi stesse pregando di credergli. «Io e Maya ci stavamo già organizzando per portarti via. Con discrezione, al contrario del macello che ha scatenato Nicholas De'Ath».

«Seth è quasi morto e lei non ha fatto niente» insistetti.

«Non avevamo pensato che August potesse usare il ragazzino per ricattarti. Appena Maya lo ha saputo, ha fatto in modo di essere presente mentre parlavi con August. Se tu gli avessi rivelato dove fosse Keegan, come era ovvio che facessi per salvare il tuo amico, lo avrebbe saputo anche lei e avrebbe avuto il tempo di andare a prenderlo per prima».

Non trovai niente da replicare. Mi scambiai uno sguardo con Ethan, che venne subito in mio soccorso. «E dove eravate durante l'attacco dei De'Ath? Avreste potuto dare loro una mano».

«Io ero svenuto. Rosalie Bailey mi ha colpito quando ero distratto, prima che potessi spiegarle che non stavo davvero con August e che l'avrei lasciata fuggire con la sua sorellina. Maya invece non saprei, ma non la biasimo per non aver fatto niente. Alleata o meno, i vostri cari De'Ath l'avrebbero sbranata senza pensarci due volte». John lanciò le chiavi della macchina e le riprese al volo. «Ora basta, però. Siete in ritardo».

Non mi mossi. «Voglio un incontro con Maya».

«Sì, anche a lei farebbe piacere conoscerti. Ma adesso andate a lezione».

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Angolo Jedi
Chiedo scusa per il capitolo. So che non è un granché, ma sto affrontando un blocco piuttosto pesante (con la scrittura in generale) e non riesco a dare il meglio di me.

Ci tenevo comunque a pubblicare e ci stiamo avvicinando sempre di più alla chiusura di un'altra storyline. Non odiatemi per la lunghezza di sta storia. Evidentemente le cose semplici non fanno per me☠️

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