𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 43.1 (Arya)
“𝔄 𝔠𝔥𝔦 𝔫𝔬𝔫 𝔠'𝔢̀ 𝔭𝔦𝔲̀, 𝔪𝔞
𝔫𝔬𝔫 𝔰𝔢 𝔫'𝔢̀ 𝔪𝔞𝔦 𝔞𝔫𝔡𝔞𝔱𝔬”
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Mi svegliai con un sussulto. Il sudore mi imperlava la schiena, anche a causa del condizionamento sparato a palla. Mi tirai a sedere sul bordo del lettino, prendendo dei grossi respiri mentre il cuore mi tuonava in gola.
La cella in cui mi trovavo era di un bianco accecante, priva di finestre. Esclusi il water e un piccolo lavandino, posti nell'unico punto cieco della telecamera mobile, non c'era nient'altro. Anche se avevo perso la cognizione del tempo, ormai doveva essere notte fonda. Ethan era a casa dei suoi genitori, ma potevo sperare che mia madre o mia sorella lo contattassero per avere mie notizie e lui sarebbe andato dritto dai De'Ath.
E poi? Come mi avrebbero trovata?
Rilasciai un fiotto d'aria dalla bocca e mi massaggiai le tempie. L'incubo mi infestava ancora la mente. Avvertivo le mani di Lucius sul mio corpo, il sangue di Vivianne sulle dita e il sapore del tè sulla lingua. Quando sbattevo le palpebre, rivedevo lo sguardo vuoto e spento che non sarebbe dovuto appartenere a un ragazzino così piccolo.
Rabbrividii e mi sfregai con forza le braccia, pur sapendo che quello non era un mio ricordo. Era successo a Nicholas, non a me. Eppure non riuscivo a smettere di tremare, sentendo sulla mia pelle gli orrori che aveva subito. Come si poteva aver già sofferto tanto, a soli quattordici anni?
Appena la porta della cella si spalancò, trasalii e scattai in piedi. Le guardie non mi degnarono di un'occhiata. Si limitarono a buttare dentro di peso il loro recalcitrante prigioniero, che si dimenava e urlava come un furia, poi se ne andarono. Mi ritrassi d'istinto, prima di riconoscere con mia sorpresa la figura stesa a terra.
«E comunque siete delle teste di cazzo!» gli gridò dietro Seth, rialzandosi. Si spolverò i pantaloni con un gesto secco e si girò verso di me. «Tutto okay? Ti hanno fatto del male?»
Rimasi a fissarlo per un attimo, confusa. Scossi il capo, ma me ne pentii quando una fitta mi trapassò il cranio. «No, neanche sfiorata». Accennai alla sua tempia insanguinata. «Al contrario di te, si direbbe».
Seth si tastò la ferita con una smorfia inorridita, si ripulì i polpastrelli sulla manica della maglietta e si accasciò sulla branda. Aveva l'aria esausta, degli aloni violacei che gli cerchiavano gli occhi. «Mi spieghi com'è possibile che tu sia stata rapita per la seconda volta in meno di una settimana?»
Un rossore mi scaldò le guance. Era una buona osservazione. A mia discolpa, non avevo intenzione di andare in giro da sola, ma era il mio turno di andare a trovare Keegan ed Ethan non poteva accompagnarmi.
I gemelli e Layla non sapevano nulla di Josh, a parte della sua scomparsa, e non ero pronta a parlarne di nuovo; inoltre, non mi piaceva l'idea di vivere nel terrore. Dopo che mio padre era stato investito, mia madre per anni si era rifiutata di guidare e avevo dovuto combattere per strapparle il permesso di prendere la patente.
«Beh, dubito che tu sia qui in vacanza» lo rimbeccai sulla difensiva.
Seth appoggiò la schiena alla parete di piastrelle e sospirò. «Ultimamente dormo poco. Mentre mi stavo rigirando nel letto, ho ricevuto una chiamata dal tuo numero e hanno minacciato di spararti all'istante, se non avessi fatto ciò che ordinavano o se avessi provato ad avvertire i De'Ath. È stato inquietante, te lo giuro. Mi hanno ripetuto parola per parola delle cose private tra me e Nik». Si passò una mano nei ricci ribelli. «Non so come, ma credo che stiano monitorando il castello. O me. In ogni caso, stai attenta a ciò che dici o fai in mia presenza».
Aggrottai la fronte, cominciando a misurare la cella a grandi passi. Ero talmente nervosa che avrei volentieri dato un pugno al muro, ma frantumarmi le nocche non mi sembrava un'idea brillante. «Ti sei consegnato per me?»
«Anche per te» tossicchiò Seth.
Mi fermai e mi sfiorai la pancia. Mi lasciai sfuggire un verso amaro. «Dubito che a Nicholas sarebbe importato granché, in confronto alla tua incolumità».
«Gli importa più di quanto pensi». Seth batté il palmo sul materasso accanto a sé, abbozzando un sorriso. Mi sedetti. «Nik è una frana con i sentimenti, soprattutto per le cose che lo spaventano. Devi guardare ciò che fa, molto più di ciò che dice».
«Mi ha sbattuta contro un muro e minacciata» obiettai scettica.
«Ti ha anche salvato la vita». Puntò lo sguardo al soffitto e accavallò le gambe all'altezza delle caviglie. «Non è cattivo, Arya. Solo che è cresciuto senza tanti insegnamenti e tante esperienze che di solito si maturano durante l'infanzia e adesso sta imparando tutto in ritardo. Sulle interazioni sociali deve lavorare ancora parecchio, lo ammetto, ma ti assicuro che è migliorato. Con me all'inizio ringhiava e basta».
Lo sbirciai con la coda dell'occhio. «Tu non hai mai paura?»
Seth ridacchiò. «In questo momento me la sto facendo sotto, ma sono abituato a trovarmi nei casini».
Le mie labbra si incurvarono all'insù e gli diedi una spintarella giocosa. «Di Nicholas, intendo. Della sua natura».
«Oh, allora no. Mai. So che preferirebbe morire che farmi del male». Esitò per un istante, come se stesse riflettendo se proseguire o meno. «Ne ho avuta in passato. Il nostro primo incontro è stato leggermente anticonvenzionale e non mi è stato facile fidarmi di lui, allo stesso modo in cui non lo è stato per Nik fidarsi di me. Alla fine, però, ho deciso di fregarmene. Poteva anche farmi a pezzi, ma non avrei sopportato di vederlo soffrire un minuto di più in quella maledetta gabbia».
Aggrottai la fronte. Stavo per chiedergli di cosa parlasse, quando un'idea improvvisa mi folgorò. Afferrai Seth per le spalle e lo costrinsi a voltarsi verso di me. Un'espressione terrorizzata gli si dipinse sulla faccia. «Ti prego, non baciarmi di nuovo! Sono gay al cento percento!»
«Colpiscimi».
Seth si paralizzò. «Eh?»
«Colpiscimi» ripetei, mollando la presa. Allargai le braccia. «Dammi uno schiaffo, o quello che ti pare. Così attiviamo l'istinto di protezione e la nostra famiglia demoniaca può venire a salvarci».
«La gravidanza ti sta facendo impazzire o sei caduta dalla culla da piccola?» Seth si ritrasse, inorridito. Sollevò l'indice. «Primo: mi rifiuto di colpire una ragazza incinta. Mi sentirei uno schifo».
Inclinai la testa di lato, scrutandolo torva. «Non devi massacrarmi di botte, e comunque non sei esattamente Mike Tyson. Posso sopravvivere».
Mi ignorò. «Secondo: l'istinto di protezione non funziona così. Per quanto ne so, deve esserci l'intento di fare del male. Con me non saresti davvero in pericolo, perché non voglio fartene. Neanche voglio colpirti. Sarebbe l'equivalente di dare un calcio per scherzo a Gabe, mica i suoi fratelli mi salterebbero alla gola». Fece una breve pausa e aggiunse: «Tratto da una storia vera, nel caso te lo domandassi».
«E se ti facessi arrabbiare in qualche modo e tu mi colpissi?»
Seth increspò le sopracciglia. «Non sono un tipo violento, Arya».
«Potrei parlarti della notte tra me e Nicholas».
«Mi farebbe incazzare, vomitare e avrei voglia di cavarmi i timpani, ma non ti colpirei comunque».
Feci una risatina e mi lasciai cadere sulla brandina. Seth si sdraiò al mio fianco, tenendo un braccio ripiegato dietro la nuca. Notai che il suo respiro era accelerato e continuava a cambiare posizione. Dal suo corpo si irradiavano ondate di agitazione che mi investivano.
Lo guardai. Una goccia di sudore gli stava rigando la fronte fino a scomparire nell'attaccatura dei capelli. «Sei claustrofobico?»
«Un pochino, ma ho imparato a gestirlo. Ho passato anni in uno sgabuzzino. Almeno qui non ci sono ragni o insetti» commentò con un sorriso tirato.
Non capii a cosa si riferisse. Scelsi di non approfondire l'argomento e gli presi la mano con delicatezza. La sua era grande, con le unghie mangiucchiate e le vene visibili. Temevo di metterlo a disagio, invece avvertii la tensione dei suoi muscoli attenuarsi e ricambiò la stretta, espirando profondamente.
«Meglio?»
«Sì, grazie».
Calò il silenzio tra di noi. L'unico rumore percepibile era il ronzio sommesso del sistema di areazione. Poi una fitta acuta mi trapassò il petto e l'aria mi venne strappata dai polmoni.
Mi raddrizzai di scatto, emettendo un gemito. Un dolore gelido mi strisciò fin nelle ossa e un'immagine mi balenò nella mente: ero in ginocchio sotto la pioggia, vicino a una lapide distrutta, con una figura maschile che incombeva su di me. Poi scomparve, lasciando soltanto dei tremiti irrefrenabili che mi scuotevano come una fogliolina al vento.
Seth sobbalzò e mi adagiò una mano sulla schiena. «Ehi, che ti prende? Tutto bene? Devo chiamare qualcuno?» mi chiese allarmato.
Serrai i pugni fino a sbiancarmi le nocche. «Non sono io» ansimai, tentando di riprendere fiato. Ogni respiro mi costava uno sforzo immenso. «Credo che sia Nicholas». Mi accorsi del pallore che aveva invaso il suo viso e mi affrettai a specificare: «Sta bene. È solo... preoccupato per qualcosa». Era un eufemismo, ma dirgli che mi era sembrato emotivamente in agonia non lo avrebbe rassicurato molto.
La porta si riaprì, impedendo a Seth di insistere sull'argomento. Due guardie entrarono nella cella e al centro tra di loro c'era...
«John!» esclamai, correndogli incontro. Mi bloccai a pochi passi, quando mi resi conto che indossava anche lui l'armatura nera e aveva un'espressione cupa sul viso, non celato dal casco. Lo stomaco mi si ribaltò. «Che significa?»
Seth mi si piazzò davanti in modo da farmi da scudo col proprio corpo. Era impressionante il coraggio che aveva, malgrado non fosse un maestro nell'arte del difendersi. «Vi conviene stare lontani, pezzi di merda».
«August vuole parlarvi». John fece un cenno. Le guardie agguantarono Seth e lo trascinarono fuori dalla cella, ignorando le mie proteste come se fossi stata una zanzara fastidiosa. «Stai bene, Arya?»
Quando si mosse nella mia direzione, arretrai con diffidenza. Deglutii. «Lavori per August?» La mia voce suonava incrinata.
Avevo capito che mi stava nascondendo la verità, ma avevo sempre pensato che lo stesse facendo per proteggermi. Ora stava aiutando la gente che mi teneva prigioniera. Non aveva senso.
John evitò il mio sguardo. Adocchiò la telecamera nell'angolo e si spostò lateralmente, posizionandosi in maniera da coprirne la visuale con la schiena. Era stata un'azione troppo calcolata per essere casuale. «Perché non mi hai detto che eri incinta di un De'Ath?»
Sgranai gli occhi. Poi lo stupore cedette il posto a un moto di stizza. «Ho fatto bene a nascondertelo, a giudicare da quale parte stai».
Un lampo contrito balenò nei suoi lineamenti. «Non c'è tempo per le spiegazioni». Si avvicinò e, prima che potessi ritrarmi, mi strinse in un abbraccio.
Sebbene fossi furiosa, non riuscii a divincolarmi. Sia perché aveva un fisico scolpito da ex soldato, sia perché rimaneva pur sempre mio zio. Restava l'uomo che mi portava sulle proprie spalle quando fingevo di essere troppo stanca per camminare o che cuoceva i popcorn prima di metterci a guardare tutti insieme un film sul divano.
Non aveva mai rimpiazzato mio padre, neanche ci aveva provato. Si era ritagliato uno spazietto nel vuoto che aveva lasciato e lo aveva riempito. Era difficile non sentirmi protetta tra le sue braccia.
«Ascoltami bene, peste» mi sussurrò John all'orecchio, rafforzando appena la presa. «Ho messo al sicuro Ethan e Maya si sta accertando che non accada niente a tua madre e ai tuoi fratelli. August non ha niente con cui ricattarti. Non dirgli dove si trova Keegan per nessuna ragione. È un'arma troppo potente per farla cadere nelle sue mani». Si tirò indietro e i suoi occhi grigi si incatenarono ai miei. «Tutto chiaro?»
Annuii meccanicamente e mi ritrovai a seguirlo lungo il corridoio bianco. John mi teneva per il gomito, attento a non farmi male. Mi condusse fino all'ascensore, dove Seth era in attesa insieme alle due guardie. Ero così frastornata che non badai nemmeno alla strada che stavamo facendo. Le domande che mi tartassavano il cervello.
Maya doveva essere la donna che mi aveva prelevata e che pareva determinata a proteggere me e Keegan. Si era spacciata per una mia alleata, malgrado nel frattempo mi avesse portata dritta nella tana del lupo.
Che stesse facendo il doppio gioco con August? Ma per conto di chi? John era un altro infiltrato? E che cosa diavolo voleva il padre dei De'Ath da me?
A meno che non mi avesse rapita solo per farmi le congratulazioni per l'arrivo del nipotino. Ormai mi aspettavo di tutto da quella famiglia di psicopatici.
Dopo aver svoltato nell'ennesimo corridoio bianco, fummo spinti all'interno di un ufficio altrettanto monocromatico. August sedeva di profilo dietro una scrivania, accanto a un'infermiera che gli stava applicando una pomata sulle bruciature che aveva sul viso. Indossava dei pantaloni mimetici e una maglietta verde.
Era invecchiato rispetto alle fotografie che avevo visto e il periodo nell'ospedale psichiatrico sembrava aver lasciato il segno, ma restava ancora un bellissimo uomo. I capelli biondi erano sporchi di cenere e una fasciatura spiccava sul lato del collo.
Maya se ne stava seduta su una poltrona girevole, le gambe accavallate, intenta a studiare una corazza nera con giunture metalliche appesa a un manichino. Ogni tanto picchiettava l'estremità della matita sulle ammaccature e digitava sulla tastiera del computer. Al nostro ingressò mi ammiccò, all'apparenza del tutto indifferente alla possibilità che potessi smascherare la sua copertura.
C'era anche una giovane donna con una treccia castana che le arrivava fino a metà schiena. Era piuttosto attraente, nonostante avesse un enorme livido sullo zigomo. Teneva i pugni sui fianchi e stava fronteggiando August con una spavalderia che le invidiavo. «Ti ho salvato la vita. Se non fosse stato per me, Callum...»
«Soggetto Uno» la corresse lui.
«Callum ti avrebbe ucciso, o catturato. Te l'ho consegnato. Adesso mantieni la tua parola e restituiscimi mia sorella».
Lanciai un'occhiata interrogativa a Seth, che si strinse nelle spalle. John si schiarì la gola, mentre le altre due guardie si appostavano ai lati della porta.
August si voltò verso di noi. Le ginocchia mi tremolarono, quando il suo sguardo incrociò il mio e l'angolo della sua bocca ebbe un guizzo. Liquidò l'infermiera con un movimento secco del capo.
«Finché avrò la bambina, non dovrò mettere in discussione la tua lealtà. Quindi rimarrà con me». Puntò l'indice verso John, che mi strinse il gomito con fare protettivo. «Keyne ti porterà a vederla, così puoi verificare di persona che non le è stato fatto alcun male. Non sono un mostro, Rosalie, se non è necessario».
La ragazza, che si chiamava Rosalie, rilasciò uno sbuffo sarcastico. Fissò Seth per un lungo momento, poi indugiò su di me. «Ti piace proprio rapire ragazzini, eh?»
«Sciocchezze. Sono miei ospiti».
Riluttante, John mi lasciò andare e si allontanò insieme a Rosalie, non prima di aver guardato in direzione di Maya. Lei sorrideva come se si stesse godendo uno spettacolo teatrale particolarmente esilarante.
Appena August si alzò, Seth mi afferrò per il polso e mi tirò indietro. «Che cazzo vuoi da noi?»
«Da te? Nulla. Ormai hai esaurito il tuo scopo». Dalla voce dell'uomo trapelava una punta di fredda ironia. «Immagino di doverti ringraziare per le informazioni che mi hai passato in questi mesi. Sei stato molto utile».
«Non ti ho passato proprio niente».
«Non consapevolmente, certo. Ma grazie al dispositivo che ti ho fatto impiantare a Las Vegas, mentre eri svenuto, ho potuto ascoltare tutte le conversazioni a cui hai preso parte. È merito tuo se ho scoperto che sto per diventare nonno, ad esempio, o che Zero è affezionato alla sua immonda creaturina più di quanto voglia ammettere». La sua risata raschiante mi fece accapponare la pelle. «La microtecnologia è straordinaria, vero?»
Seth si pietrificò, l'orrore impresso nella sua espressione. Poi si gettò in avanti e lo colpì in piena faccia in corrispondenza dell'ustione, senza smuoverlo di un centimetro. Lanciò un lamento e si strinse la mano al petto. «Lui si chiama Nicholas, stronzo» gemette, soffiandosi sulle nocche arrossate. «Ma di che sei fatto? Cemento?»
August fece una smorfia a metà tra l'irritazione e il divertimento. «Hai un gran fegato per essere uno con la forza di un moscerino». Fu così svelto che non lo vidi nemmeno sollevare il braccio per mollargli un manrovescio, scaraventandolo sul pavimento con un gemito.
Trasalii e mi frapposi fra loro. Uno strano formicolio mi percorse la spina dorsale, ma ero troppo impegnata a trattenere il conato che mi premeva in fondo alla gola per darci peso. «Se vuoi fargli del male, devi farne prima a me. E sappiamo entrambi che non puoi toccarmi».
August mi sovrastò con la sua mole. Mi costrinsi a sostenere il suo sguardo feroce, restando sorpresa da quanto poco somigliasse a quello di Nicholas. Anche lui mi aveva fatto paura, al Coin, eppure in suo padre c'era un odio così radicato e viscerale da riempirmi di terrore. Era incattivito dal tempo, da una rabbia covata per anni, un rancore che aveva germogliato e non si poteva più estirpare.
Inclinò il capo di lato. «Ero proprio curioso di conoscerti, ragazzina. Abbiamo tanto da dirci noi due».
Un coraggio che non sapevo di possedere mi pervase e le parole mi scivolarono dalla lingua di loro spontanea volontà. «Potevi organizzare una cena di famiglia, anziché un sequestro».
August ridacchiò. «Hai uno spirito da guerriera, come la mia Vivianne. È un peccato che la mostruosità che porti in grembo ti ucciderà. Quasi mi dispiace».
Il sangue parve arrestarsi nelle mie vene. «C-cosa?» balbettai, stringendomi d'istinto le braccia attorno al ventre.
«Persino Vivianne è sopravvissuta per miracolo al parto di quell'abominio. E la sua è stata una gravidanza pianificata e monitorata nei minimi dettagli, al contrario della tua».
La mia testa prese a vorticare. Barcollai e mi appoggiai allo spigolo della scrivania per mantenere l'equilibrio. Venni travolta di nuovo dalla medesima sensazione di prima, come di un arto fantasma che mi era stato riattaccato. La ignorai. «Stai mentendo».
August approfittò del mio disorientamento per scansarmi e torreggiò su Seth, che nel frattempo si era rimesso a carponi. Lo ribaltò sulla schiena con una ginocchiata e gli schiacciò il petto con lo stivale. Nonostante lui si contorcesse per liberarsi, lo teneva inchiodato a terra senza il minimo sforzo.
«Quando i miei figli», pronunciò il termine con ribrezzo, «ti hanno confessato della loro natura, hanno omesso dei dettagli. I demoni si nutrono di anime, ragazzina. Uccidono esseri umani per sopravvivere. E quella cosa che hai nella pancia non farà eccezione. Man mano che inizierà a svilupparsi avrà bisogno di sopperire a questa necessità e, per farlo, consumerà l'unica fonte di cibo a cui ha accesso al momento: te».
Arretrai di qualche passo. Seth aveva smesso di lottare e mi stava fissando con un'espressione avvilita che mi confermò ciò che, nel profondo, già sospettavo: era tutto vero. Un groppo mi si incastrò in gola. Scivolai sulla sedia posta di fronte alla scrivania e trasalii quando Maya mi portò un bicchiere d'acqua. Il suo sorriso dolce, che di solito sapeva di falso, ora sembrava più comprensivo.
I demoni si nutrono di anime. Era ciò che facevano i De'Ath? Ciò che avrebbe fatto mio figlio?
Sapevano che la gravidanza poteva essere pericolosa per me?
Bevvi un sorso d'acqua. Poteva anche essere avvelenata o drogata, ma non riuscivo a preoccuparmene. All'improvviso, la domanda che avevo rivolto a Ethan proprio quel pomeriggio mi rimbalzò addosso. Non ero terrorizzata quanto avrei dovuto. Ero incinta a diciotto anni di un bambino per metà demone che, se August era sincero, rischiava di uccidermi. Nessuno sano di mente avrebbe scelto di tenerlo.
Forse il legame con Nicholas influenzava anche il mio modo di pensare e di comportarmi, oltre che le mie emozioni. Non poteva trattarsi solo di istinto materno. O sì? Non avevo idea di come funzionasse.
Con un moto di panico, mi resi conto che il confine tra me e lui si stava facendo sempre più labile. Non ero più sicura di quanto fosse mio e di quanto invece fosse nostro.
«Non è tutto perduto, ragazzina. Estirpare quell'abominio è complicato, soprattutto ora che si sta consolidando il legame con Zero, ma ho a mia disposizione un'equipe di medici che potrebbe salvarti la vita». August estrasse dal retro della cintura una pistola semiautomatica e mi raggelai. Seth, ancora incastrato sotto il suo piede, sbarrò gli occhi. «In cambio, voglio che mi consegni il Soggetto K. So che ne sei in possesso».
Depositai il bicchiere sulla scrivania. Le mani mi tremavano. Soffocai l'impulso di girarmi verso Maya, ritta come una statua dietro di me. Era ovvio a chi si stesse riferendo. «Io non possiedo Keegan. È un ragazzo, non un oggetto».
Lui arricciò il naso. «Non capisco questa mania insensata di dare nomi ai topi da laboratorio. Neanche Vivianne era arrivata a tanto, nonostante avesse assecondato la favola dell'allegra famigliola creata da Lucius» bofonchiò, puntando la Colt alla testa di Seth. Quest'ultimo trattenne il fiato, i denti serrati e il viso cereo. «E hai torto: non è un ragazzo. È un'arma. La più potente mai creata. Adesso è docile e facile da sottomettere, ma presto o tardi la sua memoria riaffiorerà e per allora sarà meglio che abbia un guinzaglio ben stretto attorno al collo. Tu non puoi controllarlo, io sì. Perciò dimmi dove si trova».
«Altrimenti?» azzardai. Ero consapevole che prendere tempo mi sarebbe servito a ben poco. Speravo ancora che Maya si decidesse a mettere in atto qualsiasi piano avesse in mente, ma più il tempo passava e più un suo intervento mi sembrava improbabile. Di John neanche l'ombra. Ero da sola.
August abbassò il cane della pistola e posò l'indice sul grilletto. Seth strinse i pugni per cercare di nasconderne i tremiti, invano. «In qualche modo, questo piccolo e insignificante orfanello è riuscito ad addomesticare quel cane rabbioso di Zero. L'istinto di protezione non ti servirà più a molto, se dovesse scoprire che avresti potuto salvarlo e non lo hai fatto».
Era una vera e propria trappola. John mi aveva assicurato che le persone a cui tenevo sarebbero state al sicuro, ma a quel punto credergli o meno non faceva alcuna differenza. Se non avessi tradito Keegan, Seth sarebbe morto e io avrei fatto la stessa fine, o per la gravidanza o per mano di Nicholas. Egoismo a parte, non volevo nemmeno che lo uccidesse per colpa mia. Non lo meritava, e mi sarei odiata per non averlo impedito.
Prima che potessi aprire la bocca, la voce di Seth mi colse alla sprovvista. «Non farlo!» urlò, rivolgendomi uno sguardo quasi implorante. Nonostante la paura che gli scintillava negli occhi neri, il suo tono era determinato. «Non dire niente, Arya. Userà Keegan per fare del male a Nik e ai suoi fratelli».
«Ti faresti ammazzare per nulla. Lo troverà comunque, Seth». Onestà intellettuale: un casolare diroccato a poche miglia da Notturn Hall non era il rifugio migliore del mondo.
«Forse, ma non voglio che sia a causa mia. Sono l'unica famiglia che io abbia mai avuto. Ti prego».
August sbuffò ed esercitò una maggior pressione sul grilletto. Inarcò un sopracciglio nella mia direzione. «Tre secondi e sparo, ragazzina».
Mi ero talmente abituata ormai che all'inizio non ci badai, poi un pensiero mi colpì. Non aveva il sangue dei De'Ath, il cognome apparteneva alla moglie, eppure la somiglianza era straordinaria. E non solo con Nicholas. I capelli dorati, la durezza dei lineamenti, le labbra sottili come spilli, la punta arrotondata del naso... ricordavano terribilmente Vivianne. La donna che aveva sposato e con cui aveva avuto un figlio.
Il gene maledetto era stato tramandato per secoli, lo aveva detto Isaac. E qual era il modo migliore per preservarlo nella famiglia?
«Come vuoi» concluse August, mirando alla fronte di Seth.
Scattai in piedi. «Keegan è...»
L'allarme suonò all'improvviso, coprendo le mie parole.
Una sirena squillante mi costrinse a tapparmi le orecchie, mentre dalle valvole alle pareti scaturiva una nebbiolina di fumo dall'odore acre e pungente. Incenso. Maya corse subito al suo computer. August si guardò attorno, lo stupore impresso sul volto. Seth scoppiò in una risata incredula.
Un pizzicore mi fece rizzare i peli sulla nuca, propagandosi in tutto il corpo. E capii di essermi sbagliata. Non ero affatto da sola. Se mi concentravo lo percepivo distintamente, da qualche parte all'interno della struttura. Ovunque fosse, eravamo abbastanza vicini affinché il legame ci attirasse uno dall'altro.
Mi aggrappai a quella fune invisibile che ci univa e lo chiamai a me con tutta la forza che avevo, ripetendo all'infinito una muta richiesta di soccorso che probabilmente non gli sarebbe mai arrivata.
“Abbiamo bisogno di te, Nicholas. Per favore”.
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