𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 42 (Nicholas)
"𝔄𝔫𝔡 𝔱𝔥𝔢𝔫 ℑ 𝔱𝔥𝔦𝔫𝔨 𝔱𝔥𝔞𝔱 𝔪𝔞𝔶𝔟𝔢
ℑ 𝔴𝔞𝔰 𝔡𝔢𝔰𝔦𝔤𝔫𝔢𝔡 𝔱𝔬 𝔟𝔢 𝔞𝔩𝔬𝔫𝔢"
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Avevo da sempre un rapporto difficile con le emozioni. Non solo non capivo quelle degli altri, ma persino le mie erano un vero mistero per me. A volte mi sembrava di non provare nulla, come se nel mio petto ci fosse un gigantesco vuoto che mi divorava l'anima. Forse per questo amavo nutrirmi di quelle degli altri. Per compensare l'abisso nero di rabbia e odio che mi portavo dentro.
Altre volte, invece, sentivo troppo. I pensieri diventavano dei serpenti velenosi che sibilavano nelle orecchie le mie peggiori paure e mi soverchiavano, affollandosi nella testa fino a togliermi il respiro. Ero scappato dal laboratorio, ma la mia mente era una prigione da cui non sarei mai stato libero.
Al nostro ritorno al castello, dopo l'incontro con l'angioletto nel parco, mi ero rintanato di corsa in camera. Ero scombussolato, sull'orlo di una delle mie crisi. Avevo l'impressione che tutti si aspettassero qualcosa da me e la consapevolezza che li avrei - inevitabilmente - delusi mi terrorizzava.
I miei fratelli volevano che tornassi a essere la persona che ero un tempo.
Seth voleva che fossi il suo fidanzato.
Arya voleva che facessi il padre.
Zero reclamava la sua vendetta.
Perché non capivano che non ero in grado di fare ciò che mi chiedevano? Perché non potevo avere un po' di pace?
Forse avrebbero dovuto buttarmi via e basta. Era la sorte che spettava ai giocattoli rotti, quelli che erano stati usati così tanto da perdere i pezzi fino a sfaldarsi tra le mani di chi tentava di aggiustarli.
In fondo, me lo sarei meritato. Non capivo nemmeno la ragione per cui si prendessero il disturbo di starmi accanto, o il motivo per il quale si ostinassero a volermi bene.
Alle cavie non serve amore.
Io però lo volevo. Ne avevo bisogno. Avrei fatto qualsiasi cosa per continuare a ricevere anche solo poche briciole del loro affetto, pur sapendo che sbagliavano a darmelo. Perché amare un inutile mostro privo di valore?
Affondai il volto nel cuscino e lanciai un urlo, che venne soffocato dal tessuto. Mi cinsi la testa con entrambe le braccia e mi raggomitolai su me stesso, la fronte posata sulle ginocchia piegate nel tentativo di farmi il più piccolo possibile. Tremavo, ma non piangevo. Non ne ero più capace.
Avvertii il corpo di Lucius che serrava il mio in una morsa asfissiante, mentre la sua voce mi sussurrava: «Io ti ho amato, Zero, e guarda che ingrato ti sei dimostrato...»
È colpa mia. È tutta colpa mia.
Udii dei passi famigliari che si avvicinavano e rizzai il capo di scatto. Con una rapidità sovrumana raccolsi un libro da terra, tra i tanti che avevo buttato giù dagli scaffali, e mi stesi sulla pancia. Lo aprii in un punto a caso e finsi di leggere, anche se le parole mi apparivano sfocate e senza senso.
Quasi nello stesso istante, Seth spalancò la porta. «Ehi. Perché sei...» Si bloccò, e intuii che avesse notato la stanza messa a soqquadro. «Che cavolo è successo qui?»
Feci spallucce. «Ho riarredato. Pensavo che avresti apprezzato».
«È molto nel mio stile, in effetti». Seth spense la radio, che avevo acceso solo per scacciare il silenzio, e si accasciò sul letto. Si accomodò su un fianco, fissandomi. «Voglio la verità. Che hai, piccolo bugiardo?»
Un brivido mi percorse la colonna vertebrale. Mi ribaltai in posizione supina e non risposi, limitandomi a girare la pagina con un gesto nervoso. Sebbene mi fidassi ormai ciecamente, non mi sentivo a mio agio a esporre la schiena da sdraiato nemmeno con lui. Lo avrei fatto, se avesse voluto, ma ero sollevato che non mi forzasse mai.
Seth allungò una mano e mi scansò una ciocca dalla fronte. Socchiusi le palpebre, beandomi di quel tocco delicato. I capelli erano il mio punto debole. Quando me li accarezzava, non mi azzardavo a muovere un muscolo per timore che potesse smettere. «Ne vuoi parlare?»
«No» mugugnai.
«D'accordo. Posso fare qualcosa per farti stare meglio?»
«Anche solo la tua esistenza mi fa stare meglio».
Nel momento in cui finii di dirlo, mi ricordai che vivevo in una casa piena di idioti invadenti dotati di superudito. Sperai che non stessero origliando, altrimenti mi avrebbero preso in giro per il resto della mia schifosa esistenza.
Seth ridacchiò, reclinando la testa sulla mia spalla. «A parte esistere, posso aiutarti in qualche altro modo? Potremmo leggere insieme...» Indugiò e si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. «Perché stai leggendo Winnie The Pooh al contrario?»
Aggrottai la fronte. Richiusi il libro, lo capovolsi e controllai la copertina su cui spiccava un orsetto giallo mezzo nudo. «La vera domanda è perché indossa la maglia, ma neanche un paio di mutande».
Seth scoppiò a ridere. Prese il telefono dalla tasca e cominciò a digitare. «Su Internet c'è scritto perché è un ermafrodito».
«E io che pensavo che avere un ragazzino rompicoglioni per migliore amico fosse il peggiore dei suoi problemi» borbottai con una smorfia.
«Non sai neanche che significa, idiota». Seth mi diede un pizzicotto scherzoso sul gomito. «Che ti ha fatto di male Christopher Robin, comunque?»
«Ha un cognome che sembra un altro nome. È da sfigati».
«Che brontolone». Appena feci per gettare il libro nel mucchio sul pavimento, Seth mi trattenne. Un lampo giocoso balenò sulla sua faccia. «No, leggimelo».
Inarcai un sopracciglio. «Sul serio sei interessato alle avventure di un orsetto ermafrodita e del suo compare rompicoglioni?»
«Moltissimo. Nessuno mi ha mai letto cose del genere da piccolo». I suoi occhi, grandi e neri, si conficcarono nei miei. Nonostante fuori il sole fosse inghiottito dalle nubi, brillavano di luce propria come un cielo stellato. «Per favooore».
Deglutii e mi ritrovai di colpo a leggere il primo capitolo ad alta voce. Probabilmente mi avrebbe convinto persino a cantare le canzoncine di uno dei suoi stupidi musical, guardandomi così.
Ogni tanto accompagnavo la lettura con dei commenti poco gentili e i suoi risolini erano così teneri che rischiavo di incantarmi ad ascoltarli. Man mano che andavamo avanti, il groviglio di pensieri e ricordi che mi logorava il cervello cominciò ad allentarsi. I bisbigli non si ammutolirono, non lo facevano mai, ma adesso erano soltanto un'eco in sottofondo.
Storsi il naso. «Credo seriamente che questo orsetto rincretinito sia ispirato a Gabe. Di sicuro hanno lo stesso quoziente intellettivo».
Il sorriso di Seth si allargò. Quando la sua mano iniziò a slacciarmi pigramente la camicia, mi interruppi e mi voltai verso di lui. A ogni bottone, la punta del suo dito scivolava lungo la mia pelle, tracciando una linea dritta dallo sterno fino al solco tra gli addominali. Senza fermarsi, mi ammiccò e fece cenno di proseguire. Obbedii, malgrado il mio respiro si facesse sempre più pesante e rimanere concentrato era diventato quasi impossibile.
«Hai già letto questa frase» mi ammonì Seth in tono dispettoso, accarezzandomi la pancia dura e piatta.
Rilasciai un sospiro profondo. Ormai le scritte non erano che macchie d'inchiostro confuse sulla carta. «È una nuova tecnica di tortura?»
«Chissà».
Giunto in fondo, svoltai la pagina con tale foga da strapparla all'angolo. Seth montò a cavalcioni con le ginocchia attorno ai miei fianchi, si accucciò sopra di me e mi tempestò il petto di baci adoranti. «Proprio certo di non voler parlare di quello che ti tormenta?»
«Preferisco continuare a leggere» biascicai, rinsaldando la presa sul libro che tenevo sospeso.
«Allora leggi. Sono curioso di sapere come farà Winnie ad arrivare al suo amato miele». Le labbra calde di Seth avvolsero il bocciolo turgido del capezzolo e lo stuzzicò con la lingua, mentre torceva appena l'altro tra pollice e indice. Lo pinzò con i denti e tirò piano.
Un roco verso di piacere scaturì dalla mia gola e rovesciai la testa all'indietro, sprofondando nel cuscino. Imprecai in un sussurro, quando il suo bacino cominciò a strusciarsi contro il mio. La patta dei jeans si fece dolorosamente stretta, l'eccitazione che mi faceva bruciare il sangue nelle vene.
«Non ti sento leggere, Nik» mi rimproverò Seth, abbassando il viso all'altezza del mio stomaco. Ora era seduto poco sopra le mie ginocchia. Mi leccò l'ombelico e posò la mano sulla mia erezione dura e gonfia, tenendola immobile.
Con un sibilo prolungato, mi contorsi sotto di lui e inarcai la schiena in una supplica silenziosa. Seth mi rispinse all'indietro sul materasso, ma assecondò la mia richiesta. Mi slacciò la cintura, infilò la mano sotto i jeans e mi stimolò attraverso il tessuto dei boxer, facendo su e giù per tutta la mia lunghezza. D'istinto affondai i canini nel mio labbro inferiore e inghiottii un sapore ferroso.
Strinsi il libro così forte da far scricchiolare la rilegatura. «Cazzo» ansimai, lasciandolo cadere.
Seth mi rivolse un sorriso compiaciuto, accelerando i suoi movimenti. Su e giù, su e giù. «Non mi aspettavo che ci fossero così tante parolacce in Winnie The Pooh».
Il desiderio mi strappò un gorgoglio simile a un ringhio. Mi protesi in avanti, lo afferrai da sotto le ascelle e lo attirai a me. Premetti la bocca sulla sua con irruenza, facendo scontrare i nostri denti. Seth chiuse la mano attorno al mio membro e il mio gemito venne soffocato dal bacio, dal quale fui obbligato a staccarmi per recuperare fiato.
Non riuscivo più a ragionare. La mia unica consapevolezza era di appartenergli, di volermi donare a lui in ogni modo possibile.
Non ero mai stato felice nella mia vita. Ma se la felicità esisteva anche per me, allora aveva il volto e il nome di Seth. Aveva il suo odore, la sua voce, il sapore dei suoi baci.
Gli scansai un ricciolo dalla fronte e lo osservai per accertarmi di non aver esagerato. Il solo pensiero di ferirlo mi dilaniava: era troppo prezioso, troppo puro. «Mi vendicherò, imbroglione».
Seth riprese a muovere la mano lungo l'asta con una lentezza straziante. Le labbra mi si dischiusero, ma non ne uscì alcun suono. Mi abbandonai sul letto e rimasi a fissarlo con i brividi in tutto il corpo, completamente inerme. «Come vuoi. Per ora però mi godo la mia vittoria». Calcò il verbo con particolare enfasi.
«Tanto per chiarire». Sussultai e dovetti espirare bruscamente, mentre aumentava sempre di più il ritmo. Assalito da uno spasmo, squarciai le coperte con gli artigli e pronunciai le parole seguenti a fatica: «Se mi metto a blaterare delle mie stronzate... poi scopiamo, vero?»
Proprio nell'istante in stavo per raggiungere l'apice, Seth rallentò di nuovo. Mi massaggiò i testicoli e mi tenne in bilico sull'orlo per qualche interminabile secondo, per poi avvolgere ancora una volta la mia erezione e condurmi con dolcezza oltre il baratro. Delle scariche di piacere mi pervasero, toccando ogni mia terminazione nervosa, e percepii il liquido inzuppare i boxer.
«Forse» replicò con un ghigno.
Chiusi gli occhi, aspettando che il cuore smettesse di tuonarmi all'impazzata. Avevo la mente ancora annebbiata, i muscoli scossi dai tremiti. Seth ebbe pietà di me e ritirò la mano. Quando cercò di scendere, lo afferrai per i fianchi e lo costrinsi a restare seduto sopra di me.
Esitai. «Tu pensi che potrei...» La voce mi si strozzò. Puntai lo sguardo al soffitto e mormorai timidamente: «Puoi abbracciarmi? Non riesco a dirlo così».
Seth si chinò e seppellì il viso nell'incavo del mio collo, stringendomi a sé. Depositò un bacio sulla mia spalla. «Con calma, Nik. Hai tutto il tempo che vuoi».
Lo circondai con entrambe le braccia. Tesi le orecchie e mi cullai nella melodia del suo battito cardiaco, che stava tornando regolare insieme al mio. Avrei giurato che fossero sincronizzati. Inalai il suo profumo come se fosse la più pregiata delle droghe. «Pensi che potrei essere un padre migliore di lui?»
Seth si irrigidì. Il silenzio che si protrasse tra di noi mi riempì di terrore e mi pentii di non essere stato zitto. Era ovvio che non avevo nessuna possibilità.
Ero un frutto marcio rimasto appeso al ramo per avvelenare chiunque avesse osato coglierlo. Anche se ne avessi avuto l'occasione, avrei fallito e quel bambino mi avrebbe odiato, come in fondo era giusto che facesse. Avrebbero dovuto farlo tutti, compresa la mia famiglia.
«Lascia stare...»
«Penso che lui non fosse un padre» disse infine Seth. Il suo alito mi scaldava la pelle. «E voi non avete nulla in comune, Nik. Sei già migliore. Sei migliore di quanto quel bastardo sia mai stato».
Gli accarezzai i capelli corvini, aggrappandomi a lui. Tentavo di controllare la mia forza per non fargli male, ma avevo paura che se lo avessi lasciato sarebbe svanito all'improvviso. «Non lo so. Forse ho sbagliato io. Si prendeva cura di noi durante i test, ci proteggeva dai nostri genitori ed era sempre gentile. Forse glielo dovevo...»
«No, no, no». Seth si divincolò. Mi intrappolò il mento tra le dita e mi obbligò a sollevare la testa, incatenando gli occhi ai miei. La sua espressione era seria. «Non gli dovevi proprio niente. Se davvero vi avesse voluto bene, non avrebbe mai sfiorato né te né i tuoi fratelli. Eravate dei bambini, eri un bambino. Non hai nessuna stramaledetta colpa, okay?»
Abbozzai un sorriso triste. «Non ero un bambino indifeso, Seth. Ero un mostro già all'epoca. Avrei potuto fermarlo molto prima, avrei dovuto...»
«Nik, per favore. Non devi neanche pensarlo. Mai». Seth appoggiò la fronte sulla mia con una smorfia quasi sofferente. «Vorrei essere io quello telepatico. Vorrei entrare in questa tua testolina dura, tirare fuori le convinzioni assurde che ci hanno ficcato dentro e prendere un po' del tuo dolore per poterlo sopportare insieme».
Gli passai un dito sul livido giallognolo sulla guancia, toccandolo con la stessa venerazione che si riserverebbe a un simulacro. Aveva dei lievi aloni violacei attorno agli occhi e sembrava stanco. «Dormi male per colpa mia? Mi agito troppo per gli incubi? Perché posso sempre...»
Seth mi tappò la bocca con un bacio e mi mordicchiò il labbro inferiore, prima di ritrarsi. «Non devi preoccuparti. È solo tutta questa storia di Alfa o qualunque cosa fosse...»
Increspai la fronte. «Nessuno ti farà del male. Distruggerò chiunque ci provi».
«È questo che mi fa paura. Non voglio che ti succeda nulla, e neanche ai tuoi fratelli. So che è la tua famiglia e non la mia, ma...»
«Fai parte della mia famiglia, Seth».
Prima che potesse rispondere, Joel irruppe nella camera. Seth trasalì e rotolò sul letto accanto a me, coprendo i segni degli artigli dove avevo lacerato le lenzuola. Con pigrizia mi riallacciai la cintura.
Mio fratello dardeggiò le iridi eterocrome da uno all'altro. Saggiò l'aria col naso e sogghignò. «Stavate scopando, eh?»
«Non so di cosa parli. Leggevamo Winnie The Pooh» replicai, sventolando il libricino.
«Il letto non è un po' tradizionale per voi? Nik mi ha fatto l'elenco dei dieci posti più strani in cui lo avete fatto».
Seth ruotò la testa verso di me, paonazzo. «Ma quanto sei coglione?!»
«Che c'è? Voleva saperlo» mi difesi, stringendomi nelle spalle.
Joel ridacchiò e batté le mani per attirare la nostra attenzione. «Sentite, piccioncini. Visto che papà orso è appena uscito per andare dalla sua bella gnocca, io e Gabe avevamo pensato...»
Feci un verso sarcastico. «Da quando ne siete capaci?»
«È stata un'idea della nostra Barbie sorellina, in realtà».
«Ecco. Adesso gli assi si sono riallineati».
«Seth, non è che gli hai negato l'orgasmo? Mi sembra più nervoso del solito». Joel schivò il libro che gli avevo lanciato addosso, un sorrisetto sardonico sulla faccia. «Vogliamo portare Remi a bere per rilassarsi un po'. E magari anche per fare uno spuntino, ma questo meglio non dirlo a mamma chioccia. Venite con noi?»
Sbuffai e feci per tirarmi a sedere, ma mi immobilizzai. Avevo dimenticato di avere i boxer fradici. «D'accordo. Non è che potreste aspettare, però? Eravamo ancora ai preliminari qui...»
«Arriviamo subito» soggiunse Seth, rifilandomi una gomitata negli stinchi.
«Tranquilli, potrete comunque farlo come coniglietti nei bagni del locale». Joel mi fece l'occhiolino e uscì dalla stanza.
Seth si tirò in piedi e mi scoccò un'occhiataccia. Mi accigliai. «Andiamo! Non ti sei mai vantato con nessuno di aver fatto sesso in mongolfiera?»
«No, perché io un minimo senso del pudore ce l'ho».
«Disse dopo avermi fatto venire nei boxer».
Mi alzai e mi diressi verso il bagno, intanto che facevo scivolare la camicia lungo le braccia. Guardai l'orribile cicatrice in rilievo che mi solcava la pelle, dritta con una leggera gobba nel mezzo. Era frustrante. Non mi restava altro che un bell'involucro, non volevo che mi rovinassero anche questo.
Mi fermai sulla soglia. «Doccia veloce insieme?»
Seth esplorò il mio fisico con lo sguardo e deglutì. «Meglio di no. Sappiamo entrambi che le nostre docce non sono veloci».
«Come vuoi, tesoro».
Lasciai la porta semiaperta, finii di spogliarmi e mi misi sotto il getto bollente dell'acqua. Nonostante il rumore scrosciante, sentivo soltanto le voci che si stipavano nella mia mente. Appoggiai la fronte contro le piastrelle, il respiro ridotto a dei rantoli. Avrei voluto urlare, avrei voluto spaccarmi in due il cranio e liberarmi di quella confusione che mi perseguitava da tutta la vita.
Quando un tocco delicato mi sfiorò la spalla, riconobbi subito le sue mani, le uniche che non mi avevano mai fatto del male. Mi girai e affondai il viso nell'incavo del suo collo, boccheggiando in cerca d'ossigeno. Seth mi circondò il busto con entrambe le braccia e mi diede un bacio tra i capelli bagnati. I nostri corpi sembravano fatti per incastrarsi l'uno con l'altro, come pezzi perduti dello stesso puzzle che erano riusciti a ritrovarsi.
«Ti stai ustionando» mormorai, scostandomi appena.
«Sarei disposto anche a lavarmi col fuoco, se servisse a tenere lui e ciò che ti ha fatto lontano».
Sfregai le labbra sulle sue in un moto di gratitudine, ma regolai comunque la temperatura dell'acqua per abbassarla. Probabilmente non avrei mai capito perché fosse così buono con me.
Dopo esserci asciugati, ci rivestimmo e scendemmo in soggiorno. I miei fratelli erano già pronti ad andare, escluso Isaac che leggeva su una poltroncina con Loki il porcellino domestico sulle ginocchia. Nel vederli, quel macigno che avevo al posto del cuore si alleggerì, anche se non riuscivo a evitare di pensare che non meritavo niente di ciò che avevo.
«Fate i bravi, mi raccomando» ribadì Kath per la centesima volta. Era seduta davanti a uno dei camini e si mordicchiava le pellicine delle unghie, sbirciando ogni tanto lo schermo del telefono sul bracciolo. «Soprattutto voi due».
Io e Joel ci scambiammo un sorrisetto complice. Feci spallucce. «Come sempre».
Gabriel si mise la borsa a tracolla. Indossava un dolcevita viola abbinato all'ombretto che gli spolverava le palpebre e dei pantaloni di pelle così aderenti che scricchiolavano a ogni movimento. «Perché non vieni anche tu? Più siamo e più ci divertiamo».
Sky annuì. «Sarebbe bello non essere circondata da soli maschiacci ogni tanto».
Mi accostai a lei e le cinsi le spalle, lasciate scoperte dalla camicetta smeraldo, con un braccio. «Questi maschiacci sono tutti al tuo servizio, sorellina» le ammiccai.
«Quanto sono fortunata» borbottò, liberandosi con uno spintone. Rimasi a scrutarla di sottecchi. Ero certo di aver percepito un'inflessione scherzosa nel suo tono.
Kath scosse il capo. «No, andate pure. Rimango qui con Isaac».
Mi girai verso Alexander, che se ne stava in disparte con il cappuccio tirato fin sopra agli occhi e le mani ficcate nelle tasche. «Sei dei nostri, dunque?»
«Qualcuno deve farvi da balia».
Sogghignai, accennando ai suoi vestiti interamente neri. «Potresti approfittarne per farti dare dei consigli da Gabe per ravvivare il tuo guardaroba».
«MOLTO VOLENTIERI!»
Mentre uscivamo dal castello, Gabriel continuò a tartassare Alexander di consigli di moda indesiderati, con Joel e Seth che lo ascoltavano divertiti. Una gelida folata di vento mi gonfiò il giacchetto aperto, frustandomi il viso. Il cielo era una matassa di nubi avvinghiate tra di loro e, malgrado fosse ancora tardo pomeriggio, le tenebre stavano già calando.
Quando arrivammo alla macchina, Remiel si bloccò. Era pallido e continuava a guardarsi attorno. «Non penso che sia una buona idea. È troppo presto».
Roteai gli occhi. Lo afferrai per la manica del maglione, aprii lo sportello e lo spinsi sul posto del passeggero senza tanti complimenti. «Non ce ne frega molto di ciò che pensi. Ho voglia di bere e fare casino, quindi sta' zitto».
«Menomale che avete organizzato questa serata per aiutarmi, eh».
Joel saltò nel bagagliaio della Audi, insieme a Gabriel. A differenza di quello della Maserati, era comunicante con i sedili posteriori. «Possiamo aiutarti anche senza essere gentili, fratello».
Dato che detestavo guidare, mi sedetti dietro e cominciai a tamburellare il ginocchio, mentre Sky accendeva il motore. Seth mi teneva la mano, il pollice che mi strusciava sulle nocche. Osservai il panorama che scorreva fuori dal finestrino, premendo ininterrottamente il tasto per alzare e abbassare il vetro. Non mi piacevano i viaggi in auto, neanche brevi. Dopo essere stato rinchiuso per mesi in una gabbia con un collare attorno alla gola, non potermi muovere a mio piacimento mi innervosiva.
«Raga, volete sentire una barzelletta?»
Joel sollevò un braccio. «Rispondo io a nome di tutti: no».
«Sapete che cosa si dicono due squali che si incontrano?» Gabriel fremette per l'impazienza, poi strillò: «Ehi, ma siamo tali e squali!»
Alexander sospirò. «Peccato che ho dimenticato le cuffie».
Le labbra di Seth si piegarono all'insù. «Questa era carina, dai».
«Remi, ritieni che il tuo umore sia migliorato? Perché altrimenti avrei anche un fatto curioso da raccontare...»
«Vuoi raccontarci del giorno in cui hai comprato il tuo unico neurone al mercatino dell'usato?» sbuffai, scoccandogli un'occhiataccia.
Gabriel aggrottò la fronte. «In verità no. Mi riferivo al fatto che gli hotdog si chiamino così perché la loro forma somiglia a quella di un bassotto».
«La mia vita è completa ora che lo so» commentò Joel sarcastico.
Sky ridacchiò. «Gabe, come va con il tuo blog?»
«Alla grande! Proprio ieri sono arrivato a cento iscritti!» Gabriel si sporse tra il mio schienale e quello di Seth, picchiettandoci a entrambi su una spalla. «I miei followers stanno aspettando aggiornamenti sulla vostra storia d'amore. Avete qualche novità succulenta?»
«Abbiamo fatto un giochino erotico leggendo Winnie The Pooh».
Seth si suonò una sberla in fronte e scuote la testa. «Se non ti ammazza l'Olympus, prima o poi lo faccio io».
Remiel si girò di scatto verso di noi. «Non scrivi anche di me e Arya, vero?»
«Certo. Con nomi di fantasia, ovvio». Gabriel gli fece un ampio sorriso. «Il triangolo amoroso tra te, Arya e Alexander li sta appassionando molto».
Un vago rossore affiorò sulle guance di Alexander, che digrignò i denti. «Non c'è nessun triangolo amoroso, coglione».
Sky lo sbirciò dallo specchietto retrovisore. «Gabe, lo sai che se dovessi mai mettere i cazzi miei su quel blog, ti strappo tutte le dita e ci faccio una collana?»
«Lo terrò in considerazione, anche se devo avvisarti che sarebbe una scelta di stile piuttosto audace».
«Tanto non avrebbe molto da inserirci. Sarebbe ripetitivo scrivere sempre: "Nik ha ucciso anche questo, sarà per il prossimo"» commentò Joel, dandomi un buffetto sulla nuca.
Arcuai un sopracciglio. «L'ultimo non l'ho ucciso».
«Fottetevi».
Accostammo davanti a un bar ed entrammo. Gli sguardi dei pochi clienti presenti vennero subito calamitati su di noi e mi chiesi se fosse per l'effetto tipico della nostra natura o per il gridolino di Gabriel che aveva sfiorato gli ultrasuoni alla vista del karaoke. L'unico ad aver compiuto ventun anni era Seth, quindi lo incaricammo di prendere da bere per tutti e ci radunammo attorno a un tavolo in disparte.
Gabriel spiccò un saltello emozionato, dardeggiando gli occhi nocciola su ciascuno dei presenti. «Chi vuole cantare con me? Joel?»
«No, grazie. Sono troppo figo per sottopormi a questa pubblica umiliazione».
«Ma tu sei bravo a cantare!»
Joel sorrise. «Io sì, sei tu che fai schifo».
«Vengo io, Gabe». Seth si protese per dargli la bizzarra stretta di mano che si erano inventati: palmo contro palmo, dorso contro dorso, intrecciavano le dita e si scontravano la spalla. «Andiamo a spaccare».
«I timpani li spaccherete di sicuro» ridacchiai, sollevando il boccale di birra.
Seth mi fece la linguaccia e si allontanò insieme a Gabriel, togliendosi un ricciolo ribelle dalla fronte. Lo fissai incantato. Era stupendo, con una camicia bianca stropicciata e il nodo molle della cravatta, anche se i miei occhi erano attratti dai pantaloni fin troppo attillati che gli mettevano in mostra il fondoschiena.
Joel mi schioccò le dita davanti alla faccia. «Potresti scendere da Nerd Culandia e tornare sulla Terra, Nik?»
Mi riscossi. «Non gli stavo... okay, sì». Bevvi un sorso di birra e adocchiai Remiel, che si agitava irrequieto sulla sedia. Il cuore gli batteva all'impazzata. Pensai a un modo per distrarlo e mi venne in mente una delle cose che mi riuscivano meglio: dare fastidio. «Come va con l'angioletto, fratello? Le hai regalato qualche altro fiorellino?»
Mi sembrava quasi assurdo volergli impedire di fare un massacro, considerato che non mi importava granché dei suoi dilemmi morali, eppure ritenevo che avesse bisogno di imparare a controllarsi senza rinnegare sé stesso.
A causa della sua dipendenza, non si nutriva di anime vive da prima ancora che ci stabilissimo a New York e l'astinenza prolungata lo portava a perdere il controllo a ogni minimo stimolo. Uccidere il tizio al cinema aveva riportato a galla i suoi istinti e adesso rischiava di avventarsi su qualsiasi essere umano che gli rivolgesse la parola.
«Non le ho mai regalato nessun fiorellino». Remiel mescolò il ghiaccio nel suo drink con la cannuccia, la guancia affondata nel palmo. «Voglio rifarle il braccialetto che ha perso. Mi sembra una cosa carina».
«Che romanticone. Vero, Alexino?» lo stuzzicò Joel.
Alexander si pietrificò, le labbra posate sull'orlo del bicchiere. Non parve neppure accorgersi del nomignolo ridicolo con cui l'aveva chiamato. «Lo ha ritrovato» sibilò in tono distaccato.
Remiel increspò la fronte. «Davvero? E come?»
Io e Joel scoppiammo a ridere. «Sì, infatti. Com'è stato possibile, Alexino?» lo incalzai beffardo, beccandomi un'occhiataccia.
Sky si protese verso di noi e mi tirò un orecchio. Mi scappò un debole lamento, quando me lo torse. «Se non la smettete di fare gli idioti, vi taglio l'organo a cui siete più affezionati. Sono stata chiara?»
«Pensavo che quella fosse la mossa speciale di Nik». Joel tirò fuori dalla tasca dei jeans una bustina piena di polverina bianca. «Chi vuole sballarsi un po'? Remi? È ottima per rilassarsi, anche se su di noi l'effetto dura poco».
«Ma sei scemo?» protestò Remiel, scansandogli la mano per impedirgli di versarla nel suo cocktail. Poi però tentennò. «Rilassa davvero?»
«Ci puoi scommettere».
Sky roteò gli occhi azzurri. «Approccio maturo, complimenti».
«Quando mai in questa famiglia abbiamo avuto un approccio maturo ai problemi, Barbie?»
«Non vedo l'ora che ti cadano tutti i capelli».
Mentre loro due battibeccavano, una morsa d'ansia mi serrò il petto. Mi irrigidii e depositai sul tavolo il boccale vuoto, massaggiandomi il torace. Sebbene l'istinto di protezione non fosse attivo, percepivo il legame che condividevo con Arya. Il sottile filo invisibile che mi univa a quel grumo di cellule, il pezzo di me che mi era stato strappato e che ora viveva nel grembo di un angioletto rompipalle con cui non volevo avere niente a che fare. Non ero io a essere agitato, era lei.
Mi alzai per andare al bancone, ordinai un'altra birra e afferrai il telefono. Cominciai a digitare un messaggio. Tutto okay, an... Mi bloccai col pollice a pochi millimetri dallo schermo. Sbuffai, cancellai e lo rimpiazzai con qualcosa che suonasse meno interessato alla sua salute.
Nicholas:
"Che combini, angioletto?
Sto cercando di godermi
una serata tranquilla"
«Stai bene?»
Mi voltai. «Non sei preoccupato per me, vero?» chiesi sardonico.
Alexander scrollò le spalle e appoggiò un gomito al bancone. «Come funziona? La senti anche adesso?»
«Purtroppo. La sento ogni volta che prova emozioni intense». Arricciai il naso e presi il mio secondo boccale. «Spero che non sia reciproco. Quando faccio sesso, non vorrei che lei...»
«Non proseguire» mi interruppe Alexader con una smorfia. Prima che potessi muovermi, mi si parò davanti e incrociò le braccia al petto. Lanciò un'occhiata al palco, dove Seth e Gabriel si stavano impegnando a storpiare una canzone degli Imagine Dragons. «Comunque mi dispiace. Per quello che ho detto».
Le sue parole mi colsero alla sprovvista. Non andavo d'accordo con le scuse, non le facevo quasi mai e non pretendevo di riceverle. Sbattei le palpebre. «Che cosa avevi detto? Non posso ricordarmi tutti gli insulti che mi vengono rivolti».
«In breve, che sei uno stronzo».
«Fin qui non ci vedo niente di sbagliato».
Alexander espirò un fiotto d'aria dal naso e conficcò i suoi occhi di ghiaccio nei miei. L'angolo della sua bocca ebbe un guizzo. «Forse, ma il tuo posto è comunque con noi. Sei nostro fratello e sono felice che ti abbiamo ritrovato, anche se resti un rompicazzo di prima categoria».
Il mio cuore mancò un battito e dovetti lottare per trattenere un sorriso. Lo camuffai dietro un ghigno. «Sì, immagino che anch'io avrei sentito la mia mancanza».
«Per l'appunto».
Mi girai in direzione del palco per nascondergli il viso. «Tienila d'occhio» buttai fuori in un soffio, facendomi serio. Non volevo dare l'impressione che mi importasse, quindi aggiunsi: «Ha un talento nel cacciarsi nei guai e, finché io e lei siamo connessi, gradirei che non le accada niente. Chissà quali fastidiose conseguenze ci sarebbero».
Alexander mi fissò con un sopracciglio inarcato, poi si strinse nelle spalle. «Lo avrei fatto comunque».
Ritornammo al tavolo, dove la conversazione ancora verteva su Arya. Remiel si stava facendo fornire da Sky un resoconto dettagliato sulla reazione della ragazza alla spiegazione della nostra natura. Sembrava rassicurato dal fatto che, almeno all'apparenza, non aveva dato segno di considerarci dei mostri o di essere disgustata da ciò che eravamo. Non era il caso di puntualizzare che, forse, era dovuto ai particolari che avevamo omesso sulla nostra dieta a base di anime.
Joel invece stava arrotolando dell'erbetta sbriciolata in una cartina. «Volete una canna?»
«Per dartela in testa, al massimo» bofonchiò Alexander, abbandonandosi contro lo schienale.
«GRAZIE PER L'APPLAUSO, GENTE! È STATO UN ONORE!» tuonò Gabriel con una serie di inchini, nel silenzio generale che era calato al termine della loro esibizione. «QUESTA ERA UN'ANTEPRIMA DEGLI IRON CHEESECAKES!» E gettò a terra il microfono, facendo riecheggiare uno stridio acuto. «Uuh, ops. Era ancora acceso».
Diedi un colpetto sulla nuca a Joel. «Mettila via o vai a fumare fuori. Seth sta arrivando».
«E allora?»
«È umano. Il fumo passivo gli fa male». E sto già facendo abbastanza fatica a farlo smettere con le sigarette.
Joel sghignazzò e si tirò in piedi, tenendo la canna tra le dita. «Se cerchi sottone sul dizionario, compare una tua gigantografia, fratello».
Con uno scatto gli lanciai addosso il posacenere, ma lo schivò facendomi l'occhiolino e si indirizzò verso l'uscita secondaria. Però non mi sarebbe dispiaciuto avere una mia gigantografia.
Seth crollò sulla sedia accanto a me. Aveva le guance rosse e le iridi nere che brillavano. «Come siamo andati?»
«Ci avete sentiti?» strepitò Gabriel, unendosi a noi.
Tirai un sospiro. «L'intero bar ha avuto questa sfortuna. Delle galline strozzate sarebbero state più intonate».
«Non siete andati così male». Remiel fece roteare il liquido azzurro nel suo bicchiere e lo sorseggiò. Le occhiate che allungava a Seth, i suoi battiti accelerati e il modo in cui la postura si era tesa di colpo mi misero in allerta. «Solo per me è strano che Callum sia uscito davvero con Rosalie?»
Mi asciugai la schiuma attorno alle labbra con un tovagliolo, avvicinando la sedia a quella di Seth. «Per me è strano che provi attrazione per un qualsiasi essere vivente, in realtà. Lo credevo asessuale».
Sky si lasciò sfuggire un sorriso. «Joel gli ha anche dato un preservativo, prima che se ne andasse. A Callum stava per venire un infarto».
«La straordinaria utilità del preservativo». Seth mi cinse le spalle con un braccio, rivolgendomi un'espressione eloquente. «Affascinante, eh?»
Roteai gli occhi.
Dopo aver vuotato il suo drink, Gabriel mise in bocca l'asticella dell'ombrellino. «Dite che devo cambiare il numero di fratelli vergini indicato nel blog?»
«E tu come cazzo sai chi di noi è vergine o meno?» Alexander alzò un indice per zittirlo. «No, lascia stare. Domanda stupida. Non esiste privacy in questa famiglia».
«Ci stavi provando con la mia ragazza, pezzo di merda?» sbraitò una voce rabbiosa, sovrastando la musica del karaoke.
«Non ci stavo provando, amico. Le facevo solo notare che è troppo sexy per stare con un carciofo come te».
Sollevai lo sguardo, attirato dagli schiamazzi. Uno scimmione tatuato sbatté Joel contro il muro con violenza e lo scosse per il colletto della giacca di pelle. «Ripetilo, stronzetto».
Lui esplose in una risata di scherno, senza nemmeno tentare di reagire. «Sei anche sordo?» Sorrise alla ragazza che li stava osservando sconvolta, poco distante. «Lo hai scelto proprio male, bellezza».
Quando li raggiunsi, l'idiota tatuato era già pronto a mollargli un pugno in faccia. «Ehi» lo chiamai. Prima ancora che potesse girarsi, gli piegai il polso fino a romperlo e lo spintonai. Lui emise un urlo sofferente e cercò di mettersi a carponi, ma gli piantai un ginocchio sulla schiena per inchiodarlo al pavimento. «Tocca di nuovo mio fratello e il prossimo osso che ti spezzo è quello del collo» ringhiai, mentre si dibatteva nella mia presa come un pesce all'amo.
Joel mi diede una pacca, gongolando. Sembrava piuttosto soddisfatto che fossi andato in suo soccorso, anzi sospettavo che non si fosse difeso apposta perché era certo che l'avrei fatto.
«Ragazzini» ci apostrofò il barman da dietro il bancone. «Se volete litigare, andate fuori. Qui non voglio rogne».
Lo ascoltai a malapena, lo stomaco che gorgogliava dalla fame. Tutta la mia attenzione era puntata sulla preda che continuava a dimenarsi sotto di me, imprecando e scalciando. Il gruppetto di suoi amici ci aveva circondati e mi intimavano di mollarlo. Li ignorai. Il sangue mi pulsava nelle orecchie e i canini premevano contro le gengive per uscire. Con la coda dell'occhio scorsi i miei fratelli che ci venivano incontro.
Seth mi posò una mano sulla spalla. «Nik, forza. Lascialo stare».
«Perché non cantiamo tutti insieme per stemperare l'atmosfera?» propose Gabriel, balzando su un tavolo. Alexander lo acciuffò per il retro del maglione e lo costrinse a scendere.
Sky si chinò su di me e mi mormorò all'orecchio: «Non qui dentro, Nik». Mi fece un cenno alle sue spalle.
Mi accorsi che Remiel tremava, i pugni serrati lungo i fianchi così forte da far sgorgare delle gocce di sangue. Ne fiutavo l'odore, insieme a quello della sua eccitazione. Se gli avessi fatto perdere il controllo, qualsiasi essere umano all'interno del locale sarebbe diventato uno spuntino. Personalmente non avrei disdegnato una cenetta in famiglia, ma non era ciò di cui aveva bisogno il mio santo fratellino.
Inoltre, c'era Seth con noi.
Mi alzai, permettendo all'idiota tatuato di sgusciare via dai suoi compagni. Joel protestò, ma accettò di seguirci fuori dal bar, anche se non prima di aver consegnato un biglietto alla ragazza. «Se vuoi una vera scopata, chiamami, tesoro» le ammiccò.
Ci appostammo attorno alla macchina e Sky incrociò le braccia sotto il seno, appoggiandosi al cofano. «Di sicuro verranno a vendicare il loro fragile orgoglio maschile. Ci facciamo seguire in un vicolo, li ammazziamo e ci sbarazziamo dei cadaveri. Erano in cinque, quindi uno di noi dovrà stare senza mangiare».
Seth aggrottò la fronte. «Non avevate deciso di lasciar perdere?»
«Solo perché non potevamo fare una strage in un bar». Sky si scrollò i capelli dal viso con un gesto noncurante. «Nessuno tocca uno della nostra famiglia e sopravvive».
Joel la strinse con un braccio, strofinandola il naso contro la guancia. «Lo sapevo che mi adori».
«Non esagerare. Semplicemente sono l'unica che può pestarti».
Sfoderai un sorrisetto orgoglioso. La mia sorellina non mi deludeva mai. «Sono in sei, con la fidanzata».
«Lei no. Aspettiamo che si separi da loro» tagliò corto Alexander.
«Non capisco questa selezione alimentare». Appena fece un minaccioso passo in avanti, ridacchiai e sollevai entrambe le mani. «Va bene, va bene. Non voglio rovinare il momentino a cuore aperto che c'è stato tra di noi».
Remiel abbassò il capo. «Non so se me la sento. Forse dovrei...»
Un moto di stizza mi assalì. «Il digiuno forzato non è la soluzione. Lo hai detto tu stesso che stavi per fare del male ad Arya, l'altro giorno». Lo afferrai per le spalle e lo obbligai a voltarsi. Tentai di ammorbidire il tono, con scarsi risultati. «Lasceremo quei cinque coglioni a te. A stomaco pieno, ti sentirai molto meglio e potrai rivedere l'angioletto senza rischiare di azzannarla. È un buon compromesso, ti pare?»
«Uffa, anch'io voglio...» Joel emise un gemito di dolore, quando Sky gli calpestò un piede. «Okay. Tutti tuoi. Io e Nik mangiamo i cuori, però».
Gabriel ciondolò avanti e indietro sui talloni, i riccioli che ballonzolavano al vento. Tossicchiò. «Posso giocare a rimontarli dopo che Remi li avrà fatti a pezzi?»
«Non...» Remiel esitò. Il suo pomo d'Adamo si mosse su e giù. «Non voglio che Arya lo sappia. E neanche Callum e Kath».
«Rimane tra di noi». Alexander ci scrutò a uno a uno. «Giusto?»
Annuimmo.
Dopo l'ultima spinta, uscì da me e il suo corpo sudato crollò sul mio. Le braccia e le gambe, già tremanti, mi cedettero e mi ritrovai disteso sul materasso, schiacciato sotto il suo peso. Ero esausto. Mi faceva male la mascella a furia di stringere i denti e un bruciore intenso mi invadeva la parte bassa della schiena. I miei muscoli tesi finalmente si rilassarono, sebbene fossi ancora scosso dagli spasmi.
I miei poteri stavano già attingendo alle ultime energie rimaste per guarirmi, ma avrei preferito che non lo facessero. Perché, quando il dolore fisico spariva, sentivo più che mai il cuore che sanguinava. E quello neanche la mia natura poteva guarirlo.
Lucius rotolò di lato, si stese su un fianco e mi attirò a sé con un braccio. Ero talmente piccolo ed esile rispetto a lui che mi sembrava di esserne inghiottito. Lo sentii sorridere, il suo alito che mi pizzicava la pelle sensibile del collo. «Non hai pianto» ansimò, dandomi un bacio sulla spalla. Puzzava d'alcol. «Ti avevo detto che sarebbe stato bello per entrambi, prima o poi».
Rimasi in silenzio. Mi rannicchiai nella sua presa, cercando di riprendere fiato. Per tutto il tempo, mentre mi strappava la pelle a ogni affondo, nella mia mente avevano riecheggiato i singhiozzi della mia sorellina. L'avevo sorpresa in lacrime, accucciata in un angolo della cella.
Aveva promesso di non toccarla mai.
Aveva promesso di non toccare nessuno di loro.
Invece l'aveva fatto, nonostante fossi sempre stato buono. Non mi ero mai opposto, neanche una volta. Quando mi chiedeva se volessi giocare a scacchi, i suoi scacchi speciali, avevo sempre risposto di sì. Ed era una domanda che mi faceva spesso. Da anni.
Speravo che, se lo avessi accontentato, sarebbe stato felice e forse gli sarei bastato io. Dovevo bastargli io. Non volevo che giocasse con i miei fratelli.
Mi girai e fissai il volto addormentato di Lucius. Deglutii. Sollevai la mano ed esercitai una lieve pressione sul suo petto scolpito. Emise un mugolio e si ribaltò sul dorso, un braccio ad arco sopra la testa. Rilasciai il respiro e mi trascinai giù dal letto. Il contatto con l'aria fredda mi fece rabbrividire, intanto che recuperavo i miei vestiti da terra e me li infilavo.
Poi mi avvicinai al tavolo con la scacchiera, afferrai la bottiglia che aveva bevuto durante la partita e la lasciai cadere. Lucius si agitò e schioccò le labbra, ma ormai sapevo che aveva il sonno pesante. Dormivamo insieme di continuo.
Mi chinai per raccogliere un pezzo di vetro, il più grosso, e tornai sul materasso. Non pensavo a niente, soltanto al pianto terrorizzato della mia sorellina. Scostai il lenzuolo che lo copriva, gli divaricai appena le gambe e mi inginocchiai nel mezzo come adorava vedermi.
Gli lanciai un'ultima occhiata e strinsi forte il frammento acuminato. Era il mio turno di giocare.
Quando uscii dalla camera, Lucius si stava contorcendo in una pozza di sangue. Urlava probabilmente, ma avevo le orecchie ovattate e lo udii a stento. Passando di fronte a uno specchio, intravidi il riflesso di un ragazzino biondo dallo sguardo vacuo. Ero io? Non ne ero nemmeno sicuro. Ma non importava.
Continuai a camminare e scesi le scale, l'estremità della mazza che rimbalzava contro ogni gradino. Non ricordavo di averla presa. Seguii l'odore che aleggiava nell'aria fino al salottino in cui si trovava mia madre. Stava intingendo una bustina in una tazza fumante.
Quando si accorse del mio arrivo, sgranò gli occhi. Blu, identici ai miei. «Zero» sussurrò sorpresa. Non credevo neanche che fosse possibile coglierla alla sprovvista. Lei che sapeva sempre tutto. Lei che impartiva sempre gli ordini.
«Ciao, mamma».
Ebbe a malapena il tempo di alzarsi. La raggiunsi con uno scatto e la colpii in testa con la mazza. Si accasciò e la colpii di nuovo. E ancora. E ancora. Non smisi finché il bastone di legno mi si spezzò nel pugno. Osservai incuriosito i rimasugli di cervello che sporgevano dal cranio sfondato e provai una fitta di delusione. Me lo aspettavo più grosso, era così intelligente.
Scavalcai il cadavere di mia madre e mi sedetti. Intinsi la bustina nell'acqua fino a che divenne viola, aggiunsi i granellini bianchi e mescolai. Non ero certo della ragione per cui lo stessi facendo. Era rilassante, però. Ne assaggiai un sorso e feci una smorfia. Il sapore era terribile.
Avvertii uno scalpiccio di passi e August fece irruzione. Era in vestaglia, ma già perfettamente lucido. Impugnava una pistola. «Viv, che cazzo...» La voce gli morì in gola.
Sorrisi. «Mancavi solo tu, papà».
☠︎☠︎︎☠︎︎
«Nik!»
Spalancai gli occhi. La camera era illuminata dalla televisione, accesa a un volume abbastanza alto da tenermi compagnia. Il viso di Kath galleggiava sopra il mio, i lineamenti corrucciati nell'espressione più grave che le avessi mai visto. Nonostante l'urgenza nella voce, il gesto con cui mi stava scuotendo la spalla per svegliarmi era così dolce che avrei finto di dormire ancora solo per farla continuare.
«Che c'è?» sbuffai, allungando un braccio per cercare Seth. Quando mi ritrovai a tastare il materasso freddo, increspai le sopracciglia e girai la testa. Non c'era nessuno. Una brutta sensazione mi pervase. «Che cazzo succede?»
«Vieni di sotto. Subito». Prima che potessi protestare, Kath aggiunse in tono serio: «Si tratta di Callum».
Lo spettro del mio incubo si dissipò dalla mente. Mi tirai a sedere di scatto e lanciai un'occhiata alla sveglia sul comodino. L'una di notte. Mentre mia sorella usciva dalla camera, mi alzai e cominciai a vestirmi in fretta e furia. Il cuore mi tuonava in gola a ogni battito. Non ero neanche sicuro che quella paura viscerale fosse un'emozione completamente mia, ma non avevo tempo per pensarci al momento.
Dopo aver sistemato la felpa, che nella foga avevo messo al contrario, andai nella sala comune e scesi di corsa in soggiorno. Kath mi fece un cenno e mi condusse fino all'ufficio di nostra madre, per poi richiudere la porta dietro di me. Rimasi sorpreso nel notare che c'era anche un ragazzino minuto, con folti capelli castani sparati in tutte le direzioni.
Mi salutò con un cenno intimorito, continuando a picchiettare sulla tastiera del pc. «Salve. Piacere, Will. Tu devi essere un altro dei De'Ath. Cioè, so che è ovvio che sei un De'Ath. Sono a casa vostra. Intendo che sei quel De'Ath, capito? Quello un po'...» Mimò con le mani l'atto di graffiare l'aria all'impazzata, facendo dei versi raschianti.
Sprofondai nella poltrona, accigliato. Avevo sentito parlare di Will Greene già da quando ero prigioniero di Ronald Bailey, ma non ricordavo di averlo mai incontrato. Non lo immaginavo così idiota. «Come sarei, scusa?» chiesi indispettito.
Lui fece una risatina nervosa. «Ma no, niente. È che dicono che sei... ehm, vivace. E pazzo. E con un brutto carattere. E adesso dovrei starmene zitto, ma non ci riesco, perché sono in ansia». Deglutì. «Non mi ucciderai, vero?»
«Ci sto pensando. Perché tra l'elenco dei pregi per cui sono famoso, non hai menzionato il mio fascino?»
«Per favore, Nik» mi rimproverò Kath. Tolse il telo che copriva un'enorme lavagna addossata al muro. Era occupata da uno schema realizzato nell'ordine maniacale di Callum: grafia impeccabile, con le parole allineate e le lettere delle stesse dimensioni, freccette dritte e ordinate e pennarelli di colori diversi secondo chissà quale criterio logico.
Lo indicai. «Dobbiamo seriamente trovare un hobby a Sherlock Holmes».
«Hai presente il tuo piano di sfruttare le taglie su di noi e fare da esca per arrivare a Uranus?»
Un brivido gelido mi artigliò la schiena, facendomi drizzare di scatto. «Quello che nostro fratello ha bocciato categoricamente? Sì, certo» replicai sarcastico.
Kath abbozzò un sorriso tirato. «È ciò che ha fatto Callum».
Mi alzai con un balzo. Will sussultò e sollevò lo sguardo dal monitor, impallidito. Lo ignorai, gli occhi puntati su mia sorella. «Stai scherzando? Era troppo pericoloso fare da esca per me, ma per lui no? Perché diavolo non l'hai fermato?»
«Siediti e ascolta». Kath inarcò un sopracciglio. Rimasi immobile, percorso da fremiti di rabbia, poi scivolai di nuovo sulla poltrona. Ero ritto come una statua, gli artigli affondati nel tessuto dei braccioli. «Callum ha capito chi è la spia e lo ha sfruttato a suo vantaggio per attirare Uranus in una trappola. Ha utilizzato una pozione...»
«Avevo ragione, allora. Sono pozioni» commentò Will allegro.
Emisi un ringhio. «Zitto o ti strappo la lingua». Provai un moto di soddisfazione nel vedergli perdere il poco colorito rimasto.
«Ha usato una pozione di nostra madre, una sorta di fuoco greco, per uccidere il maggior numero possibile degli uomini di Uranus. Si è poi fatto catturare in maniera tale da scoprire l'ubicazione del suo quartier generale, così noi potremo distruggere ciò che resta del suo esercito già indebolito» riprese Kath, incrociando le braccia sul petto. «Io e Will gli abbiamo iniettato un microchip sottocutaneo che ci permette di localizzarlo. È quello che stiamo facendo proprio adesso».
Will storse il naso, le dita che pigiavano sui tasti. «Già. Peccato che la connessione in questo castello faccia schifo. Questa è l'unica stanza in cui il segnale è decente».
Non riuscivo più a stare fermo. Cominciai a camminare per l'ufficio a grandi passi, sferrai un pugno a una delle specchiere e ne scagliai un'altra sul pavimento. Un frastuono di vetri infranti rimbombò nell'aria, sovrastato dal rumore del temporale che infuriava di fuori.
Perché Callum non si era fidato di me?
Per quale motivo aveva voluto a tutti i costi fare il martire solitario del cazzo?
«Nik, non te lo ha detto prima perché sapeva che avresti insistito per essere tu l'esca. Non te lo avrebbe mai lasciato fare. Inoltre...» Kath esitò, esalando un respiro profondo. «Uranus è nostro padre. Vuole vendicarsi di te, di ciò che hai fatto alla mamma. Sei tu quello che vuole morto più di tutti, per questo la tua taglia era più alta».
Mi congelai sul posto. Ero stato talmente concentrato su Lucius che non avevo nemmeno preso in considerazione l'ipotesi che nostro padre potesse essere evaso dalla prigione per schizzati in cui avrebbe dovuto marcire. Era finito lì dentro per merito mio.
Dopo avermi trovato in soggiorno, August aveva allertato le guardie. Ce n'erano poche di ronda al castello, di notte, dato che eravamo sempre stati docili e obbedienti. Ricordavo di averle uccise tutte in qualche modo, ma lui era riuscito a scappare.
Ero ormai allo stremo delle forze e non riuscivo a inseguirlo, quindi avevo cercato di fermarlo con la telepatia. In seguito, avevo scoperto che lo avevo fatto uscire di senno ed era stato rinchiuso in manicomio con false accuse. Evidentemente doveva essersi ripreso.
Forse era meglio profanare la tomba di nostra madre e verificare che fosse ancora lì.
«Callum l'avrebbe fatto comunque, con o senza il mio aiuto. Non potevo impedirglielo, e non sarebbe stato giusto farlo». Kath ridusse la distanza tra di noi e i suoi occhi grigi si incatenarono ai miei. Erano lucidi. «Non hai idea di quanto abbia sofferto in quegli anni senza di te, Nicholas. Io sì, l'ho visto. L'ho visto chiudersi in sé stesso e distruggersi da solo, giorno dopo giorno».
"Non voglio perderlo" avrei voluto dire. "Non posso". Invece mi limitai a stringermi nelle spalle.
Kath parve intuire i miei pensieri. «Neanch'io, e non succederà. Ma dovevo lasciarglielo fare». Mi sfiorò la guancia in una carezza, facendomi quasi trasalire. Era piacevole. Mi chiesi se il tocco di una vera mamma facesse quell'effetto. «Se morisse lui, perderei un fratello. Se morissi tu, vi perderei entrambi».
Socchiusi le palpebre per un attimo, poi mi ritrassi. «L'unico a morire stanotte sarà nostro padre». Mi spostai davanti allo schema sulla lavagna e lo analizzai. Aggrottai la fronte. «Perché c'è il nome di Seth?» Nessuna risposta. Mi girai verso di lei. «Era coinvolto nel piano? Dov'è?»
«Non so dove sia. Deve essere uscito quando sono andata da Will» replicò con cautela, scansandosi il ciuffo ramato dal viso. «Ma posso immaginare perché se ne sia andato proprio stanotte».
Mi conficcai gli artigli nella carne del palmo. Il cuore prese a galopparmi nel petto. «Cosa significa?»
«È lui la spia, Nik. Ci ha traditi».
Crack.
Nell'istante stesso in cui pronunciò quelle parole, qualcosa si spezzò dentro di me. Buffo, perché ero convinto che non fosse rimasto più niente da poter rompere. Le gambe tremolarono e dovetti sorreggermi alla libreria per non cadere. Scorsi il mio riflesso pallido in una delle specchiere.
Scossi la testa. «Ridicolo. Non lo farebbe mai» mi sentii dire con voce atona. Non Seth. Non il mio Seth. «Non farebbe mai nulla contro di me».
Lo sguardo di Kath si intenerì. Cercò di prendermi la mano, ma indietreggiai. Non volevo la sua compassione. «Lo ha già fatto una volta, Nik. Più di sei anni fa, poco prima che tu e lui lasciaste Notturn Hall, Seth ha incontrato per caso Thomas Stone. Era tornato in città, forse per il funerale di Charles Black. Non sono certa che sapesse quanto fosse importante per te trovarlo, ma so che non ti ha detto nulla. Lo ha lasciato andare e basta. È per questo che Callum lo ha ricattato per mandarlo via, quando ci siamo stabiliti a New York».
Il sangue mi si gelò nelle vene. I muscoli del collo mi dolevano, ma non riuscivo a smettere di agitare il capo a destra e a sinistra. Ripensai a Seth che mi liberava dalla gabbia, giurandomi che non mi avrebbe mai fatto del male. A Seth che mi prometteva di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia. Era stato l'unico che mi aveva sempre trattato da essere umano, pur sapendo che ero un mostro. Grazie a lui, avevo iniziato a credere che forse potevo meritare un po' di affetto. Non tanto, solo un po'.
Io mi fido di te, tu ti fidi di me.
Che idiota ero stato. Avrei dovuto capire che non mi amava. Nessuno poteva farlo. Non c'era nulla da amare in me.
«Trovato!» strillò Will, saltando dalla sedia. Ci rivolse un cipiglio interdetto. «C'è della tensione inquietante. Mi sono perso qualcosa? Quando lavoro, mi capita di estraniarmi e non...»
Lo raggiunsi con uno scatto e lo scansai, scaraventandolo a terra. Controllai sullo schermo del portatile, memorizzai la posizione indicata e sfrecciai fuori dall'ufficio. Kath mi venne dietro, gridandomi che non potevo andare da solo, ma non era abbastanza veloce per inseguirmi.
In un baleno attraversai il soggiorno, spalancai il portone con veemenza e mi allontanai di corsa dal castello. I lampi squarciavano il cielo nero della notte. Ero talmente rapido che avvertivo a malapena il contatto delle scarpe col terreno fangoso, in compenso però la pioggia mi accecava e il vento mi fischiava nelle orecchie.
Deviai per il cimitero e mi fermai a riprendere fiato. Non ero stanco, eppure facevo fatica a respirare e delle fitte atroci mi trafiggevano il petto. Il cuore mi sbatteva contro le costole, così forte che temetti che le avrebbe spaccate.
Cacciai un urlo, colpii una lapide con un pugno e crollai in ginocchio. Tremavo come una foglia, malgrado non potessi percepire il freddo. Mi infilai le mani nei capelli e tirai, boccheggiando in cerca di ossigeno.
Perché fa così male? Perché fa tutto così male?
«Che cosa ti aspettavi, Zero?» Lucius si materializzò di fronte a me e si piegò per portare il viso alla mia altezza. La sua voce era calda, dolce. «Guardati. Sei bellissimo, ma nessun guscio può nascondere il marciume che hai dentro. Pensavi davvero che potesse tenere a te? Che non si sarebbe accorto dell'abominio che sei?» Inclinò il capo di lato, sorridendo. «Alle cavie non si dà amore, Zero».
Mi abbandonai con la fronte sulla sua spalla, scosso dai singhiozzi. Aveva ragione, l'avevo sempre saputo. Non avevo niente di buono, niente di bello, niente da offrire.
Ma a Seth non era mai importato. Era colpa mia. Forse ce l'aveva ancora con me per la gravidanza, oppure dovevo aver fatto qualcosa di sbagliato senza accorgermene. O, più semplicemente, ero io a essere sbagliato.
«Mi vuole bene» ansimai.
«Ti ha usato finché ha voluto, come ho fatto io. Ti voleva tutto per sé, proprio come me. Eri il suo cagnolino obbediente, come eri il mio. Ora ci sono anche i tuoi fratelli e si è stancato». Lucius mi depositò un bacio tra i capelli fradici. «Ti avevo avvertito, Zero: o tu lo ucciderai, o lui ti tradirà. Non esistono alternative per i mostri come te».
Scossi la testa e indietreggiai fino ad appiattirmi contro il tronco di un albero. Lo fissai attraverso le ciglia bagnate. Le gocce d'acqua gli rigavano il volto, segnato da qualche ruga ai lati degli occhi scuri, e la maglietta gli aderiva al fisico robusto. «C-che cosa vuoi?»
«Fare ciò che ho sempre fatto: aiutarti». Lucius si alzò e mi tese la mano. «Dunque, continui a piangerti addosso o vai a salvare tuo fratello?»
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