𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 39 (Arya)

“ℌ𝔬𝔴 𝔪𝔞𝔫𝔶 𝔰𝔠𝔞𝔯𝔰 𝔡𝔦𝔡 𝔶𝔬𝔲
𝔧𝔲𝔰𝔱𝔦𝔣𝔶, 𝔟𝔢𝔠𝔞𝔲𝔰𝔢 𝔶𝔬𝔲 𝔩𝔬𝔳𝔢
𝔭𝔢𝔯𝔰𝔬𝔫 𝔥𝔬𝔩𝔡𝔦𝔫𝔤 𝔱𝔥𝔢 𝔨𝔫𝔦𝔣𝔢?”

꧁꧂

Annegavo.

I polmoni mi bruciavano, l'acqua mi riempiva la bocca mentre gridavo senza voce. Anelli di metallo mi serravano i polsi fino a bloccarmi la circolazione, resistendo a ogni strattone disperato con cui cercavo di dimenarmi. Le mie braccia erano sottili, il mio corpo esile come quello di un bambino.

Il cuore sbatteva dolorosamente contro le costole, prigioniero della cassa toracica quanto io lo ero della mia stessa vita. Non voleva lasciarmi andare, nonostante fossi ormai allo stremo delle forze. La mia mente gridava, implorava una fine che si rifiutava di arrivare. Precipitavo in un baratro senza fine e, nell'istante in cui stavo per toccare la libertà, la caduta ricominciava in un'eterna agonia.

Poi l'immagine si mescolò e dall'intruglio di colori, suoni e sensazioni se ne formò una nuova.

Adesso era un ragazzo a gridare. Le sue urla disperate frantumavano il silenzio della notte, rimbombando nella radura. Una creatura gli stava dilaniando la gola, il sangue che gli colava sul mento e sui vestiti. Quando si voltò, rimasi stupita nel vedere che era bellissimo. Uno stupendo demone biondo con lunghi artigli affilati alle dita e un ghigno ornato da canini sporgenti, gli occhi blu che brillavano di sadica eccitazione.

Un angelo portatore di morte.

La mia mente si offuscò, il buio mi avvolse. Quando riemersi dal mare di tenebre, ero tra le braccia di Nicholas. Avrei dovuto avere paura, eppure qualcosa mi diceva che ero al sicuro con lui. Che non mi, anzi non ci avrebbe fatto del male. Ondate di calore irradiavano dal mio ventre ed ebbi l'assurda sensazione di percepire un potere arcano che fluiva dal mio corpo al suo, donandogli sollievo.

Forse non eravamo così diversi.

☠︎︎☠︎︎☠︎︎

Per la seconda volta, aprii gli occhi su un soffitto in legno scuro.

Avevo le palpebre pesanti e una forte emicrania mi martellava il cervello. Deglutii, accorgendomi di avere la gola secca. Ci misi qualche secondo a mettere a fuoco le dieci sagome che si assiepavano attorno al letto su cui ero distesa. Mi paralizzai.

I De'Ath, più Seth, mi stavano fissando. Sarebbe stata una cosa meno inquietante, se non mi fossero sembrati dei falchi pronti ad avventarsi sulla loro preda.

Kath mi mostrò un ampio sorriso. «Ciao, tesoro».

Alexander fece per muoversi, ma Remiel lo superò e si accasciò accanto a me sul bordo del materasso. «Come ti senti?»

Callum azzardò un passo avanti. «Hai bisogno di qualcosa?»

«Un bicchiere d'acqua?» propose Isaac.

«Una birra?» rincarò Joel.

Seth scosse il capo. «È incinta. Non può bere alcolici».

«Rotelle di liquirizia? Dovrebbero essermene avanzate un po'». Non poteva mancare Gabriel.

Mi ritrassi, schiacciandomi contro la montagna di morbidi cuscini disseminati attorno a me. «Ossigeno».

«Dovremmo avere una bombola» commentò Seth. Aveva la faccia tumefatta da lividi violacei e dei taglietti coperti dai cerotti.

Joel schizzò come una molla. «Dove? Vado a prenderla».

«Intende che la state soffocando, banda di idioti». Sky allontanò a uno a uno i suoi fratelli, concedendomi un po' di spazio vitale.

Le rivolsi un fragile sorriso di gratitudine e mi tirai a sedere. Nonostante il mio movimento fosse stato cauto, una fitta mi trapassò le tempie ed emisi un gemito sommesso. I De'Ath trasalirono in perfetta sincronia. Somigliavano a dei bambini che avevano ricevuto il loro primo giocattolo ed erano terrorizzati dall'idea di poterlo rompere.

Mi appoggiai di schiena al muro e incontrai lo sguardo di Nicholas, immobile di fronte al letto. La sua carnagione, più pallida del solito, era messa in risalto dalla maglietta bianca e dalle guance arrossate. Malgrado l'aspetto malaticcio, però, non esitò a sfoderare un ghigno sfrontato.

«Buongiorno, angioletto».

Indicai il suo braccio destro, fasciato dal polso fino al gomito. «Che hai fatto?»

«Sono stato il tuo eroe, tesoro. Non c'è di che».

«Ho contribuito anch'io» puntualizzò Seth.

Nicholas corrugò la fronte. «Il tuo unico ruolo nella faccenda è stato farti pestare».

Seth gonfiò il petto, impettito. «Appunto. Mica mi faccio pestare per chiunque».

I raggi del sole mi trafiggevano come lame roventi e dovetti strizzare increspare le sopracciglia, mentre tentavo di scrollarmi di dosso l'intontimento del sonno. Frastornata, guardai in basso. Indossavo ancora l'abito nero che avevo messo per l'appuntamento, ma era sporco di terra e aveva uno strappo profondo alla scollatura che scopriva il reggiseno. Apprezzai che non mi avessero spogliata.

«Perché sono a casa vostra?» sussurrai in tono rauco.

Alexander si posizionò davanti alla finestra, schermandomi il viso dalla luce. «Non ti ricordi cos'è successo ieri sera?»

Remiel intrecciò le dita alle mie, ma d'istinto mi sottrassi al suo tocco. Ricordavo. Ricordavo, eccome. Probabilmente più di quanto avrebbero voluto, a giudicare dalle loro espressioni.

Tuttavia, in quel momento riuscivo a pensare soltanto a Josh. Avevo smesso di provare sentimenti nei suoi confronti da tempo, ma prima di essere il mio ragazzo era stato mio amico. E anche quando mi ero resa conto che la nostra relazione era tossica, che mi stava isolando dalle persone che amavo, che mi urlava contro per ogni minima cosa, che era geloso e possessivo, una parte di me non aveva cessato di volergli bene. Non del tutto.

Era la ragione per cui non avevo voluto metterlo nei guai a scuola per la rissa, il motivo che mi aveva impedito di dire a mia madre o a John di quanto fosse ancora ossessionato da me, nonostante ci fossimo lasciati.

Non lo credevo capace di arrivare a tanto. Ero stata una stupida. Avrei dovuto denunciarlo già dal giorno in cui aveva picchiato Ethan, che mi aveva difesa dopo averlo beccato a darmi uno schiaffo. Solo allora avevo trovato il coraggio di finirla tra di noi.

«Arya, tutto okay?» mi ridestò Remiel allarmato.

Mi sfiorai il lato del collo, avvertendo sotto il polpastrello il piccolo foro lasciato dall'ago. «Dovrei essere in ospedale, non qui».

Callum scosse il capo. «No, niente ospedale. Non quello di Notturn Hall almeno, e se ci vai non farti accompagnare da nessuno di noi. Non possiamo rischiare che altri scoprano del bambino».

Provai un moto di stizza. Ero stata rapita e drogata, era un miracolo se non l'avevo perso, e la loro priorità era nascondere la gravidanza? «Vi comportate come se fosse un segreto di Stato».

«È per il bene di entrambi» intervenne Alexander, scoccandomi un'occhiata eloquente. Se era stato sincero con me, nessun altro della famiglia sapeva che ero a conoscenza dell'Olympus e della misteriosa mutazione genetica dei De'Ath.

«Non me ne frega un cazzo. Che lo vogliate o meno, oggi andrò a fare dei controlli. Non mi importa in quale ospedale».

Seth sgranò gli occhi. Joel emise un verso sarcastico e diede una gomitata a Nicholas. «Stai proprio avendo una cattiva influenza su di lei».

«Me ne prenderei il merito, ma aveva anche prima un caratterino isterico...»

Afferrai uno dei cuscini e glielo scagliai in faccia con le poche energie che avevo in corpo. Sbagliai mira e colpii Gabriel, che spiccò un saltello entusiasta. «BATTAGLIA DI CUSCINI!» strillò a squarciagola.

In un baleno scoppiò il putiferio. Joel, Gabriel e Seth balzarono sul letto e cominciarono a picchiare me e Remiel con i cuscini. Alexander cercò di fermarli, ma si ritrovò tirato giù in mezzo alle lenzuola. Kath stava ridendo a crepapelle, mentre Callum sembrava rassegnato.

Sollevai un braccio indolenzito per ripararmi, finché scorsi il ghigno canzonatorio di Nicholas e non riuscii a resistere alla tentazione di fare un secondo tentativo. Lo intercettò al volo con una mano e mi fece l'occhiolino.

Sky gli si avvicinò di soppiatto e gliene sbatté uno sulla nuca così forte da spargere piume ovunque, dopodiché lo spinse sul materasso. Lui imprecò e tentò di rialzarsi, ma la sorella lo tenne inchiodato e continuò ad accanirsi su di lui.

«Dai, smettetela di fare i cretini!» si lamentò Remiel, che era attaccato su due fronti da Gabriel e da Seth.

Joel afferrò Isaac per il polso e lo trascinò nella mischia. Il ragazzo quasi mi cadde addosso, così dovetti scostarmi per non essere travolta e finii per scontrarmi contro il petto di Alexander.

Non avevo notato che fosse disteso al mio fianco. Mi fissò per un secondo con le sue iridi cristalline, puntellato su un gomito. Prima che potesse parlare, gli gettai un cuscino sul viso e non trattenni una risatina di fronte alla sua reazione perplessa.

L'angolo della sua bocca si piegò all'insù. «Stupida» bofonchiò, rilanciandomelo indietro.

Il mio stomaco gorgogliò per la fame. Nella confusione dubitavo che qualcuno avrebbe potuto sentirlo, invece Kath batté subito le mani per riportare l'ordine e ordinò categorica: «D'accordo, ragazzi. Adesso però Arya deve cambiarsi e fare colazione».

Callum fece un cenno verso l'uscita. «Tutti fuori». Adocchiò Joel, che pareva in procinto di scagliare un cuscino nella sua direzione, e inarcò un sopracciglio. «Subito».

Nicholas si dileguò per primo, impaziente di mettere tra di noi una certa distanza. Di malavoglia il resto dei De'Ath e Seth lo seguirono, sgombrando la camera. Remiel era il più riluttante, ma alla fine richiuse la porta.

Nell'istante in cui rimasi da sola, buttai i piedi a terra e rabbrividii al contatto con il pavimento freddo attraverso i collant. Controllai i dintorni, senza trovare traccia della mia borsa. Venni assalita dal forte impulso di scappare dalla finestra, ma mi costrinsi a ragionare a mente lucida.

Non potevo essere sicura riguardo a ciò che era successo nel bosco, a quello che credevo di aver visto. Ero stordita, sotto l'effetto di chissà quali stupefacenti. Potevo aver immaginato tutto. Inoltre non avevo nessun mezzo di trasporto né le forze sufficienti per camminare fino a Notturn Hall.

"E soprattutto non te ne vuoi andare".

Quella consapevolezza mi colse alla sprovvista. Perché era vero. A discapito di tutto, sapevo di non essere in pericolo. I De'Ath mi avevano salvata e, se avessero avuto cattive intenzioni, non avrebbero avuto un atteggiamento così protettivo nei miei confronti. O giocato alla lotta di cuscini con me.

Qualcuno bussò. Ero talmente assorta nei miei pensieri che sussultai, facendo una smorfia per il dolore al cranio.

Prima che la invitassi, Sky entrò con una pila di vestiti tra le braccia e la riversò sul letto con un gesto pigro. «Io e te dovremmo portare all'incirca la stessa taglia. Scegli le cose che ti piacciono di più».

«Oh, ehm, grazie».

Lei si fermò sull'uscio con l'indice appeso alla maniglia. «A Remi dispiace molto». Non aggiunse altro, ma non era necessario. Era facile intuire a cosa si riferisse.

Mi accigliai. «Non è colpa sua se sono una calamita per psicopatici egomaniaci».

«Benvenuta in famiglia» replicò con un sorrisetto, prima di lasciare la stanza. Aveva decisamente le maniere di Nicholas.

Andai a farmi una doccia veloce. Pur non avendo segni sul corpo, l'acqua che mi scivolava sulla pelle mi aiutò a liberarmi degli spettri delle mani robuste che mi ghermivano, del senso d'impotenza che ancora mi attanagliava. Non poteva scacciare tuttavia le grida atroci che mi risuonavano nelle orecchie o il volto distorto e feroce ormai impresso a fuoco nella mia memoria.

Infilai un accappatoio ed esaminai il mio profilo davanti allo specchio. Era diventata un'abitudine, malgrado fosse troppo presto per qualsiasi cambiamento. Mi posai una mano sulla pancia. Avevo l'irrazionale certezza che il mio bambino fosse in perfetta salute, anzi – per quanto assurdo – sospettavo addirittura che fossi viva e incolume per merito suo.

Sospirai. Probabilmente stavo impazzendo anch'io.

Dopo aver rovistato tra gli indumenti fornitomi da Sky, optai per mettermi un cardigan di lana e dei jeans larghi. Non era il mio stile, ma avevo un bisogno impellente di stare coperta. L'idea di ciò che Josh avrebbe potuto farmi, se ne avesse avuto il tempo, mi faceva venire la nausea.

Allacciate le scarpe, uscii in corridoio e mi indirizzai verso il soggiorno. L'allegra combriccola stava facendo colazione attorno al tavolo. L'atmosfera era caotica e affollata, dominata da una cacofonia di voci e rumori che si mescolavano.

Nicholas era al centro dell'attenzione. Si era tolto la fasciatura striata di sangue nero, sotto gli sguardi rapiti dei suoi fratelli. Joel e Gabriel gli stavano tastando incuriositi la crosta gonfia e rossa che gli attraversava l'avambraccio, mentre Seth si accingeva a preparare una nuova garza.

«Non serve» tagliò corto Alexander, studiando corrucciato la ferita. «Tutto sommato, è guarita bene».

Nicholas storse il naso. «Guarita bene un cazzo. La rigenerazione mi ha prosciugato e dovrò sopportare questa oscenità per il resto della vita».

«Migliorerà. Deve ancora finire di rimarginarsi». Isaac gli fece un sorriso incoraggiante e mordicchiò un biscotto. «Però sì. Penso che resterà una cicatrice».

«A forma di sorriso» concordò Gabriel.

Sky ridacchiò. «Per un musone come te è appropriata».

Nicholas li fulminò. «Sono stato deturpato. Potreste mostrare un minimo di solidarietà».

Joel gli cinse le spalle in una stretta affettuosa. «Per citare Gabe, guarda il lato positivo: non hai dovuto mettere i punti».

«Nessuno mi sfiorerà mai più con un ago».

Seth rabbrividì. «Grazie al cielo, perché stavo per svenire al solo pensiero».

Presi un respiro profondo e mi avvicinai, prendendo posto vicino a Remiel. Lui allungò il braccio, ma si arrestò a metà del gesto con fare incerto. Gli sorrisi e lo presi per mano. Non avrei mai dovuto respingerlo, di sicuro lo aveva interpretato come una conferma che lo ritenessi responsabile di ciò che mi era accaduto al cinema.

«Arya». Callum si sedette a capotavola con una tazzina fumante di caffè e iniziò a sorseggiarlo. Non mi sorprendeva che gli piacesse amaro come il veleno. «Adesso che ti sei ripresa un po', vorrei farti alcune domande».

«Se non è un problema per te» lo ammonì Kath, porgendomi un vassoio di muffin appena sfornati.

Declinai con gentilezza l'offerta, ma un lampo di delusione le guizzò sul volto e ne pescai uno per accontentarla. Non avevo fame, in realtà. Avrei preferito una bevanda calda con cui sciogliere il nodo che mi serrava lo stomaco, ma era impossibile opporsi alla dolcezza della sorella maggiore dei De'Ath.

«Nessun problema».

Nicholas si alzò. «Faccio del tè. Tanto conosco già la storia».

Lo fissai interdetta. Giunsi alla conclusione che dovesse essere una coincidenza, in fondo già mi era stato raccontato della sua bizzarra passione per la preparazione di infusi e tisane. «Non serve. Posso farmelo...»

«Chi ha mai detto che è per te?» protestò Nicholas indignato, sparendo in cucina.

Joel si scompigliò i capelli biondi. «Nik ha un disturbo ossessivo compulsivo. Ormai siamo composti per il novanta percento da tè, anziché acqua».

«Non vi siete mai chiesti perché siamo pieni d'acqua, ma non affoghiamo?» commentò Gabriel, sgranocchiando i cereali.

Seth concordò con un cenno. «O perché perdiamo sangue e non acqua».

«Un altro dubbio esistenziale».

Callum li folgorò entrambi con un'occhiataccia, poi si rivolse a me. «Che cosa ti ricordi?»

Il silenziò che piombò nel salotto mi riempì d'inquietudine. Gli occhi erano puntati su di me, in trepidante attesa del verdetto. Sembrava che stessero trattenendo il fiato. Per temporeggiare strappai un pezzetto del muffin. Lo feci con cautela, perché avevo già sperimentato dei biscotti cucinati da Kath, duri come sassi, e non volevo correre il pericolo di scheggiarmi un dente. Invece era soffice e spumoso, le gocce di cioccolata che si scioglievano sulla lingua.

«Josh mi aspettava fuori dai bagni del cinema. In qualche modo, sapeva che ero incinta e chi fosse il padre. L'ho affrontato, ma dei suoi amici mi hanno aggredita e caricata su un furgone. Mi hanno portata nel bosco, credo». Mi massaggiai le tempie, le palpebre socchiuse. «Da quel momento è tutto molto confuso».

Remiel inclinò il capo di lato. «Nient'altro? Ne sei sicura?»

«Se ha detto di no, è no. Smettetela di pressarla» sbuffò Alexander. Era afflosciato contro lo schienale della sedia, la caviglia sinistra appoggiata sul ginocchio opposto e le mani incrociate dietro la nuca.

Callum scansò la tazzina vuota. Il muffin che gli aveva rifilato a forza la sua gemella era ancora intonso. «In quanti sono a conoscenza della gravidanza?» chiese in tono austero.

«Solo voi, Ethan e i miei amici».
«Uno di loro potrebbe...»

Mi raddrizzai, offesa da quell'insinuazione. «No, non lo farebbero mai. Hanno promesso di mantenere il segreto. Non ne parlerebbero nemmeno con mia madre, figuriamoci con Josh». Un pensiero mi investì con un sussulto e l'ennesima pugnalata mi si riverberò nel cranio. «Mia madre, cazzo! Sarà preoccupatissima!»

«Ce ne siamo occupati noi, tranquilla». Sky si studiò le unghie smaltate di un rosa perlescente. «Abbiamo mandato un messaggio al tuo bel fratello ispanico per avvisarlo che avresti dormito da noi».

Remiel arrossì. «Avreste potuto inventarvi una giustificazione meno... equivoca».

Non aveva torto. Probabilmente ora Ethan era convinto che fossi arrivata a quota due De'Ath portati a letto nell'arco di un mese e mezzo. «Aspettate. Quindi avete usato il mio telefono?»

Joel sogghignò. «Dovresti seriamente mettere un sistema di blocco, principessina».

«Ci ho provato, ma mi scordo sempre le password». Contrassi la mascella. «E credevo che aveste un maggior rispetto della privacy altrui».

«Non sanno neppure che cosa sia. Parola mia» esclamò Seth rassegnato.

Il viso di Gabriel si illuminò. «A proposito, ne ho approfittato per aggiungerlo al gruppo di famiglia. È stato contento di ottenere il numero di Sky senza doverlo chiedere a sua insaputa».

Nicholas ritornò in soggiorno e depositò la teiera fumante al centro del tavolo. «Curcuma e limone» annunciò orgoglioso. Spostò il peso da una gamba all'altra, sbirciandomi di traverso per un secondo.

Mi allungai per afferrare la teiera e mi riempii una tazza. Lo assaggiai. Aveva un sapore acidulo, con un retrogusto dolce. «Buono. Si vede che hai fatto pratica».

Nicholas sembrò stupito per il complimento, ma si limitò a stringersi nelle spalle. Lo scintillio che si accese nei suoi occhi blu, però, era in contrasto con la sua ostentata indifferenza. Era ovvio che gli avesse fatto piacere.

Callum si grattò la corta barba che gli ombreggiava il mento. Aveva un'espressione dubbiosa, una ruga che gli solcava la fronte mentre rifletteva. «Chi sapeva che sareste andati al cinema?»

«Nessuno, esclusi i presenti. Puoi smettere di farle l'interrogatorio?» sbottò Remiel nervoso. Mi accarezzò il dorso della mano con il pollice e si sporse per sussurrarmi all'orecchio: «Ti va di parlare da soli?»

Feci un cenno d'assenso. Divorai il resto del mio muffin, tra un sorso e l'altro di tè, e mi congratulai con Kath. Fu talmente entusiasta che me ne impacchettò persino alcuni da portare via, quando sarei tornata in città.

Remiel mi porse il giubbotto e mi accompagnò fuori dal castello. Ci incamminammo insieme verso il lago, i nostri gomiti che si sfioravano. Il sole intesseva ragnatele di filamenti dorati sulla sua superficie limpida, increspata da una fredda brezza invernale che faceva oscillare la barchetta ormeggiata al molo.

Per quanto mi sforzassi di restare concentrata sul presente, non riuscivo a levarmi dalla testa l'immagine di Nicholas grondante di sangue. Le zanne e gli artigli, le iridi che ardevano vivide nel buio, il cadavere dalla gola dilaniata ai suoi piedi. Non poteva essere tutto frutto di un mio delirio, non avevo così tanta fantasia, eppure non trovavo altre spiegazioni logiche.

"Che siete pazzi e perseguitati da un'antica maledizione? Non credo a quelle stupidaggini"

"Forse dovresti"

«Arya? Tutto bene?» La voce premurosa di Remiel mi riscosse.

Annuii. «Mi sono resa conto di aver perso il tuo braccialetto» ammisi, toccandomi il polso.

Le sue labbra si piegarono in un sorriso. «Non importa. Posso sempre rifartelo».

«Sky mi ha detto che ti senti in colpa per quello che è successo al cinema».

«Proprio vero che nessuno si fa gli affari propri in questa famiglia» sospirò lui amareggiato.

Feci una risatina. Lo presi per il braccio e lo obbligai a fermarsi, mentre costeggiavamo la riva. «Remi, non è compito tuo proteggermi. Voglio che tu sia il mio ragazzo, non il mio cavaliere in armatura scintillante».

«Non potrei esserlo neanche volendo». Remiel ficcò le mani in tasca, il maglione grigio che frustava l'aria mosso dal vento. Abbassò lo sguardo. «Mi dispiace non essere stato lì per te».

«Ci sei ora, no?»

Sollevò il capo e incatenò i suoi occhi ai miei. Erano di un verde lucido, splendenti come lo specchio d'acqua a pochi metri da noi. «Non vado da nessuna parte». Mi posò i palmi sui fianchi e i miei muscoli si tesero di riflesso, ma mi ripetei che non avevo nulla da temere. Non da lui. «Vuoi davvero che io sia il tuo ragazzo?»

Il cuore mi si contorse nel petto. «Sì».

«Anche se sono un De'Ath?»

Esitai. L'eco di un ringhio, ferino e disumano, rimbombò dai meandri dei miei ricordi sepolti di quella notte. Anziché raggelarmi, quel verso era stato rassicurante, come poteva esserlo l'ululato di un lupo che riconoscevi appartenere al tuo stesso branco. «Sì» sibilai infine.

In cosa diavolo mi sto cacciando? Perché non ne sono terrorizzata?

Un sorriso timido gli si dipinse sul volto. Mi attirò a sé con delicatezza e premette le labbra sulle mie. Affondai le dita tra i suoi capelli e lo tenni ancorato a me, esplorando la sua bocca con la lingua. Remiel rafforzò la presa attorno al mio corpo fino a farmi male alle costole e provai una punta di panico, ma si ritrasse subito di scatto. Aveva le guance violacee e ansimava.

«Scusa» borbottò turbato, passandosi una mano sulla faccia. «Sono ancora scosso per ieri sera». Si ammutolì, poi scosse la testa. «Che coglione. Tu vieni rapita e sarei io quello scosso. Vuoi che ti riporto a casa? O a fare l'ecografia? Per qualsiasi cosa ci sono».

Mi sporsi e gli diedi un bacio a stampo. «Dopo. Voglio parlare con tuo fratello prima».

«Intendi quel fratello?»

«L'odioso padre di tuo nipote, sì».

Mi voltai e tornai dentro al castello. Sulla tavola sparecchiata erano state adagiate le mie cose – la borsetta, il telefono e i vestiti –, insieme al pacchetto di muffin messo da parte per me, e il fuoco crepitava negli enormi camini.

Gabriel era seduto a torso nudo su uno dei divanetti, con il contenuto della trousse riversato in maniera disordinata sul tavolino. Era intento a spalmarsi una crema sulle braccia e sul petto, mentre Joel cercava di applicare un correttore sui lividi di Seth seguendo le direttive del fratello.

«Siccome sono bluastri, opterei per una tonalità sul giallo. No, quello troppo è scuro. Ecco, già meglio. Poi bisognerebbe mettere un velo di fondotinta e non guasterebbe del blush, se vuoi la mia personalissima opinione».

Seth fece una smorfia sofferente. «Non puoi fare più piano?»

«Sta' zitto. Se volevi le coccole, dovevi chiedere a Nik» lo rimproverò Joel, picchiettandogli lo sfumino sugli ematomi.

«Non dovevo lasciarmi convincere».

«Scusate» li interruppi, gettando il cappotto sull'appendiabiti. «Dov'è Nicholas?»

Gabriel si girò con un saltello. «Ciao, Arya! Vuoi provare i miei prodotti di skincare? Ho letto su Internet che gli squilibri ormonali della gravidanza possono far spuntare i brufoli. Se vuoi, ne ho di tutti i tipi. Pelli grasse, pelli secche, pelli sensibili, pelli squamose...»

Joel aggrottò le sopracciglia. «Pelle squamosa? Che cazzo è, una rana?»

«Nik è in biblioteca» mi rispose Seth con un sorriso. Colse il mio sguardo interrogativo e si alzò dalla poltrona, scansando Joel. «Ti ci porto».

Rimasi a bocca aperta. L'ultima volta che mi ero azzardata a chiedergli di Nicholas, per poco non aveva distrutto un telecomando. Gli trotterellai dietro e ci inoltrammo nell'intrico labirintico di corridoi, che si snodavano tra archi di pietra e porte cesellate.

«Ammettilo che volevi solo tagliare la corda» commentai, dandogli una spallata giocosa.

Seth ridacchiò. «Colpevole».

Lo scrutai con la coda dell'occhio. I riccioli neri gli invadevano la fronte, spettinati e ribelli, e si era messo una felpa rossa sgualcita e dei pantaloni strappati. Fremevo dalla voglia di capire come fosse rimasto invischiato nell'orbita dei De'Ath, con i quali sembrava essere del tutto a proprio agio, ma ficcanasare troppo avrebbe potuto farmi perdere la simpatia che mi stavo guadagnando.

Accennai ai suoi lividi. «Grazie per avermi difesa, comunque».

«Ha fatto quasi tutto Nik. Io sono solo un sacco da boxe molto resistente» mi ammiccò. Scoccò un'occhiata al mio ventre. «Gli importa più di quanto pensi».

«È stato molto chiaro sul fatto che non vuole averci niente a che fare».

Seth fece una pernacchia sarcastica. «Se ascoltassi tutto quello che dice quell'idiota brontolone, lo prenderei a calci un giorno sì e l'altro pure». Scrollò le spalle, fermandosi di fronte alla porta chiusa. «Se vuoi andarci d'accordo, sii solo gentile».

«Gentile?» ripetei scettica.

«Oh sì. La cattiveria la conosce, ormai si aspetta solo quella. È la gentilezza che lo manda in crisi». E si allontanò lungo il corridoio, senza darmi il tempo di ribattere.

Entrai nella biblioteca. Nonostante non fossi un'amante della lettura, il fascino inquietante di quel luogo non poté che lasciarmi incantata. Infinite distese di scaffali alti fino al soffitto si estendevano ai lati di un grande corridoio centrale, che era rivestito da un pavimento a piastrelle su cui erano scolpiti dei simboli stranamente famigliari. Delle possenti scalinate conducevano al balcone che si affacciava dal piano superiore, sorretto da colonne scanalate.

Guardandomi attorno, seguii il suono della musica classica che proveniva da lontano. Il corridoio si spalancò su un'ampia area rettangolare punteggiata di tavoli, con un disco che girava su un grammofono. Un leggio era posto nel centro esatto della biblioteca e sopra giaceva un grosso libro rilegato in pelle rossa dalle rifiniture dorate, riconoscibile anche senza leggerne il titolo: la Bibbia.

Nicholas era seduto al tavolo da scacchi, il mento posato sulle nocche. Era da solo, eppure giocava come se attendesse il turno di un avversario invisibile e poi muoveva anche le sue pedine. Era una visione abbastanza conturbante e dovetti reprimere l'impulso di correre via.

Avevo bisogno di capire.

«Vuoi restare a fissarmi tutto il giorno, tesoro?» esordì Nicholas, continuando a osservare la scacchiare. «Non ti giudicherei. So di essere un gran bello spettacolo».

Mi avvicinai, titubante. Studiai la disposizione dei pezzi di cristallo, blu chiaro da una parte e blu notte dall'altra, ed emisi un verso sarcastico. «Stai perdendo contro te stesso».

«Non sto giocando contro me stesso».

Le sue parole, pronunciate in tono infastidito, mi suscitarono un senso di disagio. «Non c'è nessun altro».

Nicholas sollevò gli occhi su di me. «Ci sei tu». Un sorrisetto gli affiorò sulle labbra, scavando una fossetta nell'angolo. «Vuoi giocare, mentre discutiamo di come hai spudoratamente mentito ai miei fratelli?»

Una goccia di sudore gelido mi artigliò la schiena e, con le ginocchia tremolanti, mi accasciai sulla sedia vuota di fronte. «Non ho mentito».

«Ah no?» Nicholas riposizionò in fretta gli schieramenti sulla scacchiera al punto di partenza e mi fece cenno di iniziare. «Allora forza. Perché non mi domandi che fine abbiano fatto Josh e i suoi amichetti? Non ti interessa?»

Spostai uno dei pedoni di un paio di caselle, tradendo il tremore alla mano. La voce mi uscì in un bisbiglio. «Che cosa gli hai fatto?»

«Già lo sai». Nicholas prese il suo cavallo con le lunghe dita e lo fece avanzare, scavalcando le truppe in prima linea. «Dimmi: come ci si sente? Cosa si prova a liberarsi una volta per tutte di qualcuno che ti ha ferita così profondamente?»

Mi irrigidii. «Non ho mai voluto che Josh...» La fine della frase mi rimase incastrata in gola. Ancora stentavo a realizzare che fosse morto, anzi che era stato ucciso. E il suo assassino era proprio davanti a me.

«Risparmiami il falso moralismo, angioletto. Ti ho fatto un favore e, nel profondo, sei felice che abbia finalmente ricevuto una punizione per il dolore che ti ha inflitto. Non puoi ingannarmi». Nicholas si sporse sui gomiti, la testa piegata di lato. «Siamo connessi io e te. Sai anche questo».

L'incubo della scorsa notte fece di nuovo capolino nella mia mente. «Il falò. Era un tuo ricordo» mi sentii dire, in maniera quasi involontaria.

Un muscolo gli guizzò sulla mascella. «Anche quello di stamattina. La nostra adorabile creaturina ha creato un legame empatico tra di noi, a tuo vantaggio purtroppo».

Scossi il capo, circondandomi il corpo con le braccia per farmi da scudo. «Tu sei pazzo».

«Non posso negarlo».

Tentai di alzarmi, ma ricaddi all'indietro sulla sedia. Un'esplosione di interrogativi mi assalì, accavallandosi e spintonandosi a vicenda per avere la precedenza, irrompendo in uno spazio troppo angusto per contenerli.

Nicholas aggirò la scacchiera e si curvò per portare il viso alla mia altezza, stringendo lo schienale con una mano. La cicatrice rossa risaltava sulla pelle diafana dell'avambraccio. Il suo profumo mi avvolse e i morsi della paura si fecero più pungenti.

«Il tè» mormorai.

Lui arcuò le sopracciglia. «Cosa?»

«Lo hai fatto anche la notte in cui hai ucciso Lucius e tua madre, vero? John si sbagliava. Sei stato tu a ucciderli, non tuo padre».

"Non ne ho idea. Ma da uno psicopatico che sfracella la testa alla moglie e poi si mette a bere un tè in soggiorno, non mi aspetto che sia stato un genitore modello".

Come aveva potuto compiere un'azione così orribile?

Un lampo di stupore balenò nell'espressione di Nicholas, ma venne subito rimpiazzato da un ghigno compiaciuto. Fece spallucce. «Ha importanza?»

Serrai i pugni sul grembo. Cercai tra i suoi lineamenti perfetti, ma non trovai traccia dell'essere che avevo visto nel bosco. C'era solo un ragazzo, bellissimo e crudele, con una luce di follia ad animargli lo sguardo. «Che razza di mostro sei?»

«Quello in cui lei mi ha trasformato». 

꧁꧂

Angolo Jedi
Breve comparsa solo per avvisare che i prossimi capitoli saranno abbastanza traumatici e probabilmente mi odierete un po', ma la trama aveva bisogno di uno “scossone”.

Ricordate che vi voglio bene. E perdonatemi.

P.s. Spero che la storia non vi stia annoiando. Purtroppo mi è venuta più lenta di quanto avrei voluto e questo mi manda abbastanza in crisi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top