𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 34 (Nicholas)
"𝔒𝔥, 𝔪𝔶 𝔩𝔦𝔱𝔱𝔩𝔢 𝔰𝔲𝔫𝔰𝔥𝔦𝔫𝔢"
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Tutti gli occhi erano puntati su di noi. Di solito mi piaceva stare al centro dell'attenzione, ma lo preferivo quando mi guardavano per la mia bellezza e per il mio carisma, piuttosto che perché facevo parte di un rumoroso gruppo di idioti. Eravamo in quattordici e, mentre alcuni erano in coda davanti al chiosco a prendere da mangiare, noi stavamo litigando sulla disposizione dei posti nei due tavoli che avevamo attaccato insieme.
«Io voglio stare vicino a Nik» affermò Joel a gran voce.
Gli lanciai un'occhiataccia. Anche se nel profondo sapevo che non avrei mai permesso a nessun altro di rimpiazzarlo, non dovevo per forza farglielo capire. «Sei più appiccicoso di una vecchia zitella con i suoi gatti. Perché non ti trovi una disperata con cui fidanzarti, così mi lasci in pace?»
«E negare al resto del genere femminile questa meraviglia?» Joel si tirò la maglietta, a indicare il proprio corpo. «Sarebbe troppo egoistico».
Gabriel sventolò una mano a mezz'aria. «Ho un problema. Come posso mettermi tra Mary, Ethan e Seth contemporaneamente?» Fece sporgere il labbro inferiore. «Non posso scegliere».
Arya sorrise. «Mettiti in braccio a uno di loro».
«Non è male come idea. Ethan, ti darei fastidio?»
Ethan aggrottò la fronte. «Perché proprio su di me?»
«Perché ha paura di scatenare la gelosia melodrammatica di Nik». Sky lo agguantò per la manica della felpa e lo costrinse a sedersi al suo fianco, lasciandolo di stucco. Sbatté le palpebre con fare innocente. «Qualcosa non va?»
Lui si limitò a fissarla inebetito, la bocca semiaperta dallo stupore. La mia sorellina ridacchiò e gliela chiuse, premendogli l'indice sotto il mento. Rivolsi al ragazzo un gelido sguardo d'avvertimento e fui ricompensato dalla sua espressione spaventata.
Con quell'idiota a New York ero stato clemente, ma non avrei permesso che succedesse di nuovo. Nessuno le avrebbe mai più fatto del male. Lo avevo promesso a Sky quando l'avevo sorpresa a singhiozzare nella sua cella, rannicchiata in un angolo, dopo che Lucius aveva osato toccarla per la prima e unica volta.
Sbuffai, buttandomi sulla sedia di fronte a quella di Arya. «Ridicolo. Io non sono affatto geloso».
«D'accordo». Seth si indirizzò verso l'altro tavolo, tenendo il suo peluche sotto l'ascella. Con una camicia sfatta dai lembi sporgenti, la cravatta allentata e i ricci arruffati, era una visione degna delle porte del Paradiso. «Gabe, sto io sulle tue gambe».
Con uno scatto gli afferrai il polso e lo trascinai sulle mie, di ginocchia. Era stato un movimento rapido, tanto che aveva perso l'equilibrio e nella caduta mi aveva rifilato una gomitata alle costole. Gli cinsi i fianchi con le braccia e sussurrai, sfiorandogli la pelle sensibile del collo con il naso: «Ti sfido a restare qui».
Seth si girò. Sebbene volesse apparire indifferente, il luccichio che ardeva nelle sue iridi nere mi diceva che avevo stuzzicato la sua curiosità. O meglio, la sua ludopatia. Non era mai stato in grado di rifiutare una scommessa. «Cosa ottengo, quando vincerò?»
«Se vincerai» lo corressi.
«No, quando».
Abbozzai un sorrisetto. «Se riesci a resistere per tutta la cena, dopo potrai farmi fare qualsiasi cosa vorrai. In caso contrario, dovrai smettere di tenermi il muso».
Seth liquidò la questione con un cenno sbrigativo del capo. «Ci sto. Tanto hai già perso».
Gli altri arrivarono appena prima che finissimo di sistemarci e presero a distribuire il cibo, tranne Alexander che aveva ordinato soltanto per sé. Callum mi consegnò un hot dog con patatine fritte, adocchiò Seth sulle mie gambe e scosse la testa. «Non voglio sapere».
Mac scivolò sulla sedia accanto a Isaac, facendogli un ampio sorriso. Non ero certo di cosa avessero combinato quei due nell'ora e mezza che avevano trascorso a zonzo per il luna park, ma al loro ritorno mio fratello sembrava molto meno teso ed entrambi avevano macchie di colore sul viso e sulle mani. «Ecco a te. Tramezzino ai funghi. Non pensavo che fossi vegetariano».
Isaac lo ringraziò timidamente. «Non proprio. Cerco di evitare la carne perché, ehm, mi fa uno strano effetto».
Sogghignai. Tornai voltato in avanti e, senza che lo volessi, i miei occhi si posarono su Arya. Sulla sua pancia, per la precisione. Mi succedeva di continuo, non riuscivo a impedirlo, allo stesso modo in cui non riuscivo a frenare i pensieri che si accalcavano nella mia mente. Stentavo a credere che lì dentro ci fosse una vita, e ancor di più che quella vita fosse nata da me.
Era come una perla racchiusa in una conchiglia, ma con la differenza che le perle erano belle e preziose. Quell'esserino non sarebbe mai potuto esserlo. Non con il mio sangue corrotto e impuro ad avvelenargli l'anima. Non tutti i mostri nascevano dal male, lo sapevo. Dal male, però, nascevano solo mostri.
Neanche la luce di un angelo poteva spegnere le tenebre di un demone.
Dall'altra parte del tavolo, Kath porse a Seth un involucro di carta. «Le tortillas al prosciutto sono tue, vero?»
«Grazie mille, Kath! Ti adoro!» esclamò lui, sporgendosi per prenderle. Il suo sedere strusciò contro la patta dei miei jeans e mi irrigidii. Emisi un respiro profondo, l'eccitazione che mi ribolliva nello stomaco.
«Tutto okay, Nik?» Joel mi fece un ghigno. «Hai un faccino sofferente».
Digrignai i denti, quando Seth si mosse di nuovo per tornare composto. «Alla grande».
«Allora». Sky si portò una ciocca bionda dietro l'orecchio, i denti bianchi messi in risalto dal rossetto delle labbra. «Quindi sei spagnolo, Ethan?»
Esitò. «Ti piacciono gli spagnoli?»
«Molto».
«Sono di Madrid, per la precisione».
Mac scoppiò a ridere. «Bugiardo. Suo padre lo è. Lui non ha mai neanche messo piede in Spagna».
«Lo sono nel mio corazón» replicò Ethan, portandosi una mano sul cuore. Sky scoppiò in una risata cristallina.
Strappai un boccone dal mio hot dog, infastidito. Mi sentivo messo in disparte. Volevo che i riflettori tornassero su di me, ma a malapena riuscivo a concentrarmi sulla conversazione.
Seth rubò una delle mie patatine e si abbandonò all'indietro contro il mio petto, cambiando posizione per l'ennesima volta. Uno spasmo mi fece sussultare e dovetti mordermi la lingua per trattenere un gemito.
Per ripicca, infilai la mano libera sotto la sua camicia. Seth trasalì. Gli accarezzai gli addominali e cercai di salire a stuzzicargli un capezzolo, ma lui si affrettò a scansarla senza nemmeno abbassare lo sguardo. Si schiarì la gola. «Comunque, com'è che vi siete conosciuti tutti quanti?»
«Sì». Annuii. «Ci vuole talento per raggruppare così tanti cretini con lo stesso scarso istinto di conservazione».
Arya mi fulminò. «Ci vuole talento anche per avere un quoziente intellettivo uguale al numero di scarpe, ma tu ci sei riuscito».
«Potrebbe valere anche per la taglia del tuo reggiseno. Se ricordo bene...»
Le parole mi andarono di traverso. Seth si era sollevato per allargarmi leggermente le gambe, quanto bastava per insinuare in mezzo una mano che adesso stava risalendo con inesorabile lentezza verso la coscia. Soffocai un'imprecazione e sbirciai Joel, che per fortuna era troppo impegnato a divorare il suo hot dog per badare a noi.
«Stai barando, piccolo imbroglione» gli sibilai all'orecchio.
Seth ammiccò. «Io baro sempre».
«Ci conosciamo fin da piccoli. Siamo vicini di casa» stava dicendo Mac, alzando la visiera del berretto. «A parte Layla, che si è aggiunta al primo anno di liceo».
Kath sorrise. «Deve essere bello».
«E voi, invece?» Ethan accennò a me e a Seth. Avevo la sensazione che volesse conquistare la mia simpatia. «Da quanto siete... cioè, migliori amici?»
Scrollai le spalle. «Dipende. Ci siamo incontrati poco più di sei anni fa, perché era nei guai con dei coglioni, ma non credo che possa essere considerato l'inizio della nostra amicizia. Insomma, gli ho quasi rotto il naso e stavo per amma...»
La mano di Seth scivolò sul mio inguine e strinse. Mi ammutolii, attraversato da un fremito simile a una scarica elettrica. Premetti la fronte contro la sua spalla, ansimante. L'erezione cominciava a pulsare contro il tessuto dei jeans, facendomi bruciare di un desiderio sempre più doloroso.
Le torture del laboratorio impallidivano in confronto alla straziante agonia di essere così vicino a ciò di cui avevo bisogno, eppure così lontano dall'averlo.
E io volevo lui, dannazione. Proprio adesso. Lo volevo in ogni modo possibile, dentro o sopra di me, sotto o in ginocchio. Non me ne fregava niente. Mi bastava averlo.
«Scendi, Seth». La mia voce era un mormorio roco, raschiante. «Scendi subito, altrimenti ti assicuro che userò questo tavolo per tutt'altro scopo».
Seth inclinò il capo. La sua bocca era incurvata in un sorriso trionfante. «Ti arrendi, dunque?»
Inghiottii il mio orgoglio che voleva spingermi a rispondere di no. «Sì».
«Farai tutto quello che voglio?»
«Sai che novità».
Seth mi scompigliò i capelli, prima di avere il buonsenso di alzarsi e andare a prendere una sedia vuota. Sapeva che quel gesto mi faceva impazzire.
All'improvviso Gabriel si sollevò con atteggiamento solenne e batté le mani, richiamando il silenzio. «Vi annuncio che è ufficialmente scoccata la mezzanotte».
Aggrottai la fronte. «E allora? Non abbiamo Cenerentola tra di noi e la nostra auto non si trasformerà in zucca».
Joel si protese verso di me per darmi il cinque, ma poi i suoi occhi eterocromi vennero attirati da qualcosa sotto il tavolo. Sogghignò. «Fratello, urge una sega lì».
«Già. Per farti a pezzi e vendere i tuoi organi sul mercato nero, se non stai zitto» ringhiai.
«E allora è San Valentino, ragazzi!» Gabriel indicò le corna finte che portava sulla testa. «Cosa pensavate che fossero queste?»
«Corna da diavolo?» suggerì Isaac.
«Ma no! Sono corna da Cupido!»
Remiel ridacchiò. Da quando era stato sulla ruota panoramica con Arya, sembrava che nulla potesse turbarlo. Era insolito, per uno che si faceva le paranoie per ogni fiorellino che appassiva. «Non credo che Cupido abbia le corna, sai?»
«Perché vuoi festeggiare San Valentino? Siamo un branco di single sfigati» commentò Ethan perplesso. Guardò di nuovo me e Seth. «Più o meno tutti».
Joel si rizzò di scatto. «Piano con le parole, Diego de la Vega. Single sì, sfigato mai».
Arricciai il naso. «Celebrate la festa dell'amore in un giorno in cui un santo è stato preso a sassate e definite me psicopatico. Bah».
«Lo hanno decapitato, in realtà» obiettò Mac, facendo spallucce. «Ma ti do ragione. È abbastanza stupido».
«Dai, fatelo parlare. Voglio sapere che ha in mente».
«Ti ringrazio, Seth». Gabriel prese la sua voluminosa borsa e ne tirò fuori una scatola, poi una confezione di bicchieri di plastica impilati uno sopra l'altro e infine una bottiglia di vodka liscia. «Adesso giocheremo tutti al Torneo dell'Amore».
Accaddero più cose in rapida successione.
Callum sobbalzò come se gli avessero mollato un pugno. Joel scoppiò a ridere. Remiel e Arya si scambiarono uno sguardo fugace. Isaac arrossì. E Alexander incrociò le braccia al petto, borbottando: «Non ho nessuna intenzione di...»
«La partecipazione non è facoltativa» lo interruppe Gabriel, intanto che consegnava un bicchiere a ciascuno. «Le regole sono le seguenti: a turno ognuno di noi dovrà pescare una biglia e leggere il bigliettino al suo interno. Può contenere un obbligo da fare, o una verità da svelare, ovviamente basati sul tema centrale del gioco: l'Amore». Sventolò l'indice. «Con la A maiuscola, mi raccomando».
«A me sembra un'idea forte». Seth si sporse sul tavolo e tolse il coperchio alla scatola.
Dentro erano sparpagliate una trentina di palline, con una metà colorata e l'altra in vetro trasparente che metteva in mostra un pezzetto di carta appallottolato. Mi chiesi quanto tempo mio fratello avesse sprecato a organizzare quella stronzata.
Layla deglutì. «E se non vogliamo fare o dire quello che stabilisce il biglietto?»
«Se è un obbligo, ci sarà una terribile e molto severa penitenza. Se è una verità, bisogna scolarsi un intero bicchiere di vodka». Gabriel le scoccò un'occhiata, forse rendendosi conto che era sbiancata. «Non preoccuparti, Mary. È un gioco simpatico. Non ho messo nulla di esagerato, o di imbarazzante».
Kath gli rivolse un sorriso incerto. «Gabe, ne sei sicuro? Perché la tua concezione di esagerato e di imbarazzante può essere un po'...»
«Inesistente» completò Callum.
Alexander fece una smorfia scettica. «Se è per questo, anche la sua concezione di simpatico è molto discutibile».
«Ve lo giuro. Sarà uno spasso». Gabriel si tracciò una croce invisibile sul cuore. «Cominciamo. Andando in ordine alfabetico, è Arya ad aprire le danze».
Tutti si voltarono verso la diretta interessata, che però era titubante. «Se non hai troppa paura, tesoro» la provocai.
Lei gonfiò il petto e allungò il braccio per prendere una biglia. La aprì a fatica, srotolò il fogliettino spiegazzato e inarcò entrambe le sopracciglia, man mano che leggeva a voce alta. «Dai un bacio focoso a chi vuoi tu. E tra parentesi: con la lingua solo se l'altro/a ricambia».
Prima ancora che terminasse, Seth si era già rabbuiato. Trascinò la sedia su cui era seduto più vicino alla mia e prese a stropicciare il peluche di Baby Groot che teneva in grembo. Sebbene non capissi la ragione del suo nervosismo, gli portai una mano sul ginocchio per farlo smettere di ballonzolare su e giù.
Remiel si accigliò. «Stai scherzando, Gabe? Menomale che non doveva essere niente di eccessivo».
«È solo un bacetto. Ho scritto focoso perché suonava bene».
«E poi di cosa ti lamenti?» Alexander guardò il braccialetto di petali attorno al polso dell'angioletto. Il suo tono era graffiante. «Le fai regalini romantici. È ovvio che sceglierà di sbaciucchiare te».
Joel allargò le braccia. «Forza, principessina. Vieni qui. Sono la scelta più logica per non scatenare una guerra».
«Neanche morta». Arya mi fissò, e un sorrisetto beffardo mi si aprì sul volto. Le strizzai l'occhio. Di colpo assunse un'espressione tronfia. «Okay. Ho deciso».
Rimasi spiazzato. Volevo solo stuzzicarla, eppure con mia sorpresa stava marciando nella mia direzione.
Dovevo fermarla? Che mi baciasse o meno, a me non importava molto. Le uniche labbra che riuscivano a suscitare qualcosa in me erano quelle di Seth, appartenevo a loro.
Ma a lui avrebbe dato fastidio?
"Non sopporto che tu venga toccato da mani che non siano le mie" aveva detto. Valeva per qualsiasi contatto fisico? Non era stato molto specifico a riguardo.
Agitai una mano. «Spiacente, amore, devo proprio...»
Arya mi superò senza degnarmi di un'occhiata, afferrò il volto di Seth e gli impresse un bacio a stampo. Lo schiocco che riecheggiò nell'aria aveva un che di comico.
Si ritrasse dopo un attimo, mi mostrò il dito medio e tornò al suo posto. Nessuno osava parlare. Remiel e Alexander avevano delle facce che, se non fossi stato sotto shock, mi avrebbero fatto ridere a crepapelle.
«È la più inaspettata delle soluzioni al vostro strano inciucio amoroso» esclamò Joel beffardo, intrecciando le dita dietro la nuca.
Seth, ancora stordito, si strofinò la bocca sulla manica. «Sei la prima ragazza che bacio, escluso il poster di Jennifer Lawrence».
«Ti piace Jennifer Lawrence?» chiese Ethan.
«È la sola donna per cui potrei diventare etero».
Dato che non ci fu modo di persuadere Alexander a partecipare, Gabriel raccolse una biglia verde dalla scatola e la passò a Callum. Gli diede una pacca incoraggiante sulla schiena. «Tocca a te, papà orso».
Lui esalò un sospirò afflitto, depositò il trancio di pizza quasi intatto ed estrasse la striscia di carta dalla pallina. Mentre i suoi occhi grigi scorrevano il testo, il volto assunse a poco a poco tutte le gradazioni di rosso. Sollevò uno sguardo accusatorio su Gabriel. «Lo hai fatto apposta».
«Io? Ma no, figurati».
«I colori non si ripetono. Scommetto che sai quale biglietto corrisponde a ogni biglia».
Joel si avvicinò di soppiatto a Callum e si sporse da sopra la sua spalla. «Manda un messaggio hot alla tua cotta». Ridacchiò. «Gabe, non ti facevo così diabolico. Sono fiero di te».
«Non lo faccio. Anche perché non ho nessuna cotta».
Gabriel si mise a braccia conserte. «Allora per penitenza devi...» Ci guardò in cerca di soccorso. «Mi aiutate? Non ho preparato le penitenze».
Dato che mi annoiavo, riempii il bicchiere e bevvi un sorso di vodka. Il bruciore mi pervase la gola fino ad arrivare allo stomaco. «Potresti sporcarti il completo di ketchup» proposi con un ghigno.
Callum inorridì. «Assolutamente no».
Ethan mi diede manforte. «Cantare Baby One More Time, di Britney Spears?»
«Non so nemmeno chi sia».
«Da quale pianeta vieni, scusa?»
Kath si lasciò sfuggire un risolino e strinse il braccio del gemello con affetto. «Dai, accontentali. Poi puoi sempre specificare che era per il gioco».
Callum si passò una mano sul volto, rassegnato. Un condannato a morte sarebbe andato verso il patibolo con più entusiasmo di quello con cui lui afferrò il proprio telefono. «Cosa devo scrivere?»
Joel ci rifletté un istante. «Vorrei scopare con te?»
«Non se ne parla!» si oppose categorico.
«Che è sempre nei tuoi pensieri?» suggerì Gabriel.
«Ma non è vero!»
Arya si strinse nel giacchetto. Si stava levando un vento leggero e, malgrado fossimo al riparo sotto una tettoia, doveva cominciare a fare freddo per gli esseri umani. «Non puoi solo dirle che ti piace?»
Callum si massaggiò le tempie, ormai paonazzo. «Neppure questo è vero».
«Scrivile che è sexy» lo incoraggiò Ethan.
Mac lo scrutò interdetto. «Sai di chi stanno parlando?»
«No, ma è un complimento che va sempre bene».
Feci un cenno. Joel lo colse al volo, gli strappò il cellulare di mano e me lo lanciò. Ignorando le proteste di Callum, aprii la chat con Rosalie e digitai la prima cosa che mi venne in mente: "Ti va una sveltina?", e feci per inviarlo.
Ma Seth mi bloccò. «Aspetta, Nik. È una cosa scorretta». Prese l'apparecchio e corresse la frase in "Ti va una sveltina? Te lo chiedo per un obbligo, ma lo vorrei davvero". Annuì compiaciuto. «Così va meglio», e lo fece scivolare lungo il tavolo.
Callum lo intercettò e, con diffidenza, controllò il messaggio. Un muscolo guizzò sulla sua mascella, mentre squadrava me e Seth, infine Joel. «Vi ammazzo. A tutti e tre». Iniziò a pigiare freneticamente sullo schermo, in preda al panico, poi i suoi muscoli si rilassarono. «Okay. L'ho cancellato».
«Hai cliccato "elimina per tutti", vero? Altrimenti lei continua a vederlo» obiettò Remiel, che non riusciva a trattenere un sorriso. Arya gli rifilò un buffetto di rimprovero sul gomito.
Callum impallidì e scaraventò il telefono in grembo a Kath, la quale rimase disorientata. Socchiuse le palpebre, sbattendo la fronte contro la superficie di legno. «Non ridarmelo mai più».
Esplose una risata generale. Il turno successivo era quello di Ethan, che parve cacciare giù un groppo enorme incastrato in gola, quando si accorse del numero impressionante di occhiatacce che gli si abbatterono addosso. Il suo biglietto consisteva nel descrivere la persona tra noi che riteneva più bella con tre aggettivi spinti. Per il bene della sua incolumità, optò per bere la vodka.
Dopo aver pescato una biglia a occhi chiusi, Gabriel sbirciò a malapena il pezzetto di carta e lo gettò via. Era evidente che Callum avesse ragione: se li ricordava. «Il mio è una verità». Si inginocchiò di fronte a Layla e le baciò il dorso della mano, facendola avvampare. «Mary, sono sentimentalmente e fisicamente attratto da te».
Lei divenne violacea e barcollò sulla sedia, tanto che temetti che fosse sul punto di svenire. No, in realtà ci speravo. Sarebbe stata una scena divertente. Balbettò dei versi indistinti in una lingua sconosciuta, ma Gabriel la salvò dall'impiccio di rispondere mandando avanti il gioco.
Il successivo a sorteggiare la biglia fu Isaac, anche se aveva uno sguardo così disperato da impietosire persino me. Nel suo biglietto gli era chiesto di raccontare i dettagli più imbarazzanti del suo primo bacio, il che lo fece arrossire fino alla punta delle orecchie e aveva confessato di non averne mai dato uno. Mac era sembrato parecchio colpito dalla notizia.
A porre fine al suo supplizio fu l'urlo di una vocetta acuta. «SETH!»
Una figura minuta schizzò tra la folla del luna park e, con mio sommo orrore, mi sfrecciò accanto per tuffarsi in braccio a Seth. Mi ritrassi, orripilato. Malgrado fosse passato più di un mese, riconobbi il minuscolo mostriciattolo dai riccioli scuri che avevo incontrato alla fiera del fumetto.
Arya balzò in piedi. «Rhys, che diavolo ci fai qui a quest'ora?»
Ma il bambino non la ascoltava neanche, troppo preso dall'ammirare a bocca spalancata quello stupido pupazzo. «Che forza! Hai vinto Baby Groot? Me lo regali?»
«Oh, ehm, in realtà...» esordì Seth. Appena incrociò gli occhioni marroni dell'orrido esserino, ricolmi di adorazione, si affrettò a correggere il tiro: «Va bene. Puoi averlo».
«No, invece». Arya piazzò i pugni sui fianchi. «Il peluche è suo, Rhys. Non tuo».
«Sul serio, non è un problema...»
«Seth, ti prendo a calci se provi a darglielo».
Lui si voltò verso di me. «Mi proteggi tu, nel caso?»
Le mie labbra si incresparono. «E sprecare l'occasione di vedere un marmocchio infelice e te malmenato dalla mia sveltina? Scordatelo».
«Mi dispiace, piccolo». Seth si riappropriò del pupazzo. A discapito delle sue parole, ne sembrava parecchio sollevato. «Questione di sopravvivenza. Tua sorella sa sparare».
Rhys si corrucciò. «Uffa! Perché non posso averlo?» sbottò, rivolto ad Arya.
«E tu perché saluti un estraneo prima di me?»
«Perché Seth è fico!»
A quel complimento, un ampio sorriso si dipinse sul viso di Seth. Ethan si portò una mano al petto, fingendosi offeso. «E io non sono fico?»
Sky fece una smorfia. «Scusate, ma da dov'è sbucato?»
«A me basta che qualcuno lo porti via». Mi appiattii ancora di più contro lo schienale. «Avete corda e nastro adesivo?»
«Mi sono perso». Gabriel si chinò per esaminare meglio Rhys, che dondolava sulle gambe di Seth. «Non doveva ancora nascere?»
Alexander gli scoccò uno sguardo gelido. «Sta' zitto e non sparare stronzate».
«È il fratellino di Arya» spiegò Remiel.
Joel si piegò per raccogliere un oggetto da terra e lo lanciò, strillando a squarciagola: «Ehilà, nanetta!»
Una ragazzina minuta si accostò ai nostri tavoli. Indossava dei pantaloni strappati e una felpa così larga che le inghiottiva le mani, i boccoli ramati che spuntavano da sotto il cappuccio. Masticava una gomma e ci guardava come se si fosse ritrovata circondata da funghi radioattivi.
Il sassolino la colpì dritta sulla fronte, facendole sollevare il braccio di scatto. «Ma quanto puoi essere deficiente?»
Arya increspò le sopracciglia, gli occhi che saettavano da Joel alla tipetta scontrosa e viceversa. «Voi due come vi conoscete?»
«Miss Buonumore ci ha provato con me, una volta».
«Neanche se tu fossi l'ultimo essere vivente sul pianeta».
Joel le fece l'occhiolino, poi si girò di nuovo verso Arya. «Tu come la conosci?»
«È mia sorella minore, Eryn».
«Ah». Joel le passò in rassegna entrambe con lo sguardo. «Anche vostra madre è così bona? Perché potrei pensare di applicare la legge della maniglia. Se sapete cosa intendo...»
Eryn lo guardò, corrugando la fronte. «Il pesciolino che nuota nella tua scatola cranica deve sentirsi parecchio solo».
«Ti va di unirti a noi?» le propose Gabriel allegro. «Stiamo giocando al Torneo dell'Amore. Adesso tocca a Joel».
«Sembra il genere di gioco per cretini in cui ci si umilia a vicenda». Eryn scrollò le spalle e si appoggiò sullo spigolo del tavolo. «Okay, resto solo per questo turno».
Joel prese una biglia dalla scatola. «Potresti usarmi come poltrona, piccoletta. Tanto sei così leggera che neanche ti sentirei».
«E se ti usassi come sacco da boxe?»
Lui sghignazzò e lesse il biglietto. Un lampo deluso gli balenò sul viso. «Verità. Sei innamorato di qualcuno? Dicci il nome. Uffa, speravo in qualcosa di più scandaloso». Lo accartocciò e si stiracchiò pigramente. «Sì, sono innamorato».
Remiel scoppiò a ridere. «Tu?»
«Non vale il tuo riflesso, fratellino» replicai divertito.
Sky roteò gli occhi. «Senti chi parla».
«E neanche la tua chitarra» precisò Alexander.
«No, sul serio. Sono innamorato perso. La mia pupa si chiama Shirley».
Ethan si appoggiò alla sedia di Sky, ma intercettò la mia muta minaccia e lasciò ricadere il braccio. «Non c'è nessuna Shirley a scuola, credo».
Eryn arricciò il labbro superiore. «E la tua pupa riesce a passare da sotto le porte?»
«Questa insinuazione mi ferisce nel profondo, nanetta». Joel si scompigliò i capelli biondi. «Tra me e Shirley è vero amore».
«Non esiste, ammettilo» ridacchiò Mac.
«Certo che esiste!»
Rhys spiccò un saltello, strappando a Seth un gemito di dolore. Avrei voluto dirgli di non rovinare niente ai piani bassi, ma mi trattenni. «Voglio giocare io adesso!».
«Ottimo! Prendi pure una biglia!»
Arya si irrigidì. «Gabe, ha nove anni».
Ma ormai era tardi. Rhys arraffò una pallina gialla e si fece aiutare da Seth per aprirla. Invece di consegnargli il foglietto, però, controllò lui stesso il testo e sgranò gli occhi. Lo buttò via, prima che il bambino potesse sbirciare. «C'era scritto che devi dare un abbraccio a chiunque tu voglia».
Sogghignai. Non ci voleva un genio per capire che se lo era inventato. Il mio sorriso scomparve, quando con un movimento inaspettato Rhys mi saltò addosso e mi strinse.
Malgrado le sue braccine esili, ebbi l'impressione di essere imprigionato in una morsa d'acciaio. Mi paralizzai, incapace di reagire. Il cuore mi tuonava con forza nel petto, il corpo non rispondeva più ai miei comandi. Un conato mi premeva sul fondo della gola. Poi la creaturina si staccò e finalmente potei tornare a respirare.
Mi sorrise. «Sembravi averne bisogno».
Un'ondata di sollievo mi travolse, pur restando invisibile dietro una maschera di disgusto. Non gli avevo fatto male. Non lo avevo rotto.
Stava bene.
Quando aprii la porta, mi ritrovai di fronte Arya. Aveva le braccia incrociate sotto il seno e mi fissava come se volesse mollarmi un altro schiaffo. Sarebbe potuto essere anche eccitante.
Inarcai un sopracciglio. «Aspettarmi fuori dal bagno è un po' equivoco, non ti pare?»
«Dobbiamo parlare».
La superai. «Non è mai un buon segno, quando una donna lo dice».
Arya si destreggiò tra il viavai di persone e mi affiancò. «Già, soprattutto se quella donna l'hai messa incinta. Quindi ti conviene ascoltarmi».
Le feci cenno di proseguire, mentre mi dirigevo verso il chiosco da cui eravamo venuti. L'inutile giochino di Gabriel era stato interrotto con la fine della cena, poco dopo che il marmocchio se n'era andato a casa con la scontrosetta.
Nonostante fosse ormai notte fonda, era la nostra prima volta in un luna park e i miei fratelli sembravano intenzionati a rimanere fino all'orario di chiusura, probabilmente sapendo che di rado avremmo avuto un'altra occasione. E se a loro non importava che il giorno seguente avrebbero avuto la scuola, io non mi lamentavo di certo. Avevo ancora un debito da ripagare, e non sarei venuto meno alla mia parola.
«Vado dritta al punto. Tu e Seth state insieme?»
Mi bloccai per un istante. «Ricordami perché dovrebbero essere affari tuoi, angioletto?»
Arya fece una smorfia sarcastica. «Per il bambino che hai messo nella mia pancia, magari».
Scoppiai a ridere, riprendendo a camminare. Feci un gesto vago con la mano. «Ma certo, ho capito. Credi che io lo abbia tradito con te e che questo sia il motivo della sua gelosia nei tuoi confronti».
«Il pensiero mi ha sfiorata, sì».
«Il pensiero che potresti semplicemente stargli antipatica no, invece? Egocentrico da parte tua».
«Non sembri un tipo serio per queste cose». La sua voce era pregna di amaro risentimento. «E Seth è un ragazzo stupendo, si vede. Il genere di ragazzo che perdonerebbe un tradimento, e non se lo merita».
«Quanti pregiudizi, tesoro» replicai, sfoderando un sorrisetto. «Non abbiamo una relazione, se proprio vuoi saperlo. Si chiamano così, giusto? Scopiamo ogni tanto». Feci spallucce. «Tu non lo fai col tuo migliore amico?»
Arya rabbrividì. «Ethan? No, che schifo. È mio fratello, in pratica».
«Con le tue migliori amiche?»
«Smettila». Mi lanciò un'occhiata di sbieco. «A essere onesta, Seth non mi sembra solo uno scopamico».
Giunto davanti al chiosco, ordinai delle alette di pollo piccanti e mi voltai verso di lei. «Ora sì che posso dirlo: ricordami perché dovrebbero essere affari tuoi, angioletto?»
«Lascia stare». Arya scosse la testa, facendo ondeggiare la chioma nera come una cascata d'inchiostro. Si mordicchiò l'interno della guancia. «Comunque, so che non te ne frega niente, ma almeno uno di noi due ci tiene a essere corretta. Nel fine settimana vado a fare l'ecografia».
Aggrottai la fronte. Gettai i soldi sul bancone e presi il secchiello di alette. «Conosco la parola eco e la parola grafia, ma non riesco a immaginare come si possano combinare».
Lei mi scrutò confusa. «Non sai cos'è un'ecografia?»
«Riguarda lo sputacchio?»
«Puoi non chiamarlo così?»
«Meglio spruzzino di sperma?»
«Ci rinuncio». Rilasciò un respiro profondo. Appena feci per allontanarmi, mi afferrò per il gomito e mi costrinse a girarmi. «L'ecografia è un controllo che serve per monitorare lo stato di salute del feto e l'andamento della gravidanza».
Soppesai le sue parole e mi accigliai. «E io che dovrei fare? Tenerti la manina?»
«Niente. Era giusto che lo sapessi, tutto qui. Non mi aspettavo di certo che volessi accompagnarmi».
«Perché ti importa tanto?» chiesi di getto, prima di riuscire a fermarmi. Accostai il viso al suo, sentendola irrigidirsi malgrado non la stessi neanche sfiorando. «Non lo vuoi più di quanto lo voglia io».
Arya deglutì, sostenendo il mio sguardo. «E a te perché importa così poco? Ho notato anche il modo in cui tratti Rhys, quando ti ha abbracciato sembravi sul punto di vomitare... per quale motivo odi tanto i bambini?»
Feci una smorfia. «Perché dovrebbero piacermi, semmai. Sono delle sacche ambulanti di cacca che frignano tutto il giorno».
«Però sono carini».
«Anche i koala, ma non ne vorrei uno in casa».
«Non so perché ci provo ancora». Arya mollò la presa su di me e corse da Remiel, che si stava avvicinando con due ciotole di popcorn.
Avanzai nella direzione opposta e individuai Callum, seduto su una panchina a fissare una delle giostre. Non ero in grado di capire i sentimenti, né i miei né quelli degli altri, ma negli anni avevo imparato a interpretarli dai segnali corporei. Erano complicati e facili da fraintendere, ma con lui mi era spontaneo quanto respirare.
Lo conoscevo meglio di me stesso. Potevo vedere il peso dei suoi pensieri nell'incurvatura delle spalle, il nervosismo nel modo in cui si rassettava il bavero della giacca o i gemelli ai polsini. Rimuginava troppo, era sempre stato il suo peggior difetto.
Gli rifilai una sberla sulla nuca e mi buttai al suo fianco. Callum trasalì appena, massaggiandosi il punto in cui lo avevo colpito. «Era necessario?»
«Darti fastidio è sempre necessario». Gli porsi il cartone di alette. «Tieni. Sono piccanti, e io detesto il piccante. Mi fa sudare».
«Allora perché le hai prese?»
Perché tu lo adori e ho notato che non hai mangiato quasi nulla prima.
«Sono pazzo. Non c'è una ragione per ciò che faccio» tagliai corto, tendendogliele di nuovo. «Ti muovi? Inizia a farmi male il braccio».
Callum roteò gli occhi. «Grazie, ma non ho molta fame».
«In questi sei anni, avevo dimenticato quanto sei rompipalle».
«E io avevo dimenticato quanto sei lagnoso». L'angolo della sua bocca ebbe un guizzo. Sollevò un'aletta di pollo con la punta delle dita, per evitare di ungersi, e la mordicchiò. «Non serve che tu lo faccia, Nicholas. Non siamo più in laboratorio, non devi portarmi il cibo se per una volta ho poco appetito. Sto bene».
«È una stronzata, e lo sappiamo entrambi. Solo perché non ho detto niente, non significa che io non abbia capito come ti sei rotto la mano, la notte del blackout». Strappai un pezzo di pollo da un'aletta, sbirciandolo di sfuggita. «So quanto sei sotto pressione in luoghi come questo. Non eri obbligato a venire. C'era Kath a fare da baby-sitter».
«Non volevo lasciarla da sola a sopportarvi». Callum puntò lo sguardo sui nostri fratelli, intenti a scendere barcollando dalla giostra. Joel doveva aver costretto Isaac e Alexander a salire con lui, perché il primo aveva la faccia violacea e il secondo era imbronciato. C'erano anche Sky e Mac con loro. «È bello guardarli divertirsi, o litigare per cose stupide. Anche tu sembri piuttosto... tranquillo».
«Stai invecchiando, o sei sempre stato così sentimentale? Mi fai venire il voltastomaco» bofonchiai, per poi allargarmi il colletto della camicia. «Sto andando a fuoco, cazzo. Come riesci a mangiare sta roba?»
Callum ridacchiò. La sua attenzione venne attratta da un punto oltre di me e fece un cenno col mento. «Qualcuno ti sta aspettando».
Ruotai di scatto la testa. Seth era fermo vicino a uno stand, i riccioli ribelli baciati dal chiarore argenteo della luna. Anche in mezzo alla moltitudine di gente che affollava il luna park, per me esisteva solo lui.
Quando si accorse che lo avevo notato, agitò il cono di zucchero filato azzurro per salutarmi e il mio cuore ebbe un tuffo. Era talmente puro che non potevo fare a meno di pensare a quanto fossi egoista a volerlo per me.
Avrei dovuto lasciarlo libero e sperare che trovasse un'anima buona almeno la metà della sua con cui stare, ma non ne ero capace. Quei cinque mesi che avevamo trascorsi lontani erano stati come tornare nella vasca in cui mi affogavano, durante gli esperimenti.
Seth era il mio ossigeno, il mio alito di vita.
«Vai. Ci vediamo più tardi» mi spronò Callum. Esitò. «E grazie».
Gli lanciai un'occhiata. «Credevo che lo detestassi».
«Un po', ma ha una buona influenza su di te. Mi piace la persona che sei quando c'è lui».
«Eh sì. Stai proprio invecchiando, fratellone».
Mi alzai e avanzai con un'andatura forzatamente lenta verso Seth, le mani nelle tasche. Non sapevo quali fossero le sue intenzioni, ma fremevo dalla voglia di soddisfarle. «Ti prego, dimmi che non vuoi farmi mangiare quel cotone colorato».
Seth assunse un'espressione ferita. «Non ti azzardare a criticare lo zucchero filato!»
«Ti fa marcire i denti, sai?»
«Questo è troppo». Staccò un pezzetto dalla montagna di cotone – ops, zucchero – sul suo cono e mi agganciò per la fibbia della cintura, tirandomi a sé. «Chiudi gli occhi e apri la bocca».
Mi accigliai. «Posso stare in piedi o...»
«Non fare il coglione».
Gli ammiccai e mi affrettai a obbedire. Dopo un attimo, venni colto alla sprovvista dal contatto leggero delle sue labbra sulle mie.
La mia mente si svuotò. Il sangue mi si incendiò nelle vene e mi preparai ad accogliere la sua lingua, invece ciò che spinse dentro fu solo un morbido ammasso filaccioso. Il sapore dello zucchero filato era mescolato al suo, che lo rendeva ancora più dolce. Mi protesi in avanti alla disperata ricerca di un bacio, ma Seth si ritrasse.
Dischiusi le palpebre, incontrando il suo sorriso dispettoso. Mi aveva alla sua mercè, e ne era consapevole. «Ti è piaciuto?»
«Dalla tua bocca è molto meglio» sussurrai con voce roca, il mio respiro che si faceva irregolare. «Ne voglio ancora».
Seth si inumidì le labbra, quasi volesse rigirare il coltello nella piaga. «Non avrai nessun bacio, oggi. Sono ancora arrabbiato».
Abbozzai un sorrisetto. «È una punizione, quindi?»
«No, una regola. Devi fare quello che voglio, ricordi?» Lui prese un altro ciuffo di zucchero filato, mi accarezzò il mento con il pollice per ordinarmi di aprire la bocca e lasciai che me lo depositasse sulla lingua. «Ho vinto la scommessa. Sei mio per il resto della serata».
«Sono tuo per il resto della mia vita».
Il suo sorriso si distese. Infilò la mano nella mia e cominciò a guidarmi. Non mi preoccupai di dove mi stesse portando. Avrebbe potuto trascinarmi tra le fiamme dell'Inferno e lo avrei seguito senza opporre nessuna resistenza.
Dopo una piccola deviazione per assistere a uno spettacolo di burattini, anche se non comprendevo il fascino di vedere dei calzetti parlanti, Seth mi accompagnò fino a un'attrazione ai margini del luna park.
All'entrata c'era un'arcata floreale che formava la scritta "Tunnel dell'Amore", sovrastata da un angioletto di luci armato d'arco. Comprammo due biglietti e salimmo su uno dei carrelli montati sui binari all'imbocco di una galleria, posti a distanza di parecchi metri l'uno dall'altro per fornire la giusta intimità. Al contrario delle mie aspettative, era abbastanza spazioso da poter distendere le gambe e il divanetto a due posti era piuttosto comodo.
«Sai perché siamo qui?» mi chiese Seth, sedendosi con il busto ruotato verso di me.
«Non vorrei illudermi, ma...»
Mi interruppe. «Voglio parlare».
«Che buffo. Stavo per dire una parola con lo stesso numero di lettere». Arcuai le sopracciglia con fare eloquente. «L'hai capita, vero?»
Il carrello si animò e prese a scorrere sulle rotaie fino a che fummo inghiottiti dal tunnel. Un'ondata di piacevole tepore ci avvolse. Alla pareti dell'ampia galleria erano attaccate delle lanterne rosse, simili a cuori pulsanti, la cui tenue luce si attenuava gradualmente senza mai spegnersi del tutto.
Avendo una perfetta visione notturna, nonostante la semioscurità, potevo scorgere la coppietta che già pomiciava nel carrello di fronte a noi, ma per un essere umano sarebbe stato impossibile.
Seth si guardò attorno, scosso da un tremito. Anche se era bravo a gestire le sue paure, non aveva mai amato gli spazi chiusi e bui, a causa della sua infanzia.
Gli scivolai vicino nel tentativo di distrarlo, il braccio destro allungato sullo schienale dietro alla sua testa. Gli presi il viso e conficcai gli occhi blu nei suoi. «Sono a tua completa disposizione, Seth. Puoi usarmi per realizzare qualsiasi tua fantasia». Giocherellai con i suoi ricci. «Vuoi davvero sprecare questa occasione per parlare?»
Una scintilla di lussuria si accese nel suo sguardo e lo vidi vacillare per un istante, poi mi scacciò la mano. «Okay, nuova regola: non puoi toccarmi».
Mi bloccai. «Perché no?»
«Perché mi fotti il cervello, quando mi tocchi».
«Tu di solito mi fotti altro. Siamo pari».
Seth mi scoccò un'occhiataccia, ma era chiaro che stesse reprimendo una risata. Ebbe un sussulto, quando il carrello traballò per una curva. Lo afferrai per il nodo fiacco della cravatta e lo strattonai verso di me.
Affondai il volto nell'incavo della sua spalla e inalai avido il suo profumo, attento a non sfiorarlo. «Se vuoi che supplichi per il tuo perdono, lo farò».
«È questo che pensi?» Seth mi premette il palmo sul torace e mi spinse all'indietro contro il bracciolo del divano. Montò a cavalcioni sulle mie gambe, le ginocchia che mi inchiodavano i polsi. Aveva un'espressione arrabbiata, o forse era triste... non riuscivo a decifrarla. «Pensi che tutto ciò che voglio sia sentirti supplicare, vederti inginocchiato ai miei piedi e scoparti ogni tanto?»
Scossi la testa più volte, stranito dal suo tono incrinato e dalle sue iridi lucide. Sembrava in procinto di piangere, ed ero abituato ad associare il pianto alle cose brutte, ma non capivo che cosa avessi fatto di sbagliato. «No, non...»
«Io non sono Lucius».
Mi irrigidii al suono di quel nome. «Me n'ero accorto, sì. Non gli somigli molto» replicai sulla difensiva. «Mi spieghi che cosa c'entra lui?»
«C'entra, c'entra sempre. È colpa sua se ti comporti così». Seth mi accarezzò una guancia e il mio stomaco si contrasse in una stretta piacevole. «Non ti considero un oggetto, Nik. Non sei un giocattolo da usare e poi buttare via. A me importa di come stai, di quello che provi. Mi importa di renderti felice, di aiutarti a stare meglio quando non lo sei, di fare insieme ciò che ti piace... beh, quasi tutto. Sono sensibile al sangue. Ma il punto è che, quando soffri, soffro anch'io. Quando stai bene, sto bene anch'io. Perché mi importa di te».
La voce gli si spezzò, mentre una lacrima gli rigava il volto. «Voglio qualcosa di più del tuo corpo. È così difficile da credere?»
Chinai il capo. «Non ho altro da offrirti. È la sola cosa bella di me».
«Questo». Posò la mano aperta sul mio petto. «Il tuo cuore, Nik. Dammi il tuo cuore».
«Non c'è più niente lì. Solo i resti di qualcosa che hanno fatto a pezzi».
«E allora facciamoci un bellissimo mosaico».
Sollevai lo sguardo e deglutii. Seth abbozzò un sorriso mesto e passò le dita tra i miei capelli con delicatezza, facendomi sciogliere sotto il suo tocco. Il suo indice scese lungo la tempia, per poi proseguire ad accarezzarmi il volto. Mi tenne fermo per il mento e strusciò le labbra sulle mie nel bacio più dolce e casto che avessi mai ricevuto.
Il mio cuore si gonfiò. Era un piccolo gesto, eppure non ricordavo di essermi mai sentito tanto amato come in quel momento. «P-posso provare, ma non so come. Non so...». Le parole mi uscirono incerte, tremolanti. «Scusa».
Seth scosse la testa. «Non scusarti. Te lo insegno io. Andremo piano, okay?» Appoggiò la fronte contro la mia e chiuse gli occhi. «Potremmo cominciare da un appuntamento, se sei d'accordo, quando te la sentirai. Non ne abbiamo mai avuto uno vero».
Non mi sembrava il caso di confessargli che non avevo la più pallida idea di che cosa fosse, o in che cosa consistesse, un vero appuntamento. Mi limitai ad annuire.
«E pensi che saresti disposto a non...», tentennò, «non andare a letto con altri?»
«Ho smesso dal giorno che mi hai detto quelle cose in piscina».
Lui si ritrasse, sorpreso. «Davvero?»
Annuii di nuovo. «Non ho capito molto del tuo discorso, ad essere sincero. Parli tanto, non è facile starti dietro. Ma mi è parso di cogliere che il sesso fosse uno dei problemi, quindi nel dubbio ho evitato di farlo». Venni assalito dal dubbio. «Sono stato bravo?»
Seth sorrise e prese a slacciarmi a uno a uno i bottoni. «Sei stato bravissimo».
Le mie labbra si incurvarono. «Meriterei un premio».
Con un mugolio d'assenso, mi aprì la camicia e osservò il mio fisico per un lungo momento. Mi toccò la pancia dura e piatta, lo sguardo pieno di bramosia. «Sei stupendo».
«Lo so».
Ridacchiò. Mi agguantò i capelli e mi costrinse a stendermi completamente sul divano. Si accucciò sopra di me per baciarmi la gola, schivando con maestria le cicatrici, per poi proseguire lungo il petto in una scia umida. Le sue labbra erano soffici, i suoi baci adoranti. Mi prese un capezzolo tra i denti e lo tirò leggermente, torcendo l'altro con il pollice e l'indice. Un verso di piacere mi scaturì dalla gola.
«Sssh» bisbigliò, continuando a stuzzicare il bocciolo turgido. «Fai silenzio».
Cercai di ribattere, ma la sua mano si insinuò sotto i miei pantaloni e mi strinse l'erezione attraverso i boxer. Mi lasciai sfuggire un gemito prolungato, mentre cominciava a muoverla su e giù per tutta la mia lunghezza. Seth mi tappò con la bocca con la mano libera e riprese a baciarmi gli addominali, senza smettere di muovere l'altra tra le mie gambe.
Inarcai la schiena per implorargli di avere di più, ma mi ributtò sul divano e mi sollevò una per volta le braccia ai lati della testa. Schioccò la lingua sul palato con disapprovazione, intanto che mi stimolava con le dita. «Fermo. Se ti muovi, smetto».
Chiusi gli occhi e mi rilassai, abbandonandomi alla sua volontà.
Seth prese ad armeggiare con la mia cintura, poi scivolò sulle mie ginocchia e mi calò a fatica sia i jeans che i boxer. Ci impiegò un po', dato che tremava dalla frenesia e per dispetto non lo stavo agevolando in nessun modo.
«Avresti potuto anche aiutarmi» si lamentò, dopo che finalmente ebbe finito di spogliarmi.
Lo guardai con le palpebre socchiuse. «No, devo restare immobile. Ordini tuoi».
Seth mi fece una pernacchia. Rovistò nella tasca alla ricerca di qualcosa e aggrottai le sopracciglia, quando si bloccò all'improvviso. «Cazzo, non ho il lubrificante».
Sogghignai. «Lascia stare, ci penso io. Odio lasciare i lavori a metà».
Esitò un attimo e poi si accomodò sul mio petto, le ginocchia premute sulle mie spalle. Spalancai docile la bocca e me lo infilò dentro. Feci del mio meglio per leccarglielo dalla punta alla base, nonostante la posizione non mi consentisse il minimo controllo. Seth cominciò a far ondeggiare il bacino, tirandosi indietro e affondando di nuovo.
I suoi respiri divennero sempre più affannati, man mano che anche i suoi movimenti acceleravano, finché capii che era ormai all'apice del piacere. Prima che potesse sottrarsi, lo afferrai per i fianchi e lo trattenni sopra di me. Il suo liquido mi inondò la bocca e lo ingoiai, gustandomi il suo sapore unico e famigliare.
Seth si aggrappò al bordo del carrello, che scorreva mollemente sui binari, e si chinò per baciarmi a fior di labbra. «Ricambierò, prima o poi».
«Solo se e quando vorrai» lo rassicurai. Nonostante fosse ormai del tutto a suo agio con il suo orientamento sessuale, sapevo che aveva avuto delle serie difficoltà nell'accettarsi in passato e non si sentiva ancora pronto a fare certe cose. Non avrei mai voluto che si forzasse per me.
Mi sorrise e tornò seduto tra le mie gambe, allargandomele con le ginocchia. Posizionò la sua erezione vicino alla mia fessura e la stuzzicò con l'estremità bagnata, facendomi fremere a ogni contatto. «Tutto okay? Posso?»
Un brivido mi percorse le ossa e annuii. Chiedermi il permesso era una vecchia abitudine che risaliva ai nostri primi rapporti, quando accadeva spesso che i ricordi mi assalissero e cambiavo idea in preda al terrore. Malgrado ormai la mia risposta fosse sempre affermativa, la domanda di rito era rimasta. Non comprendevo il motivo per cui lo facesse, ma lo adoravo. Mi piaceva sapere di avere sempre scelta con lui.
Seth mi penetrò con una stoccata decisa, sovrastandomi con il suo corpo robusto. Il bruciore improvviso mi fece emettere un sibilo sommesso, ma venne subito sommerso dall'ondata di piacere. Per qualche secondo rimase immobile, dandomi il tempo di abituarmi. A un mio cenno del capo, cominciò a muoversi con affondi lenti e regolari.
A poco a poco, però, il ritmo si fece sempre più rapido e brutale. Uscì con foga e sprofondò di nuovo, assestandomi una spinta così profonda da farmi sussultare. Scoperto il punto sensibile, continuò a colpirlo con spietata precisione. Rovesciai il capo all'indietro, gli artigli che laceravano il tessuto del divano, e dovette premermi la mano sulla bocca per non farmi urlare.
Gli circondai il busto con le braccia e assecondai i suoi movimenti, occhi blu incatenati a occhi neri. La sua pelle sudata sfregava contro la mia, le sue dita arpionavano la carne delle mie natiche e i muscoli gli si tendevano ogni volta che si perdeva dentro di me. Mi resi conto di quanto fossi terribilmente incompleto, quando i nostri corpi non erano fusi in un solo essere. Quella era una sensazione che solo lui riusciva a darmi.
Giungemmo insieme sull'orlo del precipizio, e sempre insieme cademmo nel baratro. Dopo essersi liberato per la seconda volta, Seth diede un'ultima spinta catartica e si accasciò ansimante sul mio petto.
Mentre cercavo di riprendere fiato, gli accarezzai dolcemente i riccioli scuri come per ringraziarlo. Doveva mancare poco alla fine del Tunnel dell'Amore ed eravamo ancora mezzi nudi, ma stavo così bene che non riuscivo a preoccuparmene.
Seth si puntellò su un gomito e mi fissò con un sorriso esausto. «È reciproco, comunque».
«Che cosa?»
«Sono tuo per il resto della mia vita».
Gli sfiorai la guancia con l'indice. Fui tentato di dirgli che non era ciò che speravo per lui, che non volevo essere io negargli la possibilità di una vita felice con qualcuno che lo meritava più di me. Qualcuno che non fosse un mostro.
Invece, lasciai che si rannicchiasse nel mio abbraccio e gli depositai un bacio tra i capelli. Ne avremmo parlato in futuro. In quel momento, non aveva importanza.
In quel momento, c'eravamo solo io e Seth. Solo noi. Ed era tutto perfetto.
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