𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 32 (Alexander)
"𝔖𝔦𝔩𝔢𝔫𝔱 𝔦𝔰𝔫'𝔱 𝔞𝔩𝔴𝔞𝔶𝔰 𝔢𝔪𝔭𝔱𝔶.
𝔖𝔬𝔪𝔢𝔱𝔦𝔪𝔢𝔰 𝔦𝔰 𝔣𝔲𝔩𝔩 𝔬𝔣 𝔞𝔫𝔰𝔴𝔢𝔯𝔰"
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Al rientro a scuola, il mio unico pensiero era trovare Arya.
E ammazzarla.
Okay, no, ma la sua cocciutaggine metteva a dura prova la mia pazienza. Mi ero anche trattenuto dal pestare Nicholas per evitare che scoprissero che le avevo parlato e lei, nonostante il mio avvertimento, continuava a invischiarsi con Keegan.
A colazione, infatti, Callum ci aveva raccontato che era fuggito dalla cella dopo che gli uomini di Uranus avevano cercato di catturarlo. E c'era anche l'odore di Arya. Si era raccomandato quindi di tenerla d'occhio e, se possibile, di carpirle delle informazioni su cosa fosse realmente accaduto.
Menomale che le avevo chiesto di tenere un profilo basso e stare alla larga dalla mia famiglia.
«Alexander, stai sbavando».
Distolsi lo sguardo e lo puntai su Sky, che mi restituì un sorrisetto malizioso. «Simpatica».
«Lo so, ma sul serio». Indicò il blocco da disegno che tenevo aperto sul tavolo, accanto al piatto da cui avevo già spazzolato il mio pranzo. «Stai sbavando».
Aggrottai la fronte. Sul foglio, dove avevo iniziato a tratteggiare un volto femminile, c'erano davvero delle macchioline bagnate sparse qua e là. Lo strappai via con un gesto nervoso e presi il tovagliolo per asciugarmi, mentre controllavo che i miei fratelli non si fossero accorti di niente. Per fortuna, nessuno di loro prestava attenzione a me.
«... svegliato e anche oggi c'era quel simpatico ragnetto sul comodino. Viene tutte le mattine» stava dicendo Gabriel allegro, sollevando una forchettata di riso. Ogni volta, giocava a farlo svolazzare a mezz'aria con una serie di acrobazie e infine lo infilava in bocca. Il risultato era che stava spargendo chicchi ovunque. «Credo che voglia essere mio amico, sapete?»
Joel ridacchiò. «Dovresti presentarlo a Seth».
«Ho deciso di chiamarlo Spidey». Gabriel si girò verso di me. «Dato che sei tu l'esperto di animali, hai qualche consiglio da darmi su come allevarlo?»
Sbattei le palpebre. «A me piacciono i cani e i gatti. Non i ragni».
«Più o meno, è uguale. Hanno sempre le zampe e il pelo».
«Ma i ragni hanno più zampe, quindi sporcano di più» gli fece notare Joel, continuando a sghignazzare. «Callum non te lo farebbe tenere».
Gabriel si grattò il mento, dubbioso. «Hai ragione. Ma hanno meno pelo, magari questo lo convince».
Isaac sospirò, intanto che continuava a piluccare dalla sua insalata. «Scusate, dovete proprio parlare di ragni mentre mangiamo?»
«Dovete proprio parlare in generale?» Scossi il capo e ripresi a fatica la matita tra le dita. La protesi era perfetta per combattere, ma non era adatta a stringere oggetti così fragili e facili da spezzare, soprattutto per chi come me aveva una forza sovrumana. «Tanto le vostre conversazioni sono un climax ascendente di stupidità».
«Uuuh, che paroloni». Joel mi rivolse uno dei suoi ghigni che mi facevano venire voglia di fargli male. «Li vuoi usare per fare colpo su Arya?»
Sky mi afferrò per la manica, prima che potessi scattare per mollargli un pugno. Mi tirò di nuovo indietro sulla panca. «Smettetela di fare i bambini, santo cielo».
«Quella è la specialità di Nik».
«Joel, senza offesa, ma hai rotto il cazzo». Remiel, che era rimasto ammutolito fino a quel momento, lo folgorò con un'occhiataccia. «Potresti almeno tentare di capire la gravità della situazione».
«La crush tua e di Alexander sta cuocendo baby Nik nel suo pancino e siete gelosi. Vedi? Ho capito la gravità della situazione» replicò lui orgoglioso.
Gli lanciai uno sguardo gelido. «Joel, con offesa, hai rotto il cazzo».
«Oh, caspiterina». Gabriel si diede uno schiaffo sulla fronte. «Mi avete appena ricordato che devo ancora creare il gruppo di famiglia».
«Non siamo già abbastanza disagiati?» chiese Sky scettica.
Ignorandola, Gabriel afferrò il telefono e cominciò a pigiare sullo schermo, finché emise un gridolino eccitato. «Ecco, fatto. Ho inserito anche Seth, tanto sappiamo che lui e Nik torneranno insieme».
Automaticamente, ognuno di noi controllò il cellulare nello stesso istante. Rilasciai un respiro profondo nel leggere che ero stato aggiunto su WhatsApp a un gruppo chiamato “Famiglia Morte (pazzerelli ma belli)👶🏻🦅”.
L'immagine era una foto di Callum addormentato su una sedia con una spolverata di fard sulla faccia.
«Perché c'è un'aquila?» obiettò Isaac.
Gabriel si strinse nelle spalle. «L'emoji del corvo era brutta. E poi di solito è un uccello a cui viene associato un brutto significato. Non voglio spaventare Arya».
Remiel roteò gli occhi. «Giusto. Perché "Famiglia Morte" è molto rassicurante».
«È un gioco di parole! Ho tolto l'apostrofo! Non è geniale?»
«Joel ha modificato la scritta tra parentesi in "Strafighi da paura"» commentò Sky, trattenendo a stento una risata.
Il diretto interessato si arruffò i capelli biondi. «Non mi sentivo molto rappresentato».
«Io mi tolgo. È già troppo sopportarvi nella vita reale» sbuffai.
«Guardate, Callum sta scrivendo!» Gabriel spiccò un balzo sulla sedia, facendo ballonzolare il codino di ricci castani. «Deve essergli piaciuta la mia idea».
Callum: "Non faccio domande.
Ma togliete subito quella foto"
Joel: "Puoi farlo anche da solo, boomer. Cerca il tutorial su Internet"
Guardai in direzione del tavolo a cui Arya era seduta con i suoi amici. Aveva anche lei il telefono in mano e un'espressione confusa sul volto. Alla risposta di mio fratello, però, un piccolo sorriso le affiorò tra le labbra e il mio cuore mancò un battito.
Abbassai il capo e tornai a disegnare, sbirciandola di tanto in tanto nonostante non ne avessi più bisogno. Ogni dettaglio del suo viso ormai era impresso a fuoco nella mia mente.
Dopo pranzo, salutammo Sky e andammo in palestra. Ci cambiammo negli spogliatoi e uscimmo in giardino, dove il coach Brayer ci stava aspettando con Rocky fermo ai suoi piedi. Il cielo era terso, ma l'aria era gelida e immobile.
Come sempre, io e i miei fratelli ci eravamo raccolti in disparte per non attirare l'attenzione, nonostante Joel ammiccasse come un cretino a qualsiasi ragazza incrociasse il suo sguardo.
Lo stridio acuto del fischietto fece calare il silenzio. «Siccome mio figlio tra pochi giorni si sposa e sono incavolato nero...»
«Congratulazioni» strillò Gabriel.
«Congratulazioni un corno. Devo pagare metà del suo regalo perché la mia ex è una spilorcia». Il professore fece una smorfia. «Comunque facciamo lezione all'aperto, così patite il freddo e posso godere della vostra sofferenza. Forza, schiappe, tre giri attorno alla scuola come riscaldamento». E fischiò di nuovo per spronarci.
Avevamo appena cominciato a correre, quando mi resi conto che Arya si stava avvicinando. Anche con una semplice felpa e dei leggings, restava la cosa più bella che avessi mai visto.
La seguii con lo sguardo, ma non mi illusi neanche per un attimo che volesse parlare con me. Infatti mi lanciò solo un'occhiata fugace e raggiunse Remiel, che si affrettò a rallentare per renderle più facile stare al suo passo.
Adorabile.
Scossi la testa e feci in modo di rimanere dietro di loro, a debita distanza. Al mio fianco Isaac incespicava, i lineamenti contratti per lo sforzo di non cadere; mi aveva sempre fatto tenerezza che nemmeno i nostri poteri bastassero a salvarlo dalla sua innata goffaggine.
Pur sapendo che non avrei dovuto origliare, tesi le orecchie per affinare il mio udito e isolai le loro voci da qualsiasi altro rumore.
«Ehi» lo salutò Arya ansimante. «Perché mi sono ritrovata nel gruppo della Famiglia Morte?»
Remiel espirò un fiotto d'aria dalla bocca. «Perché Gabe è un idiota».
Lei ridacchiò e dardeggiò gli occhi verdi su Gabriel. Anziché correre, procedeva a saltelli sull'erba, intento chiacchierare animatamente con Layla. Quest'ultima gli sorrideva, schivando con prontezza le manate che rischiava di darle nella foga di gesticolare.
Poi tornò a concentrarsi su Remiel. «Non so come chiedertelo, quindi la butto lì. Sei arrabbiato con me?»
«Arrabbiato? Per cosa?»
Arya non rispose, ma si sfiorò la pancia con un gesto eloquente. La coda in cui erano intrappolata la sua chioma corvina oscillava dietro alla sua nuca. «Sappi che lo capirei, davvero».
Un moto di fastidio mi assalì. Avrei voluto gridarle che si sbagliava, che non doveva delle scuse o delle giustificazioni a nessuno. E giurai a me stesso che, se mio fratello avesse osato farla sentire in colpa per quel bambino, lo avrei legato a un palo insieme a Nicholas e li avrei presi a mazzate entrambi.
Remiel si fermò e le strinse con delicatezza il gomito affinché facesse lo stesso. Mi chinai e finsi di dovermi allacciare le scarpe in modo da non superarli, sebbene fosse una scenetta ridicola. Eppure, non riuscivo a fare a meno di ascoltare. «Non ce l'ho con te. Perché dovrei? Mi dispiace solo che tu sia finita in mezzo ai nostri casini. Non è giusto».
«Quindi potrei avere ancora qualche chance di uscire con te?» Arya pronunciò quelle parole in un soffio.
Mi paralizzai. Una ragazza mi sfrecciò vicino e mi urtò per sbaglio il fianco con un tallone, ma non ci badai. Rimasi a fissare Remiel, tenendo il fiato sospeso. Era diventato paonazzo e, a giudicare dai suoi occhi sgranati e l'espressione incantata, pareva che gli avessero appena annunciato l'ascesa del nuovo Messia.
Una parte di me sperava che accettasse, perché ciò di cui Arya aveva più bisogno al momento era qualcuno che la sostenesse e meritava di averlo. L'altra, un po' egoista, pregava in un suo rifiuto... perché quell'appoggio volevo darglielo io.
«Vuoi uscire con me?» ripeté infine, scostandosi una ciocca nera dalla fronte. Le sue guance ormai avevano virato verso una sfumatura violacea.
Arya si mordicchiò il labbro, nervosa. «Se ti va, certo».
Se le dici di no, sei un coglione.
Un tonfo improvviso li fece voltare di scatto. Isaac era ruzzolato sull'erba pochi metri più avanti, procurandosi uno strappo ai pantaloni della tuta in corrispondenza del ginocchio. Prima che Remiel potesse muoversi, uno degli amici di Arya lo anticipò e accorse in suo aiuto. Era quello che portava sempre il berretto, Mac.
«Tutto bene?» gli chiese, chinandosi su di lui.
Rosso come un pomodoro, Isaac annuì e accettò la mano che gli stava porgendo, farfugliando un grazie.
Un ragazzo muscoloso con la cresta interruppe la sua corsa e li indicò, per poi scoppiare in una risata di scherno. Non lo conoscevo, ma lo avevo visto spesso in giro per i corridoi con Josh, ovvero l'idiota che avevo pestato non abbastanza forte. «Che carini. La femminuccia e il finocchio».
Mi alzai e serrai i pugni, pronto a spezzargli ogni osso del corpo. Remiel intuì le mie intenzioni e mi si parò davanti, un braccio già sollevato per bloccarmi. O per provarci, perché non mi sarei fatto scrupoli a stenderlo pur di farmi strada. Non fu necessario, però.
Una figura snella ci sorpassò rapida come la polvere e, al suo passaggio, diede una spallata al ragazzo con tale violenza da scaraventarlo a terra. La testa gli rimbalzò sul sentiero di ghiaia, facendolo gemere di dolore. Arya sussultò e indietreggiò appena.
«Oh, che carino» lo scimmiottò Joel in tono tronfio. Indossava una canotta sportiva bianca che gli aderiva al fisico sottile, con maniche troppo corte per nascondere le cicatrici pallide che gli si allungavano fin sulle spalle. «Un pollo. Sei scappato dalla fattoria?»
Il ragazzo si toccò il graffio sul mento e imprecò, quando le dita gli si macchiarono di sangue. «Ti spacco la faccia, psicopatico».
Joel sorrise. Era un sorriso insolente e sfrontato, identico a quello di Nicholas; la loro somiglianza a volte era impressionante. «Sì, fallo, ti prego».
«Okay, basta!» Arya si frappose tra i due, cogliendo tutti alla sprovvista. «Justin, vattene. Altrimenti giuro che dirò alla preside com'è andata veramente con il tuo amichetto Josh. Sarebbe la volta buona per farlo sbattere fuori dalla squadra».
«Sei diventata la puttana dei De'Ath?»
Nell'istante stesso in cui fece per avanzare verso di lei, una sensazione famigliare mi si agitò nel petto. L'istinto prese il sopravvento, e lo stesso accadde agli altri.
Anche se biologicamente eravamo cugini, e non fratelli, avevamo un legame più profondo a unirci: la nostra natura. Non solo ciò ci rendeva in grado di percepirci in quanto simili, ma faceva sì che proteggerci a vicenda fosse per noi un riflesso meccanico, al quale non avremmo potuto opporci nemmeno volendo.
Come se fossimo ingranaggi di un medesimo insieme e, se ne veniva minacciato un pezzo, l'intera macchina reagiva per eliminare il pericolo esterno.
Joel e Remiel si piazzarono ai lati di Arya, persino Isaac le si affiancò. Io invece mi avventai direttamente su Justin e lo agguantai per la maglietta, scuotendolo con forza. Grazie ai miei poteri, pesava meno di una bambola di pezza. Un colpo, un unico leggero colpetto mi sarebbe stato sufficiente a romperlo come un giocattolo.
Lo tirai verso di me, godendo della paura tradita dal suo odore. «Se ti azzardi a sfiorare uno di noi, sei morto» sibilai furioso.
Il ragazzo annuì più volte, sbiancato in viso.
«Che sta succedendo?» chiese Layla allarmata, avvicinandosi.
«Oh, ecco dove eravate finiti. A che giro siete?» Gabriel ci venne incontro. Appena si accorse della tensione nell'aria, sfoderò un sorriso raggiante e batté le mani con fare conciliante. «D'accordo, bella gente. Facciamo l'amore, non la guerra. Pace e amore».
Mac fece un cenno d'assenso. «Non credevo che l'avrei mai detto, ma sono d'accordo con Gabe».
«Davvero? Che bello! Di solito nessuno è mai d'accordo con me».
«Lascialo stare, Alexander. Prima che arrivi il coach» tagliò corto Remiel.
Scrollai le spalle e mollai la presa. Justin arretrò inciampando, mi scoccò un'occhiataccia e riprese a correre barcollante. Man mano che si allontanava, lo udii mormorare degli insulti a proposito della nostra famiglia pazza e malata. Non sapeva quanto avesse ragione.
Joel fece un sonoro sbadiglio. «Sei sempre il solito guastafeste, San Remi».
Anche Ethan si unì al nostro gruppetto, seguito da Deena. Ricacciò all'indietro il ciuffo castano che gli ricadeva sulla fronte, mentre ci osservava interdetto. «Perché Arya è circondata da uno scudo umano di De'Ath?»
«Non lo so. Mi sono perso l'inizio, purtroppo». Gabriel sospirò e cominciò a rovistare nella tasca dei pantaloncini fucsia. Scartò una caramella, se la mise in bocca e gliene offrì una. «Vuoi? Sono al limone».
Ethan si accigliò. «Fai educazione fisica con le caramelle in tasca?»
«Per i cali di zucchero».
«Che state combinando? Un'altra rissa?» ci rimproverò Deena.
«Vi ringrazio, ma avrei potuto difendermi anche da sola». Arya sgusciò fuori dal cerchio protettivo dei miei fratelli e si voltò verso di me. La sua espressione infuocata mi inchiodò sul posto. Si stava massaggiando il polso su cui i lividi giallognoli ormai erano a malapena visibili. «Non serve essere sempre violenti».
Quel pomeriggio dovevo scontare le ultime ore dei lavori socialmente utili che mi erano stati assegnati. Il che significava avere l'opportunità di stare con Arya, senza avere tra i piedi il resto della mia famiglia. Avevo preparato un discorso sulle cose che potevo dire, stando attendo a non rivelarle troppo, ma andò tutto al diavolo nel momento in cui ci ritrovammo insieme.
Ci avevano incaricati di ripulire il giardino e la zona attorno alla scuola dai rifiuti buttati in giro. Arya camminava al mio fianco, stranamente silenziosa. Il suo profumo mi solleticava le narici.
Era diverso da qualsiasi altro avessi mai sentito, un miscuglio non del tutto umano, con un tocco di vaniglia, ma fiutai comunque l'alterazione dovuta alla rabbia.
Non ero bravo a iniziare le conversazioni, quindi mi limitai a lanciarle delle occhiate nell'attesa che l'irritazione prevalesse sul motivo – qualunque fosse – per cui si ostinava a non rivolgermi la parola. Funzionò.
«La pianti? Sei inquietante» sbottò infine.
Mi strinsi nel giacchetto con indifferenza. Continuai a adocchiarla, fino a che perse la pazienza e si bloccò con i pugni piazzati sui fianchi. Il sole faceva brillare i suoi smeraldi di una sfumatura violacea. «Che problemi hai?»
«Faccio solo il contrario di quello che mi chiedi. Spiacevole, vero?»
Arya aggrottò la fronte. «Se era una frecciatina, non ho capito dove vuoi andare a parare».
«Io credo di sì». Inforcai una lattina accartocciata con il bastone e la gettai nel sacchetto che tenevo nell'altra mano. «Di cosa hai chiacchierato con Keegan, prima che evadesse?»
Sebbene fosse riuscita a nasconderlo quasi subito, avevo notato il modo in cui si era irrigidita per un istante. «Non so di cosa parli. Ho scoperto che era scappato dal giornale, come chiunque».
«Hai un talento per la recitazione. Mai pensato alla carriera di attrice?»
«Mi spieghi perché non puoi tornare al mutismo selettivo? Eri più simpatico, quando stavi sempre zitto».
L'angolo della bocca mi si piegò all'insù. Mi girai dall'altra parte e raccolsi una bottiglietta di plastica. Al contrario della maggior parte della gente, non avevo mai avvertito l'esigenza di colmare i vuoti. Non mi servivano inutili dialoghi per essere a mio agio in compagnia di una persona, se la presenza di quest'ultima non mi dispiaceva.
«Come lo sai?» chiese in un sussurro.
«Non sono idiota. Scommetto che lo hai aiutato a scappare». Tornai a guardarla. Era ancora immobile, con quel cipiglio buffo con cui sperava di apparire minacciosa. Indicai il suo bastone. «Sai che la punizione è per entrambi, vero? Perché non stai facendo niente».
Lei mi fece una pernacchia e si rimise al lavoro. «Ero lì, d'accordo?» Un tremito le percorse il corpo. Deglutì e riprese con voce incrinata: «Non è stato Keegan a uccidere quegli agenti. Sono arrivati dei tizi travestiti come se fosse Halloween e hanno fatto un macello».
La fissai. Il mio cuore sprofondò, cogliendo la paura che trapelava dal suo sguardo. Mi sforzai di assumere un tono rassicurante, anche se con scarsi risultati. «Lo hai raccontato a tuo zio? È lo sceriffo, no?»
«Sai che John è mio zio?» obiettò perplessa, scrollandosi i capelli neri dalle spalle.
Annuii. «Lo avevi detto al coglione che ho picchiato».
«Si chiama Josh».
«Coglione suona meglio».
Arya si lasciò sfuggire una risatina. «Comunque no, non ancora».
Era una risposta vaga. E nervosa. Non sapevo molto sullo sceriffo, ma non mi sarei stupito di scoprire che avesse dei segreti. Forse anche lei aveva dei dubbi. Bene, era positivo che stesse imparando a non fidarsi. Se voleva continuare a farsi coinvolgere con la mia problematica famiglia, era una dote che le sarebbe stata utile.
Con un guanto, mi chinai per prendere una cicca di sigaretta abbandonata nell'erba. «Dov'è Keegan adesso?»
«Quelli alla centrale di polizia erano dell'Olympus?»
Sollevai il capo. «Non demordi, eh?» borbottai esasperato.
Arya appoggiò l'estremità biforcuta del bastone a terra con un po' troppa foga. Aveva le guance arrossate dal freddo. «Hanno ucciso mio padre. Devo sapere cosa c'è dietro alla sua morte. Voglio la verità».
Mi alzai e ridussi la distanza tra di noi. Ero più alto, quindi dovetti abbassare gli occhi per incrociare i suoi. Li sostenne con fierezza, sebbene sia i suoi battiti accelerati che il modo in cui spostava il peso da una gamba all'altra mi suggerissero che era agitata. «Se la trovassi io per te?»
«Se la trovassimo insieme?» mi corresse.
Sbuffai. Avrei potuto giocare la carta della gravidanza, del rischio che stava facendo correre a suo figlio, ma mi sembrava scorretto. Inoltre, dubitavo che avrebbe funzionato. L'unico risultato sarebbe stato farla sentire in colpa per qualcosa a cui non sarebbe mai riuscita a rinunciare. Con me, almeno, era più protetta.
«Si può fare» mormorai, scandendo bene ogni sillaba. «Ma alla mia famiglia non piacerà. Nemmeno al tuo caro Remiel».
Arya non ebbe la minima esitazione. «E tu non dirglielo».
Piegai il capo di lato, scrutandola corrucciato. «Tra te e Nicholas, quel bambino verrà più testardo di un mulo».
Lei sussultò e si accarezzò il ventre, come se per un secondo avesse dimenticato di essere incinta. O chi fosse il padre.
«Per quanto riguarda Keegan...» ripresi, ma venni interrotto da un suo secco e categorico: «No».
Che gran rompipalle, sta ragazza.
Era tardo pomeriggio, quando finalmente ci lasciarono liberi di tornare a casa e Arya mi propose di andare al parco per discutere in tranquillità le clausole del nostro neonato accordo. Non ero così ipocrita da non ammettere a me stesso che la ragione principale per cui avevo accettato fosse trascorrere altro tempo assieme, ma preferivo non pensarci.
«Parlami dell'Olympus» esordì Arya, sedendosi dall'altra parte del tavolo.
Lanciai un'occhiata all'area giochi per bambini. I loro strilli gioiosi riempivano l'aria, mentre inseguivano il pallone sul prato o si arrampicavano su per le giostrine. Il ricordo della mia madre biologica che mi spingeva sull'altalena riemerse, astratto e indefinito.
Spesso invidiavo i miei fratelli per essere stati adottati quando erano abbastanza piccoli da dimenticare tutto della loro vita prima del laboratorio. Eccetto Nicholas, certo. Lui non l'aveva proprio avuta. Almeno su questo, ero stato più fortunato io.
«Alexander».
«Sì, ti ho sentita». Feci un gesto distratto con la mano. «Che cosa vuoi sapere?»
Arya si accigliò, come se avesse intuito che c'era qualcosa che non andava, ma non fece domande. «Di cosa si occupa l'Olympus? Perché in rete non ho trovato nulla a riguardo?»
Mi presi qualche secondo per elaborare una spiegazione che potesse accontentarla, senza tuttavia essere completamente sincero. Non potevo rivelarle della nostra natura. Era un argomento troppo delicato, che non potevo di certo affrontare da solo.
«Perché è un'organizzazione segreta al servizio del governo. Vivianne e Lucius ne facevano parte come scienziati. Mio padre invece, August, era un generale dell'esercito».
«E per quale motivo un'organizzazione governativa dovrebbe dare la caccia alla tua famiglia?»
Tamburellai le dita sane sul legno grezzo. «Abbiamo una cosa che loro vogliono. Una cosa che avrà anche tuo figlio. Per questo, se sceglierai di tenerlo, dovresti andartene molto lontano da qui. Fuori dagli Stati Uniti».
Arya incurvò le sopracciglia. «Mi stai consigliando di cambiare Paese. Dovrai essere più specifico di "abbiamo una cosa"».
«Un'anomalia genetica che i De'Ath si tramandano da generazioni, e che l'Olympus vuole studiare». Scrollai le spalle. Era anche quasi del tutto vero. «Non so dirti altro».
«Aspetta, aspetta». Un'espressione concentrata si dipinse sul suo volto. «Pensavo che voi non foste fratelli di sangue».
Scossi il capo. «No, ma siamo tutti imparentati. Vivianne non poteva avere altri figli, dopo Nik, quindi ha adottato alcuni di quelli illegittimi dei nostri zii. Hanno il simpatico vizio di disseminarne in giro per il mondo».
Arya spalancò la bocca, incredula. La richiuse e si schiarì la gola. «È stata molto, ehm, gentile».
Schioccai la lingua contro il palato, reprimendo un sorriso sarcastico. «Ora è il tuo turno. Dimmi di più sulla morte di tuo padre». Dallo spasmo che le contrasse il volto, immaginai di essere stato troppo brusco e mi affrettai ad aggiungere: «Per favore».
«Un idiota ubriaco lo ha investito, è stato portato in ospedale e non ce l'ha fatta. Non c'è molto da dire» ribatté lei risentita. Evitava il mio sguardo, probabilmente per non farmi notare che stava trattenendo le lacrime.
Lo stomaco mi si attorcigliò e tornai a fissare i bambini che facevano su e giù per lo scivolo. Vedere il suo dolore mi faceva desiderare di poterla consolare, ma non era una delle capacità che venivano insegnate a una cavia. «Lo hanno mai preso? L'idiota ubriaco».
«Sì, certo. Non so chi fosse, ma so che si è costituito». Si passò una mano intirizzita sulla guancia. «Era pentito. Ci ha spedito una lettera per scusarsi e un assegno. Non lo abbiamo mai incassato. I soldi non potevano restituirci quello che ci aveva tolto».
Trasalii, folgorato da un'idea. «Avete tenuto qualcosa?»
«Non saprei. Perché?»
«Gli assegni sono firmati».
Un lampo di comprensione balenò nella sua espressione. Controllò l'ora sul telefono e balzò in piedi. «È tardi. Devo andare a casa».
«Suppongo che sia il momento in cui dovrei offrirmi di accompagnarti».
«Non mi serve la scorta».
Feci spallucce. «Tanto non te l'avrei chiesto».
«Adorabile» replicò Arya sarcastica. Cominciò ad allontanarsi, ma dopo pochi passi si voltò e abbozzò un sorriso imbarazzato. «Comunque grazie, Alexander».
Non sapevo a cosa si stesse riferendo di preciso, e neppure mi importava. Sapere di averla resa felice in qualche modo era... strano. Uno strano bello, però. Mi faceva sentire più leggero, tant'è che dovetti sforzarmi per non sorriderle a mia volta.
Mantenni una maschera distaccata e mi limitai a pronunciare una sola frase in tono lapidario.
«Siamo la migliore opzione di Keegan, ricordalo».
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Angolo Jedi
Piccola precisazione: sì, vi giuro che questa storia è un fantasy. La spiegazione "scientifica" che dà Alexander è soltanto la punta dell'iceberg. Ho voluto giocarci un po', ma ci saranno elementi puramente magici. Abbiate fiducia🌝
Presto mi piacerebbe mettere uno dei capitoli speciali a cui accennavo nella premessa, ma la trama è venuta più intricata di quanto pensassi e non voglio allungare inutilmente il brodo. Si vedrà.
Intanto, grazie per leggere FoS❤️
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